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4. Diverso

In foto: Victoria de Winter

Che si presenta con un'identità, una natura nettamente distinta rispetto ad altre persone o cose.

Manech non riusciva ancora a credere a quello che stavano vedendo i suoi occhi, Parigi. Avevano passato l'intera giornata a disfare i bagagli e riporre gli oggetti nella nuova casa e, preso dalla confusione di quelle ore, non era ancora riuscito ad elaborare quello che era successo. Ma ora, mentre osservava quel cielo terso dalla finestra della sua nuova camera, il moro poteva assaporare quella sensazione di assoluta libertà che la capitale gli trasmetteva.

Era nato e cresciuto a Plaisir, una piccola città in provincia, un centro ristretto, dove le persone avevano ben poche ambizioni che non fossero un lavoro e una vita tranquilla. Manech, invece, aveva sempre voluto di più, voleva emergere e realizzare il suo sogno di diventare un violinista professionista, il migliore della Francia.
Sapeva che per farlo avrebbe dovuto seguire le orme del suo migliore amico, Gael, che si era trasferito nella capitale già un anno prima, e poi era arrivata la notizia.
Carole, sua madre, sapendo quanto la realtà di quella piccola cittadina stesse stretta ai figli, aveva fatto domanda di trasferimento a Parigi e una scuola l'aveva richiamata.
Manech ricordava perfettamente l'emozione che lo aveva investito quando la madre aveva comunicato alla famiglia del trasferimento. Centinaia di idee gli erano balenate nella mente, aveva iniziato a fantasticare sulla nuova casa e sulla sua vita in una delle città d'arte più belle d'Europa.
Aveva passato i giorni successivi insieme alla sorella Lucille a setacciare ogni scuola e inviare la domanda di ammissione a quelle migliori, sperando in delle borse di studio. Per la seconda volta, era arrivata la notizia che entrambi i ragazzi speravano, il Lycée Saint-Anthèlme aveva preso entrambi con una borsa di studio che avrebbe coperto il costo della retta esorbitante.

Manech non riusciva ancora a crederci mentre fissava con sguardo sognante la divisa scolastica appesa all'armadio. Il giorno seguente avrebbe iniziato l'anno nella nuova scuola, dove avrebbe frequentato anche il laboratorio di musica che lo avrebbe preparato al meglio per l'esame di ammissione al Conservatorio di Parigi. Tutto stava andando tremendamente bene e niente sembrava essere in grado di turbare l'animo pieno di speranze del ragazzo.
Il suo telefono vibrò e finalmente si riscosse dai suoi pensieri.

'Mi manchi da morire' si trattava di un messaggio da parte di Baptiste, il suo ragazzo, con allegata una sua foto parecchio imbronciato.

Manech sorrise dolcemente mentre si affrettava a rispondere 'Anche tu, non riesco ancora a crederci che sia successo tutto questo. Non chiuderò occhio stanotte'

Il ragazzo tornò a fissare il cielo e i tetti dei palazzi dalla sua finestra, domani sarebbe stato un grande giorno per lui, si disse mentre accarezzava distrattamente il tatuaggio che aveva nella parte esterna del polso, una piccola nota di violino.

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Lucille e Manech fissavano l'imponente ingresso della scuola con sguardo di totale ammirazione, non gli era mai capitato di vedere una costruzione tanto bella ed elegante. Le grandi scale di marmo e le colonne rendevano quel luogo quasi magico, come fosse fuori dal tempo.
I due fratelli si scambiarono una rapida occhiata mentre condividevano gli stessi pensieri, persino i ragazzi e le ragazze di quella scuola sembravano usciti dalle riviste di moda. All'apparenza erano tutti tremendamente impeccabili, dal modo in cui indossavano la divisa, al portamento e il taglio di capelli.

Manech passò rapidamente le dita nella sua chioma castano ramata, sempre rigorosamente spettinata, nel vano tentativo di sistemarla.

