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Capitolo 15

[All of me ]

Forse Jimin, fra tutti i presenti, era stato l'unico a capirlo, l'unico a sentirlo, l'unico a cui quel messaggio mesto e tagliente era stato rivolto.

Quando lei voleva nascondere qualcosa era brava, almeno se riguardava come si sentiva, ma quando veniva guardata negli occhi e lasciava che questi, per una volta, fossero lo specchio della sua anima, si poteva scorgere tutto quello che teneva segregato nel suo cuore.

Il ragazzo fu probabilmente l'unico a rendersi conto che lei gli aveva parlato con il cuore in mano, che, in particolare, quella sua ultima frase significava che lo capiva, che conosceva il suo tormento ma che lei, a differenza sua, aveva già toccato il fondo e lo stava pregando di non farlo a sua volta, che non era affatto piacevole o migliore.

Però venne notato qualcosa dalle quattro amiche, notarono come i loro sguardi si fossero incatenati fra loro senza preavviso, come non riuscissero a staccarsi l'uno dall'altro e di come quella conversazione era stata chiusa al pubblico con quell'unico avvenimento.

Quei due erano davvero strani, si guardavano e parlavano con ciò che si specchiava nelle loro iridi eppure non era normale, non sarebbe dovuto essere così facile, non si conoscevano da abbastanza tempo e questo li metteva a disagio, entrambi.

Si rifiutavano di credere che qualcuno fosse giunto tanto vicino ai loro rispettivi cuori con una discreta velocità, questo per persone come loro era un problema, era davvero pericoloso, eppure non riuscivano a smetterla.

Forse erano simili in quello che sentivano dentro, forse era che era stato destino, sta di fatto che per quanto ci avessero provato non erano riusciti a separare i loro sguardi un po' lucidi come fossero stati due calamite di carica opposta.

Non avevano neppure notato che le ragazze avevano, in punta di piedi, lasciato il piano inferiore per lasciare a quei due il loro spazio, sembravano due animali che si studiano a vicenda per capire se possono fidarsi di chi hanno davanti senza riuscire a capirlo.

Che poi, dire che se ne erano andate senza fare rumore sarebbe stata una bugia, Jenny infatti era quasi rotolata giù dalle scale almeno un paio di volte e Valentina, cercando di spiare i due dalla rampa di scale si era scontrata violentemente contro la porta, si, insomma, discrete.

Jin lo capiva, capiva che quello di cui avrebbero parlato era qualcosa che lei odiava raccontare, sapeva, grazie alla muta conversazione avvenuta fra i loro sguardi che c'era qualcosa che non le piaceva ricordare, che non voleva che le altre sentissero.

Così si alzò, interruppe quindi quello snervante contatto visivo e con voce un po' rauca chiese alla ragazza se le sarebbe andato di uscire, un tranquillo giro per le strade, anzi, no, l'avrebbe portata in un altro luogo.

Lei si mise velocemente le scarpe all'entrata, seguita dal ragazzo che le prese gentilmente il polso invitandola a seguirlo, camminarono per molto tempo immersi dal silenzio finché giunsero in una grossa distesa verdeggiante.

La natura predominava fieramente in quel parco, era così bello che le brillarono gli occhi, gli alberi pieni di foglie e pieni di boccioli colorati avevano catturato l'attenzione di quello sguardo curioso, eppure quello stesso sguardo era oggetto di attenzione da parte di Jimin.

Si sedettero in una panchina tinta di un rosso vivace, se fino a quel momento non c'era stata neppure mezza parola ma una tensione non indifferente, in quel momento le labbra della ragazza, un po' tremante, finalmente si mossero per raccontare ciò che la turbava.

Piegò indietro il collo sospirando, fissò lo sguardo sul cielo limpido di quella mattina ponendo un sorriso triste e sconsolato sul volto, sembrava quasi che fosse stata una maschera per ciò che sarebbe presto arrivato.

«Sai quando ho detto che sono stata in situazioni peggiori delle tue, beh, sto per raccontartele, non chiedermi perché, solo lo farò, se vuoi ascoltare fallo » si mentre inspirava facendo una premessa al discorso che sarebbe seguito, il silenzio del ragazzo le fece capire il suo intento.

