Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

39. Frastuono


Rumore confuso e assordante.


Smarrimento. Rabbia. Terrore. Quelle erano le sensazioni con cui Yves andava avanti da quando aveva permesso alla parte più marcia di lui di prendere il sopravvento. Anche quella sera il suo umore non era diverso, se ne stava barricato nella sua stanza, a soppesare ogni dannata conseguenza che l'imminente incontro con Amir avrebbe potuto portare. A volte pensava di aver bisogno di qualcuno con cui parlare, una mente meno tormentata della sua sarebbe andata bene, ma poi, al momento di agire e comporre quel numero, la vergogna più nera tornava a tormentarlo.

Non aveva il coraggio di parlare con Gaspard di quello che gli stava succedendo. E questo orrore aveva ben poco a che fare con il suo amico che, di certo, non avrebbe fatto nulla per metterlo a disagio. Era una paura tutta sua, che covava all'interno del suo petto da talmente tanto tempo da non ricordarne neppure l'origine.

E intanto il tempo passava, lasciandosi dietro una scia cattiva di ansie. Non riusciva ad emergere da quel limbo. Presentarsi all'Heros equivaleva a sventolare una bandiera bianca, significava ammettere quello che Amir credeva già, cioè che Yves, alla fine, era pronto per compiere quel passo.

Ma non è così. Tu non hai idea di quello che stai facendo.

Calciò via le coperte del suo letto e si infilò dentro con rabbia. Aveva deciso. Se ne sarebbe andato a dormire e quel mancato appuntamento avrebbe parlato per lui più di mille chiacchiere inutili. Era fatta. O forse no, perché il sonno non voleva arrivare e Yves si ritrovò per l'ennesima volta a fissare quello scandire di lancette, ormai simbolo del suo tormento.

L'una del mattino.

L'Heros aveva già chiuso? Dov'era Amir adesso? Per quanto tempo sarebbe rimasto lì ad aspettarlo? Yves si rigirò ancora e ancora. Si sentiva debole, come un malato in convalescenza dopo una febbre lunga e debilitante. Perché quella vita era toccata a lui? Perché non riusciva a gestirla come qualsiasi altro suo coetaneo? Perché un semplice contatto umano doveva arrecargli tutto quel tormento?

Forse perché non c'è niente di semplice in un contatto. Come puoi mostrarti a qualcuno quando persino tu stenti a riconoscerti?

Arrivarono le due del mattino e Yves era ancora perfettamente sveglio. Non importava più, si diceva, Amir non lo avrebbe aspettato per tutto quel tempo. Magari ormai stava già dormendo e lui era salvo. Ma la vibrazione del suo telefono era lì per smentire tutte le stronzate che si era appena raccontato.

Scattò a sedere sul letto con il cellulare tra le mani e il terrore negli occhi. Non era solo terrore però, c'era una sorta di gioia dolorosa che faceva capolino in quel miscuglio di sensazioni rimbombanti.

Basta non prendere la chiamata. Non è mai stato così semplice, Yves. Chiudi gli occhi e passa tutto.

È questo che vuoi, si chiese? Lasciar passare tutto? Vivere un'esistenza fatta di ombre e menzogne, mentre la vita vera ti scorre davanti? Fu il suo corpo a rispondere per lui. Yves prese la chiamata al decimo squillo.

"Non sei venuto"

La voce di Amir era bassa. Il suo tono piatto.

"E non verrò" disse in fretta Yves e si sentì subito senza fiato.

"L'avevo intuito. Ecco perché ho fatto da me. Sono sotto casa tua"

"C-cosa?"

Yves era scattato in piedi con gambe tremanti, poi aveva scansato la tenda pesante che copriva la finestra e quello che era il suo peggiore incubo, o forse desiderio, si palesò davanti ai suoi occhi. Il Range Rover di Amir era fermo a pochi metri dal suo cancello.

"Pensi di scendere adesso? O devo suonare il citofono e parlare direttamente con i tuoi? Ci sarebbero parecchie cose da spiegare, immagino."

"N-non lo faresti" ribatté il più piccolo, adesso con il cuore in gola.

