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Capitolo 3.

Non ho revisionato, potreste trovare degli errori.
Se vi piace il capitolo non dimenticate di mettere la stellina✨️.


"Ho compreso, infine, che nel mezzo dell'inverno vi era in me un'invincibile estate."
-Albert Camus

«Ogni reato richiede due elementi fondamentali: Actus Reus e Mens Rea. Esistono diversi livelli...». "Bla bla bla", ecco cosa riesce a sentire il mio cervello dopo un'ora di diritto penale.

Ieri ho curiosato sul forum dell'università, cercando quali facoltà fosse possibile scegliere ed ho trovato quella di storia dell'arte.

Ho passato un'ora a leggere l'intero programma e me ne sono innamorata. Quando ho provato a comunicare a mia madre l'intenzione di cambiare facoltà, mi ha dato della pazza e ha sminuito senza scrupoli l'intero mondo artistico.

Non conta niente che abbia vent'anni, vengo ancora trattata come una povera ragazzina incapace di prendere giuste decisioni.

Senza rendermene conto, rilascio uno sbuffo talmente rumoroso che persino il professore rivolge il suo sguardo su di me.

L'espressione di disprezzo che mi riserva mi lascia un sentore di imbarazzo che è difficile ignorare.

«Signorina Langley, non si sente all'altezza di affrontare l'argomento che stiamo trattando? Le piace rimanere nell'ignoranza perché ha la strada spianata per tutta la sua permanenza qui, o sbaglio?».

Tutti gli sguardi sono su di me e non mancano le battutine derisorie, persino il professore mi guarda come se avesse vinto una sorta di guerra invisibile.

Mi rifiuto di farmi trattare in questo modo. Se a casa devo mantenere una certa compostezza, qui posso agire come meglio credo.

Mi alzo in piedi, guardando con sfida dritto negli occhi il professore. «Sa, adoro quando le persone mi parlando pensando che sia stupida. Dall'alto della sua spiccata intelligenza, cosa glielo fa pensare? Il fatto che sono ricca o il fatto che sono bionda, perché deduco che nella sua grande mente superiore, questo stereotipo sia più che vivo, o sbaglio? In entrambi i casi, mi piacerebbe argomentare la questione e rivalutare insieme a lei il percorso di insegnamento che ha intrapreso».

Il professore mi guarda, con la bocca mezza aperta e gli occhi sbarrati, probabilmente non trovando una risposta intelligente con la quale ribattere.

«Bene, ora che ha appurato che non sono un'altezzosa ignorante e che, quello ad aver dato questa impressione è lei, posso dirle di cosa stava parlando. Actus Reus è l'azione criminale o l'omissione di un'azione dovuta mentre Mens Rea è l'intenzione o lo stato mentale dell'autore del reato», faccio una breve pausa per poi concludere. «Gli argomenti li studio, solo che non me ne può fregare di meno di frequentare questa facoltà».

E pronunciate quelle parole, ancora sotto lo sguardo esterrefatto del professore e stupito degli studenti, raccolgo le mie cose ed esco dall'aula, incurante dei continui richiami.

Una volta uscita dall'edificio, due emozioni contrastanti mi investono come un treno; da una parte sono sollevata mentre una parte ancora più grande di me è terrorizzata dalle conseguenze.

Non sapendo cosa fare e per evitare di entrare nel panico, mando un messaggio a Shari che fortunatamente aveva solo due lezioni da seguire, entrambi concluse.

Mentre inizio a camminare per raggiungere la caffetteria, nella quale mi ha dato appuntamento, mi scontro con l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere in questo campus.

«Mamma», esclamo rimanendo ferma come una statua.

Lei sobbalza leggermente al suono della mia voce, ma si riprende in fretta, trasformando l'espressione infastidita in un sorriso raggiante.

«Kayla, tesoro mio!», esclama avvicinandosi a me e abbracciandomi, come fossi una delle sue più care amiche.

Metto fine a quel momento imbarazzante e mi scosto leggermente, per poterla guardare negli occhi. «Che ci fai qui?».

In risposta ottengo una scrollata di mano, come stesse scacciando un'invisibile mosca. «Tuo padre non poteva venire a consegnare il suo solito assegno al Rettore».

