36. Perdono
Atto di umanità e generosità che induce all'annullamento di qualsiasi desiderio di vendetta, di rivalsa, di punizione.
Jean aveva lasciato il locale leggermente sulle spine, vedere Amir così melanconico lo preoccupava, soprattutto perché sapeva che non avrebbe potuto fare nulla per aiutarlo. Per quanto potesse sembrare incredibile, Amir era una persona fin troppo gentile, dal suo punto di vista, forse era per quello che si erano sempre capiti così bene.
Jean non fece in tempo a formulare degli altri pensieri su quanto aveva lasciato nel locale, perché a pochi passi dall'ingresso qualcuno lo stava aspettando.
Gael era lì e questo fece arrestare per un momento il suo passo, si irrigidì, l'altro gli lanciò un'occhiata fugace, quasi imbarazzata.
Alla fine si riscosse e procedette lungo il tragitto, pronto a superare il moro senza nemmeno rivolgergli la parola, ma quello fece un passo in avanti.
"Ehi" mormorò quasi in un sussurro.
Jean lo scrutò per qualche istante, poi notò che gli stava porgendo una busta.
"Ti ho riportato il pantalone"
Poi tornò il silenzio, finchè Jean non si spazientì e afferrò la borsa "se è solo questo, buona serata"
Si mosse pronto ad andare via, ma Gael lo afferrò per un braccio "aspetta, ti prego. Non è solo questo, sono un coglione"
Jean si voltò, fissando il viso tirato e pallido, le leggere occhiaie che aveva di solito sembravano dei solchi scavati con prepotenza.
"Sto già vivendo un rapporto incasinato" disse Jean a denti stretti "sto già ingoiando parecchi rospi e continuo a chiedermi il perché e quando mi stancherò di farmi umiliare. Per cui non ho intenzione di accollarmi l'ennesimo rapporto di merda" mise in chiaro "ti ho considerato mio amico, una persona con cui confidarmi, con cui mi sono aperto, cazzo. Mi sono fidato di te, ma se è questo quello che otterrò quando cercherò di stabilire un minimo contatto, allora ti dico di parlare chiaro adesso"
Gael strinse i pugni, aveva così tante parole incastrate in gola, ma allo stesso tempo non riusciva a tirarle fuori. Fece un respiro e si avvicinò ancora di un passo a Jean, puntando i suoi occhi disperati in quelli del biondo.
"Posso accompagnarti a casa? Così parliamo"
Lo sguardo severo di Jean si addolcì e annuì mentre riprendeva il tragitto, questa volta seguito di Gael che tentava di fare ordine nella sua testa.
Dopo alcuni passi decise di prendere parola.
"Non volevo aggredirti in quel modo l'altra sera" ammise amaramente "e non credere che non mi sia importato di quello che mi hai raccontato o che non lo abbia ritenuto importante. Tutt'altro, mi ha ... colpito fin troppo"
Jean decise di non guardarlo, di rispettare quella distanza che si era creata fra loro e che serviva al moro per sentirsi più a suo agio.
"Mi hai detto di sparire" gli ricordò "è questo quello che devo aspettarmi da te quando provo a conoscerti meglio? Mi sono confidato perché non ti reputo una persona qualunque."
Gael sentì una stretta al petto "non ero pronto, non so se lo sarò mai, in effetti"
Jean inspirò " pronto per cosa?"
"A parlare di lui"
Il biondo a quel punto spostò lo sguardo con la coda dell'occhio per notare il volto cereo di Gael sbiancare ancora di più, come se qualcuno gli avesse dato un pugno sullo stomaco.
È questo allora, l'ennesimo dramma d'amore.
"So cosa significa vivere in una relazione difficile da gestire" cercò di incoraggiarlo "umiliazione, silenzi, lacrime e una cieca speranza che ci tiene legati al niente. Qualsiasi cosa tu abbia fatto o lui abbia fatto a te, non pensare mai che io ti giudicherei"
"Invece lo faresti, tutti lo farebbero" mormorò con tono sempre più flebile "sono un cazzo di mostro"
A quel punto Jean arrestò il passo e fissò Gael apertamente, afferrando una delle sue mani fredde fra le sue.