"Questo posto sembra un universo parallelo in confronto alla nostra vecchia scuola" esordì la sorella senza nascondere la sua preoccupazione "sei sicuro di poter entrare con quello?" chiese indicando il septum che il fratello aveva al naso.

Manech scosse le spalle "E' un paese libero"

Lucille scosse la testa "Ma non sei un po' preoccupato? Sembra che niente possa turbarti, non conosciamo nessuno lì dentro. Anzi, praticamente in tutta la città"

Il moro le sorrise bonariamente "sono certo che andrà bene. Non essere nervosa e sii te stessa, vedrai che ti adoreranno"

Alla fine i due si incamminarono verso l'interno dell'istituto dove le occhiate nei loro confronti cominciarono ad intensificarsi.

Dio, va bene, siamo quelli nuovi. Ci avete beccato.

Manech scosse la testa mentre osservava la sorella avviarsi nervosamente verso la classe del secondo anno, mentre lui si dirigeva alla terza. L'ultimo anno in una nuova scuola, molti ragazzi al suo posto ne avrebbero fatto un dramma, ma non lui. Manech era perfettamente a suo agio mentre entrava nell'aula e venti teste si voltarono a fissarlo curiose.

"Buongiorno" disse dirigendosi verso l'insegnante che osservò il registro.

" Bene ragazzi, come vi stavo appunto dicendo, da oggi avrete un nuovo compagno di classe. Lui è Manech Monreau, prego accomodati pure" esclamò l'uomo indicando al ragazzo una serie di banchi liberi.

I compagni non sembravano altrettanto entusiasti di averlo con loro, le occhiate iniziali di curiosità e sorpresa si erano già diradate. Nessuno sembrava far caso al suo arrivo o che fosse lì impalato davanti a loro, Manech aveva passato a rassegna quei volti e si rese conto che solo uno di loro lo stava fissando ancora prepotentemente. Aveva i capelli biondi, il viso pallido e spigoloso con gli occhi più chiari e penetranti che il moro avesse mai visto.

Per un momento rimase intimidito dal modo in cui quel ragazzo lo stesse fissando, come se in qualche modo volesse invadere il suo spazio personale o farlo sentire alle strette.

"Ehi, puoi sederti qua" fu la voce di un altro a destare Manech da quella sensazione di disagio.

Si rese conto che nell'ultima fila qualcuno gli aveva umanamente fatto cenno di avvicinarsi, aveva uno strano accento ma il moro non se lo fece ripetere due volte.

Mentre sfilava velocemente fra i banchi sentì chiaramente un ragazzo dai capelli neri parlare con la ragazza seduta davanti a lui.

"Ma cos'ha al naso? Hanno aperto le gabbie al circo?"

Lei aveva riso mentre faceva di tutto per non guardare ulteriormente Manech che li aveva fissati irritato, decise che era meglio non farci caso e si sistemò nel banchetto accanto a quello di un ragazzo dai capelli scuri e tratti decisi, lo stesso che lo aveva invitato a sedere lì. Aveva una luce spavalda negli occhi.

"Non starli a sentire, sono degli snob repressi" rise ancora "mi chiamo Andrea."

"Manech" si presentò il moro con un sorriso, lieto di aver incontrato una persona all'apparenza normale.

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Quando giunse l'ora di pranzo, Manech si ritrovò ad affrontare la mensa. Era grande due volte quella della sua vecchia scuola ed il cibo lì sembrava decisamente di prima scelta.

Al suo ingresso si ritrovò altri occhi puntati addosso, non sapeva cosa attraesse tanta curiosità sulla sua persona, se fossero i suoi capelli arruffati, il suo volto magro e lentigginoso o il suo piercing. Qualsiasi cosa fosse però, continuava a far voltare gli studenti che poi si mettevano a parlicchiare sottovoce fra loro.