Storco il naso alla parola padre e mi impongo di rimanere in silenzio, per evitare una discussione che risulterebbe inutile.

Mi soffermo piuttosto su ciò che ha detto, aggrottando poi la fronte. «Non l'aveva consegnato la settimana scorsa, come "buono auspicio" per l'inizio dei miei studi?».

Di nuovo, la sua mano si muove nell'aria, minimizzando ogni cosa. «Un po' di beneficenza in più non ha mai fatto male a nessuno», afferma, per poi premere un dito sulla mia fronte. «Distendila o ti verranno le rughe, non voglio ancora praticare dei ritocchi su mia figlia. La bellezza è la tua carta vincente».

Ovviamente, la bellezza, perché non ho altre qualità secondo questa donna.

Non credo alla cazzata sulla beneficenza ma non mi vengono in mente altri motivi per giustificare la sua presenza, perciò presumo sia sincera.

«D'accordo, ora vado in caffetteria, ci vediamo a casa», dico, spostando la sua mano dalla mia faccia e fingendo di non aver sentito nulla di ciò che ha detto.

Mi saluta con una carezza sulla guancia, per poi tirare fuori dalla borsa e sfoggiare i suoi costosissimi occhiali da sole.

Una volta averla vista uscire e salire in auto, cammino diretta alla caffetteria e, quando varco l'entrata, vengo tirata da un braccio e trascinata verso un tavolino poco distante dall'ingresso.

Non ho il tempo di sedermi e togliere la giacca che Shari inizia a tartassarmi di domande: «Perché sei scappata dalla lezione? Ti hanno fatto qualcosa? Hai deciso finalmente di ribellarti?».

Inizio a raccontare ogni cosa, sotto la sua espressione soddisfatta. Da esibizionista qual è, finisce per alzarsi in piedi e regalarmi degli applausi che mi costringono a coprirmi la faccia con le mani.

Poco dopo la fine del suo spettacolino, arriva al nostro tavolo la cameriera per prendere le ordinazioni.

Non so esattamente quanto tempo passiamo all'interno della caffetteria, ma sicuramente abbastanza per vedere una massa di ragazzi, alti almeno due metri, entrare e scatenare un chiassoso coro di apprezzamenti da parte delle ragazze.

Guardo Shari, dando le spalle all'ingresso della caffetteria, in cerca di una spiegazione che non tarda ad arrivare.

«Sono i ragazzi della squadra di football. Stasera ci sarà la partita e tutti vogliono mostrare il loro supporto», mi informa, sorridendo poi in direzione del bancone, dove si sono posizionati i ragazzi.

«Più che supporto sembra la riunione delle oche, ma se a loro piace, chi sono io per giudicare».

Shari mi riserva un'occhiata di rimprovero e poi sorride. «Immagina se dovessi fidanzarti con un giocatore, finiresti a fa parte del "team oche". Sarò in prima fila a ridere di te».

La mia faccia deve essersi trasformata in una smorfia di disgusto molto evidente, causando la risata sguaiata della mia amica.

«Non esiste. Neanche tra un milione di anni potrei infatuarmi di uno di quei giganti imbottiti di steroidi», affermo, continuando ad osservare il gruppo di ragazze che li circondano, espandersi sempre di più.

Ormai dovrei sapere di essere una contraddizione vivente, eppure, mi infastidisco quando il mio sguardo cade su uno dei ragazzi, posto al centro del gruppetto creatosi.

Attira la mia attenzione come una calamita attira il ferro. Non posso negare sia davvero bellissimo.

Anche lui alto almeno un metro e novanta, i capelli scuri tirati indietro e sicuramente fissati con del gel. Il fisico muscoloso ma non in maniera esagerata, come quello di altri suoi compagni, messo in risalto dalla maglietta nera che indossa; il tutto accompagnato da un tatuaggio sulla parte superiore del braccio sinistro che sembra in perfetta armonia con tutta la sua figura.

Ciò che mi colpisce di più però, è il suo viso dai lineamenti duri ma al contempo dolci. Un leggero filo di barba gli contorna la mascella ben definita.

Continuo la mia sfacciata esplorazione, osservando i suoi occhi che sembrano variare da sfumature verdi a sfumature marroni. Sembrano pieni di quel calore di cui ogni donna ha bisogno.

