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«Ciao Koi! Come stai oggi? Siamo venute a farti visita!» disse Hikari con un sorriso a trentadue denti, mentre entrava felicemente nella stanza, seguita dalle altre compagne di squadra e l'allenatore e mentre sventolava di qua e di là un sacchetto di plastica rosso fuoco, contenente del cibo incartato.
Koi, che concentrata cercava di studiare gli argomenti di scuola che aveva perso nelle settimane passate a causa dell'infortunio che l'aveva bloccata e costretta a letto, si prese quasi un colpo a sentire l'improvvisa e squillante voce del libero, il contrario di quell'ambiente così calmo e pacato.
Irrigidì la schiena per lo spavento ma quando vide le sue compagne ed amiche, dalle titolari e non, il suo viso divenne quasi rosso per l'emozione.
«Ragazze!» disse lei, salutando e sorridendo calorosamente. «Ci siete tutte!».
Cercò di alzarsi, ma venne fermata sempre dall'energica ragazza - che nel mentre era saltellata verso di lei - che occupava il ruolo di libero. «Ferma, non alzarti. Stai a riposo».
«Non sono messa così male, Hikari» ridacchiò Koi.
«Meglio che tu le dia retta e non faccia sforzi. Prenditi una pausa da tutto e stai tranquilla.» aggiunse Tomoko, dando manforte e sedendosi nell'angolo del letto, mentre si raccoglieva i capelli per legarli in una coda di cavallo e con il resto della squadra che si posizionava intorno a Koi.
«E va bene, starò ferma come una dolce vecchietta di ottant'anni» rise poi in risposta.
Nel mentre, Hikari consegnò a Koi il sacchetto, «Ti abbiamo comprato del melonpan, spero ti piaccia!».
La bionda ringraziò e poggiò il tutto sopra il mobile al suo fianco.
«Scusa se non siamo venute a trovarti prima» disse una di loro. «Non abbiamo avuto un secondo libero; ci dispiace per questo» continuò il capitano.
Koi scosse la testa «Non vi preoccupate, so benissimo che è difficile avere del tempo libero tra gli allenamenti e tutto il resto».
Koi sapeva forse meglio di loro quanto la pallavolo agonistica potesse portare via molto tempo e, proprio per questo, poteva comprendere il motivo per cui fossero venute a trovarla con settimane di ritardo.
Shuyaku la guardò sorridendo «Come stai ora?».
L'asso poggiò la sua mano al mento, fingendo di pensare. «In questo momento sono seduta».
Shuyaku sospirò sereno, mentre la figlia Tomoko si massaggiò le tempie, accigliata, alla battuta dell'amica.
«Vuol dire che stai bene» disse Haruka, ridendo di gusto.
Tomoko si avvicinò a Koi e le diede un pugno leggero sulla spalla buona, «Non faceva ridere» disse gonfiando le guance. Nel mentre scoppiò una risata generale.
«Sul serio... Come stai ora?» continuò.
«Un po' meglio. Grazie per avermelo chiesto» rispose l'infortunata bionda.
Akane Takahashi, che era un'altra delle giocatrici, parte della squadra, si avvicinò a Koi. «Asso! Devi riprenderti in fretta, perché ti stiamo tutte aspettando!».
A Koi mancò il respiro per un breve attimo, sentendo l'affermazione della compagna.
Shuyaku notò la reazione della giovane e, a causa dei cattivi pensieri, il suo volto s'incupì.
«Ragazze, devo andare al bagno. Voi non fate casini in mia assenza, sono stato chiaro?» disse, ma in verità fece tutt'altro.
Una volta uscito dalla stanza, cercò i genitori o uno dei medici, incontrando poco dopo il padre in un salone, che stava compilando delle carte di lavoro.
°
Koi vide il repentino cambiamento dell'allenatore e si preoccupò, tanto da non sentire più le sue amiche chiamarla.
Si rese conto di ciò, cadendo dalle nuvole, una volta sentita la compagna Aiko Nakajima chiamarla più volte.
«Ti senti bene?» chiese preoccupata.
Koi abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore con tale forza da lasciare il segno e stringendo con fermezza le lenzuola. «Cosa è successo in partita, dopo che me ne sono andata?».
La tensione cominciò a salire dopo la sua domanda. Alcune risposero «Non preoccuparti» oppure «pensa a riposare»; finché Tomoko non strinse i pugni, arrabbiata con le sue compagne «Dobbiamo dirle la verità!».
