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23. Veleno

Sostanza estremamente nociva per l'organismo, al punto da provocare lesioni gravi o anche la morte.

Il corpo di Jean giaceva completamente nudo lungo le lenzuola scure, il suo respiro era lentamente tornato ad essere regolare ma la sua mente non smetteva di rivivere quanto accaduto fino a pochi minuti prima.

Aveva paura di voltare lo sguardo ma gli bastò chiudere gli occhi un momento per vedere l'immagine di Gaspard sopra di lui, poteva persino sentire ancora il suo tocco e la sensazione dell'erezione fra le sue gambe.

Alla fine si mosse, spostandosi su un fianco e puntando lo sguardo sul biondo che era ancora lì, nudo e bellissimo, intento a passare le dita lungo la collana che non toglieva mai.

Jean avrebbe voluto dire tante cose, ma allo stesso tempo temeva persino di respirare troppo forte, non voleva che andasse via.

Se solo mi dicessi di cosa hai bisogno, ti darei tutto.

Fu un gesto carico di esitazione, Jean allungò una mano e sfiorò il fianco di Gaspard con le dita.

"Va tutto bene?" chiese quasi in un sussurro.

L'altro non rispose, mantenne lo sguardo rivolto davanti a sé, con aria assente, come se non lo avesse sentito. Jean si sollevò a quel punto, il lenzuolo che lo copriva a stento cadde di lato, svelando la cicatrice sulla sua coscia destra.

"Gaspard ..."

La mano di Jean aveva appena sfiorato la schiena del biondo quando lui si riscosse, lanciando uno sguardo rapido al ragazzo accanto a lui.

"Non sarei dovuto venire"disse alla fine e quelle parole avevano sempre un effetto tremendamente doloroso su Jean.

"Ma sei qui, perché non resti e ti riposi un po'?" tentò di dire ma fu subito messo a tacere.

"Smettila, non hai un briciolo di dignità?"

Gaspard si mise in piedi a quel punto, Jean lo osservò aggirarsi con aria confusa per la stanza come un animale in cattività, recuperò l'intimo e cominciò ad indossare i suoi vestiti sgualciti. Anche Jean si mise in piedi, ma non fece caso alla sua nudità, tutto quello che gli interessava adesso era Gaspard e quello sguardo tanto perso.

"Sono preoccupato per te e qualsiasi insulto, anche il più volgare, non mi farà voltare lo sguardo dall'altra parte"

Jean compì un altro passo avanti e cinse il corpo del biondo con una stretta salda, affondò il viso nella schiena di Gaspard, fra le scapole, ascoltando il ritmo del suo cuore che si faceva irregolare.

"Sei peggio di una sanguisuga, non sperare che questo si ripeta" mormorò Gaspard scostandosi da quella stretta "quello che vuoi da me non puoi averlo, non stiamo insieme e non ricambio i tuoi sentimenti"

L'altro abbassò lo sguardo "non sai cosa voglio"

"Si, invece. E' talmente ovvio da essere patetico" riprese il biondo "continui a illuderti che sia qualcosa di più che il sesso fra noi, sei così disperatamente alla ricerca di calore umano che preferisci farti usare da me che farti una vita"

Jean strinse i pugni, incassando quella ennesima dose di umiliazione "e tu perché continui a tornare? Potresti avere chi vuoi, perchè attraversi la città per venire qui a scoparmi!"

Dimmi perchè, dimmi per cosa sto soffrendo così tanto.

"Sei solo uno facile, Jean. Uno che apre le gambe in fretta quando non hai voglia di perdere tempo"

Il ragazzo si maledì ma quelle parole fecero scendere della lacrime lungo le sue guance, crollò nuovamente seduto sul letto e Gaspard non si degnò di guardarlo oltre, aprì la porta e lasciò la stanza.

Era notte fonda, ormai il locale era chiuso al pubblico, gli unici rumori provenivano solo da alcune delle altre camere dove erano in corso spettacoli privati.

Jean si era rivestito, preparandosi a lasciare l'Heros, desideroso di rifugiarsi nel suo appartamento, lontano da tutto e tutti.

Attraversò la sala del locale, con la testa bassa e, una volta fuori, si strinse nella giacca ma una voce lo fermò prima che potesse riprendere a camminare.

"Stai bene?"

Jean si voltò e con stupore vide che Gael era ancora lì, intanto a fumare una sigaretta.

