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52. Ciclone

Avvenimento che porta distruzione, sconvolgimenti.



Gaspard era entrato in casa silenziosamente, non si inoltrò molto prima di arrestare il passo, gli bastò notare il cappotto appeso e la ventiquattrore appoggiata al muro per capire.

E' tornato.

Inspirò, il padre trascorreva più tempo possibile lontano e questo dava a Gaspard la possibilità di respirare, ma ad ogni ritorno era sempre più difficile fingere. Era sempre più difficile sopportare, restare in silenzio e aspettare.

Gaspard avrebbe voluto attraversare il corridoio e chiudersi in camera, senza essere visto, ma purtroppo quella era l'ennesima imboscata.

"Gaspard" la voce profonda dell'uomo proveniva dal salotto, era lì e lo stava aspettando.

Il biondo non disse nulla, si limitò a varcare la soglia della stanza e fissare con sguardo neutro l'uomo seduto sulla poltrona, con ancora la sua uniforme e le medaglie appese al petto.

"Come sta andando?" chiese indagatore "ho la sensazione di essermi perso parecchio di recente."

Perché, hai mai capito qualcosa?

Gaspard scosse le spalle "tutto bene"

Pierre assottigliò gli occhi, il suo volto assunse un espressione contrita "a me non risulta, anzi, mi sembra che ultimamente vada decisamente non bene."

"Allora, se sai già tutto, che senso ha chiedere?" mormorò l'altro snervato.

"Perchè esigo una spiegazione" ribatté secco l'uomo "il tuo allenatore mi ha detto che non stai più svolgendo gli allenamenti, manchi agli appuntamenti o li rimandi. Ho parlato con il tuo professore a scuola e mi ha detto che hai lasciato la squadra di atletica. Ti rendi conto di quello che stai facendo? Ad agosto ci saranno le prove fisiche per entrare in Accademia, non puoi permetterti di non essere preparato a sufficienza."

"Ah non posso permettermelo?"

Quella domanda venne fuori dalle labbra di Gaspard con un tono pregno di sdegno e sfida, il padre non lo aveva mai sentito rivolgersi a lui in quel modo, né fissarlo con quello sguardo carico di astio.

Pierre si sollevò "non mi piace il tuo tono, ragazzo, ti sembra il modo di rivolgerti a tuo padre?" chiese ma non attese risposta "non so se questa è una fase di ribellione adolescenziale, ma non hai tempo per queste stronzate. Devi pensare al tuo futuro"

"Quale futuro? Quello che tu hai pianificato per me?"

Controllati, non è ancora il momento di perdere la testa.

Gaspard continuava a ripeterselo ma non sembrava in grado di fermarsi, più quell'uomo odioso si faceva forte e prepotente, più lui si sentiva soffocare, sentiva il bisogno primitivo di liberarsi da quella morsa.

"Che diavolo di discorso sarebbe questo? Che altro futuro potresti volere?" ringhiò "ti ho cresciuto affinché seguissi le mie orme, diventassi qualcuno, portassi lustro alla famiglia Girard servendo il tuo paese e rendendomi fiero."

"Non ho intenzione di vivere per renderti fiero" sbottò il biondo.

A quel punto, attirata dalla discussione animata, Colette fece il suo ingresso nel salotto, lanciando un'occhiata ai due uomini che si fronteggiavano.

"Ma che succede?" chiese preoccupata.

"Quell'ingrato di mio figlio mi stava spiegando cosa diavolo c'è di più onorevole che seguire le mie orme" continuò l'uomo mentre la sua rabbia aumentava di minuto in minuto.

"Pierre ... sono certa che Gaspard abbia ... delle ambizioni sue ..." tentò di dire la donna ma fu messa brutalmente a tacere.

"Sta zitta, che diavolo ne sai tu delle sue ambizioni. Avanti, dimmi quello che vuoi fare" ringhiò al figlio " cosa c'è di più importante di quello che ti ho offerto io? Sei come quella ingrata di tua madre!"

Quella frase resettò totalmente la mente di Gaspard, si creò il vuoto e allo stesso tempo il caos, una confusione di emozioni che cominciarono a vorticare dentro di lui.

Chiudi gli occhi amore mio, e mantieni il controllo.

