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7. Conseguenza

Nella foto: Lucille Monreau

 Effetto diretto o indiretto, spesso negativo, di una situazione, vista come causa sicura o possibile.



Era un lunedì piovoso e freddo di fine settembre, ma Yves, nonostante le disastrose condizioni climatiche, si sentiva particolarmente soddisfatto. Il pensiero di quello che sarebbe successo da lì a poche ore gli aveva anche permesso di sopportare la vista del cugino a colazione e adesso a scuola. Andrea era lì infatti, nel bel mezzo del corridoio, a parlare con un gruppetto di ragazzi. Bastava sentire la sua risata bassa e strascicata per irritare il cugino, senza poi contare quell'accento italiano che rendeva il suo francese disarmonico e rozzo. E pensare che a qualcuno piaceva, rifletté Yves, a cui capitò di osservare una mezza dozzina di studentesse del secondo, intente a fissare il nuovo arrivato con occhi sognanti.

"Ha fatto colpo, vedo. Deve essere il fascino latino ... però guarda il lato positivo: sembra che abbiano smesso di venirti dietro, quanto meno." gli fece notare Gaspard con una punta di sarcasmo nella voce. Poi si era posizionato accanto all'amico ed entrambi avevano iniziato a studiare la situazione con più meticolosità.

"Beh, hanno deciso di puntare qualcuno più alla loro portata, così si sono date ai casi umani, non posso dire di esserne dispiaciuto comunque. E poi sbaglio o questo posto sta perdendo il suo pregio? Guarda quell'altro lì, tra piercing, zaino rattoppato e strumento musicale dietro mi sembra di essere finito a Pigalle. Ma abbiamo fatto uno scambio culturale con un paese che ospita rifugiati di guerra, per caso? Perché non riesco a spiegarmi la presenza di uno come quello altrimenti."

Yves non si era preoccupato affatto di parlare a voce più bassa, infatti il suo commento era giunto anche al diretto interessato che si era gelato sul posto. Manech si era voltato in fretta verso la direzione di quella voce, la risata che aveva avuto sulle labbra aveva lasciato il posto ad una linea seria. Ritrovò di nuovo il moro dall'aria arrogante e annoiata che lo aveva offeso il primo giorno di scuola, facendo dei commenti sul suo piercing. Quella volta qualcosa scattò nel ragazzo, perché si diresse a passi svelti verso il duo vicino alla finestra.

"Scusa? Parlavi di me? Potresti ripetere?" chiese a denti stretti.

Yves rise piano "Perché dovrei ripetere? Se sei qui significa che hai sentito perfettamente."

" Mi chiedo quale sia il tuo problema. Che cosa ti spinga ad essere un pezzo di merda con uno che neanche conosci."

"Non prenderla sul personale, è la sua natura." commentò Gaspard, facendo ridere Yves, ma Manech lanciò un'occhiata spaventosa anche al biondo e continuò, "frequento questa scuola, che vi piaccia o meno, e ho lavorato sodo per entrare qui, a differenza di voi figli di papà, quindi mi dispiace comunicarvelo, ma in qualche modo sarete costretti a sopportare la mia vista."

"Già, quindi bisogna che impari a farti andare bene i miei commenti da ora in poi." Yves lo fissò con aria di sfida.

"Sai, è più probabile che a breve ti troverai a far visita al direttore. Il bullismo è una tematica seria ormai, potrebbe rovinarti la carriera e sono certa che il tuo paparino non ne sarebbe felice."

"Mi stai minacciando, per caso?" lo sguardo di Yves si era fatto mortalmente serio, mentre si avvicinava all'altro e abbassava la voce, in modo tale che soltanto Manech avesse potuto sentirlo, poi sussurrò "la scuola è mia, forse non lo hai ancora capito. Ti prego, va pure a parlare con chi ti pare, nessuno farà un cazzo per quelli come te."

Poi si era fatto indietro con lentezza, sotto le occhiate curiose degli altri studenti e, specialmente, di Andrea. Anche Yves gli aveva lanciato un'occhiata seria prima di lasciare il corridoio insieme a Gaspard.