Lasciò che le palpebre celassero parzialmente i suoi occhi lucidi mentre i brutti ricordi che aveva sempre segregato in una piccola stanza nascosta nel suo cuore riaffioravano vividi e dolorosi come la prima volta che aveva vissuto quelle esperienze.

«C'è stato un periodo, tempo fa, in cui ero davvero depressa, intendo clinicamente depressa, questo era colpa di bullismo, banale, no? » chiese retoricamente con una piccola e amara risata « Sai, ogni giorno quelle parole mi venivano ripetute, mi dicevano che ero brutta, grassa, stupida, inutile e che sarebbe stato meglio se fossi morta, faceva male, tanto che piangevo sempre... »

Strinse i denti per non far tremare le sue labbra, il dolore lo sentiva ancora, vivido come se non l'avesse mai lasciata.

«Alla fine io fui sommersa da quelle parole, probabilmente non pensavano neppure che la cosa mi ferisse sul serio, lo facevano perché si annoiavano, credevano che fosse divertente ma non lo era, oh, non per me. » disse inumidendosi le labbra riportando il volto in posizione eretta senza però aprire totalmente gli occhi, velati di malinconia.

Michela non osava muoversi, il respiro le si era fatto regolare segno che aveva iniziato a perdere quella compostezza che sembrava sempre aver mostrato, stava bacillando e titubbando.

«Così iniziai a chiudermi in camera mia, non parlavo, non mangiavo, era così terribile quando mi guardavo allo specchio, vedevo un mostro non una ragazza come tante altre, vedevo uno sbaglio non me e così iniziai a precipitare, sempre più a fondo » si passò una mano fra la chioma emettendo un debole singhiozzo che non venne udito.

«Io non sentivo più nulla, mi ero abituata a tutto quel dolore ed ero rimasta con il vuoto dentro e un freddo terribile, i miei giorno trascorrevano piatti, sempre la stessa routine priva di cambiamenti o di amicizie, ero solo io che non riuscivo a sentire più nulla, neppure quando mi picchiavano ma non era così... » presto il tremore sulle sue labbra si fece ancora più visibile, il rosso avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa ma lei lo interruppe ancora prima che ci provasse.

«Un giorno ero sola a casa, ero in bagno, stavo ferma davanti allo specchio come un fantasma che guarda il suo riflesso, mi sentivo morta dentro, una persona senza futuro che era stata concepita come errore, nonostante i miei genitori mi ripetevano sempre che mi volevano bene io non riuscivo a sentire le loro voci, erano così ovattate alle mie orecchie... » disse in un sussurro guardando un punto indefinito davanti a se mentre una singola lacrima le rigò il volto pallido.

«Io non ero sola, eppure mi sentivo come se lo fossi, nessuno poteva capirmi, dopotutto non lo faccio nemmeno io ora, ma non è questo il punto... » spostò lo sguardo sul ragazzo al suo fianco cercando di capire cosa stesse pensando ma non ci riuscì, era troppo presa da se stessa.

«Era come camminare in una perenne notte invernale nella quale la neve non cessa un singolo istante di cadere, per me era così, buio e freddo, solo questo, mi sentivo come un cadavere che camminava e mentre ero sola, in bagno mi venne una strana idea... » Jimin aveva ormai capito dove lei voleva andare a pagare ma non riusciva a dire nulla.

«Presi un coltello dalla cucina mentre mi domandavo se ero davvero viva o se tutti mi odiavano perché ero una finta e sapevo che sarei morta ma la cosa non mi dispiaceva, mi sembrava così calma la quiete eterna e il cessare della mia misera vita che non ebbi problemi a far scivolare la lama affilata sui miei esili polsi... » Michela si tolse la piccola goccia da sotto l'occhio e si alzò in piedi.

Non riusciva a rimanere ferma, sentiva che presto il suo corpo avrebbe iniziato a tremare e se non avesse fatto qualcosa per nasconderlo sarebbe risultata ridicola agli occhi del ragazzo, aveva paura che una volta scoperto il suo passato si sarebbe comportato come tutto gli altri, ne aveva tanta paura.