Non presta attenzione a nient'altro che non sia il suo compagno di squadra, con il quale ride, sfoggiando un sorriso bellissimo, che appare talmente luminoso da contagiare chiunque lo guardi.

Sicuramente è gay. Ed ecco la vocina nel mio cervello che puntualmente mi aiuta a tirare fuori supposizioni che la maggior parte delle volte si rivelano errate.

Decido che è arrivato il momento di spostare lo sguardo da quel ragazzo, ma quando lo poso su uno dei ragazzi accanto a lui, noto che si tratta di Zane, il ragazzo presente al corso di arte qualche giorno fa.

Non mi ero soffermata molto a studiarlo, ma ora che ne ho la possibilità, passo in rassegna ogni dettaglio del suo corpo.

Anche lui muscoloso e con vari tatuaggi sparsi sulle braccia, però la sua bellezza è molto differente da quella del suo amico.

Appare più rude, con tratti più marcati. L'accenno di dolcezza nei suoi occhi e nel suo sorriso è lieve e quello che traspare maggiormente è seduzione. Deduco sia questo che attiri molte ragazze, l'aria da cattivo ragazzo.

Peccato che non ho mai creduto alla storia del bad boy, la maggior parte di loro nasconde molte più ferite di quelle che vogliono ammettere ed è questo a portarli ad indossare quei panni da duri.

«Ciao, piccola artista. Mi hai osservato per bene?».

Scuoto la testa e sgrano gli occhi, quando mi accorgo di avere Zane, con il suo profumo pungente di legno e menta e la camicia nera che rivela parte dei pettorali, a pochi centimetri di distanza.

Dovevo essere davvero immersa nei miei pensieri, per non accorgermi che si stava avvicinando.

«Ciao», rispondo quasi in un sussurro.

«Non sapevo fossi amica di Wilson, questo ti fa guadagnare molti punti», mi riserva un sorriso sincero.

Shari mi osserva con aria interrogativa e mi sembra di notare anche una punta di fastidio, ma sicuramente mi sbaglio.

«Vi conoscete?», chiede poi, passando lo sguardo su Zane.

Lui annuisce e si china sulla sua sedia, arrivandole con le labbra vicino alla guancia. «Non essere gelosa, sei sempre nel mio cuore Wilson», dice con un sorrisetto, per poi schioccarle un sonoro bacio sulla guancia.

Lei si scosta e finge una smorfia disgustata, ma non riesce a nascondere il sorriso che le compare sulle labbra.

Mi schiarisco la voce. «Come vi siete conosciuti voi?».

«L'anno scorso ci ha provato con me e quando l'ho rifiutato mi ha fatto un monologo su quanto fossi strana perché le matricole non avevano mai rifiutato una notte con lui», risponde, lasciandomi a bocca aperta.

«Beh, abbiamo Narciso in persona qui», quelle parole mi scappano di bocca prima che possa fermarle.

Zane scoppia a ridere. «Non sono così pessimo come mi dipinge Wilson, che segretamente è ossessionata da me», dice rivolgendole un occhiolino.

«Ti piacerebbe, Astor», risponde Shari, tirandogli un leggero schiaffo sull'addome.

«Molto. A dire la verità, mi piacerebbe avervi entrambe ossessionate da me, ma i sogni non sempre si realizzano», parla come se fosse del tutto naturale dire queste cose.

Da una parte lo ammiro per la sincerità con cui si esprime, dall'altra parte continuo a pensare impersonifichi Narciso in maniera impeccabile.

«Sai stavo pensando di concederti il privilegio di avere il mio numero, ma ho cambiato totalmente idea, casanova».

Questa volta si avvicina a me, arrivandomi ad un palmo dal naso e costringendomi ad indietreggiare leggermente con la sedia.

«Facciamo così: se stasera vinciamo la partita, dovrai darmi il tuo numero», afferma con un ghigno stampato in volto.

Ho sempre amato le sfide e soprattutto concedere all'avversario di avere un potere che in realtà gli verrà tolto con del buon gioco sporco.

Mi sporgo nella sua direzione, avvicinandomi nuovamente al suo viso. «E se perdete? Cosa ottengo?».