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Le lezioni erano finite e Andrea stava lasciando l'edificio con l'intenzione di farsi un giro per il centro di Parigi. Qualcuno aveva attirato la sua attenzione quel giorno, gli era bastata una settimana lì dentro per capire che bisognava tenersi buoni quei pochi che riuscivano a fronteggiare suo cugino. Manech era uno di questi. Anche il nuovo arrivato aveva terminato i suoi corsi, Andrea ne approfittò per accostarsi a lui. Quel movimento repentino era stato un po' inquietante, si rese conto l'italiano, quando vide l'altro sobbalzare per la sorpresa.

" C-che fai?" si lasciò sfuggire Manech, lievemente allarmato.

Andrea sorrise e, nella sua mente, quello doveva essere una sorta di sorriso rincuorante, anche se non era sicuro di esserci riuscito. Alla fine parlò, "sta tranquillo, sono un reietto anch'io qui dentro. Lo stronzo con cui hai avuto a che ridire è mio cugino, per la cronaca. E ti assicuro che a casa è anche peggio di così."

"Peggio di così? Si può essere peggio di così?" ribatté l'altro, sorpreso, ma anche rincuorato adesso.

"Già, stenti a crederlo, vero? Complimenti per prima, comunque. Sembra che si siano comprati l'intera scuola, lui e gli altri due. Omertà assoluta tra studenti."

Manech pensò alle parole che Yves gli aveva sussurrato quella mattina, "sì, è quello che mi ha detto poco fa, in effetti." ammise poi.

"Ah, davvero? Com'è che la cosa non mi stupisce affatto? Dai, andiamo a berci qualcosa, è da troppo tempo che non parlo con una persona vagamente normale."

Andrea percepì che anche Manech doveva provare più o meno la stessa sensazione, perché lo vide ridere. Così si incamminarono insieme e iniziarono a raccontarsi cosa li aveva portati lì, in quella scuola da snob.

" Beh, almeno tu stai seguendo il tuo sogno, io non so neanche perché cazzo sono qui" ammise Andrea, quando furono seduti al tavolino di un pub, con una bella pinta di birra scura davanti.

"Roma ... deve essere bellissima. Ho sempre sognato di visitare l'Italia."

Lo era, pensò Andrea, e la sua mente venne catturata dai ricordi. Camminare tra quelle strade era come camminare nella storia, adorava la lentezza con cui procedeva la vità lì. Pensò ai suoi amici, a quella compagnia martoriata dalla criminalità, dalle droghe, da situazioni famigliari disperate. Gli si strinse il cuore per la prima volta dopo molto tempo.

"E il caffè, Manech ... ti assicuro che lì lo sappiamo fare." disse invece, facendo ridere l'altro.

Era meglio dissimulare, fingere di non provare nostalgia per un luogo che gli aveva tolto molto, ma gli aveva anche dato tutto. E adesso era lì, pensò Andrea, a perdere tempo con quello psicopatico del cugino, a combattere una faida idiota su chi fosse in grado di pisciare più lontano.

"Sono caduto in basso, mio caro Manech. Sistemerò Yves e poi troverò il modo di farmi odiare anche da mia zia, così mi farà rimpatriare."

"Mi sembra un ottimo piano. L'importante è prefissarsi degli obiettivi a lungo termine!" scherzò l'altro, poi sollevò il suo bicchiere di birra e lo fece tintinnare con quello di Andrea, " però guardati intorno, anche Parigi ha la sua magia. Certo, al momento abbiamo incontrato soltanto dei figli di puttana e anch'io penso spesso a casa mia ... il mio ragazzo è rimasto lì in effetti."

"Cosa? Hai il ragazzo?" Andrea si finse seccato, "e io che ci volevo provare! Vedi? Questo posto non fa per me. E pensare che Parigi dovrebbe essere la città dell'amore, ora come ora sembra più la città dei coglioni. Certo, io non punto mica a trovare l'uomo della mia vita, però almeno qualcuno da portarmi a letto sì."

Manech aveva riso "Non credo che uno come te abbia dei problemi a trovare qualcuno sinceramente. A scuola stai spopolando."