"No che non lo sei, dannazione!" sbottò "mi sei stato accanto, mi hai dato coraggio e mi hai tirato su di morale quando mi sentivo a pezzi. A te importa delle persone, il modo in cui suoni per gli altri e per te stesso fa trasparire chiaramente le tue emozioni e sono profonde!"
Gael era tornato rigido e aveva abbassato lo sguardo, ancora una volta con la gola piena di parole a cui non riusciva a dare voce.
Se era come sosteneva Jean, perché aveva permesso a Lèon di farlo?
Perchè non lo hai fermato? Perchè non gli hai detto che lo avresti amato comunque, che il mondo avrebbe perso troppo con la sua morte, che tu avresti perso troppo.
"Con lui ho perso una parte di me" sussurrò ad un tratto " una parte così dannatamente grande che mi chiedo quanto di me sia rimasto, certe volte, non so nemmeno più chi sono e cosa sto facendo"
"Quanto tempo è passato?"
"Due anni e se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire la sua voce che mi chiama" confessò amaramente.
"Gael ..."
"Si è ucciso" disse secco ad un tratto, lasciando Jean senza parole " si è tolto la vita perché io non sono stato in grado di mostrargli quanto valesse la pena vivere, quanto fosse importante che vivesse, mi sono arreso e basta ..."
Jean avanzò di un passo e stringe Gael in un abbraccio serrato mentre lui lasciava andare le sue lacrime mal trattenute.
"Non potevi mostrargli niente che non fosse disposto a vedere" mormorò il biondo rafforzando il più possibile la stretta.
Gael si sentì nuovamente un verme, non sarebbe mai riuscito a confessare a Jean i dettagli di quella morte, non quella sera almeno.
Cosa penserebbe di te se sapesse che hai aperto quella porta? Che di fronte ad un ragazzo ferito, come lo è Jean, non hai visto speranza per lui, ma solo rovina?
Chiuse gli occhi, stringendoli forte mentre le lacrime non si fermavano.
Penserebbe che è così che lo vedi, uno che farebbe meglio a togliersi di torno.
Perfezione o morte.
"Gael"
Il moro si era distolto da quei pensieri atroci quando aveva nuovamente sentito la voce di Jean, si era un po' scostato e il biondo gli aveva preso il viso fra le mani, asciugandosi le lacrime.
"Mi dispiace" disse alla fine " volevo solo mettere le cose a posto fra noi, non riempirti la giacca di moccio"
L'altro rise, scuotendo la testa e dedicandogli il suo solito sorriso comprensivo " lo hai fatto, sta tranquillo. Hai messo le cose a posto."
"Davvero?"
"Davvero" concordò "proprio per questo non posso abbandonare un amico in difficoltà. Per stasera resti da me"
Gael rimase per un attimo senza parole ma poi si riprese " penso di averti seccato abbastanza, Jean. Davvero, sono contento di aver chiarito, posso tornare a casa"
L'altro lo acchiappò per una mano, stringendola saldamente "ho forse detto che era una proposta? Scusa, errore mio. Riformulo: vieni con me o trascino il tuo culo per i prossimi due isolati"
Non sapeva come fosse possibile, ma il sorriso e la dolcezza di Jean gli erano entrati dentro, tanto da far apparire anche sulle sue labbra la stessa espressione.
Dopo aver parlato di lui come mai aveva fatto con qualcuno, adesso non stava scappando, si era arreso, lasciandosi trascinare lungo la via.
"Come ti pare, tigre" disse alla fine, mentre stringeva più saldamente la mano di Jean nella sua.
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Lucille si era preparata per quella serata badando bene a non attirare l'attenzione di sua madre e di Manech. Era arrivato il momento tanto atteso. Dopo giorni di preparativi e negoziazioni, alla fine le sue compagne erano riuscite ad organizzare un festino.