"Anche lei non faceva che lamentarsi, sempre a piagnucolare e piangersi addosso sui suoi poveri sogni infranti" disse disgustato "sempre ad incolpare me per non averle permesso di rendersi ridicola con la sua sciocca ambizione di diventare una stella. Era solo all'inizio di una carriera che sarebbe durata quanto un fuoco di paglia, aveva la testa piena solo di sciocche prospettive e non ha nemmeno saputo crescerti decentemente. Era sempre in giro come una irresponsabile."

Chiudi gli occhi amore mio, e ricordati che ti voglio bene.

"Smettila!!!" aveva urlato Gaspard improvvisamente, facendo un passo in avanti e fermando quel discorso infamante "non permetterti di parlare di lei, non dopo quello che le hai fatto. Tu ... è tutta colpa tua ..."

"Colpa mia? Tua madre era una ragazzina che non ha mai avuto voglia di crescere, sempre pronta a vivere come se non avesse altre responsabilità che se stessa"

"Tu le hai tolto tutto quello che amava! Tu l'hai resa amareggiata e sola! L'hai intrappolata esattamente come vuoi fare con me! Non hai fatto altro che farle del male, tradirla ... e rimpiazzarla!" urlò Gaspard.

Pierre scattò ed in un gesto repentino colpì il volto del figlio con uno schiaffo feroce "non osare rivolgerti a me in questo modo. Cosa diavolo ha fatto lei per te? Mi sembra che sia stata ben felice di mollarti qui, non è stata in grado nemmeno di amare suo figlio abbastanza da rinunciare ai suoi sogni per crescerlo! Che razza di madre è?"

Gaspard era sul punto di scattare nuovamente, questa volta abbandonando quel minimo di controllo che stava mantenendo, ma, prima che potesse farlo, vide Colette piazzarsi davanti a lui.

"Adesso basta, smettetela. Pierre, come puoi parlargli così?" disse sconvolta.

"Non metterti a difendere questo moccioso ingrato, se non ci fossi stato io sarebbe finito in un orfanotrofio e forse sarebbe stato meglio così"

Gaspard si sforzò di restare immobile mentre la figura della donna gli ostruiva il passaggio.

"State entrambi esagerando, è tuo figlio ..." poi si rivolse a Gaspard "vai in camera tua, riparliamone quando vi sarete calmati"

Il biondo scosse la testa stizzito ma fece una serie di passi indietro e lasciò la stanza ancora tremante di rabbia. L'unico pensiero che riusciva a non farlo impazzire era che il loro piano stava procedendo, che quei soldi erano al sicuro, che anche se il padre non fosse stato d'accordo, lui avrebbe lasciato quella casa e quella vita.

Era steso sul letto quando sentì un lieve bussare alla porta, non rispose, era ovvio di chi fosse, quel tocco tanto lieve ed esitante.

"Gaspard? Hai un momento?" chiese la voce flebile della donna mentre apriva la porta.

Non entrò, restò sulla soglia con la porta aperta per guardare dentro con discrezione.

"Mi dispiace per quello che è successo ..."

"Non ti riguarda" disse secco l'altro "sono faccende di cui non devi immischiarti, non ti ho chiesto aiuto e non sei mia madre"

"Non è mia intenzione sostituirmi a lei, lo sai. Ma sono preoccupata per te, tanto. Vorrei che tuo padre fosse più disposto ad ascoltare i tuoi desideri. Che tenesse conto di te davvero, ma è un uomo ... che non è in grado di guardare oltre se stesso"

Cosa vuoi? Vuoi che io ti compatisca? Il tuo matrimonio è infelice? Benvenuta nel club di quelli con la vita a pezzi.

Gaspard non rispose, come se la donna non avesse fiatato.

"Sappi solo che ti capisco, che ti sono vicina e se c'è qualcosa che posso fare ..."

Tacque alla fine, capendo che il ragazzo non le avrebbe dato la gioia di condividere nulla con lei, c'era solo un grande deserto in quella casa, un vuoto gigantesco.

Chiuse la porta mentre asciugava le lacrime sulle guance.

______________

 "Hai un aspetto di merda" disse Yves appena vide l'amico nel cortile della scuola "che succede? Non hai chiuso occhio?"