«Quello che vuoi, piccola artista. Prometto di non importunarti più», dice, guardando per un fugace istante le mie labbra.

«Affare fatto», rispondo, tornando con la schiena poggiata allo schienale della sedia.

Pochi secondi dopo viene richiamato dai suoi compagni di squadra. Si china su Shari per baciarle ancora la guancia e poi si avvicina a me, limitandosi ad una pacca sulla spalla, come fossi un amico di vecchia data. Questo ragazzo è veramente strano.

«Davvero gli darai il tuo numero?», chiede una volta rimaste nuovamente sole.

«No. Ho accettato solo per godermi la scena di lui che smetterà di credersi irresistibile per qualche minuto», rispondo finendo di bere il mio cappuccino.

Shari rimane in silenzio, cosa strana da parte sua, perché a quest'ora avrebbe preso abbondantemente in giro quel ragazzo, ma da quel che capisco, ci tiene davvero a lui e la cosa mi insospettisce un po'.

Dopo un'altra ora, usciamo finalmente dalla caffetteria, salutandoci e dandoci appuntamento sotto casa mia per andare insieme alla partita di questa sera.

Sarà la prima volta che assisterò ad un incontro di football, ma Shari mi ha spiegato, a modo suo, che i giocatori rincorrono la palla come dei cagnolini e si vanno addosso l'un l'altro come dei veri cavernicoli.

Nel tragitto verso casa, rigorosamente scortata dall'autista di fiducia, penso ad un modo per evitare in tutti i modi Luke.

Quell'uomo mi ha sempre fatto paura, sin da quando ero una bambina e con dispiacere ho scoperto molto presto che il mio istinto non sbagliava.

È strano come riesca ad essere forte e impavida di fronte a chiunque, mentre davanti a lui e mia madre mi trasformi in una donna senza un briciolo di spina dorsale.

«Signorina siamo arrivati», mi informa l'autista, riportandomi alla realtà.

Lo ringrazio e scendo dall'auto, controllando se nel vialetto è presente l'auto di Luke, e ovviamente, eccola esposta, come fosse un trofeo da sfoggiare.

Entro in casa, salendo le scale correndo e rischiando di inciampare più volte.

Una volta chiusa a chiave la porta della mia camera, mi lascio cadere sul letto, controllando poco dopo l'orario e costatando di avere un paio d'ore per prepararmi.

Dopo più di un'ora passata a guardare video di combattimenti di karatè, mi alzo controvoglia per camminare fino alla cabina armadio e prendo a osservare i vestiti che possiedo. Cosa si indossa per assistere ad una partita di football?

Passo una buona mezz'ora a cercare dei vestiti adatti ma, alla fine, opto per una gonna nera e una camicetta bianca, sopra la quale indosso una giacca di pelle nera.

Prima che possa varcare la soglia del bagno per ripassare il trucco, María, la domestica, entra nella mia stanza.

La blocco prima ancora che possa parlare. «Vuole vedermi nel suo ufficio, vero?».

María annuisce per poi avvicinarsi a me e abbracciarmi. Per me non è una semplice domestica, ma una sostituta di mia madre, sin da quando piccola.

Mi ha cresciuta insegandomi i giusti valori e rendendomi forte sotto tanti aspetti, facendomi capire cosa avesse davvero valore e cosa fosse superficiale.

«So che è difficile, mi amor, ma non devi farti mettere i piedi in testa da quel cabrón», dice, facendomi ridacchiare.

Le sorrido e non servono altre parole. Lei è l'unica a sapere tutta la verità e so che vorrebbe fare qualcosa, ma non può rischiare il posto e non la biasimo affatto.

Esce dalla mia stanza, dopo avermi ricordato quanto sia bella sia dentro che fuori e quanto sia fiera della persona che sto diventando.

Pochi minuti dopo sono seduta su una delle sedie antistante la scrivania di Luke, attendendo che si decida a parlare.

«Mi hanno informato che sei scappata dalla lezione, dopo aver insultato il professore», inizia a dire, battendo ripetutamente la penna su un plico di documenti.

Mi scappa una risata che di allegro non ha proprio nulla. «In realtà, se lui non mi avesse presa di mira, sarei rimasta zitta al mio posto».