"Cosa ci fai a qui a quest'ora? Dovresti aver staccato un'ora fa"

"Mi sono fermato a bere un bicchiere e poi, sai ero preoccupato" rispose quello con tono serio "l'ho riconosciuto, il tipo dell'altra sera ... quello che ti ha trattato di merda. Ho pensato di aspettare un po' per capire se stessi bene e poi l'ho visto tornare e sembrava incazzato"

Lo stomaco di Jean si torse "ha detto qualcosa? Che ha fatto?"

"Ha bevuto due shots ed è andato via. Ma francamente a me non frega un cazzo di quello, ho pensato che tu..."

"Sto bene" tagliò immediatamente Jean "va così fra noi, lui è complicato"

"Se ti serva aiuto, Jean ... dico davvero" insistette Gael "sei stato gentile con me e non mi va che ti riduci una pezza per un uomo, se ti fa stare così non può essere niente di buono"

Il biondo scosse la testa "non è sempre così, ma grazie Gael. Vai a casa, io sto bene"

L'altro non ebbe il tempo di dire niente, Jean voltò le spalle e si infilò la testa sotto il cappuccio, forse per evitare di mostrare il dolore nei suoi occhi.

Poi cominciò a camminare, senza esitare, nel silenzio della strada.

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Perchè lo fai? Perchè sei così disgustoso?

Gaspard non aveva chiuso occhio quella notte, era tornato a casa e aveva lasciato che l'acqua bollente della doccia lo purificasse dall'odore del corpo di Jean.

Ci aveva passato minuti interi sotto il getto d'acqua ma aveva come la sensazione di sentirlo ancora, come se quel momento di debolezza fosse destinato a restare indelebile sulla sua pelle.

Chiudi gli occhi, amore mio ...

Era colpa sua, aveva lasciato che solo il ricordo della madre lo afferrasse troppo visceralmente, aveva perso il controllo e quelle erano le conseguenze. Mostrarsi debole e bisognoso davanti a uno come Jean era stata l'ennesima prova di quanto patetico potesse diventare.

Come avrebbe potuto perseguire i propri obiettivi se poteva crollare così? Se bastavano le parole ingenue di un sempliciotto come Manech per farlo ricadere nei suoi incubi.

Gaspard si gettò sul letto, stremato. Sapeva già che non avrebbe dormito e quella fu la parte peggiore, restare immobile nel buio, ad ascoltare i respiri assopiti delle altre persone nella casa, senza poter smettere di pensare.

Quella data era sempre più vicina e lui sempre più instabile, mentre il mondo intero sembrava aver dimenticato tutto.

In quella casa era il solo a ricordare, il solo a provare ancora qualcosa, mentre tutti gli altri erano andati avanti, a nessuno più importava, forse era così per le persone normali, forse si dimentica e basta.

Ma non Gaspard, lui sapeva che non avrebbe mai dimenticato, tornò nuovamente a stringere l'orecchino che pendeva dalla catenina come se fosse un amuleto, come se potesse fermare la morsa che sentiva al petto.

Biasimi tuo padre per essere il viscido bastardo che è, ma tu sei il primo a circondarti di puttane.

Il passato ti marcirà dentro fino ad avvelenarti.

Non distogliere lo sguardo.

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Victoria osservava il vassoio del suo pranzo con sguardo truce, sedeva come sempre accanto ad Yves ma quel giorno l'assenza di Gaspard le aveva messo una strana agitazione. Era una questione delicata, non sapeva come prendere l'argomento con Yves ma sentiva che era necessario farlo. D'altronde non c'era molto tempo.

"Non sei preoccupato per la sua assenza?" disse ad un tratto la ragazza destando l'attenzione dell'amico "non manca mai da scuola, non senza avvisare"

"Era all'Heros ieri sera, magari si è preso una sbronza"

"Anche questo non sarebbe normale" puntualizzò la ragazza " mi chiedo se sia ... sai a causa dell'anniversario, questo fine settimana ..."

Lei non continuò, osservò Yves fissare un punto dritto davanti a lui con sguardo serio. Victoria trovava certi silenzi soffocanti, ma allo stesso tempo sapeva che i suoi due amici vivevano di un equilibrio estremamente precario.

Quel fine settimana ricorreva l'anniversario della scomparsa della madre di Gaspard, già negli anni precedenti il loro amico era stato male, sparendo per giorni.