La ragazza scese le scale del palazzo e cominciò a camminare con passo svelto, sentiva una punta di nervosismo dentro, ma non voleva assolutamente darlo a vedere.
Andrà bene, è tutto sotto controllo.
Glielo avevano assicurato, aveva avuto la lista dei clienti presenti a quella serata e ne conosceva la maggior parte. Erano stati alle feste di Victoria, alcuni li aveva accompagnati lei stessa, non avrebbe corso rischi, o almeno così sperava.
Di certo non c'era un numero da chiamare per le emergenze, nessuno che sarebbe accorso a salvarla o a tirarla fuori da qualche guaio.
Il trio era stato chiaro, qualsiasi attività lontana dalla loro approvazione e organizzazione non gli sarebbe riguardata.
L'ansia però cominciò a scemare appena Lucille vide la limousine parcheggiata non lontano dal loro punto di incontro. Salì a bordo e i volti familiari delle sue amiche le diedero il coraggio che le mancava, insieme ad un bicchiere di champagne.
"Pronta?" chiese una di loro.
"Si, ma mi sento un po' nervosa" confessò bevendo.
"E perché mai? Andrà alla grande. Per la prima volta faremo un lavoro completamente libere di sperimentare quello che ci pare" disse l'altra "senza orari, senza sorveglianza o protocolli, niente intermediari. Usciremo da quell'Hotel piene di soldi"
"D'altronde siamo noi le star, è noi che pagano e siamo noi quello che vogliono" commentò Rose "Victoria e Gaspard si prendevano tutto il merito e gran parte del denaro. Da sole guadagneremo il triplo, vedrai"
"Ben detto"
"Ad un nuovo passo verso l'indipendenza e a qualsiasi altra cazzo di cosa abbiamo voglia di ottenere" esclamò Rose.
"A noi, puttanelle!"
I bicchieri tintinnarono tra le risate generali, mentre il liquore scendeva veloce nella gola delle ragazze e l'autista si accostava davanti ad un Hotel di lusso.
Il gruppo scese e, a quel punto, dentro Lucille non c'era più traccia di preoccupazione o nervosismo, ma solo il brivido familiare dell'ignoto.
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Le ampie vetrate dell'ala Denon lasciavano intravedere il solito via vai di gente che affluiva all'interno del Museo del Louvre. Yves era rimasto lì per parecchio tempo, apparentemente impegnato nella contemplazione di quel paesaggio che conosceva fin troppo bene. Non era raro per lui passare da lì, dopotutto l'ala dedicata alle pitture italiane e spagnole era da sempre stata la sua preferita. Peccato che neanche la bellezza dell'arte che lo circondava riusciva ad attenuare il modo in cui si sentiva da quando aveva varcato la soglia dell'Heros.
E dentro di lui c'era il caos più totale. Era come se il suo stomaco fosse stato tenuto in ostaggio da un torturatore particolarmente sadico, che amava giocare con le sue interiora. Non era solo dolore, rifletté Yves, era come un viaggio sulle montagne russe, come il vuoto che si sente tra una discesa ripidissima e una salita altrettanto spaventosa.
Ed era stato Amir a fargli quello.
Quel pensiero non gli piaceva, lo aveva evitato per ore, aveva cercato di aggirarlo in ogni modo possibile e immaginabile, ma alla fine ne era stato travolto.
Yves si portò inavvertitamente una mano allo stomaco, mentre veniva assalito da un nuovo sentimento di rabbia che sfociava in vergogna e finiva per mescolarsi con la sensazione più preoccupante tra tutte, cioè il desiderio.
Era così e ormai era evidente perché tutto il suo corpo non faceva altro che urlargli quella verità.
Potevi essere libero. Dopo un mese di terrore e incertezze potevi finalmente tornare a vivere. Invece cosa hai fatto? Sei andato a gettare la tua dignità ai piedi del primo per cui pensi di provare qualcosa.
Provare qualcosa ... Yves rabbrividiva al solo pensiero della follia in cui la sua mente sembrava essere caduta. Lui non poteva provare qualcosa, non per un uomo soprattutto ... eppure erano andato lì, aveva parlato con lui e alla fine aveva compiuto quel dannato passo verso l'ignoto.
