~5~
Tutto avviene per un motivo.
La vita è un intreccio di fili che, insieme, formano un nodo.
Esso, da solo, non può esistere in sé per sé, ma deve essere in relazione con gli altri;
un tutt'uno.
- - -
Luci puntate in faccia che accecavano: grandi, grosse e luminose. Dottori agitati che si parlavano tra loro e si aiutavano, poi, a vicenda, decidendo con fare scaltro sul da farsi. Una sala operatoria colorata di un bianco spento, quasi grigio, circondava i corpi concentrati.
La testa che scoppiava, mista a ricordi confusi.
Era tutto una tale confusione.
°
Koi aprì gli occhi pian piano e a fatica. Le palpebre, così pesanti - come il debole, ma allenato corpo -, non volevano provare a fare nessun minimo sforzo per aprirsi.
Quando fu completamente sveglia e cosciente, sentì il caldo tepore del Sole avvolgerla e le morbide lenzuola le offrivano un profondo senso di comfort.
Si guardò intorno, capendo di essere sola in una camera d'ospedale. Piccola, ma grande abbastanza da ospitare un singolo paziente, pitturata di un bianco acceso, quasi accecante e decorato con diverse piantine poggiate a terra e qualche disegno appeso, per rendere la stanza più colorata e allegra.
«Cosa ci faccio qui?» si chiese confusa.
Cercò di mettersi a sedere, ma un improvviso dolore alla spalla la bloccò, non la facendola muovere.
Portò la sua mano nel punto dolorante, sentendo poi un oggetto estraneo per tutto il braccio destro. Deglutì e si girò con molta lentezza verso l'oggetto, notando il tutore e le fasciature.
Il coraggio di aprire bocca era inesistente, spaventata da ciò, non ricordando nemmeno come potesse essersi fatta del male fino a quel punto.
«Cosa mi è successo?» si domandava come un disco rotto.
Ogni ricordo era confuso, sfocato. Si impegnava, sforzava, ma non riusciva ad avere il minimo indizio.
Pensò a lungo, quando un ricordo le balenò in mente: l'incidente della partita.
Ricordava della caduta che le aveva causato quel grande dolore - dove ora portava il tutore -, l'avversaria che l'aveva colpita, molto probabilmente intenzionalmente e il trasporto fino all'ospedale più vicino. Da lì in poi più nulla. Come faceva a non ricordare dei dettagli così importanti?
Forse a una domanda, però, poteva rispondere: doveva essere svenuta durante il tragitto.
Il suo viso diventò cupo e riappoggiò la schiena nel morbido materasso. «A quanto pare non posso fare nulla ora; uscire sarebbe decisamente inutile. Dovrò aspettare che qualcuno venga a farmi visita per saperne più nel dettaglio.» ragionò, ma pochi secondi dopo entrò sua madre tranquillamente, con un piatto in mano, contenente spicchi di mela.
Appena vide sua figlia sveglia, la donna spalancò gli occhi, correndo verso di lei. «Koi! Stai bene?!» poggiò il piatto sul mobile al suo fianco, agitata, abbracciando ampiamente la figlia «Finalmente ti sei svegliata!».
La giovane ricambiò l'abbraccio. «Mamma, che è successo?» chiese finalmente, ma la madre non la ascoltò minimamente, staccandosi subito dopo.
Agitata, uscì dalla porta dove era entrata, «Devo avvisare tuo padre e i medici che ti sei svegliata. Torno subito!» lasciandola sola.
Gli occhi stanchi di Koi fissarono la madre fin quando non scomparve dalla sua vista.
«Dovrò aspettare ancora un po' per avere una risposta a quanto pare...».
Lo sguardo di lei si spostò verso la finestra, ad osservare il paesaggio primaverile che Tokyo offriva. Gli allegri cinguettii degli uccelli, uniti al rumore di civiltà; le nuvole passeggere di una prima mattina luminosa e il grande albero di ciliegio che occupava gran parte della visuale, le davano un senso di pace interiore. In particolare si incantò a guardare la tenda, mossa dal debole venticello che entrava indisturbato, e dietro essa un vaso colorato di un arancione e un rosa vivace, che ospitava delle altrettanto colorate e profumate bocche di leone.
Dei passi pesanti, che si avvicinavano sempre di più, la riportarono alla realtà.
«Koi!» sentì poco dopo.