"Non tentarmi, Yves. Tu hai conosciuto solo la mia parte migliore, ma ricorda per un attimo chi sono e cosa faccio per vivere"

No, non lo avrebbe fatto, Yves ne era certo, ma allo stesso tempo aveva bisogno di quella scusa per sentirsi un po' meglio e giustificare ciò che stava per fare. Era in preda al panico più totale, mentre si infilava le scarpe da ginnastica e lasciava la stanza in pigiama. La casa era buia e silenziosa, solo il suo cuore sembrava rombare in quella pace assoluta. In fin dei conti, era sempre stato lui l'anima nera di quel posto. Scese le scale in una volata, ogni passo era scandito dal frastuono dei suoi pensieri sparsi e confusi, come fogli disseminati in giro per la stanza da un vento caldo e tentatore.

Caldo e tentatore. E pensò subito ad Amir. A quelle sensazioni che gli si erano risvegliate dentro nel momento stesso in cui aveva messo per la prima volta piede all'Heros. Era stato lui, ora lo vedeva chiaramente. L'aveva incontrato e poi non era più riuscito a frenare i suoi pensieri che si erano tramutati in quei dannati incontri inconcludenti nella stanza numero 7. Aveva sempre voluto lui e, di rimando, aveva provato ad accontentarsi di quegli spettacoli. Per essere prudente. Per potere assaporare il mondo di Amir senza però caderci dentro.

Era fuori e si sentiva instabile come uno di quei pazzi vagabondi che affollavano le stazioni e che tanto lo spaventavano. Un freddo inaspettato e glaciale lo investì in pieno viso, mentre, con mani sempre più tremanti, apriva il cancello che nella sua mente lo avrebbe portato dritto all'inferno. O forse in paradiso?

Poi vide Amir e i suoi pensieri svanirono improvvisamente. Se ne stava accanto alla sua auto, composto e perfettamente in sé. Quegli occhi scuri e penetranti erano diretti come sempre, emanavano una sicurezza che Yves, in fondo al cuore, gli aveva sempre invidiato. Lo vide sorridere appena, poi si fece più vicino

"Nottataccia? Direi che non sei riuscito a dormire. Sai, da bambino anch'io stentavo a prendere sonno, così mio padre era costretto a portarmi in giro per la città a qualsiasi ora della notte. A quanto pare, il movimento dell'auto mi rilassava. Credi che con te possa funzionare?"

Yves stava per mandarlo al diavolo, forse era quello che avrebbe dovuto fare, perché, prima di quel momento, non avrebbe mai permesso a nessuno di attirarlo fuori con quei giochetti. Era sempre stato lui a scegliere il terreno di battaglia, eppure non riusciva a reagire. Forse non voleva reagire.

"Sentivo proprio la necessità di addentrarmi nei tuoi stucchevoli racconti di infanzia" ribatté Yves con il suo solito tono cinico.

Poi smise di fissare quel dannato viso e capì che si era fatto un favore. Avanzò verso lo sportello del passeggero e aprì la portiera. Ogni sensazione sembrava amplificata in modo prepotente. Dal profumo intenso nell'auto di Amir, fino al tessuto lievemente ruvido del sedile su cui si era sistemato. E poi c'era lui e la sua presenza non era mai stata così ingombrante come in quel momento.

"Ti ho aspettato per più di un'ora. Sono proprio un romantico senza possibilità di salvezza" disse Amir, con un tono appena divertito.

"Ti aveva già avvisato che non sarei venuto" rispose Yves, sempre sulla difensiva. La sua mente lavorava ad una lentezza disarmante. Poteva attribuire quella sua mancanza di verve alla presenza ingombrante dell'altro.

"Evidentemente non ti ho preso sul serio. Se ti guardassi dall'esterno, capiresti che c'è un enorme abisso tra le parole che decidi di usare e le tue azioni. E sono del tutto certo che tu lo faccia inconsapevolmente. Una persona un po' meno masochista del sottoscritto ti sarebbe stata alla larga al primo segnale."

"Aspetta, dovrebbe importarmi?" chiese il più piccolo con aria sarcastica. Faceva fatica persino a seguire il senso di quelle parole. Tutto, lì dentro, lo stava mandando fuori di testa e a una velocità stratosferica. Poi si riscosse e si guardò intorno "e dove cazzo stiamo andando soprattutto?"

"Sei in pigiama, Yves. Dimmi tu dove vorresti andare piuttosto" lo prese in giro Amir.

"Sono in pigiama, perché qualcuno è venuto a prelevarmi da casa nel bel mezzo della notte. Come vedi, io avevo scelto di dormire"

"E ci stavi riuscendo benissimo infatti" lo punzecchiò l'altro.

"E tu che cazzo pensi di saperne? Arrivi qui con questa aria da misterioso del cazzo, mi carichi in macchina e"

"Ah, no. Direi che ci sei salito da solo, su questo punto non transigo" lo interruppe il più grande, sempre più divertito nel notare che Yves aveva finalmente recuperato un po' del suo caratteraccio. Gli lanciò un'occhiata di sbieco e lo trovò incredibilmente bello e incazzato come sempre.

"Anche in pigiama rimango comunque meglio di te" ribatté il francese, maledicendosi subito dopo per quanto quella frase fosse suonata stupida e infantile. Aveva mandato al diavolo i suoi ultimi neuroni nel tentativo di guardare Amir.

"Finalmente siamo d'accordo su qualcosa."

Yves si sentì quasi bruciare, quando percepì l'occhiata intensa che l'arabo gli aveva appena lanciato.

"E comunque non preoccuparti" riprese "è quasi dicembre e sono le due e mezza del mattino. Qui non c'è nessuno"

Yves era stato talmente preso dai suoi drammi interni da non aver notato il paesaggio fuori. Si trovavano in una Montmartre decisamente desolata, a pochi passi dalla collina degli artisti.

Cristo, era un posto romantico.

Quel pensiero lo fece ammutolire ancora una volta.

Amir, nel frattempo, aveva parcheggiato poco più giù e con il motore spento il silenzio si faceva ogni istante più opprimente. Yves stava tremando nonostante il tepore dell'auto.

"Andiamo a fare due passi. Ho un altro cappotto dietro, puoi prenderlo."

"Sì? Dovrei indossare gli indumenti degli altri adesso?" era stizzito e quella frase suonò stupida come le precedenti.

"È mio. Non sarà un Moncler come il tuo, ma magari ti accontenti per stavolta"

Yves smontò dall'auto con una nuova sensazione di malessere allo stomaco, afferrò il giubbotto di Amir e se lo infilò con l'aria di uno che stava concedendo un enorme favore all'altro. Rimase stordito dal profumo del tessuto, era intenso e con una nota amara. Sapeva esattamente di Amir.

Cercò di riprendersi e di ignorare l'espressione soddisfatta sul volto del suo accompagnatore. Iniziò a camminare a passi lunghi, percorrendo le scale verso la collina come se da quel gesto ne dipendesse la sua stessa vita. Aveva bisogno di respirare a pieni polmoni, ma era tutto inutile. Quel profumo ormai gli si era attaccato addosso.

"Credevo che il Tour de France si tenesse in estate, ma forse mi sbaglio" lo provocò Amir, indietro di qualche passo dall'altro.

"Che cazzo vuoi. Ho freddo, va bene? E non ho chiesto io di venire fino a qui" ribatté incattivito Yves, mentre sentiva la presenza di Amir seguirlo da vicino. Era già senza fiato e non era pronto a quello che sarebbe successo.

"Conosco un modo migliore per scaldarci e non prevede alcuna maratona. Fermati solo un attimo."

Quel tono e quelle parole furono come una mazzata tra capo e collo. Yves si era ritrovato in cima alle scale, con Montmartre che si stendeva ai suoi piedi in tutta la sua bellezza. L'ombra di Amir si estese fino a inglobare la sua. Percepì prima le sue braccia, strette intorno a quel dannato cappotto che non lo avrebbe protetto da niente.

Era la fine.

Non si voltò. Non si mosse. Rimase immobile e rigido, mentre permetteva ad Amir di abbracciarlo da dietro. La sua mente era nel caos più totale. Il frastuono era tornato e non sarebbe andato via. Sentì il suo fiato caldo sul collo scoperto, poi una scia di brividi risalirgli lungo la schiena. Fremette senza riuscire a impedirlo, sconfitto da quel tepore accomodante che sembrava fare a pugni con il gelo di quella notte. Andava a fuoco e non faceva nulla per scostarsi da quelle fiamme intenzionate a lambirlo e divorarlo fino all'ultimo boccone. Amir gli scostò il colletto del giubbotto e poi arrivarono le sue labbra. Calde, umide, perfette. Baci lenti, alternati da piccoli assaggi che fecero fremere Yves senza alcun pudore. Era quasi crollato sul corpo di Amir, completamente in balia di quei baci e della sua lingua che lasciava piccole scie bollenti lungo la pelle morbida del suo collo.

"Ti giri a guardarmi?"

Yves deglutì con forza, pensava di non riuscire a muoversi e non sapeva come diavolo dirlo ad Amir. Invece le sue gambe lo reggevano, ma forse era lui a non poter reggere la situazione. Cercò di non pensare a come diavolo doveva apparire in quel momento agli occhi dell'altro, quanto sconvolto o eccitato o disperato. Cercò di non concentrarsi sulla bellezza terribilmente evidente di Amir, né su quegli occhi color del miele, ma che quella sera apparivano scuri e ancora più intensi e perforanti del solito. Era desiderio e non era l'unico a sentirsi così dannatamente vulnerabile. Afferrò il volto di Amir e chiuse gli occhi, mentre si lasciava andare contro il suo corpo, di nuovo contro quelle labbra che aveva già assaporato e che gli avevano fatto desiderare di avere ancora di più.

Si perse, più cedeva a quella bocca, più si sentiva cadere in un vortice dal quale non era possibile risalire. Lo baciò con passione, gustando la morbidezza di quelle labbra carnose e perfette, la ruvidezza della lingua, la tensione dei muscoli di Amir contro il suo corpo. E voleva di più in un modo che non riusciva a spiegare, che era chiaro soltanto nella sua testa o forse nel suo petto.

Si ritrovò a spingere Amir verso i gradini, un'occhiata disperata ed eloquente che fece capire al più grande che era ora di tirare fuori le chiavi dell'auto. Yves era partito per primo, senza rendersene conto stringeva la mano di Amir nella sua e la lasciò soltanto quando furono in auto.

Ci fu un attimo di confusione, il suo cervello si era come inceppato nel ritrovarsi in un luogo chiuso, nella semioscurità della notte e con Amir lì accanto, intento a liberarlo del suo giubbotto. Nel frattempo continuava a lasciarsi andare a quei baci, solo appena consapevole di quelle mani che lo stavano privando di più di qualche indumento.

E adesso? Adesso cosa devo fare?

Panico. Non ne aveva idea e non sapeva se dirlo o tacere.

"Ti va bene se faccio una cosa che voglio fare da tempo?"

Amir si era fermato e la sua domanda sembrò aleggiare nel silenzio dell'abitacolo per molto tempo. Yves tornò a fissarlo, senza rendersene conto si era irrigidito ancora una volta e sapeva che quel gesto non doveva essere passato inosservato.

"F-fare cosa?" chiese a mezza voce.

"Se non ti piace o non vuoi mi fermo subito"

E poi Yves capì. Sentì la mano di Amir posarsi piano sulla sua coscia, per poi salire su lentamente, fino a massaggiare appena la sua erezione ancora coperta dal pantalone. Il piacere fu immediato. Annuì, perché non era in grado di mettere a voce quello che sentiva.

Chiuse gli occhi e provò a prepararsi per quello che sarebbe successo, ma sapeva di non avere abbastanza esperienza per poter capire. Era tutto nuovo, così forte e travolgente. Così spaventoso e allettante.

E Amir continuava ad accarezzarlo piano, fino a infilare le dita tra le cuciture del suo pigiama. Yves si sollevò piano, lo aiutò a liberarlo di quell'indumento, cercando, allo stesso tempo, di non perdersi un solo istante di tutto ciò che accadeva davanti ai suoi occhi.

Era ipnotizzato dalle mani di Amir sul suo corpo, dalle sue braccia toniche e abbronzate e, ancora di più, da quel viso completamente concentrato e ammaliato da ciò che vedeva. Le carezze si fecero più intense e, a quel punto, Yves iniziò a perdere il filo dei suoi pensieri. Era il suo corpo a comandare, le sue terminazioni nervose che si attivavano e sembravano andare a fuoco a ogni tocco.

Credeva che rimanere nudo lo avrebbe terrorizzato e invece era successo e lui non sentiva neanche il più piccolo senso di vergogna. Il piacere delle mani di Amir inglobava qualsiasi altra cosa. Lo stava toccando piano, con delicatezza, assecondando il ritmo dei suoi fianchi che non riusciva a smettere di muovere su e giù. Si sentì ansimare, mentre i massaggi di Amir si facevano più veloci e consistenti.

Poi una sensazione totalmente nuova. Di umido e un calore mai sperimentato. Aprì gli occhi giusto in tempo per vedere Amir scendere sulla sua erezione e prenderla in bocca.

"A-amir" Yves aveva sussurrato il suo nome e artigliato la spalla dell'altro per contenere quel piacere improvviso ed esplosivo.

Di cos'altro si era privato fino a quel momento? Quello fu l'unico pensiero sensato, sparso in una miriade di sensazioni spaventose che precedevano l'orgasmo. Yves lo sentì arrivare con la potenza divorante di un incendio inarrestabile. Aprì gli occhi e incontrò lo sguardo ammaliato di Amir fisso sul suo viso, e quello fu troppo.

Non poteva più resistere, né aveva idea di come si potesse resistere a qualcosa di così travolgente e spietato. Venne qualche istante dopo, e fu come esplodere in mille piccoli pezzi di puro piacere mai sperimentato prima.

Aveva il fiato corto e la vista appannata, mentre una strana sensazione, mai provata prima ma che poi riconobbe come appagamento, prendeva lentamente possesso di lui.

Sentì Amir dire qualcosa, forse credeva di averlo ucciso, ma Yves ebbe la forza di sollevare un pollice.

"Direi che ti è piaciuto"

"Direi che non sono cazzi tuoi" ebbe la forza di pronunciare il più piccolo, ancora fin troppo scosso da quella situazione ai limiti del surreale.

"Mi permetto di dissentire. Mi sembrava piuttosto mio prima" ribatté Amir con un tono tanto carezzevole e sensuale che Yves fu costretto a tacere.

"Dove vuoi andare? Devo riportarti a casa?"

Il francese annuì di getto. Era ancora fin troppo sconvolto e stordito per percepire la tenerezza nel tono di Amir o il movimento lento dell'auto che tornava in strada. Riprendersi fu un procedimento graduale ed ebbe molto a che fare con l'aria fresca della sera. Yves mise il viso fuori dal finestrino e si lasciò accarezzare dal vento. Rimase in quel limbo per un po', totalmente assente dalla realtà, ancora perso in quella strana sensazione di pace post-orgasmo.

E poi si svegliò di colpo. Si voltò verso Amir con il cuore in gola e un'assurda sensazione allo stomaco.

"C-che cosa hai fatto?"

Amir era confuso "che cosa ho fatto in che senso?"

Aveva bevuto il suo ...

Yves non riusciva neanche a formulare quel pensiero, quindi metterlo a parole sembrava impossibile. Come aveva fatto a non notarlo immediatamente?

"S-sei un maiale." Disse di scatto, tanto che Amir fece per accostare, ma Yves gli intimò di continuare a guidare.

"Un maiale? Vuoi spiegarti?"

"Quello che hai fatto! Quello che hai fatto ... dopo"

Cristo, perché ne stava parlando?

"Dopo? Che ho fatto dopo? Ah ..." poi il viso di Amir passò dalla confusione alla realizzazione. Yves lo vide ridere di gusto.

"Che cazzo ridi? Non c'è niente da ridere. Sei un porco depravato"

"Cos'avrei dovuto fare? Farti sporcare tutto? E poi dicono faccia bene alla pelle. Non prenderla male. Era anche buono."

Quello era troppo, Yves si sentì andare a fuoco da cima a fondo e l'imbarazzo più cocente era nulla in confronto a quello che stava provando in quel preciso istante. Era orripilato e eccitato allo stesso tempo. Di nuovo.

"Yves?"

"Sta zitto, Amir. Hai già fatto abbastanza per stasera" disse in fretta il più piccolo. Nella sua mente contava i minuti che lo dividevano da casa sua.

"Beh, ti accontenti di poco allora. Non hai idea di quello che potrei farti se avessimo un po' più di tempo e se tu la smettessi di comportarti da bambino capriccioso"

Yves mandò giù quella battuta sfoggiando la sua migliore espressione impassibile, anche se dentro di sé era quasi sul punto di implodere. Cristo, Amir non poteva avere idea di quanto fosse impreparato a reagire di fronte a situazioni come quelle. Doveva dirglielo. Doveva trovare un modo per fargli capire che quella era stata la sua prima volta ... ma come? Parlare sembrava impossibile.

"Yves, va tutto bene?"

L'altro annuì seccamente. Era quasi a casa e quindi in un territorio protetto.

"Non mi pare. Credevo che ti andasse ..." continuò ancora Amir. Era preoccupato e nervoso adesso. Non poteva lasciarlo andar via senza assicurarsi di non avere esagerato.

"Voglio solo andare a dormire" mentì Yves. Chi diavolo avrebbe potuto dormire dopo quella notte? Non se lo sognava neanche.

"Se ho fatto qualcosa di sbagliato ..."

"Amir, non hai fatto niente di sbagliato. S-sono io che ..." perse le parole, poi prese fiato, "dicevi che stavi iniziando a conoscermi, no? Sai che ho dei problemi, altrimenti non sarei finito nelle stanze dell'Heros"

L'aveva detto e non poteva aggiungere altro. Erano arrivati a casa. Yves non era sicuro che le sue gambe lo avrebbero retto, ma provò comunque a mettersi in piedi, seguito ancora una volta da Amir. Erano entrambi l'uno di fronte all'altro e il volto cupo del più grande era un perfetto specchio di quelli che dovevano essere i suoi pensieri.

Yves si sentì colpevole e in errore. Voleva dirgli qualcosa, fare qualcosa ... ma, per quanto ne sentisse il bisogno, non si sarebbe mai sognato di avvicinarsi a lui in quel momento, non davanti casa sua. Persino stare lì con Amir lo metteva a disagio. E se suo padre si fosse svegliato? O Lydia? O Andrea?

Gli diede le spalle in fretta, "non venire più qui. Mi farò vedere io al locale ... è meglio"

"Quindi ti farai rivedere"

"Non è quello che ho detto?"

Non poteva vederlo, ma immaginò che Amir stesse sorridendo perché quando parlò sembrava già meno abbattuto.

"Buonanotte, Yves. Cerca di dormire un po', domani devi andare a scuola."

Arabo, frocio e anche un dannato comico.

__________________________


All'Hèrmes era finalmente giunto il silenzio, il locale era in chiusura e ormai gli ultimi clienti erano andati via.

Jean era ancora seduto al bancone, intento a sistemare alcuni documenti e gli ordini di alcolici, l'unica altra persona a fargli compagnia era Gael.

Il moro era rimasto al piano, aveva finito di esibirsi da qualche ora ma le sue mani continuavano a muoversi pigramente lungo i tasti.

Jean sollevò lo sguardo per un momento e lo portò in direzione dell'altro, un sorriso gli si schiuse tra le labbra mentre osservava quella scena. Il profilo delicato di Gael era illuminato appena dalle luci soffuse, sembrava totalmente perso nei suoi pensieri ma, allo stesso tempo, le mani si muovevano da sole creando quella melodia che ti racchiudeva come un bozzolo.

Il biondo si rese conto che avrebbe potuto stare ad ascoltarlo per ore, che in qualche modo quando erano insieme tutto il mondo si abbassava di volume. Tutte le ansie, i pensieri e i dubbi sembravano d'un tratto meno spaventosi quando c'era Gael.

Persino la sera dell'esibizione, nonostante non avessero provato, aveva improvvisato quei passi come se sapesse cosa fare, come se quella sintonia fosse naturale.

Alla fine si sollevò, era tardi e voleva dirgli che potevano andare, raccolse i fogli e si diresse verso il piano. Gael non si era accorto di niente, la musica proseguiva e lui teneva gli occhi socchiusi, a Jean parve un delitto disturbarlo, così si mise a sedere accanto al suo sgabello.

Solo dopo un'altra manciata di secondi, Gael si rese conto della presenza dell'altro e voltò la testa, concludendo la melodia.

"Ehi ..."

"Ehi" mormorò Jean, accennando un sorriso "non volevo interromperti ma sono le due del mattimo, dovremmo andare"

"Sul serio? Non me ne sono accorto" replicò Gael, ancora leggermente sovrappensiero.

"Non dovresti restare qui fino a quest'ora. Avresti dovuto staccare ore fa" gli ricordò " domani hai anche le lezioni al conservatorio, non serve che mi aspetti tutte le sere"

"Mi va" rispose in un sussurro.

Jean inclinò il capo, come a voler rendere il suo sguardo ancora più penetrante, come se cercasse di leggere oltre le parole di Gael.

"Non devi preoccuparti per me, io-"

Ma il biondo non terminò mai quella frase, le labbra di Gael furono sulle sue in una frazione di secondo. Jean non si rese conto pienamente di quello che stava accadendo in un primo momento, poi sentì sempre più chiaramente quel contatto, il profumo acre di Gael, mischiato al tabacco e il sapore delle labbra umide.

Il suo cuore cominciò a cavalcare senza sosta, non riuscì nemmeno a respirare fino a quando quel contatto si interruppe.

Gael si distanziò leggermente, mentre anche lui tentava di riprendere il controllo del proprio corpo e sedare il desiderio di tornare a sfiorare quelle labbra.

"Io ... perché ... tu" Jean era senza parole, sentiva le guance bruciare e il cuore continuava a tamburellargli nel petto.

Gael si rese conto di non riuscire a parlare, forse per la prima volta in vita sua era rimasto senza parole. Nessuna battuta sprezzante, né comicità o spiegazioni.

Cosa puoi mai dirgli? Forse che per un momento hai spento il cervello e ti sei abbandonato al tuo istinto? Cosa significa davvero?

"Gael" riprese Jean con un filo di voce "Lo sai che io ... non sono libero"

Quella frase procurò una scossa di irritazione lungo il corpo del moro che si irrigidì, spostando lo sguardo dall'altra parte.

"Cristo, e con chi hai una relazione? Con quel pezzo di merda che ti tratta come un oggetto?"

Altro silenzio.

Perché fai così? Anche tu non sei libero, non con Lèon in testa. Perchè gli stai complicando la vita?

Gael fremeva, non voleva ferire Jean ma allo stesso tempo non sopportava l'idea che uno come Gaspard si approfittasse di lui, che lo usasse.

Perché le brave persone finiscono sempre con i mostri?

"So che pensi che io sia debole" riprese ad un tratto Jean.

"Non lo penso, cazzo" lo interruppe all'istante " non capisci che è esattamente l'opposto?"

Quelle parole provocarono un nuovo sobbalzo da parte di Jean, mentre Gael riprendeva il discorso tornando a guardarlo con occhi seri e penetranti.

"Tu non sei debole, non è per questo che ... sono attratto da te" quell'ultima confessione venne fuori con fatica "sei forte, Jean. Coraggioso, temerario, intelligente e ostinato. Ricordo ancora quello che mi hai detto una volta: Sono quello che trova sempre un modo. E alla fine hai trovato un modo anche di spingermi ad aprirmi, di farmi parlare di cose che non avrei mai voluto condividere"

Non li voglio questi sentimenti ma non riesco a combatterli.