E lui ti ha rifiutato.
Vergogna. Dolore. Yves si sentiva sul punto di esplodere tutte le volte che gli tornavano in testa i flash della sera prima. Voleva sotterrarsi con le sue stesse mani e rimanere nel buio e lontano da tutti per il resto della sua vita.
Come aveva potuto? Perché lo aveva fatto? Era impazzito. Non c'era altra spiegazione. E cosa avrebbe fatto adesso? Con che coraggio avrebbe guardato Amir dopo che si era mostrato a lui in tutta la sua debolezza e inconsistenza?
Sei patetico.
"Interrompo qualcosa?"
La voce bassa di Gaspard lo raggiunse, frapponendosi tra i suoi pensieri sconnessi. Il suo amico era a pochi passi da lui, intento ad osservare un quadro alle spalle di Yves. Il moro si riscosse e si costrinse a cacciare via quell'espressione mortificata che pensava di avere in viso. Gaspard era lì per una ragione e l'altro avrebbe fatto meglio a concentrarsi su quello che contava davvero.
"No, ero solo sovrappensiero. Non ti ho visto arrivare" ammise il moro, affiancandosi all'amico.
"Beh, avevi la sua stessa espressione" scherzò Gaspard, poi fece un cenno verso il volto afflitto di Gesù nel dipinto. Yves rise appena e scosse la testa.
"Gesù Cristo alla colonna" rincarò la dose il biondo, che si era avvicinato ulteriormente per leggere il titolo del quadro che i due stavano fissando, "lui sì che avrebbe più di qualche buon motivo per avercela con il mondo. Anche se, a tua discolpa, posso dire che Cristo non aveva mai avuto un cugino rompipalle come il tuo."
"Quello non è più un problema, a quanto pare. Ecco la novità" rispose Yves, piatto.
"Cosa?" Gaspard era chiaramente sorpreso, "cos'è successo?"
L'altro fece spallucce. Aveva pensato a mille modi diversi per affrontare quella conversazione con Gaspard, ma nessuno gli suonava accettabile. Che senso aveva fingere ormai? Il suo amico aveva visto parecchio del marcio che Yves aveva duramente tentato di nascondere.
"Ho dovuto raccontargli tutto. Ha saputo del processo e mi ha praticamente costretto a dirgli come sono andate le cose..." ammise il moro e non riusciva a guardare Gaspard negli occhi perché aveva una paura dannata di vedere quella compassione che tanto odiava.
"Sembra che il mio resoconto gli abbia fatto sviluppare una coscienza alla fine. Mi ha restituito le foto, ha detto che non le userà e che ha chiuso con questa storia" continuò in fretta Yves, con l'intento di non dare spazio a Gaspard per delle domande a cui non avrebbe voluto rispondere. Eppure il suo amico non era come gli altri. Non avrebbe chiesto, non lo avrebbe messo in difficoltà.
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto soltanto dal chiacchiericcio concitato dei visitatori eccitati. Yves poteva quasi sentire gli ingranaggi lavorare nella mente di Gaspard. Sapeva quali domande si stesse ponendo in quel preciso istante, in fondo erano le stesse che si era chiesto anche lui poco tempo prima.
"Senti, mi sembrava sincero ieri, anche se so già come può sembrare la cosa. Non possiamo fidarci al cento per cento, però è un passo avanti, no? Forse possiamo far ripartire gli affari ... magari in sordina, giusto per iniziare a recuperare un po' di denaro. Terremo fuori Lucille e le ragazze con meno esperienza stavolta, probabilmente sarebbe meglio lasciar perdere completamente quelle della Saint-Anthèlme per adesso."
Gaspard era ancora in silenzio, impantanato in quel passato che Yves non aveva mai voluto portare alla luce con nessuno. Nessuno prima di quel momento. Quanto doveva essere stato difficile per lui parlarne con qualcuno? E quanto doveva far male quella verità per far crollare uno come Andrea?