Il moro non si curò di quell'atteggiamento, aveva ben altro a cui pensare, aveva visto sua sorella seduta da sola ad un tavolo e voleva subito andare da lei per vedere come se la stesse cavando. Quando si accomodò accanto a lei la sentì sospirare rumorosamente.

"Che angoscia, ma che succede?" Chiese Manech.

"Devo davvero spiegartelo? Mio dio, mi sento un pesce fuor d'acqua. Mi sembra mi manchi qualcosa per essere umana, a giudicare da come mi guardano" rispose Lucille con tono cupo.

"Dagli tempo, del resto siamo quelli nuovi, ci devono ancora conoscere. E' sempre così quando si inizia in una nuova scuola" cercò di confortarla.

"Ho solo paura di non riuscire a inserirmi davvero. Qui le ragazze sono tutte così curate e sofisticate, non hanno niente a che fare con quelle di Plaisir. Ho provato ad attaccare bottone con qualcuna, ma è stato orribile."

"Lucille, sta tranquilla, nella nostra vecchia scuola ti adoravano e lo faranno anche qui appena ti conosceranno sul serio"

Nonostante Manech stesse parlando, la sorella aveva smesso di ascoltarlo perchè tutta la sua attenzione si era spostata al trio che aveva fatto il suo ingresso in mensa. Anche gli altri studenti si erano voltati a guardarli e tutti si sbracciavano per salutarli o scambiare qualche parola.
Fu chiaro in quel momento per Manech quali fossero le galline più importanti del pollaio, ricordava di averli visti in classe. La ragazza bionda, il moro con lo sguardo sprezzante e la lingua feroce, poi quello pallido come un cadavere, sedevano in un tavolo a parte mentre alcune ragazze si avvicinavano per andare a scambiare qualche parola.

Lucille li fissava ammaliata "Lei sì che ha stile. E' bellissima"

"Anche tu lo sei, non mi sembra che lei abbia qualche caratteristica ultraterrena, Lu. E' solo il liceo che divide la gente in sfigati e reginette del ballo."

"Dici così solo perchè sei mio fratello" commentò quella scuotendo la testa " e per voi ragazzi è diverso, finite sempre per fare amicizia. Mentre le donne sono difficili, vedessi che occhiate mi hanno lanciato in classe, le prime impressioni sono fondamentali"

"Cerca solo di non ossessionarti troppo" le consigliò sapendo che anche quelle parole non sarebbero state ascoltate.

Dopo pranzo Manech si spostò in cortile e trovò riparo sotto un grosso albero al centro del prato, tirò fuori una sigaretta e l'accese, inspirando profondamente e osservando il fumo diradarsi nell'aria.

Fra un'ora sarebbe iniziato il laboratorio di musica e, con il suo violino fra le mani, avrebbe smesso di pensare a dove si trovava o al modo in cui gli altri lo fissavano.

'Come va nella scuola degli altolocati?' gli aveva appena scritto Baptiste.

'Mi guardano come se fossi un pazzo scappato dal manicomio, quindi direi che mi sto ambientando bene' replicò il moro.

'Qui è un mortorio senza di te'

Manech sorrise mentre inspirava l'ultima boccata di fumo, anche lui sentiva la mancanza di Baptiste ma quello a cui stava andando incontro era un sogno troppo grande per essere offuscato da sentimenti come la nostalgia.

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Andrea ci aveva messo giusto un paio di giorni per comprendere la gerarchia su cui si basava la vita al Saint-Anthèlme. Era una situazione a suo parere ridicola, che se non l'avesse vissuta sulla sua stessa pelle, avrebbe stentato a crederla possibile. C'era una sorta di venerazione, mista a timore intorno alla figura di suo cugino e degli altri due. Fortuna che Andrea sapeva come muoversi perfino in un ambiente ostile come quello, infatti gli ci era voluto poco per capire che non tutti lì dentro erano felici di come le cose venivano gestite.
Aveva trovato un gruppetto di ragazzi del terzo che avevano parecchio da dire. Era seduto sulle scale con loro, ad offrire sigarette e sorrisi comprensivi. Non aveva mai avuto problemi ad ingraziarsi la gente.