"Ha già affrontato tre anni, affronterà anche questo" disse secco Yves alla fine "non sarà il primo né l'ultimo. Abbiamo tutti i nostri scheletri"

"Ma dovremmo fare qualcosa!" insistette lei "stargli vicino, dargli una mano ..."

"Non possiamo metterci in mezzo, se non è lui a chiedere"

"Lui non chiederebbe mai! E' questo il vostro dannato problema, preferite distruggervi piuttosto che chiedere aiuto! Yves ..." Victoria era seria e aveva parlato con tono quasi disperato.

Il moro era rimasto nuovamente in silenzio, sembrava riflettere su qualcosa che la ragazza non avrebbe potuto immaginare.

"Se ci intromettessimo senza il suo consenso ci chiuderebbe fuori, a volte restare a guardare è tutto quello che possiamo fare. Mi assicurerò che stia bene, non temere"

Ma Victoria continuava ad essere dominata da una terribile sensazione di terrore.

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La giornata peggiorò in fretta anche per Yves. Una breve chiamata del padre gli aveva comunicato che quella sera erano attesi a cena da un importante investitore greco, un motivo più che lecito per non prendere impegni. Il moro si chiese se quella tortura dovesse anche comprendere la presenza di Andrea, ma bastò l'arrivo concitato di Lydia con un nuovo completo da sera per il nipote a fugare ogni dubbio. Andrea ci sarebbe stato e Yves avrebbe dovuto sopportare lui e quel contorno di cui avrebbe fatto sicuramente a meno. Il mal di testa peggiorò ora dopo ora, Yves concluse in fretta e furia gli ultimi accordi per il party privato della serata seguente e, ancora una volta, le novità di LaRochelle lo indisposero. I ragazzi di Amir erano andati talmente bene che adesso erano diventati una presenza costante nelle feste organizzate dal trio, quindi liberarsi dell'arabo diventava ogni giorno più complesso.

Yves prese un profondo respiro e si fece forza, Gaspard aveva chiaramente bisogno dei suoi spazi in quel momento particolare dell'anno e lui non aveva intenzione di stressarlo con compiti che avrebbe benissimo potuto concludere da sé. Così afferrò il telefono e lo osservò per un attimo. Il numero di Amir era lì in bella vista. Yves non si era mai degnato di salvarlo in rubrica ed era certo che l'arabo lo sapesse.

Eppure neanche questa palese dimostrazione di disinteresse lo ha scalfito più di tanto.

Yves si irritò ancora di più. Non lo avrebbe chiamato, non aveva alcuna intenzione di finire tra il martello e l'incudine come durante la loro ultima telefonata. L'idea era buona e anche facilmente attuabile, bastava scrivere un messaggio in codice in cui specificava la quantità di ragazzi che servivano e l'orario in cui dovevano presentarsi. Controllò quello che aveva scritto più di una volta e, solo quando fu certo che nessuno al di fuori di loro avrebbero potuto capirne il senso, si decise a inviare il messaggio.

E adesso come la mettiamo, Amir? Forse per la prima volta aprirai gli occhi su quanto io detesti sentire la tua dannata voce.

"Yves? Sei pronto? Se non partiamo adesso rischieremo di trovare il traffico delle diciotto!" Lydia aveva bussato alla porta e solo a quel punto Yves aveva lasciato perdere il telefono e si era diretto ad aprire.

"E poi mi spieghi perché la tieni sempre chiusa a chiave? Tuo padre ha fatto installare l'antifurto almeno cinque anni fa." commentò la donna, ma la sua attenzione era già stata catturata dall'eleganza del ragazzo. Gli fece un bel sorriso "Stai benissimo. Sei sicuro che Victoria non potrà venire?"

Il moro dovette concentrarsi per non portare gli occhi al cielo. Sempre le solite illazioni ... a volte si chiedeva se davvero il mondo fosse così prevedibile come gli sembrava. Ma non era saggio mostrare l'infondatezza dei loro sospetti, così Yves si limitò a sorridere "Te l'ho detto, era impegnata questa sera. Comunque avrebbe rischiato che qualcuno qui avesse potuto farla sfigurare. Il verde è il tuo colore, Lydia."

Il complimento aveva attecchito, Lydia era diventata lievemente rossa sulle gote "Ah, mi piacerebbe avere dieci anni in meno, sai?"