Davanti a lei c'era suo padre, seguito dai dottori e la madre. «Finalmente sei sveglia» disse, mentre il dottore segnò qualcosa nella sua piccola e personale agenda, tirata fuori all'ultimo dalla sua tasca. «Come ti senti?» chiese la figura in camice.
Un uomo sulla cinquantina, dalla struttura bassa e massiccia, con fare quasi goffo ma deciso, dai corti capelli sul grigio e un'evidente stempiatura, che rendevano il suo viso più allungato.
«Mi sento un po' intontita e ho male alla spalla, ma per il resto credo di stare bene.» rispose la bionda.
«Bene. Ottimo direi. Se hai qualche problema sei pregata di dirmelo, ti aiuterò come meglio posso». Indossò i suoi occhiali «Io sono il dottor Morie Miura e ti seguirò nel percorso che porterà alla tua guarigione. Piacere di conoscerti.» disse con tono carico di autorità.
«Il piacere è tutto mio, dottore» ma i ricordi, che riaffiorarono nella mente di Koi, la fecero rispondere con tono basso, quasi sottomesso.
I genitori parlarono, ma Koi, essendo tra le nuvole, non riuscì a sentirli.
«Che mi è successo?» chiese, interrompendo bruscamente la madre e il padre, che esitarono a rispondere alla domanda della figlia.
Il dottore, notando la titubanza, non si fece problemi a rispondere al posto loro; si schiarì la voce, in modo da poter portare l'attenzione su di lui.
«Hai subito un'operazione, ragazza.» portò le mani dietro la schiena «Sei caduta molto male durante la partita, per due volte di fila. La prima volta ti ha dato dolori risolvibili con qualche giorno di riposo, la seconda caduta, invece, ha colpito nello stesso punto, dandoti il colpo di grazia e causandoti una lussazione della clavicola. Da medico, dopo attenti esami, ho preso la decisione di operarti seduta stante, in modo da evitare ulteriori complicazioni in futuro. Dovrai portare quel tutore per un po' di tempo e sottoporti a della ginnastica apposita; in più dovrai bere e mangiare molta frutta e assumere delle vitamine che ho già prescritto ai tuoi genitori.» concluse.
Koi aspettò per educazione che finisse di parlare, prima di fare altre domande, per lei molto importanti.
«Quando potrò ritornare a giocare?» domandò.
Morie rimase in silenzio a fissare la giovane, dritta negli occhi, e prima che potesse rispondere, un'infermiera lo chiamò d'urgenza.
Si diresse verso l'uscita «Scusami Katsuhiko, ho una cosa urgente da sbrigare. Ti spiegherò più tardi, tu intanto riposati.» disse in breve, andandosene.
Il padre Isamu sorrise, sedendosi vicino a lei, mentre la madre Adele le offrì qualche spicchio di mela che aveva portato minuti prima.
Koi guardò perplessa i genitori «Quando potrò giocare?».
I due genitori si scambiarono delle occhiate veloci. «Sicura di non volere la mela?» chiese nuovamente Adele.
Stanca del continuo esitare, Koi alzò la voce, ripetendo più volte quello che aveva chiesto in precedenza.
Sua madre sobbalzò cercando le parole giuste. «Tesoro mio, vedi...», non riuscì, però, a completare la frase.
Si prese carico di rispondere alla domanda il padre, capendo che l'essere vaghi non avrebbe portato a nulla. «La tua lussazione era grave, per questo hai avuto bisogno di un intervento immediato; per fortuna i medici sono riusciti a prendere in tempo la cosa, sistemando al meglio delle loro possibilità quella maledetta lussazione.» disse.
Koi si morse il labbro «Non è questo che voglio sapere, papà. Per favore, almeno tu dimmi la verità...».
Isamu si massaggiò le tempie, sospirando. «In poche parole è molto probabile che tu non possa più giocare come prima, soprattutto agonisticamente. Se si tratta di qualche cosa di leggero, sarà possibile che tu possa farlo».
La ragazza impallidì. Non riuscendo più a parlare a causa della notizia, abbassò la testa, stringendo con forza le lenzuola.
«Koi...» disse sua madre preoccupata, mentre portava una mano a coprirsi la bocca. Si avvicinò per stringerla in un abbraccio, ma Koi la fermò.
«Com'è andata la partita che stavamo giocando con tanto impegno?».
Adele si mise le mani in volto, cercando di trattenere le lacrime e sedendosi nel mentre; invece Isamu strinse i pugni. «La tua squadra ha perso.» rispose il padre.
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