La conversazione andò avanti per tutto il pomeriggio, Andrea pensò che la presenza di Manech era stata un toccasana per l'umore altalenante con cui si era svegliato. I due si ripromisero che sarebbero usciti di nuovo e anche Manech sembrò sollevato di aver trovato qualcuno con cui poter parlare sia a scuola che fuori. Poi si salutarono e le loro strade si divisero. Andrea fece un breve giro per negozi, era intenzionato a comprare una macchinetta per il caffé e di portarsela praticamente ovunque da quel giorno in poi. Sapeva che la morte doveva arrivare per tutti, ma morire avvelenato in un cafè parigino non rientrava tra le sue prerogative. Così fece il suo acquisto e si incamminò verso casa, prendendo la metro che lo avrebbe portato nei pressi di Place Vendôme.

Si trovava in una viuzza a cinque minuti da casa quando si rese conto che qualcosa non andava. Nello stesso momento in cui realizzò la presenza di due sconosciuti alle sue spalle, quelli gli erano già saltati addosso.

"Ma che cazzo ..."

Andrea non ebbe il tempo di reagire, perché i due uomini lo atterrarono con un pugno diretto allo stomaco. Il dolore era stato lancinante, Andrea si era ritrovato a boccheggiare e a piegarsi su sé stesso, mentre gli veniva assestato un secondo pugno, stavolta sul volto. Il ragazzo sentì il viso in fiamme e il gusto ferroso del sangue che gli riempiva la bocca. Era caduto a terra.

"Questo è solo un avvertimento. Possiamo fare di peggio e lo faremo se ci costringerai. Fatti i cazzi tuoi, figlio di puttana."

Il pestaggio era durato poco più di dieci secondi, i due uomini erano già spariti quando un gruppetto di passanti notò finalmente il ragazzo steso a terra. Andrea si era messo in piedi nonostante il dolore acuto, aveva rassicurato tutti e si era trascinato lontano dalla gente. Poi, con il respiro mozzo dal dolore, si era portato le dita sulla zigomo spaccato per ritrovarle sporche di sangue. Era stato conciato per le feste.

Yves si era proprio superato, pensò Andrea, lo aveva fatto pestare come conseguenza diretta della sua faccia tosta. Ma aveva commesso un grosso errore nel credere che quella soluzione sarebbe bastata per fermarlo.

Ora sono ancora più incazzato. 

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Yves aveva atteso il rientro a casa del cugino per ore. Aveva provato a impiegare il suo tempo studiando, ma era del tutto inutile. Era troppo trepidante. Con il sole che tramontava e Andrea che non si vedeva, anche Lydia aveva iniziato a preoccuparsi, com'era prevedibile.

"Non capisco dove sia finito. Non risponde al telefono ... Yves, puoi provare tu?"

Non risponde, perché non sa che diavolo di scusa inventarsi per quella sua faccia da sacco da boxe, cara Lydia.

"Non risponde neanche a me." commentò serafico Yves.

"Sei sicuro che non ti abbia accennato nulla? Forse andava a studiare da un amico?"

Il moro aveva fatto un cenno delle spalle, "no, davvero non so."

Il sole era tramontato da tempo, quando Andrea trovò il coraggio di rientrare in casa. Yves si era goduto la scena dal parapetto delle scale immense, lì dove lui poteva osservare tutti, ma difficilmente gli altri avrebbero notato lui. Come era prevedibile, Lydia era rimasta sconvolta dal volto tumefatto del nipote.

"Te l'ho detto, non guardavo dove mettevo i piedi. Sono caduto."

"Caduto? Credi che io sia idiota? Ti hanno preso a pugni! Guarda come ti hanno ridotto! Ma che diavolo è successo? Che cosa hai combinato?"

"Cos'ho combinato? Certo, deve essere per forza colpa mia. Vero, zia?"

Yves traeva un immenso piacere da tutto quello. Era bastato organizzare un pestaggio per far credere a Lydia che Andrea fosse tornato a mettersi nei guai. Tutto andava secondo i piani e nessuna giustificazione accampata da suo cugino poteva suonare anche solo vagamente credibile.

"Non vuoi dirmi cos'è successo? Ok. Ma sappi che ti sei giocato la mia fiducia e che da ora in poi le cose cambieranno. Credevo che ci avresti provato seriamente a stare lontano dai problemi stavolta. Ho dato la mia parola a tuo padre, Andrea."

"Non te l'ho chiesto io. Avete fatto tutto voi due, senza neanche interpellare me, cioè il diretto interessato."