"Tu invece sembri uno splendore" commentò l'altro nel tentativo di distrarlo "hai fatto finalmente il grande passo con Amir?"

"Oh si certo, cerca pure di distrarmi per sviare il discorso. Ho dodici anni e potrei cascarci" riprese l'altro assottigliando gli occhi.

"Ehi ragazzi, come va?" chiese Victoria mentre li raggiungeva all'ingresso.

"Gaspard stava cercando di distrarmi mentre evitava di rispondere alle mie domande, sul perché la sua faccia somiglia ad una merda pestata."

"Adesso sono curiosa anche io" convenne lei.

Il biondo sospirò "solo qualche casino a casa, mio padre è rientrato e mi sta addosso perchè ho mollato gli allenamenti e perchè sta scoprendo che sono anche io un essere umano con una sua vita" mormorò "non vedo l'ora che finisca questa scuola di merda e che possiamo scappare da questa città soffocante"

Yves gli poggiò una mano sulla spalla "avremo la vita che desideriamo e te lo lascerai alle spalle"

Gaspard annuì, lo sapeva ma allo stesso tempo si chiedeva quando sarebbe successo, ormai sempre più impaziente di allontanarsi da lì, era allo stremo, senza più appigli per prendere ossigeno ed uscire dalla melma che inghiottiva la sua vita.

"Vado in bagno e vi raggiungo" comunicò ai due.

Gli amici annuirono mentre lui si infilava nel bagno e poggiava le mani sul lavandino, fece scorrere l'acqua e poi si sciacquò il viso. Osservò il suo riflesso allo specchio, ancora le gocce d'acqua che gli imperlavano la pelle e quel pallore che sembrava tremendamente accentuato quel giorno.

Poi sentì il rumore dello scarico, uno dei cubicoli del bagno si aprì rivelando la figura di Manech. Il moro sobbalzò vedendolo ma non disse nulla, tenne la testa bassa mentre andava a lavarsi le mani.

Gaspard si asciugò il viso e si voltò verso di lui.

"Ehi ..." sapeva di non dover dire nulla, ma non riuscì a trattenersi dal cercare quel contatto.

"Non dirmi ehi come se nulla fosse o come se mi fossi dimenticato perchè non sopporto nemmeno la tua vista" disse Manech in risposta.

Il moro sapeva che sarebbe stato meglio andarsene, ma non si mosse, le parole di Jean gli martellavano la testa da quel giorno e poi c'era il volto totalmente distrutto di Gaspard.

"Già ... " riprese l'altro "tu non dimentichi mai niente. Pensavo solo ... che mi manca sentirti suonare ..." scosse la testa "buona giornata"

Gaspard si mosse per andare via ma fu fermato dalle parole di Manech.

"Non sai che non suono più al locale? Ho smesso di andarci"

"Io non ci sono più stato perché volevo evitare di innervosirti con la mia presenza" disse Gaspard "non devi rinunciare a quel posto, devi esercitarti, mostrare agli altri il tuo talento. Non preoccuparti, non mi farò vedere lì"

Manech fu colto da una morsa allo stomaco sentendo quelle parole "posso andare da qualche altra parte, a te serve il jazz club più che a me, è un posto speciale ed è giusto che torni ad essere solo tuo"

Gaspard si irrigidì " non dire stupidaggini, è solo un posto come un altro ..."

"Io lo so, me lo hai detto indirettamente anche se ci ho messo un po ' a collegare tutti i pezzi" disse Manech "ci andavi con tua madre, vero? Lei ti ha trasmesso l'amore per la musica e lei ti ha fatto scoprire quel posto ... è il vostro unico legame rimasto"

Gaspard non riuscì a nascondere il tremore alle mani davanti a quelle parole, come faceva a sapere? Chi poteva averglielo detto? Si era lasciato davvero sfuggire così tanti dettagli?

Chiudi gli occhi amore mio e fidati ancora di qualcuno.

"Non dovresti farmi favori, dovresti odiarmi e basta" mormorò il biondo.

"Lo so, è che non ci riesco, se ti guardo e vedo quanto tu sia ferito. Quindi prima torna in te e poi continuerò a odiarti" replicò il moro avvicinandosi di un passo " torna al jazz club"

Gaspard non riusciva a staccare gli occhi da quelli verdi e preoccupati di Manech.