Si girò di colpo verso Koi, spostandosi al suo fianco «La verità è che siamo state sconfitte. Non abbiamo saputo giocare bene a causa dell'assenza del nostro asso; abbiamo commesso un sacco di errori stupidi e veramente banali. La cosa peggiore è che come capitano non sono riuscita a tenere la squadra unita e a risolvere la situazione.» i suoi occhi si riempiono di lacrime, «Dovresti essere tu il vero capitano, non io...».
Nessuno fiatò per la vergogna. Koi guardò tutte, una ad una, incredula. Prese coraggio e poggiò la sua mano in quella del capitano, parlando severamente «Non è assolutamente vero. Se ti sentisse Shuyaku ti avrebbe già fatto una bella ramanzina! Smettila di lamentarti per cose inesistenti, può capitare di non essere unite in una partita per una giornata storta. Non dovete buttarvi giù per cose sciocche».
Tomoko guardò l'amica con gli occhi ancora lucidi «Koi, ma tu...». Prima che potesse riprendere a parlare, il frizzante libero parlò «Koi ha ragione! Non dobbiamo buttarci giù! Questo ci sarà di lezione e ci aiuterà a diventare più forti!».
Alcune diedero immediatamente ragione a Hikari, altre si convinsero poco dopo.
Koi sorrise per la felicità di non vedere più la sua squadra giù di morale, ma ritornò pensierosa subito dopo. «Chi ha preso il mio posto ora?» chiese.
«Takae.» rispose all'istante il capitano, asciugandosi le lacrime. Alla risposta Koi irrigidì le spalle e si guardò in giro, notando l'assenza della ragazza. «Non è venuta con voi?».
Alcune ne rimasero sorprese. «Che strano, eppure sono sicura di averla vista prima» disse confusa una di loro.
Koi rilassò le spalle, capendo che Takae potesse aver cambiato idea all'ultimo momento.
Takae Yamada era colei che avrebbe sostituito Koi nel suo ruolo, una volta lasciata la squadra.
Era una ragazza molto taciturna e parlava quasi solamente quando si arrabbiava; difatti non era stata nominata titolare per la sua scarsa comunicazione con le compagne; visto che comunque non era molto amica del resto delle ragazze, proprio per il suo carattere schivo.
Non ha mai mostrato gran simpatia per Koi Katsuhiko perché, secondo lei, non si meritava di essere l'asso della squadra e non si meritava nemmeno di far parte di quella famosa squadra per colpa degli eventi che erano successi anni prima, quando il talento di Koi doveva ancora sbocciare.
Né lei, né i suoi genitori sopportavano l'idea che fosse la pupilla di Shuyaku e non concepivano che una bambina potesse essere così fortunata in ambito sia fisico che economico; la cosa peggiore era che quella gelosia, con il passare degli anni, non mutò minimamente.
°
«Koi non potrà quasi sicuramente più giocare, soprattutto a livelli così alti» disse il padre all'attento allenatore Shuyaku, dopo aver spiegato cosa fosse successo alla spalla della giovane.
L'uomo ascoltò attentamente il genitore, mantenendo il più possibile la calma.
Quando si salutarono, Shuyaku si diresse verso il bagno e, una volta entrato, poggiò entrambe le mani sul lavandino, andando poi a sciacquarsi sbrigativo il viso.
Quando alzò lo sguardo, fissò il suo volto riflesso nello specchio davanti a lui. Il suo viso era pallido e gli occhi quasi arrossati, che minacciavano di far uscire qualche lacrima. I capelli diventati lunghi e raccolti in un codino erano scompigliati e la barba lasciata crescere troppo bloccava le fredde gocce d'acqua che scendevano lentamente lungo il viso.
Sentì una goccia in particolare cadere della sua mano, pensando che fosse l'acqua con cui si era appena lavato, ma si accorse solo dopo che, in verità, erano lacrime amare che scendevano copiose.
«Mi dispiace così tanto. Sono solo un fallimento come allenatore...» si espresse ad alta voce, come se cercasse il minimo conforto dal suo stesso riflesso.
Era terrorizzato. La bambina che aveva visto crescere, in cui aveva speso tutte le sue energie - più della sua stessa figlia - e speranze, si poteva definire un fiore appassito. La sua pupilla era cresciuta con molta difficoltà, sbocciando poi improvvisamente, mostrando a tutti le sue doti; per cadere, infine, come calpestata dal primo passante.
Vedere una ragazza che avrebbe potuto ottenere grandi cose dalla vita, perdere tutto in un secondo, lo aveva portato vicino alla disperazione, non sapendo più come comportarsi.
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