"Gaspard?"
"Scusami, stavo cercando di riprendermi da tutte queste sorprese" disse il biondo, scacciando via il resto in fretta.
"Ha anche aggiunto che Manech voleva smettere da tempo" qui le labbra di Yves si incresparono in un'espressione di puro fastidio. L'idea che quei due sapessero ogni cosa che lo riguardava era spaventosa. Si sentiva dannatamente nudo e inerme perfino adesso.
"Non vedo perché Andrea dovrebbe mentire. Niente gli impediva di continuare a tormentarti, ma se ha deciso di non farlo è perché deve aver realizzato di essersi spinto troppo oltre. Questa potrebbe davvero essere la fine" commentò Gaspard, poi lanciò un'occhiata al viso cupo dell'amico e riprese "perché tu non mi sembri soddisfatto?"
"Credi che mi faccia piacere dipendere dalla loro indulgenza?" ribatté Yves, "o entrare nella mia scuola e sapere che quei due mi conoscono più a fondo di quanto mi piacerebbe credere? E la cosa peggiore è che è tutta colpa mia. Ci sono finito io lì dentro, con i miei dannati piedi."
Yves si morse le labbra, conscio che quel terremoto che si sentiva dentro lo avrebbe fatto esagerare con le parole. Aveva già parecchie cose di cui vergognarsi, non voleva allungare la lista aggiungendo anche quello sfogo con Gaspard.
"Lasciamo perdere e torniamo a noi. Victoria sarà felice di sapere che riprenderemo gli affari"
Gaspard annuì "conoscendola vorrà organizzare un party privato per inaugurare la nuova stagione. Chiamerà a raccolta i migliori clienti e soci."
Soci. Quella parola rimase incastrata a mezz'aria nei pensieri di Yves. Soci significava Amir e invitare Amir a un party significava doverlo rivedere prima del previsto. Ma c'era un'altra cosa che al moro era sfuggita nel parapiglia della serata precedente.
"Puoi parlarci tu con Amir? Non ho avuto il tempo di aggiornarlo" disse Yves con il miglior tono imperturbabile di cui era capace. Solo pronunciare quel nome lo disturbava in un modo che sembrava coinvolgere ancora una volta il suo stomaco.
Il tempo per parlare con lui di questioni serie lo aveva avuto, ma la triste realtà è che aveva preferito tentare un approccio diverso.
Ancora una volta Yves si sentì andare a fuoco a mano a mano che i flash della sera prima si facevano ogni istante più concreti.
"Sì, ci penso io. Sarà meglio contattare il prima possibile i nostri clienti. Abbiamo rischiato seriamente di perderli"
"A causa mia" aggiunse in fretta Yves, nonostante fosse consapevole che Gaspard non era intenzionato a colpevolizzarlo.
"Yves ..."
"Sì, diciamolo una volta per tutte. Mi hai sempre parato il culo" continuò imperterrito.
"È quello che fanno gli amici, no? Si parano il culo a vicenda e quando uno dei due esagera ..."
"Va riportato sui binari" lo precedette Yves, ed entrambi ripensarono a quella serata di un mese prima. Il litigio con Amir, poi le parole dure di Gaspard e la rottura irrimediabile che ne era derivata. Anche quella volta aveva agito per il suo bene e cosa aveva ottenuto da Yves? Altri problemi.
Il moro fermò i suoi passi, l'aria si era fatta di nuovo irrespirabile mentre tentava di tirare fuori quello che pensava davvero.
"Non ho mai saputo che cazzo fare, Gaspard. Ho sempre vissuto in bilico tra quello che volevo essere e quello che ero davvero ... anche adesso mi sembra di impazzire. Come diavolo si può andare avanti in questo modo? Qual è il segreto?" e c'era talmente urgenza nella sua voce che perfino l'altro si fermò. Erano finiti nel bel mezzo della sala egizia e la folla di gente sembrava essersi diradata. Gaspard capì che Yves aveva dato sfogo a una di quelle tante domande che non era mai riuscito a dire ad alta voce. Era un momento importante, forse perfino unico.