"Ci torno se tu riprendi a suonare lì ..." mormorò.

"D'accordo"

Ci fu un'altra occhiata intensa, i due erano vicini ma poi Manech abbassò lo sguardo e riprese a camminare, superando la figura di Gaspard e lasciando il bagno.

Il biondo ci mise ancora qualche minuto prima di riuscire a muoversi, poi uscì.

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 Emilien stava tentando di seguire quella lezione con una caparbietà fuori dal comune. Voleva davvero credere che fosse arrivato al punto di poter sostenere le spiegazioni di Cole come se non avesse mai conosciuto intimamente quell'uomo, ma purtroppo si sbagliava. Non riusciva a guardarlo, ogni parola era come una coltellata al petto, perché gli ricordava ciò che aveva perso. Avrebbe voluto poter tranciare di netto ogni tipo di rapporto, eppure era costretto a incontrare Cole in facoltà ogni singolo giorno.

È peggio di una tortura. Come posso dimenticarlo e liberarmi di lui?

Emilien non aveva idea di come risalire da quell'abisso, si ostinava a guardare un punto fisso della stanza, fingendo di ascoltare la lezione come gli altri studenti presenti nell'aula. Poi l'ora finì e il francese fu tra i primi a mettersi in piedi per lasciare in tutta fretta la stanza.

"Emilien, aspetta. Voglio controllare insieme a te il tuo test di metà semestre."

Il ragazzo era gelato sul posto, sentire di nuovo il suo nome sulla bocca di Cole ebbe l'effetto di una frustata dritta in viso. Faceva male e, allo stesso tempo, aveva risvegliato qualcosa in lui.

Ti manca. In fin dei conti non aspettavi altro. Ammettilo.

Così arrestò il passo e attese che gli altri studenti lasciassero l'aula. Non si sentiva particolarmente bene, né aveva mai immaginato che Cole sarebbe arrivato a tanto pur di confrontarsi con lui.

"Mi stai ignorando da giorni. Ho bisogno di parlarti, Emil." La voce di Cole lo raggiunse quando erano ormai da soli. Emilien si voltò piano verso la cattedra, dove l'uomo era poggiato. Quell'incontro di sguardi fu deleterio per il biondo.

"Io non ho niente da dirti però" trovò il coraggio di ribattere il più piccolo, seppure a fatica.

"Lo so, ti ho deluso. Ti avevo fatto delle promesse che non sono riuscito a mantenere. Ma ho bisogno di vederti, non riesco più a fingere che vada tutto bene. Dovevo parlarti e questo era l'unico modo. Dimmi solo che posso passare da te più tardi" lo pregò Cole, trovandosi di fronte il viso impietrito dalla sorpresa dell'altro.

Da quando in qua il suo professore appariva così disperato? A guardarlo meglio, vide che aveva gli occhi pesti, di chi recentemente aveva dormito poco e male. Emilien provò uno strano moto di gioia, per un attimo pensò che forse anche lui aveva lasciato una piccola cicatrice nel corpo dell'altro.

"Te l'ho detto, sono stanco delle tue stronzate, Cole. Andiamo avanti così da troppo tempo. Ti ho aspettato, ho acconsentito a tutto e tu mi hai ripagato relegandomi in quella casa con la promessa che un giorno le cose sarebbero cambiate. Ma non sono cambiate, o sbaglio?" ribatté gelido Emilien.

L'uomo scosse la testa, era nervoso e i suoi occhi saettavano da Emilien alla porta oltre le sue spalle. Non era stato saggio fermarlo dopo le lezioni. Eppure era così disperato da non riuscire a frenarsi.

"Adesso ho capito. Stare lontano da te è stato un tormento. Non mi sono reso conto di quello che stavo perdendo ... ora ho aperto gli occhi però." Cole fece un passo avanti, desideroso di accarezzare il volto stupefatto di Emilien, ma il suo buonsenso lo fermò. Guardò l'altro dritto in quegli occhi azzurri come il mare e finalmente riconobbe una nota che ricordava il vecchio Emilien.