Luke mi guarda dritto negli occhi e nei suoi occhi vedo un lampo di rabbia che mi fa alzare di scatto dalla sedia.

«Non importa. Non puoi mettermi in ridicolo in questo modo. Sei fortunata che abbia sistemato le cose», pronuncia queste parole, alzandosi anche lui e rimanendo dietro la scrivania.

«Bene. Se hai finito, vado alla partita con Shari», mi giro, pronta ad andarmene il più in fretta possibile, ma lui mi blocca da un braccio.

«Sei forse impazzita? Non andrai a nessuna partita, gente come noi non può farsi vedere ad un'insulsa partita».

Mi scrollo di dosso la sua mano e lo fisso confusa. «Ti rendi conto che finanzi un'università che gira attorno al football? Non pensi farebbe comodo alla tua immagine farti vedere?».

Non risponde, probabilmente rendendosi conto di quanto piccolo sia il suo cervello da imprenditore fallito.

Presa da un moto di coraggio, forse dovuto anche alle parole di María, mi permetto di parlare ancora: «Mi dispiace doverti deludere ma andrò alla partita e ti dirò di più, non frequenterò più giurisprudenza».

Mi prende per le spalle, stringendo la presa. «Forse non ti è chiaro ragazzina del cazzo. Sono tuo padre e farai esattamente tutto quello che dico io».

So già come andrà a finire questa discussione, non ho niente da perdere quando pronuncio: «Di nuovo, mi spiace distruggere la tua realtà perfetta, ma non sei mio padre».

Un secondo dopo, il mio viso si sposta di lato e avverto un forte bruciore alla guancia.

Porto la mano su essa, trattenendo una lacrima che minaccia di uscire. Tutto il coraggio sembra essere svanito e non oso sollevare lo sguardo.

«Non costringermi a punirti. Vai in camera tua», dice girandosi, e tornando a sedersi sulla poltrona, come non fosse successo nulla.

Spalanco la porta ed esco di corsa, andando a sbattere contro María, che stava sicuramente origliando la conversazione.

Non appena vede la mia faccia, capisce tutto ed una lacrima solitaria riga le mie guance.

«Guarda cosa ti ha fatto», accarezza la guancia che ho la conferma essere arrossata. «Ora basta. Ci penso io niña».

«No», la blocco prima che possa sorpassarmi. «Lascia perdere non è niente, sto bene», forzo un sorriso per non farla preoccupare ulteriormente.

La sua espressione si fa ancora più seria mentre mi guarda fisso negli occhi. «Ti voglio bene Kayla e sono fiera di te. Aspetto da anni il momento in cui capirai che questa situazione non va più bene e deciderai di prendere i giusti provvedimenti, ma inizio a pensare che non avrai mai il coraggio di andare contro questa famiglia».

Si volta, senza darmi il tempo di ribattere, ma prima di sparire completamente oltre la soglia del soggiorno, si gira. «Sei una donna forte, ma quella che usi non può definirsi forza se è utile solo quando devi farti rispettare dai tuoi coetanei o dai professori, tante volte è solo il tuo scudo fatto di arroganza. Sarai veramente forte quando riuscirai ad andare contro chi è più potente di te senza avere paura delle conseguenze, perché ciò che otterrai varrà ogni singola goccia di sofferenza che proverai».

Rimango ferma a rimuginare su quelle parole. Ha ragione e sono consapevole che, per il mio bene, questa situazione debba cambiare, eppure, non riesco mai a fare ciò che dice la mia mente.

Appena varco l'ingresso della mia camera, il cellulare prende a vibrare, ricordandomi che Shari mi sta aspettando.

E come per magia, quello scudo di cui parla María, si innalza, concedendomi quell'effimero potere di fare ciò che mi è stato proibito.

Corro in bagno e mi blocco appena noto il rossore marcato, presente sulla mia guancia.

Frugo nella borsa dei trucchi e passo un generoso strato di fondotinta sul viso, coprendo quasi del tutto il rossore. Aggiungo con dei pennelli delle strisce bianche e verdi, i colori dell'Università.