" Sai, per essere cugino di quel pezzo di merda non sei per niente male." aveva commentato il rosso, mentre lanciava un'occhiata fulminante verso il trio che proprio in quel momento stava lasciando la scuola.
Andrea se lo stava lavorando da tutto il giorno, era chiaro che Theo avesse più di qualche motivo per parlare in quel modo di Yves, adesso bisognava solo scoprirne la ragione.

"Credimi, a casa è anche peggio. Ma in definitiva ... che cosa fa? Cosa c'è dietro?" chiese alla fine l'italiano.

Gli altri due rimasero in silenzio per un attimo, poteva vedere il cervello di Theo lavorare senza sosta, mentre decideva cosa o quanto rivelargli. Solo alla fine, quando Andrea aveva quasi perso le speranze, l'altro si decise a parlare.

"Cosa c'è di preciso non lo sa nessuno, purtroppo. O, quanto meno, nessuno disposto a parlarne con noi, ma io so che la mia ragazza mi ha piantato per qualcosa che lui le ha detto o le ha fatto", qui il ragazzo strinse i pugni, "andava tutto bene con Emma, improvvisamente ha iniziato ad essere sfuggente, ha iniziato ad evitare me e le sue amiche, alla fine mi ha mollato senza darmi una spiegazione e ora se ne va in giro con borse Prada e gioielli che non si sarebbe mai sognata di poter comprare."

" Come se l'avesse comprata" intervenne l'altro ragazzo, " e non è l'unica. C'è qualcosa sotto, ma non ne possono parlare."
Su questo Andrea non aveva alcun dubbio. Aveva seguito gli spostamenti di suo cugino e fino a quel momento, purtroppo, non era riuscito ad ottenere niente. Yves si era sempre spostato con il suo autista personale in quegli ultimi giorni, ma Andrea sapeva essere paziente, era un instancabile stacanovista quando la situazione lo richiedeva.

" Beh, allora vorrà dire che toccherà a me andare in fondo alla questione." commentò l'italiano, con un sorriso beato sulle labbra. Poi salutò i ragazzi e si diresse oltre il cortile.

L'autista lo stava aspettando, Yves era già seduto sul sedile posteriore con il suo bel profilo da statua greca rivolto verso il finestrino, nel chiaro intento di ignorare il cugino.

" Gradirei fossi puntuale. Non mi piace aspettare." il francese non era riuscito a trattenersi di fronte al solito sorrisino strafottente dell'altro. Era entrato in auto portandosi dietro un terribile puzzo di fumo che gli fece storcere il naso.

" Chiedo venia, sua principessa reale. Mi ero lasciato prendere da una conversazione piuttosto interessante, lì sulle scale. Sembrerebbe che non tutti siano felici di come venga gestita la vita scolastica." buttò lì Andrea, sempre con un tono beffardo, da far perdere le staffe.

" Quello che dice la plebe non mi interessa."

" Invece dovrebbe. Ricorda che è stata la plebe a far ghigliottinare il re e la regina di Francia, dopotutto."

Yves si ritrovò a ridere " Ma che bravo, hai studiato la storia della Rivoluzione Francese, ma continuo a non capire che nesso ci sia con me."

Gli occhi del francese incontrarono quelli brillanti di Andrea. Lo stava scrutando profondamente.

" Dammi del tempo e mi sarà tutto chiaro, a quel punto stai sicuro che te lo farò sapere. Ah, non senti anche tu questo profumo di cambiamento?" poi Andrea abbassò appena il finestrino e inspirò a pieni polmoni.
" No, sento il puzzo del fumo che ti si è attaccato alla divisa, misto a quello della tua colonia scadente, ma niente aria di cambiamento. Mi dispiace." commentò l'altro, con aria cupa e infastidita.
Andrea rise più forte, lo stava facendo irritare, aveva un certo ascendente sui nervi del cugino e di certo avrebbe approfittato della cosa. Lo avrebbe portato sull'orlo della follia, di questo era sicuro.