"E so che non mi hai dimenticato. Lo leggo nel tuo sguardo. Possiamo ancora essere felici, te lo assicuro"

"E come?" sussurrò il più piccolo, furioso "come potremmo mai essere felici io tu e lei?" poi si lasciò andare ad una risata sarcastica.

"Fabianne sa che voglio divorziare. Gliel'ho detto ... abbiamo litigato, non sto neanche dormendo a casa."

Quella notizia colpì Emilien con la potenza di un proiettile, ma, invece di fargli del male, lo rianimò come nient'altro al mondo. Sentì il suo stomaco fare un balzo, una sorta di danza di felicità sadica, mentre immaginava quella donna che tanto aveva odiato sperimentare un po' del suo stesso dolore.

"Non ti credo più." Disse invece, imperterrito.

"Te lo giuro, sto in un Hotel a pochi chilometri dalla facoltà. Posso farti vedere anche le chiavi della stanza! Sono disposto a tutto pur di riguadagnarmi la tua fiducia. Dimmi solo che possiamo parlarne con calma a casa tua. Ti prego"

Cole non lo aveva mai pregato in vita sua, pensò Emilien. Lo guardò dritto negli occhi e lo trovò terribilmente diverso da come lo ricordava. Forse non era mai stato forte quanto lui aveva immaginato, pensò. Forse anche lui doveva aver sofferto quella separazione.

Non riusciva a pensare con lucidità.

"Emil, devo andare a lezione, ti prego. Dimmi solo che vuoi rivedermi ... abbiamo bisogno di chiarire. Tra me e te non può finire così."

Emilien abbassò il capo, sconfitto.

Ha lasciato la moglie. Ti sta pregando di dargli una seconda possibilità. Cos'altro vuoi? Non era quello che hai sempre desiderato, in fondo?

Sì, lo era. Per troppo tempo aveva indugiato in quella speranza che non si era mai concretizzata.

Adesso sì. Ora non dovrai più dividerlo con nessuno.

Poi, dal caos dei suoi pensieri, riaffiorò un'immagine quasi evanescente. Occhi scuri su un viso squadrato, dal sorriso vagamente malizioso.

Andrea.

E nonostante tutto sembrava perdere consistenza di fronte all'uomo che aveva davanti. Era con Cole che aveva scoperto cosa significasse amare davvero. Lui era il suo sogno che si stava realizzando, mentre Andrea ... cos'era Andrea? Lo conosceva da poco più di qualche settimana e, in ogni caso, non credeva che avesse intenzioni serie nei suoi confronti.

Volevamo solo divertirci, no?

Era più facile pensare che si trattasse solo di quello. Emilien decise di ignorare del tutto il ricordo di certi sguardi e di certe carezze. Le chiuse da qualche parte nella sua mente e buttò la chiave.

Finalmente stava per avere tutto ciò che desiderava.

"Ci vediamo dopo. Ti aspetto lì."

__________________

Andrea e Manech se ne stavano seduti in un café storico del centro. I libri di biologia erano in bella vista, entrambi sapevano che avrebbero fatto bene a ripassare per il test del giorno dopo, ma era ormai chiaro che i loro pensieri erano rivolti altrove. L'italiano prese un sorso di cappuccino e sospirò, mentre anche l'altro cercava di tornare al presente.

"Che c'è? Io non ho mai avuto molta voglia di studiare, ma questa nuova versione di te mi è inedita. Lui ti impedisce anche di concentrarti adesso?" Andrea lanciò un'occhiata eloquente verso l'amico che, invece, si limitò ad accendere l'ennesima sigaretta di quel pomeriggio.

"Oggi l'ho incontrato e ho ceduto. Gli ho chiesto di tornare al jazz club. Dannazione, cosa mi è saltato in mente? Perché tra tutti ho perso la testa proprio per lui?" si dannò Manech, portandosi il capo tra le mani. L'altro stirò le labbra in un sorrisetto per niente felice.

"Funziona sempre così, no? Più dovresti stare lontano da una persona e più ne sei attratto invece." Commentò Andrea e, per certi versi, rivide anche se stesso in quella strana considerazione.