La lite era andata avanti per molto tempo e Yves fu certo che quella sarebbe stata l'ultima giornata in cui avrebbe dovuto preoccuparsi dell'intrusione del cugino nei suoi affari.

Lucille stava fissando l'enorme entrata della scuola e il suo stomaco si torse. Nonostante avesse iniziato ormai da due settimane, il rapporto con gli altri compagni non stava affatto migliorando. Si sentiva incredibilmente distante da loro e quelli non facevano il minimo sforzo per accoglierla.

Sarai quella nuova per sempre.

Questo la fece rabbrividire, era abituata ad essere al centro dell'attenzione nella sua città natale, a far parte di diversi club studenteschi e avere un buon numero di amiche con cui uscire e divertirsi. Parigi non sembrava affatto quell'idillio che si era immaginata, non era quel posto inclusivo e alla moda dove poteva finalmente esprimere sé stessa.

C'erano classi sociali così radicate in quell'ambiente che tutti a stento la guardavano dopo che un gruppo di ragazze l'aveva presa in giro per i ciuffi viola sulle punte dei capelli, definite del tutto fuori moda.

Si sentiva una completa perdente a pranzare ogni giorno al tavolo del fratello ma non vedeva un modo di uscire da quell'incubo.

"Lu?" la chiamò Manech mentre la osservava imbambolata davanti all'entrata.

"Sì, scusa mi sono distratta" farfugliò lei.

"Sei sicura di stare bene? Devi lasciar perdere quelle stronze, stasera usciamo e ce ne andiamo in giro, sono certo che conoscerai altre persone molto più divertenti di questi snob."

Quelle parole dovevano confortarla ma ebbero solo l'effetto di farla arrabbiare ancora di più. Certe volte invidiava la sicurezza del fratello, lui stava bene anche da solo, sembrava del tutto incapace di provare il suo stesso disagio o la sua voglia di essere accettata.

"Lascia perdere, tu non puoi capire. Non sono così sfigata da dover uscire con mio fratello per trovare degli amici!" sbottò scuotendo la testa " a dopo"

Manech rimase per un momento impietrito ma non disse altro, la guardò entrare con determinazione e sperò che prima o poi stesse meglio. Quella scuola era orrenda, nonostante la nomea e l'aura elitaria di cui si circondava, sembrava sprofondata in una nube tossica di razzismo e arroganza. Una nube che soffocava tutti quanti ma che per qualche motivo restava lì, incontrastata.

Alla fine anche Manech entrò, si diresse verso la sua classe e, una volta entrato, dovette fare i conti con la brutta faccia di quel trio di stronzi. Yves se ne stava leggermente sdraiato sulla sedia, come se fosse un trono e stesse tenendo d'occhio le sue terre.

Quando lo vide entrare non si dilungò ad osservarlo ma gli dedicò un vago sorriso di scherno.

Manech non ci fece caso, nemmeno agli occhi penetranti di Gaspard che sembravano pugnalarlo ogni volta che incrociava il suo sguardo, si sedette e attese l'arrivo di Andrea.

Quando il professore entrò in aula per cominciare la lezione, il ragazzo capì che non sarebbe arrivato. Era decisamente strano, così estrasse il telefono da sotto il banco e provò a scrivergli un messaggio.

'Dove sei finito? Tutto bene?'

La risposta non tardò ad arrivare 'Niente affatto, mio caro. Yves mi ha teso un imboscata e mi ha fatto pestare. Quel figlio di puttana vuole la guerra.'

'Cosa???' Manech non potè credere a quello che aveva appena letto ma allo stesso tempo gli sembrò plausibile.

D'istinto voltò lo sguardo alle sue spalle, verso il banco di Yves, si ritrovò il suo sguardo addosso e un ghigno predatorio in volto, come se sapesse di cosa Andrea lo avesse informato e ne fosse estremamente soddisfatto. 

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I tre erano seduti al solito tavolo della mensa, Gaspard si era voltato più volte a osservare Yves che quella mattina sembrava meno cupo e spaventoso del solito.

"Che io sia dannato, se tu non sei di buon umore oggi" esordì Gaspard mentre infilzava una foglia di lattuga.