Sfoggio un sorriso smagliante, che cancella ogni traccia del disagio provato finora ed esco dalla stanza, scendendo le scale e facendo attenzione a non fare rumore. L'ultima cosa che voglio è essere scoperta mentre improvviso una fuga.

Per mia grande fortuna il cancello è già aperto e la macchina di Shari è parcheggiata poco più avanti.

Salgo in fretta e, senza neanche salutarla, le intimo di partire.

Venti minuti dopo ci ritroviamo nel parcheggio universitario, già colmo di macchine. Per colpa del mio ritardo, abbiamo perso quasi tutta la partita, ma almeno riusciremo a goderci la fine.

Entriamo di corsa nel campus, dirigendoci verso il retro delle tribune e, fortunatamente, riusciamo a trovare due posti liberi nelle file più vicine al campo, guadagnandoci un'ottima visuale.

La partita è in pausa e i giocatori si stanno preparando per tornare in campo.

«Hai attirato l'attenzione del coach. Ti sta fissando spudoratamente». Shari ammicca tirandomi una leggera gomitata sulla spalla.

Poso lo sguardo nella direzione in cui è concentrato il suo e noto un uomo alto, con un fisico decisamente apprezzabile e una tuta verde, che mi osserva con molto interesse.

Torno a guardare la mia amica. «Un tantino grande per noi, non credi?».

Alza le spalle per farmi comprendere che non le importa. «E quindi? Avrà massimo trentacinque anni, è ancora un bel bocconcino».

Scuoto la testa e mi sfugge una piccola risata. «A volte mi chiedo come possiamo essere amiche».

«Andiamo. Non te la faresti con uno più grande?», chiede passando la mano attorno al mio braccio.

«Non con il coach della squadra e di certo non se ho davanti una visione celestiale», indico il ragazzo al fianco del coach, che intuisco essere il capitano, grazie alla bandana verde che porta all'avambraccio.

«Oh, quello è Javier, decisamente una divinità ma io rimango del parere che il vino invecchiato e mantenuto bene sia sempre il migliore da gustare», risponde continuando a guardare il coach.

Alzo gli occhi al cielo e in quel momento, il fischio dell'arbitro richiama i giocatori in campo. «Peccato che non stiamo parlando di vino. Ora zitta».

Shari ridacchia, ma rimane in silenzio e insieme ci concentriamo sulle ultime azioni della partita.

Il campo, avvolto dal buio della sera e dalle luci fredde e abbaglianti, sembra una distesa di battaglia.

Il fischio dell'arbitro risuona nell'aria, seguito dalle urla provenienti da ogni angolo delle tribune, che esplodono in un tifo frenetico visto il nostro vantaggio.

Corro verso le panche per prendere da bere e ricaricare le energie.

Mentre respiro profondamente, il coach si affianca a me e inizia a parlare, mentre tiene lo sguardo fisso sulle tribune.

«Ottimo lavoro DeSantis. Avete la vittoria in pugno, ma non dimenticate che è la prima partita della stagione, mi aspetto che portiate avanti gli allenamenti extra».

«Non si preoccupi, coach. Non ci metteremo comodi solo per una vittoria», rispondo, cercando, con scarsi risultati, di capire cosa attiri la sua attenzione.

Ora sposta lo sguardo su di me, osservandomi attentamente. «Dopo la partita ti aspetto nel mio ufficio».

In un primo momento mi assale il panico, pensando al peggio, ma mi rilasso subito, consapevole che vorrà farmi il solito discorsetto su quanto sia importante il mio ruolo di capitano e magari, vorrà dirmi che sono stato notato da qualche Scout.

È importante che qualche reclutatore si interessi a noi già dall'inizio della stagione e se così non succede, significa che non ci stiamo impegnando abbastanza.

Mi limito ad annuire e in quel momento, il fischio dell'arbitro riecheggia nell'aria, richiamando tutti noi per giocare l'ultimo quarto di questa partita.

Torno in campo, posizionandomi dietro la linea offensiva: davanti a me David, il center incaricato di passarmi la palla e accanto a lui tutti i giocatori che devono impedire alla difesa di placcarmi o raggiungermi.

L'arbitro fischia e in quel momento urlo: «Set Hut!».

David lancia la palla attraverso le sue gambe, facendola arrivare dritta nelle mie mani.