«Ma mi sono svegliata, nonostante ricordassi di aver visto il mio stesso sangue tingere il puro bianco del lavano ero viva in un letto di ospedale, mi guardai i polsi non capendo, erano fascisti stretti ed ero legata da delle cinghie al petto che non non avrebbero permesso di provarci nuovamente quando mi fossi svegliata, ma non ero sola, c'era accanto a me mia madre che piangeva, solo allora mi resi conto che ero stata una sciocca» lei faceva avanti e indietro mentre raccontava ma lui capì che non stava bene, che le faceva ancora male.

«Non finire a quel punto, non fare del male alle persone che ti amano, non arrivare dove sono arrivata io... » sembrò quasi implorarlo quando finalmente lo guardò, i suoi occhi scuri erano tremante come quelli di una bambina spaventata e lei aveva paura, aveva paura perché stava aprendo il suo cuore.

«Perché me lo hai raccontato, deve essere stata dura, mi sbaglio forse? » chiese Jimin, non sapeva cosa pensare o cosa avrebbe dovuto dire, aveva quasi sentito il suo stesso dolore tramite la sua voce che piano si spezzava mentre raccontava, sentiva come se questo voce lo avesse ferito come pezzi di vetro.

«Non lo so, non so perché io lo abbia fatto, non mi capisco neppure io, sono un tale macello » disse portandosi le mani alla nuca tirando di poco i capelli, non voleva essere ferita, non di nuovo, ma si stava mettendo nella posizione nella quale sarebbe stata normale l'eventualità di aggiungere una nuova cicatrice a quel suo cuore già a pezzi.

Ma accadde qualcosa che certamente non si sarebbe mai aspettata, non avrebbe mai creduto, che dopo quella domanda da parte sua lui l'avrebbe circondata fra le sue braccia regalandole un piacevole tepore, qualcosa che non aveva mai sentito prima di quel momento.

Era una sensazione davvero bella, era come se finalmente, dopo troppo tempo, si sentisse finalmente a suo agio, come se, finalmente, un po' di pace avesse raggiunto il suo cuore, come se questo avesse potuto finalmente sperare di guarire da tutto.

Jimin, dal canto suo, non si aspettava che la ragazza si sarebbe lasciata stringere a quel modo, ma ne era felice perché lui lo sapeva, sapeva che cos'era quello che sentiva, cosa significava il desiderio di proteggere quella ragazza da tutto e quella spaventosa rabbia che provava verso ignoti, verso coloro che l'avevano ferita.

Sapeva cosa significava il batticuore, quella scarsa di brividi che gli percorreva la schiena, sapeva cosa significava quel forte desiderio di baciarla che sentiva, desiderio che faticosamente riuscì a reprimere.

Nonostante lui non fosse molto alto lo era di poco della ragazza, il fatto che riuscì a poggiare il mento sul capo lo fece sorridere, non sapeva perché ma il fatto che per una volta si sentisse alto lo faceva ridere e in più, il fatto che stringesse fra le braccia la bionda non aiutava a far sparire il sorriso dalle sue labbra.

Era così a suo agio con lei, sentiva che fra loro poteva esserci un'intensa che non avrebbero mai avuto con altri, si sentiva in pace come non lo era mai stato e la prospettiva di passare altre due settimane con la ragazza non gli dispiaceva, anzi.

Con un sorriso gentile le asciugò quelle lacrime che solo lui poteva vedere, quelle che lei aveva già consumato e che non poteva più lasciar uscire e la condusse a casa, ma prima posò la sua fronte a contatto con quella di lei giurandole che non lo avrebbe fatto mai più.

Lei mostrò un debole sorriso sincero, nonostante tutto, nonostante quanto difficile poteva essere stato era stato sufficiente quel caldo abbraccio a far svanire tutto il suo dolore, era bastato a cancellare il freddo che sentiva dentro, meno di prima, meno di allora ma che non l'aveva mai abbandonata.

Quando tornarono a casa si trovarono davanti le quattro con le braccia incrociate, sembravano urlare dai loro occhi che volevano dettagli e spiegazioni ma i due mostrarono semplicemente delle buste contenenti degli alimenti e la valigia di del rosso.

Erano riusciti a camuffare ciò che era accaduto al parco, anche se non con molto successo perché, quella mattina successe qualcosa di strano, nell'ora di pranzo fu lei a cucinare  e lo fece fischiettando un motivetto allegro e non una delle suo solite amate canzoni degli Skillet come "monster" o "back from the dead"

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