L'altro scosse le spalle "cosa vuoi che ti dica, la musica sta per cambiare e io voglio essere in prima fila a godermi questo spettacolo. Sentirete parlare ancora per poco di quella nullità di mio cugino, ve lo assicuro."

"Ti vedo seriamente motivato a fare del tuo peggio" disse Victoria vagamente divertita.

"E non ho ancora finito" mormorò Yves e questa volta spostò lo sguardo su Manech che aveva appena varcato la soglia della mensa "anche quello deve pagare. Sembra che quei due stiano iniziando ad andarsene in giro insieme ... devono essere soddisfatti per aver fatto gruppo di fronte a un nemico comune. Hai fatto le ricerche che ho chiesto, Gaspard?"

Il biondo annuì "Nulla di che, viene da una cittadina pulciosa per cui non ha condotto una vita particolarmente interessante. Suona il violino e ha ancora un ragazzo nella sua città natale"

Quell'ultima frase disgustò Yves " ma certo, un frocetto succhia cazzi. Sarà il caso di ridimensionare anche lui, ma ho in mente altro ... voglio che venga umiliato pubblicamente. Mettiamo la sua cazzo di vita a ferro e fuoco, quando capirà di essere da solo sul serio smetterà di sfidare l'autorità di questo posto. Non c'è niente di più orribile del realizzare che nessuno gli darà una mano ad uscire dal fondo che gli faremo senz'altro toccare."

Gaspard annuì, come se sapesse esattamente cosa Yves aveva in mente.

"Ha una sorella" continuò il biondo " lei sembra molto fragile"

Victoria la puntò, seduta per l'ennesima volta al tavolo del fratello, dopo un'intera giornata a subire l'emarginazione più totale.

"Non se la passa molto bene, ovviamente le ragazze non vogliono avere a che fare con lei, che vogliamo fare? Pensate che ..." mormorò la bionda.

" Assolutamente" rispose Yves sadico "invitiamo Alice nel paese delle meraviglie, ma mi raccomando, con garbo"

Victoria fece un cenno complice " me ne occuperò personalmente"

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Era da poco suonata la campanella dell'ultima ora e Victoria si era messa a osservare gli altri studenti, i suoi occhi correvano veloci fra i compagni, alla ricerca di qualcuno ben preciso.

Lucille Monreau era stata l'ultima a lasciare l'aula, il suo sguardo era basso, aveva tentato di fare un cenno di saluto alle compagne di classe, ma quelle l'avevano ignorata, voltando la testa e tornando a parlare tra loro. Alla fine la ragazza aveva sistemato lo zaino sulla sua spalla con aria sconfitta e aveva cominciato a dirigersi verso l'uscita.

Victoria cominciò a seguirla, osservando attentamente chi aveva davanti. Era una bella ragazza, con il fisico slanciato e capelli lunghi e setosi, di un castano molto intenso. La ragazza non faticava a credere che, nella sua città, Lucille non fosse mai passata inosservata, era certamente abituata ad attirare l'attenzione e quella solitudine forzata doveva essere snervante per lei.

Era certa che, a differenza del fratello a cui non sembrava importare l'essere emarginato, lei la vivesse come una condanna e, quale modo migliore per essere venerati da qualcuno se non strappandolo da una condizione di sofferenza?

La bionda osservò Lucille ferma alla base della grande scalinata, forse nell'ultimo vano tentativo di incrociare qualcuno con cui parlare prima che quella giornata finisse con l'ennesimo fiasco. Così si avvicinò, scendendo le scale e fermandosi a qualche passo da lei.

"Sei la ragazza nuova, giusto?"

Bastarono quelle semplici parole e gli occhi adoranti di Lucille si proiettarono su Victoria pieni di stupore.

"Ehm, sì ..." sembrava totalmente incapace di parlare, tanto quell'interazione era inattesa.

"Non buttarti giù, ho visto che le ragazze sono un po' schive. Ma è così per tutti all'inizio" Victoria pronunciò quelle parole con estrema dolcezza e vide gli occhi dell'altra sgranarsi, come a dubitare che una come Victoria avesse mai potuto avere dei problemi nei rapporti sociali.