"Non credere che lo abbia perdonato. Lo detesto ancora. Odio quello che ha fatto a Lucille e odio il modo in cui ha agito alle mie spalle" disse in fretta il francese, "ma è a pezzi. Sta andando alla deriva e non riesco a voltarmi dall'altra parte, non dopo quello che abbiamo condiviso."

Che bel casino, pensò Andrea. Non c'era mai pace per quelli come Manech. Troppo buoni, troppo sensibili per non lasciarsi trascinare nei problemi degli altri.

"Beh, direi che ti sei affezionato a lui, forse provi persino qualcosa di più profondo ... non sarà facile uscirne, ammesso che tu lo voglia davvero" aggiunse qualche attimo dopo, osservando con attenzione l'amico che però distolse lo sguardo.

"Non so che cosa voglio, ma so che lui non merita tante preoccupazioni. In cuor mio lo so, credimi."

"E io so che Emilien mi ignora da ieri pomeriggio" sbottò ad un tratto Andrea, incapace di tenersi quel peso dentro. Lanciò un'occhiata sprezzante al telefono, poi lo nascose dalla vista.

"Avremmo dovuto vederci tra poco e invece tutto tace. E di cosa mi stupisco? Sono sempre stato da solo in questa cazzo di relazione" continuò l'italiano, prima di lasciarsi sfuggire un altro sorrisino carico di malinconia.

"Che vuoi dire? Non state uscendo insieme praticamente ogni giorno? Credevo che le cose stessero procedendo bene." Rispose l'altro, confuso.

Andrea pensò che non fosse facile spiegare quella strana sensazione che si sentiva dentro nell'ultimo periodo. Nonostante Emilien cercasse di mostrarsi felice e caloroso come sempre, c'era una nota di fondo che suonava completamente stonata. Era un presentimento, una sorta di avvisaglia che l'italiano aveva cercato di evitare per tutto quel tempo, ma che ora si riproponeva a lui con una violenza tale da non poter più essere relegata lontano.

"Sai, Manech ... a volte ho l'impressione che io sia solo un intermezzo per lui. Sta con me perché rappresento un ottimo diversivo per una vita che altrimenti sarebbe piena di caos e preoccupazioni. Non vuole rimanere da solo con i propri pensieri, questo posso capirlo, in effetti. Sta solo cercando di occupare il suo tempo. E sai perché ne sono tanto sicuro? Perché è quello che facevo anch'io" disse con semplicità Andrea, nonostante quelle parole gli fossero costate molto.

"L'ho fatto per anni, ho usato della gente per evitare di pensare. L'ironia del destino ha voluto che adesso sia io quello ad essere usato da qualcun altro. Poetico, no?"

"Senti, per me stai esagerando" disse in fretta Manech, preoccupato da quell'Andrea inedito, che a stento riconosceva.

"No, non credo. Non mi sarei mai dovuto mettere in una situazione del genere. Dannazione, stava con il suo professore e io ho pensato bene di inserirmi in mezzo, come se non bastasse tutto il resto"

"Chiamalo e basta, ok? Che senso ha tormentarti così? Non puoi dare per scontato che stiano tornando insieme"

Andrea avrebbe tanto voluto dare il beneficio del dubbio alle parole di Manech. Sapeva che il suo amico stava tentando di tirargli su il morale, ma si reputava fin troppo acuto per poter credere in quella bella bugia.

"Non ha neanche il coraggio di mollarmi, ecco cosa sta succedendo. In fondo, ero il massimo esperto delle sparizioni nel nulla quando qualcuno mi stancava. So riconoscere il mio stesso modus operandi ... e fa male, Cristo."

Con quanta leggerezza aveva vissuto fino a quel momento? A quanta gente aveva fatto sperimentare quel dolore acuto che adesso stava provando?

Emilien lo tormentava. In poco più di qualche settimana era riuscito a toccare una parte di lui che mai nessuno aveva rivelato, fino a quel momento.

Manech gli passò una mano sulla spalla e quel peso leggero sembrava parlare più di mille parole. Era un dolore condiviso, qualcosa che entrambi stavano sperimentando.

"Se fosse così, devi comunque affrontarlo. Non permettergli di uscire dalla tua vita come se niente fosse."

"No, non è mia intenzione rendergliela così semplice." Rispose Andrea.

BLACKSTEEL 

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