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Iniziava sempre allo stesso modo: dal profumo intossicante delle rose. Erano mature, i petali cadevano, macchie rosse sul pavimento di marmo nero. Yves rabbrividiva sull'altare gelido della chiesa, era nudo e il suo petto era scosso da un tremore incessante. Era terrorizzato, ma non riusciva a muoversi e poi c'era Lei. Vedeva la sua ombra avvicinarsi nel baluginio delle candele, la frusta che sfregava a terra e poi quei passi che risuonavano nella desolazione della chiesa.

Yves si disperava senza riuscire ad urlare, un sudore gelido gli si era attaccato addosso, mentre Lei si posizionava a pochi metri dal suo corpo tremante. Non riusciva a guardarla, continuava a pregare e a scongiurarla, a piangere tutte le lacrime che aveva.

" L-la prego ... non lo f-faccia. La prego, non succederà più."

Pregare non ti servirà a niente, ragazzo. Tu hai peccato. E ora devi pagare.

La prima frustata era stata talmente violenta da avergli fatto cedere le ginocchia. Yves aveva il respiro mozzato e un dolore inspiegabile che si propagava lungo il corpo.

Piccolo, sudicio ragazzo.

Un'altra frustata che stavolta aveva aperto la pelle morbida della sua schiena.

Schifoso. Depravato. Vizioso, ragazzo.

Aveva pianto e aveva urlato fino a perdere la voce, ma non era servito a niente, se non a rendere quelle frustate ancora più aggressive e precise. Yves cadde carponi sul pavimento gelido della chiesa, con un rivolo di sangue bollente che scivolava dalle ferite aperte. Tremava di dolore e orrore.

Poi Lei, ansante e in preda ad un'euforia folle, si piegò su di lui. Il ragazzo tremò nel sentire la stoffa dura del suo copricapo sfiorare la pelle congestionata della schiena.

Imparerai, ragazzo. Imparerai a distinguere il bene dal male.

Yves si era svegliato di soprassalto, con un urlo di orrore bloccato in gola e il letto madido di sudore. Ebbe giusto il tempo di sollevarsi e correre verso il bagno prima che un conato di vomito lo scuotesse da cima a fondo. Si piegò sul lavandino e buttò fuori tutto quello che aveva mangiato a cena, fino a quando non scivolò sulle piastrelle del bagno, con la fronte appoggiata contro il marmo freddo del water. Stava tremando di terrore e disgusto, come il ragazzino di sette anni prima.

Controllo. Doveva riprendere il controllo.

Non quella notte, quella notte pianse, chiuso nel bagno, pianse di disgusto e di rabbia, mentre ancora gli sembrava di percepire il puzzo delle rose mature che si propagava nell'aria. Si sollevò da lì solo parecchi minuti dopo. Lavò il lavabo e si lavò i denti, poi immerse il volto sudato in una bacinella di acqua gelida.

Non poteva controllare i suoi incubi, si disse, guardando allo specchio il suo riflesso pallido e sconvolto. Non poteva mostrarsi in quelle condizioni, così debole e impaurito ... cosa avrebbero pensato di lui?

Doveva tenerli a bada.

Quando Yves rientrò in stanza si rese subito conto di non essere solo. Suo cugino era lì, in mutande e canottiera, a osservare con curiosità la cassaforte in fondo alla camera.

"Che cosa cazzo ci fai qui?" ringhiò il francese, divorando in pochi attimi la distanza che li divideva. Andò a sovrastarlo, era più alto di Andrea, lo spinse contro un mobile, facendo traballare tutto quello che c'era sopra. Gli strinse le braccia in una morsa ferrea, mentre l'altro sembrava totalmente a suo agio, perfino in quella situazione sfavorevole.

"Smettila di starmi intorno, smettila di intrufolarti qui di notte! Con chi diavolo credi di avere a che fare? Vattene subito." Yves aveva parlato con un filo di voce rabbiosa, un atteggiamento di minaccia che non scalfì Andrea. Anzi, l'italiano si fece più vicino al viso del padrone di casa, poi lo guardò dritto negli occhi.

"Se mi lasci andare me ne vado, altrimenti se preferisci possiamo restare così tutta la notte." lo provocò Andrea e subito vide l'orrore nel volto del cugino. Quello lo lasciò andare in fretta, poi gli diede le spalle e si portò le mani sul volto.

Bastava così poco per sconvolgerlo? Qualche battutina a sfondo sessuale e Yves sembrava in preda a chissà quale incubo, pensò il ragazzo, sempre più interessato alla cosa. Era già successo qualche giorno prima, quando Yves lo aveva minacciato e preso per la collottola della felpa. Non era un caso. Eppure ricordava una vecchia storia sul cugino, una sorta di scandalo che risaliva a molti anni prima, quando Andrea aveva circa undici anni o dodici anni e di certo era troppo piccolo per conoscere tutta la verità. Ricordava che sua zia Lydia ne aveva parlato con suo padre, però.

"Vattene subito." tornò all'attacco il cugino, ma non lo stava guardando.

"Certo che non è da tutti avere una cassaforte in stanza, si direbbe che tu abbia qualcosa da nascondere. Che strano ... bisognerà indagare."

Poi Andrea aprì le labbra in un sorrisetto che l'altro non poteva vedere. Alla fine si decise a muoversi e a lasciare la stanza.

"Notte, notte."

Una manciata di secondi dopo, Yves andò a chiudere la porta a chiave, poi crollò sul letto, esausto. Sabato era vicino, non riusciva a smettere di pensarci. Quel bastardo di Amir lo aveva già chiamato un paio di volte, ma lui non aveva mai risposto. Credeva che per quel mese ne avrebbe potuto fare a meno, invece ... invece aveva fatto male i conti. Si era creduto più forte di quello che era.

Si mosse in fretta, cercò la chiamata in rubrica e fece squillare il telefono prima che avesse potuto ripensarci o essere assalito dai soliti dubbi leciti.

La voce di Amir era calda e musicale come sempre. Rispose dopo appena tre squilli, come se sapesse che Yves avrebbe chiamato, alla fine.

Quel pensiero mandò il francese su tutte le furie. Era così facile da leggere? Così prevedibile? Come una di quelle persone qualsiasi che lui tanto detestava?

"Mi fa piacere sentirti, anche se immagino che a te non faccia piacere sentire me."

Yves mandò giù quel boccone amaro, ignorando del tutto il tono divertito dell'arabo.

"Voglio la solita stanza, al solito orario." stabilì a denti stretti e con una certa fatica.

"Bene, ho due persone nuove, è la prima volta che si esibiscono. Li ho tenuti da parte per te. Ti piaceranno, vedrai."

Yves interruppe la chiamata senza voler sentire altro. Un brivido gli percorse la schiena, fino a farlo tremare. Si passò le dita sulla pelle martoriata dalle cicatrici, ricordo indelebile del suo peccato e della sua incapacità di cercare un'assoluzione.

ANGOLO AUTRICI:

Buon 2021 a tutte e buon nuovo capitolo xD osserviamo più da vicino le vite dei nostri protagonisti! Abbiamo l'apparizione di due nuovi protagonisti Manench e Lucille, il primo giorno è iniziato con il botto xD mentre scopriamo qualcosa in più su quello che si nasconde nella mente di Yves! Cosa ne pensate? Come sempre aspettiamo i vostri commenti e vi diamo appuntamento alla prossima settimana.

BlackSteel

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