"I-io, beh, mi sento un po' smarrita qui, mi piacerebbe fare amicizia con le altre ma ..." si bloccò, nonostante fosse davvero bisognosa di aiuto, Lucille non voleva sembrare disperata " evidentemente serve ancora del tempo"

Victoria sorrise "del tempo e i consigli giusti non sai quanto possano aiutare. Questa scuola può davvero cambiarti la vita, con le giuste amicizie"

"Beh, io ho tanti interessi, penso che conoscendomi le altre ragazze apprezzeranno."

"Allora potremmo fare in modo che ti stiano a sentire" disse alla fine Victoria ammiccando " penso tu sia una tipa interessante. Sono Victoria, comunque"

"Oh lo so ..." disse di getto la mora ma poi si morse la lingua, comprendendo di essere sembrata fin troppo disperata "Io sono Lucille"

"Bene, Lucille. Che ne dici di scambiarci i contatti? Così qualche volta facciamo due chiacchiere o prendiamo un caffè dopo la scuola"

"Mi piacerebbe!"

Così fu, le due ragazze si scambiarono i numeri e Lucille non poteva credere ai suoi occhi quando Victoria la salutò per unirsi ad un gruppo di studentesse che la stavano aspettando. Sentiva solo il cuore batterle forte e la prospettiva di non essere più sola non smetteva di farla sorridere.

Quando Victoria tornò dalle altre venne accolta da qualche occhiata interrogativa, alla fine soltanto Ivette ebbe il coraggio di fare la domanda a cui tutte avrebbero voluto dar voce.

"Victoria, ma perchè parlavi con la sfigata provinciale?"

Lei sorrise "Sembra interessante, potrebbe essere un elemento valido per la nostra cerchia."

"Quella lì? Sul serio?"

La bionda scosse le spalle "I diamanti grezzi sono sempre i più luminosi e lei desidera così tanto delle amiche ... voi non fate nulla per il momento. Lasciate che ci pensi io."

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"Questo sorriso a trentadue denti mi preoccupa più del solito broncio" disse Manech mentre osservava la sorella lungo il tragitto verso casa.

Quella scosse la testa, leggermente imbarazzata " Perchè? Non posso avere avuto una buona giornata per una volta?"

"E cosa l'avrebbe resa così buona? Hai smesso finalmente di preoccuparti per quelle idiote?"

Lucille alzò gli occhi al cielo " Victoria è venuta a parlarmi! Mi ha persino dato il suo numero, vuole darmi dei consigli sai, per farmi accettare dalle altre. E' stata così gentile ..."

"Victoria? La bionda che se ne va in giro con quel mostro di Yves?" Manech era scettico, forse persino preoccupato "dovresti stare attenta a quella, Lu. Chissà cosa vuole, sono tutti degli stronzi, non lasciarti ingannare dal loro bell'aspetto."

"Non so quale strano problema tu abbia con Yves ma vedi di non coinvolgere me" ci tenne a precisare la ragazza "Victoria è stata molto gentile e sopratutto è una che conta molto qui, per cui evita di offenderla."

Manech sapeva di non poter vincere una discussione come quella con la sorella, avevano sempre avuto idee molto diverse di chi erano i buoni e i cattivi al mondo.

"Guardati solo le spalle e se hai problemi parlamene, dico davvero"

Lei rise, ancora pensando a quanto quella giornata fosse diventata improvvisamente migliore "non preoccuparti per me. Io sto bene, tu piuttosto cerca di non restare isolato come sempre. Ogni tanto è preferibile scendere a compromessi per il bene della propria vita sociale"

Manech sorrise ma non rispose a quella frase della sorella, sapeva che avevano punti di vista troppo diversi sull'argomento. Così continuò a camminare al suo fianco, in silenzio, limitandosi a esprimere quel pensiero fra sé.

Nessun compromesso che leda l'amore che ho per me stesso.

ANGOLO AUTRICI:

Sorpresaaaa! In tante lo avete chiesto e alla fine lo avete ottenuto, questa settimana doppio aggiornamento! Non sappiamo se finirete per pentirvene ma ormai è tardi! Qualcosa si muove dietro le quinte di questa trama incasinata. Stanno cominciando a formarsi palesemente due fazioni, voi da che parte state? Non vediamo l'ora di sentire la vostra opinione e ovviamente vi aspettiamo sabato con l'altro aggiornamento che, piccolo spoiler, sarà una BOMBA!!!

un bacio

BlackSteel

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