A quel punto il rumore della folla sembra un fruscio lontano, e sento solo le protezioni e i caschi della linea offensiva e della difesa che si scontrano, mentre mi concentro sul prossimo passaggio.

Faccio un passo indietro, i miei compagni già pronti a bloccare gli avversari.

I miei occhi sono fissi sui ricevitori mentre sento il battito del mio cuore correre all'impazzata.

Zane, che fa parte dei ricevitori, corre lungo la linea laterale del campo, cercando di liberarsi da due difensori che gli stanno addosso.

Un difensore si fa largo tra i miei giocatori di linea, avvicinandosi a me rapidamente.

Il mio sguardo vaga velocemente sui ricevitori e trovo Zane pronto a ricevere il passaggio, mentre il difensore che stava arrivando nella mia direzione viene bloccato.

Noto con piacere che ha superato già i 10 yard che servono per far rimanere la palla in nostro possesso, anche se dovesse essere placcato.

Alzo il braccio e lo distendo all'indietro, lanciando poi la palla nella direzione di Zane.

Tutti i tifosi rimangono in silenzio, con il fiato sospeso.

La palla volteggia nell'aria, mentre anche il mio cuore sembra essersi fermato.

Pochi secondi dopo, Zane afferra la palla, concedendo a tutti un sospiro di sollievo.

I miei occhi sono fissi su di lui, che avanza, facendosi spazio tra i difensori con la palla stretta tra le braccia.

Il coach Thompson urla, intimandogli di correre più veloce che può.

I tifosi sono tutti in piedi, urlando mentre lui continua a correre verso l'end zone.

Poco prima che raggiunga la meta, rischia di subire un placcaggio ma è troppo tardi, ormai ce l'ha fatta. Si lancia oltre la linea e segna un touchdown.

A quel punto subentra lo special team, mentre noi altri usciamo dal campo. Il kicker si posiziona dietro la palla, pronto a calciarla per tentare di fare un punto extra.

La palla deve passare in mezzo ai pali della porta e sopra la sbarra trasversale.

Quando l'arbitro fischia, la palla viene calciata e passa perfettamente al centro della porta, regalandoci così un altro punto di vantaggio.

Lo special team di entrambe le squadre, rimane in campo e quello della nostra deve effettuare un kickoff, ovvero il calcio d'inizio.

Questa azione consente al kicker di calciare la palla verso la squadra avversaria, con l'obbiettivo di far arrivare la palla il più lontano possibile, mettendo gli avversari in una posizione di svantaggio.

Appena effettua il calcio d'inizio, la palla raggiunge più della metà del campo opposto e viene presa da un giocatore che inizia a correre, ma un membro della nostra squadra lo placca e in quel momento l'arbitro fischia, facendo uscire lo special team.

In campo, per la squadra avversaria entra l'attacco mentre, questa volta, per la nostra entra la difesa.

Riprende la partita, così mi posiziono di fianco al coach per osservare ogni singolo passaggio.

Tra avanzamenti e placcaggi, arrivano gli ultimi secondi della partita, l'arbitro fischia la fine e, dato che la squadra avversaria non è riuscita a fare touchdown e pareggiare i punti, la vittoria è ufficialmente nostra.

Mi abbasso sulle ginocchia un secondo per riprendere fiato, il corpo che finalmente si rilassa.

Poco dopo sento una pacca sulla schiena, così mi giro e vedo Kristian, un altro ricevitore, che mi sorride vittorioso.

Mi rialzo in piedi, correndo verso i nostri compagni, il campo si riempie di sorrisi e mani alzate, mentre il nome della nostra squadra risuona per tutte le tribune.

Il coach si unisce ai festeggiamenti, congratulandosi con tutti noi.

Abbiamo aperto la stagione con una vittoria e non potrei esserne più fiero.

Quando incrocio lo sguardo dei coach, capisco essere arrivato il momento più serio.

Mi allontano dai miei compagni, ancora intenti a festeggiare e insieme al coach, ci dirigiamo verso il suo ufficio.


SPAZIO AUTRICE:

Ci ho messo un po' ma anche il terzo capitolo è arrivato.

Spero vi sia piaciuto🫶🏻

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Ci vediamo al prossimo capitolo❤️

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