"Perché mai? Potreste essere scambiate per coetanee." Continuò Yves con un sorrisetto schernitore sul volto che fece ridere l'altra.

"Adesso la stai sparando grossa. Muoviti, adulatore nato. Tuo padre e Andrea ci stanno aspettando in auto. "

Yves pensò che sarebbe stato infinitamente bello poter scambiare il suo corpo con quello di chiunque altro, giusto per un paio di ore, ma purtroppo non era così che funzionava. Quanto tempo sprecato a fare cose che non gli andavano ... a incontrare gente di cui non gli importava e a sopportare situazioni che non avrebbe mai accettato. Quella routine era come veleno corrosivo e l'antidoto lo avrebbe fatto stare anche peggio.

Per un attimo pensò ancora alla stanza numero 7, a quel momento di depravazione che si ritagliava per sé sempre con più frequenza. Era davvero al limite, se lo sentiva addosso, era un peso che lo spingeva giù, ogni giorno un po' più giù ... prima o poi la gravità avrebbe fatto il suo corso.

Ti trascinerà giù ... il baratro è sempre più vicino. E poi? Poi cosa farai? Riuscirai a frenare la caduta?

Yves non lo sapeva, voleva solo spegnere i suoi pensieri per qualche istante. Ma la sua vita lo incalzava, perfino quel telefono che vibrava tra le sue mani aveva qualcosa da recriminargli. Amir aveva risposto al suo messaggio e, a giudicare da quelle poche parole che aveva scritto, non poteva credere che il più piccolo avesse ricorso a quell'espediente ridicolo pur di evitare di sentirlo direttamente. Yves bloccò lo schermo del telefono e lo ripose nella giacca senza degnarlo di una seconda occhiata.

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Andrea si sentiva un dannato damerino in quel completo Ralph Lauren dalla somma esorbitante. Si chiese quanta roba da fumare avrebbe potuto comprare con quei soldi se solo la zia Lydia avesse deciso di non spenderli in quel modo. Ormai era tardi per lasciarsi prendere dalla malinconia però, l'abito gli stava anche bene e pensò che quanto meno sarebbe stato ancora più semplice far colpo agghindato come un principino Windsor. Si chiese se i ragazzi ricchi fossero diversi al letto, l'unico a cui poteva chiedere era suo cugino e, nonostante tutte le arie che si dava, Andrea era convinto che non ne sapesse molto in materia. Lui era lì, completamente a suo agio nel suo abito gessato blu scuro. Elegante, perfetto, composto.

E totalmente finto.

L'odio che provava nei confronti del cugino non andava mai completamente via. Era sempre lì in agguato, pronto a venir fuori quando le circostanze li costringevano a stare per troppo tempo in compagnia l'uno dell'altro. Non credeva di aver mai provato un sentimento tale per chicchessia prima di Yves. Perfino il risentimento che provava per suo padre sembrava svanire di fronte alla rabbia cieca che sentiva quando incontrava lo sguardo freddo e calcolatore del cugino. Proprio come in quel preciso istante. Yves si era voltato indietro, verso una delle colonnine di marmo che decoravano l'immensa villa dei Douvikas, forse allertato dallo sguardo penetrante del cugino. Andrea non abbassò lo sguardo, sopportò l'occhiata carica di gelo di Yves che, circondato com'era dalle figlie del padrone di casa, non aveva tempo per studiare il suo nemico quella sera.

L'italiano però era ben intenzionato a non perdersi una sola mossa del cugino. Tutto in lui puzzava di fasullo. Era come un camaleonte che prendeva i colori del posto in cui si trovava in quel momento ... niente di più.

Chi sei davvero, Yves Clairmont?

Quel pensiero lo fece scattare. Si mosse senza ragionare, spinto dalla sola e semplice voglia di irritare Yves più che poteva davanti a un auditorio troppo grande da poter eludere.

Qui sei in trappola.

Lo prese alle spalle, in un abbraccio da dietro che li portò vicinissimi. Andrea rise contro il viso del cugino, poi guardò il gruppetto con cui stava parlando " Ed ecco qui il cugino simpatico! Yves non vi ha ancora parlato di me, scommetto!"

Il moro rimase impietrito, si mosse in fretta per districarsi da quell'abbraccio del tutto inaspettato. Andrea lo vide arretrare appena con un'espressione spaventosa sul volto, ma il tutto era durato talmente poco che nessuno degli altri ragazzi sembrava averci fatto caso.

Andrea non gli permise di fuggire troppo lontano, anzi gli passò un braccio intorno alle spalle e lo guardò bene. Da quella vicinanza notò che gli occhi di Yves erano neri come pozze, del tutto privi di sfumature. Un nero assoluto e spaventoso.

"Sei il cugino? Ah, sei straniero! Lo sento dal tuo accento!" Una delle ragazze sembrò ben felice di quella nuova aggiunta nel gruppo. Nessuno sembrò far caso al disagio che la vicinanza di Andrea aveva comportato per Yves.

"Beccato!" commentò l'italiano con un sorrisino sulle labbra. Sentiva lo sguardo di Yves squadrarlo come non aveva mai fatto prima, ma non osava mostrare il disprezzo che gli riservava quando erano soli. Lì era diverso, pensò Andrea, lì uno come Yves non poteva permettersi di sfigurare e mostrare la sua vera natura. Infatti il francese si districò da quella presa solo qualche attimo dopo e con un movimento così graduale da passare del tutto inosservato.

"Andiamo a prenderci qualcosa da bere? Papà è pesantissimo quando inizia a parlare di affari, credetemi. Meglio filarcela adesso" disse la più piccola delle figlie, passando un braccio intorno a quello teso di Andrea che arpionò subito la maggiore che, a sua volta, si trascinò dietro Yves.

La villa era immensa e i ragazzi andarono ad occupare dei pouf al limitare della veranda, vicino ai tavoli con il buffet. Le figlie e le nipoti di Douvikas erano allegre e ciarliere, esattamente quanto Yves sembrava intenzionato a bere in silenzio il suo bicchiere di Champagne.

"Che c'è? Questa compagnia non fa per te? Non vedi il potenziale per acquisire video porno con cui minacciare qualcuno stasera?" Andrea aveva parlato a voce bassissima, un sussurro contro l'orecchio dell'altro che lo aveva fatto irrigidire.

"E tu ti stai divertendo con quel completo da seimila dollari e il caviale sulle tartine? Tranquillo, nessuno sano di mente ti scambierebbe comunque per uno di noi. La feccia puoi anche impacchettarla e abbellirla con un simpatico fiocchetto ... ma feccia rimane." sibilò l'altro in un soffio.

"E credi che io ambisca a essere scambiato per uno come te? Sei talmente inconsistente che passi la tua vita a fingere. Nessuno vorrebbe essere te." Quelle parole avevano attecchito a dovere, perché la mano con cui Yves teneva il bicchiere stava tremando visibilmente, notò l'italiano, sempre più inarrestabile.

"E invece vorrebbero essere te, vero? Un peso inutile che viene spedito di qua e di là perché nessuno lo vuole. Almeno a me non hanno mai comprato un biglietto aereo per farmi togliere dalle palle. Lo vedo già come un traguardo, tu che dici?"

Andrea rise piano, nessuno di quelli che stava intorno ai due ragazzi avrebbe mai potuto immaginare che i due, non potendo ricorrere a mezzi più incisivi, stessero cercando di farsi a pezzi a parole sussurrate.

"Non lo so, cuginetto. Vorrei poterti dare ragione e forse mi avresti anche convinto se io non sapessi che tu sei finito nel bel mezzo di un bel processo che tutti tentano di tenere segreto. Che cosa hai combinato esattamente? Se non me lo dirai tu troverò il modo di scoprirlo personalmente."

Yves era impietrito, per poco non perse la presa sul bicchiere. La risata che aveva impressa sul volto si crepò. Il gioco era finito e Andrea aveva vinto quella manche, seppure con pochi punti di scarto. Il cugino si era sollevato da lì in fretta e nessuno lo aveva più visto tornare al tavolo.

Yves Clairmont perdeva la sua calma.

ANGOLO AUTRICI:

E buon sabato a tutte voi, eccoci con un nuovo capitolo particolarmente amaro. Il nostro trio sta passando un momento particolarmente stressante, non solo per via di Andrea ... Chissà cosa vi attende, nel frattempo come sempre vi ringraziamo e vi invitiamo a esprimere i vostri pareri sulla storia, ci rivediamo presto <3

BLACKSTEEL 

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