"Vorrei poterti dare una risposta, ma la verità è che anch'io brancolo nel buio" ammise.
"No, tu sai cosa vuoi ..."
"Ti sbagli e non sai quanto" rispose Gaspard e c'era un filo di esasperazione sul suo viso stanco mentre fissava il volto cupo del suo amico, "anche quando sei sicuro della tua sessualità, le cose non sono mai semplici."
Yves si bloccò, certo che sarebbe stato colto da un'altra ondata di vergogna pura, ma in realtà era già così pieno di amarezza e orrore che la frase di Gaspard non sortì nessun effetto.
"Non puoi passare la tua vita a ponderare ogni mossa, è questa la verità. Prima o poi verrai colto di sorpresa da qualcosa o qualcuno e allora capirai che è così che va la vita, che non c'è niente di cui siamo davvero padroni. Non degli eventi o dei sentimenti ..."
Poi Gaspard rimase in silenzio e Yves si chiese per la prima volta quante cose gli fossero sfuggite fino a quel momento. Sapeva che il dolore del suo amico aveva avuto origine con la scomparsa di sua madre, ma dopo? Cosa c'era dopo? Perché non aveva mai osato chiedere? Forse per paura che, quasi di riflesso, anche Gaspard avrebbe voluto addentrarsi nella sua vita.
"Non abbiamo mai parlato molto della nostra vita privata noi due, non ho mai voluto irrompere nei tuoi problemi ... ma adesso devi sapere che non è più necessario nascondere quello che sei o quello che fai. Non voglio essere ipocrita con te, credo che questo sia il minimo dopo quello che ho provocato. Se ti piace quel Jean o ..."
Gaspard scoppiò a ridere e quel gesto colse di sorpresa Yves.
"E ora perché cazzo ridi? Io stavo cercando di essere serio."
"Mi stai dando il permesso di uscire con un uomo, per caso?" chiese il biondo, divertito.
"Non fare lo stronzo, sai cosa intendevo" rispose Yves, sempre più sulla difensiva di fronte alle risate dell'amico, "fanculo, ok?"
"E dai. Mi hai appena dato la tua benedizione, è la cosa più surreale del mondo!"
"Sai cos'è surreale? Morire prima dei vent'anni cadendo da una finestra del Louvre" lo minacciò Yves, poi afferrò l'amico e finse di volerlo lanciare dalla vetrata alle loro spalle. Si ritrovarono entrambi a ridere con una spensieratezza che non era mai appartenuta a nessuno dei due.
Solo quando ebbe salutato il biondo, Yves realizzò che per la prima volta da quando aveva memoria, era riuscito a scherzare e toccare un ragazzo senza provare quel profondo disagio che lo aveva sempre immobilizzato.
Stava cambiando qualcosa in lui e quel cambiamento lo terrorizzava e eccitava allo stesso tempo. C'era una parte di Yves che voleva opporsi, che era atterrita da quello che sarebbe potuto succedere se si fosse lasciato andare del tutto. Ma poi c'era quella parte che negli ultimi mesi era diventata sempre più forte, che urlava a squarciagola per farsi sentire su tutto il resto ... e quella parte di lui voleva semplicemente vivere e smettere di sopravvivere.
ANGOLO AUTRICI:
Capitolo parecchio succoso XD intanto Gael si è reso conto di essere stato una merda ahah è già un passo avanti e sembra essersi aperto un minimo nei confronti di Jean. Mentre Lucille continua la sua vita segreta che la porta verso una direzione sempre più rischiosa. E poi ci sono loro, il duo più disturbato di Parigi XD finalmente Yves sta cominciando ad aprirsi un pò di più anche con Gaspard e possiamo intravedere l'affetto e il rispetto che li lega. Sentivamo alcuni di voi un pò scettici sulla loro amicizia, speriamo che questo momento vi aiuti a capire il tipo di rapporto che hanno. Come sempre ringraziamo tutti i lettori e chi commenta con noi questa storia di matti <3
BLACKSTEEL
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