"Non hai idea di quanto tu sia straordinario e mi fa rabbia che ti lasci trattare in quel modo da una persona che non riconosce nemmeno chi ha davanti!" continuò " nemmeno io sono perfetto ma almeno sono qui, cazzo, ci provo. La mia testa è un casino, io lo sono ma ..."

Non terminò la frase, Jean fece uno scatto in avanti e lo aveva stretto in un forte abbraccio, affondando il viso nell'incavo del suo collo.

Gael ricambiò la stretta, infilando le dita fra i capelli ricci e morbidi del biondo, inspirando il suo profumo leggero.

"Non pretendo che ti dimentichi di lui o che smetti di provare ciò che provi da un giorno all'altro, so bene quanto certe persone sanno entrarti dentro. Ma voglio che tu lo sappia, che tu sappia che io sono qui e non me ne vado e che sei importante ... molto importante"

L'abbraccio si sciolse alla fine, Jean sentiva ancora le dita di Gael sfiorargli l'avambraccio e i loro sguardi si stavano ancora specchiando l'uno nell'altro.

"Sei importante anche tu" disse alla fine il biondo, sfiorando il volto di Gael con una carezza leggera "non voglio trascinarti in questo limbo con me"

"Ci sono già, Jean. Magari in due riusciremo a uscirne"

Questa volta entrambi i visi si avvicinarono, nessuno dei due ragazzi avrebbe potuto dire chi avesse cominciato per primo, ma un nuovo bacio prese vita da quel silenzio. Davanti al pianoforte, con la luce soffusa e il silenzio come cornice, quel secondo contatto sembrò più una promessa, come un segreto sussurrato nella notte.

Ricerca d'amore, di speranza, di rinascita, di un rifugio nel mondo reale, lontano dagli spettri della mente.

Quando il bacio si interruppe entrambi erano nuovamente senza fiato, toccò comunque a Gael parlare per primo, mentre a fatica si metteva in piedi.

"Coraggio, ti accompagno a casa"

Jean afferrò la sua mano e lo seguì senza esitare, senza interrompere quel contatto.

____________________

Jean si era disteso ma sapeva benissimo che sarebbe stato inutile anche solo provare a dormire quella notte.

Le immagini e le sensazioni di quello che era successo al locale erano impresse a fuoco nella sua mente. Ma cosa avrebbero portato? Lui cosa provava?

Stava bene con Gael, forse era davvero uno dei pochi rapporti nella sua vita che lo facevano sentire apposto con se stesso. Sentiva che l'altro teneva a lui, che lo rispettava.

Allora perchè devi essere così dannatamente masochista?

Jean non riusciva a dare una risposta a quella domanda, come al perché continuava a permettere a Gaspard di tornare nella sua vita quando gli faceva comodo, rendendo impossibile l'andare avanti.

Non ti ama, non ti amerà mai, allora cosa ti ostini ancora a vedere? Cosa deve farti ancora?

Jean si girò sul fianco e si sfiorò le labbra, quasi come se non credesse che quanto accaduto fosse reale. Un bacio, un bacio vero.

Nessuno lo baciava più da quasi un anno, da quando Gaspard era entrato nella sua vita e si era rifiutato categoricamente di concedergli un gesto di tale tenerezza.

E persino prima ...

Da quanto tempo un bacio non aveva il potere di farti sentire così? Da quanto tempo una persona non ti incatenava al suo sguardo e non ti dava la sensazione di vederti davvero?

Forse da quando era finita la sua storia più importante, quando Mathias se n'era andato ad inseguire il sogno che una volta era di entrambi, ma poi gli era stato precluso. Forse quel distacco e quella perdita lo aveva ferito più di quel coltello, il dolore di essere lasciato indietro e dimenticato.

E Gaspard non fa altro che perpetuare quel dolore e allo stesso tempo ti tiene al sicuro dal provarlo ancora.

Jean scosse la testa, infilandola sotto le coperte nel tentativo di mettere a tacere i suoi stessi pensieri, ancora agitato e tormentato.

ANGOLO AUTRICI:

Siamo tornate! Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto dopo una settimana di pausa, non vediamo l'ora di sentirvi e come sempre vi diamo appuntamento alla prossima settimana <3

Un abbraccio 

BlackSteel 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro