38. Proposito
Ferma volontà di compiere un'azione.
Andrea si era svegliato con un solo obiettivo quel giorno. Il suo era un progetto fin troppo lungimirante che, probabilmente, non avrebbe risolto nulla, ma che ormai voleva perseguire fino alla fine. Lanciò un ultimo sguardo alla pagina facebook del ragazzo, passando in rassegna le informazioni scarne sulla sua vita e, più di ogni altra cosa, cercò di imprimere a fuoco nella sua mente il volto di Emilien Lemaire. Yves non aveva mentito riguardo alla bellezza del ragazzo, ma ciò che colpì Andrea più di ogni altra cosa fu la brillantezza di quegli occhi azzurri e all'apparenza sinceri.
Così si diede coraggio e continuò ad addentrarsi nel campus universitario, chiedendosi a ogni passo se quell'idea non fosse stata la peggiore degli ultimi tempi. Che diritto aveva di irrompere nella vita di Emilien? Chi diavolo era lui per arrogarsi quella prerogativa? E soprattutto: cosa sperava da ottenere?
Quella domanda aveva una risposta semplice e concisa: Andrea voleva aiutare. L'idea gli era venuta in mente qualche giorno prima, mentre fissava la figura magra e nervosa del cugino a cena. Si era chiesto se ci fosse qualcuno al mondo in grado di potergli far scattare dentro una vera e propria reazione. E poi gli era tornato in mente quel nome ... quel ragazzino che insieme a Yves aveva vissuto l'inferno, ma che era riuscito a venirne fuori affrontando i propri demoni. Chi, più di Emilien, avrebbe potuto capire e aiutare Yves?
E così stai trascinando in questa storia un'altra povera vittima che probabilmente vuole solo dimenticare.
Ma Emilien era diverso dal cugino, continuava a ripetersi Andrea. Lui aveva denunciato. Era stato il primo a farlo e il suo coraggio era stato essenziale per gli altri ragazzi vittime di abusi che avevano testimoniato nei mesi successivi. Emilien non si era mai nascosto, aveva accusato i suoi carnefici e lo aveva fatto in interviste che avevano avuto una certa risonanza nei quotidiani parigini. Ecco perché trovarlo era stato così semplice per Andrea.
E adesso era lì, nell'ampio piazzale dell'Università Paris V, in cerca di quel ragazzo che secondo i suoi piani avrebbe potuto risolvere le cose.
Forse la sua era pura utopia, forse voleva solo appigliarsi a qualcosa pur di riempire quella vita che gli sembrava vuota e fuori rotta. Andrea aveva il presentimento che quella caccia all'uomo servisse più a lui che a Yves, ma non gli importava, dopotutto non aveva mai avuto paura di tentare.
Il suo piano era stato studiato con attenzione durante un'ora particolarmente noiosa di storia dell'arte. Partendo da un social, era riuscito ad arrivare al corso di studio e agli orari di Emilien. In quel preciso momento, in base ai calcoli di Andrea, il ragazzo doveva trovarsi esattamente al primo piano, nell'aula 5, a seguire psicologia generale che si sarebbe conclusa da lì a pochi minuti.
Così andò ad appoggiarsi al muro che dava sulla stanza. La porta era chiusa e Andrea continuava a ripetere tra sé e sé quella sorta di discorso che aveva preparato durante il suo viaggio di andata.
Sono Andrea Airaldi. Tu non mi conosci, ma sono il cugino di Yves Clairmont. Voglio che tu venga con me. Voglio che tu lo spinga a parlare di quello che è successo.
Cristo, quelle parole suonavano sempre peggio nella sua mente. Che diavolo stava facendo? Come poteva aspettarsi che un ragazzo potesse sistemare la vita di suo cugino con qualche chiacchiera e un po' di comprensione? Dopotutto non si frequentavano da anni quei due. Che legame poteva mai esserci? E soprattutto, Andrea sapeva che Yves avrebbe preso malissimo quell'ennesima intromissione nella sua vita.
E allora? Aveva fatto un'ora di strada per parlare con quel ragazzo e ormai era tardi per farsi prendere dall'ansia.
Andrea era ancora nel bel pieno di quel conflitto interno quando vide la porta dell'aula aprirsi e i ragazzi riversarsi nel corridoio. Li fissò a uno a uno, in cerca di quel viso che avrebbe riconosciuto senza alcun dubbio.
Forse non c'è. Forse il suo profilo non è aggiornato o forse hai fatto male i tuoi calcoli.
E invece no. Emilien venne fuori per ultimo e Andrea realizzò che le foto postate sui social non rendevano giustizia alla sua bellezza reale. Si riprese in fretta dalla sorpresa e seguì il ragazzo lungo il corridoio della facoltà. Emilien si stava dirigendo verso l'esterno del campus, vicino a quello che doveva essere il professore del corso con cui chiacchierava animatamente. Andrea non li perdeva di vista, doveva trovare il momento adatto per avvicinarsi a lui, ma allo stesso tempo stava iniziando a mettere in dubbio l'approccio che aveva stabilito quella mattina.
Era fuori adesso, lo vide salutare l'uomo per poi proseguire verso la fermata degli autobus accanto al campus.
Ora o mai più.
Andrea tirò fuori una sigaretta e, senza sapere bene cosa fare, si accostò a lui. Venne investito dalla profondità degli occhi più azzurri e belli che avesse mai visto.
"Ehi, hai da accendere?" Andrea provò a sorridere, ancora stordito da quello sguardo.
Il ragazzo scosse la testa "no, non fumo. Mi dispiace"
"Ti dispiace? È la tua fortuna, amico" lo prese in giro l'italiano. Emilien aveva una bella voce e l'aria amichevole e allo stesso tempo confusa di chi era appena stato avvicinato da uno sconosciuto.
"Oh, hai capito cosa intendevo dire" rispose il biondo, adesso mostrando dei denti bianchi e regolari. Si era fermato tra la folla di gente in attesa dell'autobus e stava tirando fuori il cellulare.
Quella conversazione non poteva morire lì, ma l'intenzione di presentarsi come il cugino di Yves Clairmont non era la scelta migliore, si rese conto Andrea. Aveva bisogno di stabilire una sorta di rapporto amichevole prima di sganciare la bomba che avrebbe messo Emilien sulla difensiva.
"Tu frequenti qui? Stavo facendo un giro nei dintorni. Sai, sono all'ultimo anno di scuola e a quanto pare si parla già di orientamento per la scelta dell'università" disse in fretta l'italiano, cercando di dare un senso a qualsiasi cosa stesse provando a fare.
"Sì, sono al primo anno di psicologia. Tu dove sei iscritto?"
"Alla Saint-Anthèlme" e Andrea non riuscì a nascondere il disappunto nella voce. Emilien sorrise.
"Beh, quelli che vengono fuori dalla Saint-Anthèlme non prendono neanche in considerazione la Paris-Descartes. Solitamente finiscono alla Sorbonne o in una qualche università esclusiva americana. Noi non siamo abbastanza per voi" stavolta fu il francese a prendere in giro l'altro.
"Davvero? Mi sono trasferito qui da poco, non ho idea di come funzioni, in realtà" ammise il moro, sotto lo sguardo adesso meno guardingo di Emilien.
"Già, hai un accento particolare. Italiano o spagnolo?" provò a tentare.
"Italiano. Mi hai beccato!" Andrea rise forte, si sentiva stranamente agitato, mentre cercava di assicurarsi la fiducia di quel ragazzo senza tradirsi troppo. Cosa diavolo stava facendo?
"E che ci fai qui? Voglio dire, non che io abbia qualcosa in contrario ... era più una curiosità" si assicurò a precisare Emilien e Andrea scoppiò di nuovo a ridere di fronte al lieve impaccio in cui era finito il suo interlocutore. Cristo, era così diverso da Yves. Ma d'altronde cosa si aspettava?
"Al momento vivo dai miei zii. Mio padre ha deciso che dovevo cambiare aria, per cui eccomi in Francia" ammise Andrea. Avrebbe detto la verità su quel punto, decise.
"Mi dispiace, ti mancheranno parecchio i tuoi amici"
"Mi manca più il caffè. E la pasta, a dirla tutta"
Il biondo rise e scosse la testa, "la cucina francese non è da meno, te lo assicuro"
"Opinabile"
"Tutto è opinabile" ribatté ancora Emilien, sotto lo sguardo attento e divertito di Andrea.
"Non la cucina italiana, amico mio. Quella non è opinabile. Hai mai mangiato un'amatriciana come si deve? Scommetto di no. Beh, è tutta un'altra storia" si era fatto più vicino e adesso vedeva chiaramente le piccole efelidi sparse sul naso piccolo all'insù proporzionato dell'altro. Era poco più basso di lui e adesso sembrava più o meno a suo agio finalmente.
"Forse perché non hai mai provato la fonduta di mio padre. Anzi, per farti ricredere voglio suggerirti un paio di ristoranti dove cucinano come si deve. Mangerai i piatti tipici francesi più buoni della zona. Puoi segnarteli?"
Andrea tirò fuori il telefono con uno strano gorgoglio allo stomaco. Insieme ai nomi dei ristoranti avrebbe fatto bene a chiedere anche il suo numero di telefono. Bastò un altro sguardo su quel viso serafico per fargli capire che doveva avere quel numero a tutti i costi.
Segnò i nomi dei locali senza smettere di fissare il volto concentrato e terribilmente espressivo di Emilien. Lui invece si era zittito, sembrava un idiota incapace di capire cosa fare. Fu l'arrivo dell'autobus a svegliarlo definitivamente.
"È il mio. Devo andare" proruppe Emilien, mentre si accodava alla fila di gente pronta a salire su.
"Non mi hai detto come ti chiami" disse in fretta Andrea.
"Emilien Lemaire. Con chi ho avuto il piacere di parlare?" chiese di rimando il biondo, quasi inghiottito tra la folla di gente che andava e veniva.
"Andrea. Sono Andrea" ci fu un attimo di scompiglio durante il quale Emilien tirò fuori il suo biglietto per l'autobus.
"È stato un piacere. Buona fortuna con la scuola"
"Aspetta, in realtà volevo saperne di più sulla tua facoltà ... e anche su di te" il moro parlò in fretta. Erano entrambi troppo vicini alla porta dell'autobus e la sua ultima uscita era stata fin troppo audace, perché vide l'altro incupirsi in fretta.
"Non ho molto tempo."
"Solo quando puoi, se ti va. Posso raggiungerti qui quando non sono a scuola."
Che approccio patetico. Ti sei bevuto il cervello, Andrea.
Per un attimo sentì l'anticipazione di un rifiuto nell'aria, ma poi, proprio mentre Emilien stava ormai per salire sull'autobus, Andrea lo vide voltarsi ancora una volta verso di lui. Lo fissò con grande serietà, come a soppesarlo.
"Dopodomani sarò ancora qui allo stesso orario. Posso farti vedere la facoltà e spiegarti come funziona"
L'italiano non si era reso conto di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo.
"Va benissimo. Troverò il modo di sdebitarmi"
"Non serve."
Emilien lo salutò con un ultimo sorriso mesto. E fu in quel preciso istante che Andrea realizzò quanto il suo piano facesse schifo sotto ogni punto di vista.
____________________
Le dita di Manech si muovevano rapidissime lungo le corde del violino, la mano che reggeva l'archetto saettava e il battito cardiaco accelerava, ormai preda del ritmo frenetico del Volo del Calabrone, di Rimskij-Korsakov.
Non aveva scelto casualmente quel pezzo, il moro sentiva che quella musica frenetica in qualche modo rispecchiava il suo stato d'animo, come si sentiva, soprattutto in quel momento.
Sapeva che Gaspard era lì e, quando il pezzo terminò ed incrociò lo sguardo del biondo fra la folla, il suo cuore non rallentò.
Fece un breve inchino e poi lasciò il palco per dirigersi con passo sicuro verso gli sgabelli del bar, Gaspard lo stava già aspettando con la solita birra.
"Pezzo interessante" disse, accennando un sorriso.
"Il volo del calabrone" replicò "è il primo pezzo che ho sentito in vita mia, lo suonava un violinista in un concerto che davano in tv. È stato tutto un caso assurdo, io che da bambino faccio zapping e finisco per vedere quell'assolo."
"E cambia tutto"
"Già, mi sono innamorato di quel suono, di quella destrezza" rise " ho tormentato i miei finchè non mi hanno comprato il violino e mi hanno iscritto al primo corso di musica"
"E adesso suoni quel pezzo, deve essere una bella sensazione"
"Lo è" ammise, lanciando poi uno sguardo dritto negli occhi di Gaspard che ricambiò.
Manech avrebbe voluto aggiungere altro, avrebbe voluto dire che essere guardato da quegli occhi quando si esibiva era dannatamente bello. Che quando suonava in quel locale, suonava per lui, perché aveva la sensazione che nessun altro avrebbe mai potuto capire la musica come faceva Gaspard.
Ma, allo stesso tempo, temeva la reazione a simili esternazioni, temeva quello che si nascondeva in quei silenzi e in quegli occhi così indecifrabili.
Tacque, limitandosi a scivolare nello sgabello e sfiorare il ginocchio di Gaspard con il proprio. Un contatto lieve ma di cui Manech non voleva privarsi, lo vide portare lo sguardo prima in basso e poi nuovamente dritto nei suoi occhi.
"Ti do uno strappo a casa"
Non era una domanda anche se forse avrebbe dovuto esserlo, Manech annuì comunque, mentre si sollevava e seguiva l'altro frettolosamente verso l'uscita del locale.
Camminarono per poco tempo, l'auto era dietro il palazzo e i due salirono in fretta, una volta nell'abitacolo ci fu un momento di silenzio.
La tensione dentro Manech stava salendo sempre di più ma prima che potesse dire altro, Gaspard aveva messo in moto, dirigendosi verso quella meta che ormai conosceva bene.
Perchè non gli dici che vuoi di più e basta?
Si chiese tra sé il moro.
Di cosa hai paura? Perchè non gli dici che non puoi trattenerti, che non vuoi fare finta di niente.
La macchina si fermò e un brivido percorse la schiena di Manech, erano sotto casa sua ed il rombo leggero del motore faceva da sottofondo a quel silenzio ormai assordante.
"Sali"
Era stato Manech questa volta a parlare in modo secco, senza lasciare spazio per una domanda.
"Non essere sciocco" mormorò quello, badando a non incrociare il suo sguardo " c'è tua madre di sopra"
"Sta dormendo e uscirà presto domani mattina perchè ha una riunione con gli insegnanti." replicò.
Gaspard stava ancora esitando ed entrambi sapevano bene che non era la presenza della donna il vero ostacolo di quella proposta.
Accettare l'ennesimo invito stava cominciando a dire qualcosa, inequivocabilmente, sera dopo sera.
A quel punto Manech si mosse, sporgendosi verso il guidatore e catturando le labbra in un bacio intenso e profondo. Gaspard lasciò la presa sul volante e si ritrovò ad accarezzare volto del moro, sfiorando i capelli con le dita.
L'altro continuò ad approfondire il bacio, fino a quando non rimasero entrambi senza fiato e dovettero staccarsi, in quel momento Manech compì un gesto rapido e spense il motore, sfilando le chiavi.
"Manech" il tono di voce di Gaspard era basso, non tanto minaccioso quanto volesse apparire.
"Se le vuoi, devi venire a prenderle" replicò l'altro, sfilandosi dalla presa del biondo e scendendo dall'auto.
Gaspard inspirò facendo trasparire della frustrazione, non tanto per quel gesto, ma per quello che avrebbe significato. Lasciò l'interno dell'auto e fronteggiò Manech che era davanti al portone del palazzo, fece scattare la serratura premendo sul telecomando e la macchina si chiuse all'istante.
Il biondo aveva ancora lo sguardo puntato su Manech che non si mosse mentre lo vedeva avanzare verso di lui.
Questa storia ti sta incasinando di brutto.
Gli ricordò una vocina nella testa, prima di ritrovarsi nuovamente a fronteggiare lo sguardo di Gaspard. Il moro non perse altro tempo, non si fece più domande, afferrò la mano dell'altro e lo trascinò dentro il palazzo, verso casa, in camera.
Sapeva che quello che stava succedendo era qualcosa, che significava qualcosa, ma non era in grado di porvi un freno e chiarire ad entrambi quello che stava accadendo. Non era in grado di fermare se stesso, di smettere di desiderare quel genere di attenzioni.
Manech chiuse la porta con un tonfo, mentre le labbra di Gaspard correvano lungo il collo. Lasciò cadere a terra il mazzo di chiavi che il biondo vide ma non recuperò, nessuno dei due voleva davvero essere da un'altra parte in quel momento, forse era quella la verità scomoda.
Nessuno dei due esitò mentre spogliava l'altro, mentre ne passava a rassegna il corpo o lottava giocosamente per la supremazia in quella danza erotica fra le lenzuola di cotone.
Manech era totalmente rilassato e appagato dal sentire Gaspard fra le gambe, tratteneva malamente i gemiti e l'ebbrezza che gli provocavano quei tocchi.
Era come se il biondo conoscesse tutto di lui ormai, ogni cosa che gli provocava piacere, ogni angolo che doveva stimolare, sia nel corpo che nella mente. Manech ebbe la chiara e terribile percezione che il sesso con Gaspard fosse più di quanto avesse mai fatto con chiunque, era più intimo, più incontrollato, più personale.
La mente di Gaspard era sgombra mentre si faceva strada nel corpo di Manech, quando annegava nel suo sguardo. Nonostante fosse impossibile da credere, per quei momenti che sembravano infiniti niente poteva turbare l'armonia di quella camera. Le angosce e i pensieri che lo divoravano ogni giorno venivano spazzati via da quegli occhi verdi e quel sorriso luminoso.
Libero, è così che ti fa sentire.
_____________________
Dopo che entrambi avevano raggiunto l'orgasmo era sceso un profondo silenzio nella camera, i corpi giacevano ancora l'uno contro l'altro.
La mano di Manech si era mossa per accarezzare piano la guancia di Gaspard mentre lui osservava il moro con occhi assenti.
Ancora quello sguardo.
Manech non potè fare a meno di pensarci, di sentire un lieve disagio vedendolo in quelle condizioni.
A cosa pensi? Come stai?
Era quello che avrebbe voluto chiedere ma si trovò ancora una volta ad esitare, si detestò per quello. Da quando si faceva certi scrupoli? Da quando un confronto lo intimidiva?
Non sei così, tu hai bisogno di risposte, prenditele.
Manech inspirò e con fatica diede voce a quei pensieri che lo avevano ossessionato negli ultimi giorni.
"A cosa pensi adesso?"
"Come?" mormorò l'altro, mentre si destava quasi da un sogno.
"Mi chiedo spesso, a cosa pensi quando mi guardi così?" domandò con voce più sicura.
Gaspard si sollevò a sedere recuperando l'accendino e una sigaretta e allo stesso tempo conquistando dello spazio fra sé e Manech.
"Mi ricordi una persona, a volte mi chiedo come sarebbe vedere il mondo con i tuoi occhi"
"Non mi dirai chi è questa persona?"
Altro silenzio mentre il biondo aveva cominciato ad aspirare il fumo dalla sigaretta, puntando lo sguardo verso la finestra.
Manech a quel punto si sollevò a sua volta, accostandosi a lui e con un gesto rapido gli rubò il cilindro, portandolo alle labbra.
"Sai, una volta mi hai detto che per te il mondo è marcio" gli ricordò "ma in certi momenti, riesci a vederne ancora la bellezza. Che la mia musica te ne mostra un pò" continuò mentre l'attenzione di Gaspard era ormai totalmente su di lui "forse è quello che puoi provare a fare, fissare quello spiraglio di bellezza con tutte le tue forze e godertelo. Io faccio così, per quanto la vita sia complicata e brutale, tengo lo sguardo fisso su quello che mi fa stare bene"
"È un modo rischioso di vivere" gli fece notare "perdi di vista il resto, ma il resto non perde di vista te. Finiranno per ferirti, tutte le conseguenze a cui tu non dai peso"
"Ma ho una sola vita, Gaspard. Cosa me ne faccio se ho paura di viverla?"
A quel punto tornò il silenzio, i due se ne stavano seduti sul letto, nudi, vicini ma allo stesso tempo distanti, come se stessero soppesando l'altro accuratamente. Fu ancora Manech a muoversi per primo, spense la sigaretta contro il posacenere sul comodino e poi poggiò la mano sull'addome di Gaspard.
"Non dirmi che io faccio parte della tua visione di bellezza, Manech, non sono niente di quello che vedi" disse Gaspard ad un tratto, con tono quasi sprezzante, come se quell'eventualità fosse ridicola, oltre che rischiosa.
Manech non si lasciò turbare da quelle parole "nella mia visione ci metto quel che cazzo mi pare" commentò da prima serio e poi lasciandosi andare in una fragorosa risata.
Anche il biondo si unì a lui, scuotendo la testa ma tornando a fissarlo dritto negli occhi.
"Resti?" chiese poi Manech puntando lo sguardo verso il mazzo di chiavi ancora a terra "non ti sto obbligando"
Ancora un lungo silenzio e il moro si maledì per aver fatto quella domanda anche se allo stesso tempo aveva bisogno di capire qualcosa. Tramite qualsiasi azione o decisione, anche il più piccolo gesto. Qualsiasi cosa gli avrebbe fatto credere che quello fosse reale.
Gaspard ignorò totalmente quella domanda e non seguì lo sguardo di Manech verso le chiavi, fece finta che non fossero nemmeno lì.
Si sdraiò sul letto, poggiando la testa sul cuscino e puntando gli occhi verso le mensole stracolme che adornavano la camera di Manech.
"Da dove arriva tutta questa roba?" chiese poi, come se nulla fosse.
Manech restò basito per qualche istante, ma capì subito cosa significava quel gesto.
Rimane.
"Sono dei souvenir, me li porta mio padre da tutti i posti che visita durante i suoi viaggi" rispose sdraiandosi accanto a Gaspard.
"Pilota di aerei?"
"Pilota di tir" lo corresse ridendo "spiacente, la mia famiglia ha le ginocchia immerse nel ceto medio. Non siamo tutti figli di illustri membri della politica nazionale"
A quel punto lo sguardo di Gaspard tornò cupo "fidati, è molto meglio così"
Manech ricordò quello che aveva letto di Gaspard e della madre e si chiese quanto tutti quei discorsi avessero a che fare con quello. Non disse nulla a voce alta, si limitò a stringersi ancora a Gaspard, intrecciando le loro gambe e lasciandosi cullare dal suo respiro.
_____________________
Quando Manech riaprì gli occhi si rese conto che erano le dieci del mattino, si stiracchiò per un istante prima di rendersi conto di quanto era successo la sera prima.
Poi il ricordo di Gaspard nel suo letto lo fece sobbalzare, si guardò intorno e, a una prima occhiata, non sembrava esserci traccia di lui, solo dopo notò che i suoi vestiti invece erano ancora lì.
A quel punto si accorse di un altro rumore e la porta nel bagno della camera si aprì, rivelando la figura del biondo coperto a fatica con un telo da doccia e con i capelli bagnati pettinati all'indietro.
Manech trattenne il respiro per un secondo, era davvero bellissimo, gli occhi indugiarono fin troppo su quel corpo tonico mentre Gaspard passava davanti a lui come se nulla fosse, recuperando gli indumenti.
"Ho fatto una doccia" disse, cominciando a rivestirsi.
"Non c'è problema ..." replicò, mentre continuava a studiare ogni minimo movimento dell'altro "posso tentarti con una banalissima colazione casalinga?"
Gaspard gli dedicò un'occhiata parecchio intensa, terminò di vestirsi mentre Manech era ancora sdraiato nudo nel letto.
"Mi lascerei tentare se la mia presenza non fosse richiesta altrove, devo vedere Yves per colazione"
Manech capì che a quel punto avrebbe dovuto davvero lasciarlo andare, così si sollevò, indossando un paio di pantaloncini.
"Ti accompagno"
I due si incamminarono lungo il corridoio stretto che portava all'ingresso, mentre oltrepassavano la porta della cucina vennero intercettati dallo sguardo sgomento di Lucille.
"Lui non lo sa, vero?" chiese poi Manech, mentre apriva la porta "Yves intendo"
"Non lo sa"
"Beh, io non glielo dirò. Non pensare che ti metterei nei casini con il tuo amico, tutta quella storia è chiusa."
Gaspard dedicò a Manech un'altra lunga occhiata e poi fu lui a catturare le labbra del moro in un bacio breve ma intenso.
"Ci vediamo"
E sparì lungo le scale.
A Manech servì ancora qualche minuto per riprendersi da tutto quello che aveva vissuto nelle ultime ore. Chiuse la porta e inspirò, sarebbe stato meglio iniziare da un buon caffè.
Varcò la soglia della cucina e fu subito fulminato dallo sguardo di Lucille che non aveva abbandonato il posto a tavola, troppo desiderosa di spiegazioni.
"Di nuovo qui? Fammi capire, ti vedi con lui?" chiese senza attendere oltre.
Manech la ignorò, andando a riempire la sua tazza.
"Non rispondi? Andiamo, fortuna che ero io a dover stare attenta a certe compagnie"
"Lucille, perchè non continui a ignorarmi come hai fatto negli ultimi mesi? Non capisco il perché tu mi stai rivolgendo la parola" disse il fratello.
Scosse la testa "trovo che sia tutto assurdo, cadi sempre in piedi. Ci vai persino a letto con uno come Gaspard"
"Uno come Gaspard?" ripeté senza capire.
"Dio, svegliati. È il ragazzo più ambito della scuola, non ha mai filato nessuno e praticamente parla solo con Victoria e Yves. E poi arrivi tu e lo conquisti, che diavolo hai che tutti gli altri non hanno?"
"Forse mi manca la puzza sotto al naso che vedo essere venuta anche a te, alla fine" gli fece notare Manech "e se magari riesci a non spiattellare questa cosa ai quattro venti te ne sarei grato"
"Perché?" chiese con tono divertito l'altra "sei il suo amante segreto? Essere lo zimbello della scuola non paga, a lungo andare"
Manech non riusciva a capire cosa avesse trasformato sua sorella in quella donna così arrogante e sprezzante. Sembrava che avesse dato in pegno la sua bontà per essere accettata dalle altre ragazze e che quella vita la stesse in qualche modo consumando.
"Sono solo me stesso, Lu"
"E questo sembra sempre bastare" disse lei con rabbia.
Manech rimase di nuovo spiazzato, la vide sollevarsi e uscire dalla cucina mentre lui non sapeva cosa dire. Forse anche la sorella stava combattendo delle dure battaglie, nonostante sembrasse che la sua vita procedesse bene. Manech avrebbe solo voluto sapere quali fossero, avrebbe voluto proteggerla e aiutarla, ma a quanto sembrava, Lucille non era disposta a permetterglielo.
ANGOLO AUTRICI:
E mentre i legami si stringono più di quanto qualcuno sia disposto ad ammettere ... Andrea è tornato in pista XD incapace di farsi i fatti suoi, questa volta ha un nuovo obbiettivo, che cosa implicherà la conoscenza del misterioso Emilien? A voi le teorie, ci rivediamo la settimana dopo quella di ferragosto. Ci sarà una settimana di pausa il 14 <3 a presto
BLACKSTEEL
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro