22. Compulsione
in foto: Jean
Condotta ripetuta nonostante le conseguenze avverse.
Manech tratteneva a fatica i moti di disgusto che lo attraversavano giorno dopo giorno, il solo vedere la sorella prepararsi per la scuola accendeva in lui la rabbia.
La sua sospensione sarebbe durata ancora un'altra settimana e l'umiliazione non sarebbe finita certamente con la punizione. Sarebbe tornato da perdente, etichettato come il teppistello della scuola che aveva aggredito senza ragione un altro studente.
Non puoi arrenderti a questo.
Manech aveva persino smesso di rivolgere la parola a Lucille, il silenzio della ragazza era stato come un tradimento per lui e forse lo era davvero.
La sorella aveva continuato per la sua strada come se nulla fosse, totalmente assorbita da quella nuova realtà che si era creata, fatta di silenzi e uscite serali.
Per qualche tempo Manech aveva pensato di dirlo alla madre, farle notare come Lucille si comportasse in modo diverso quando lei non era presente, come si era avvicinata a delle ragazze dall'aria subdola che la stavano influenzando.
Ma alla fine era rimasto in silenzio.
Se è quello che vuole non le resta che soffrirne le conseguenze.
Nuovamente quella rabbia, Manech recuperò la custodia del violino e la mise in spalla, ultimamente soltanto andare in giro a suonare sembrava riuscire a calmarlo.
Non si limitava ai locali, spesso gli capitava di esibirsi anche in strada se non faceva troppo freddo. Tra i vicoli si creava una acustica che aiutava il suono ad espandersi per le vie, era quasi magico.
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Manech mosse rapidamente l'archetto lungo le corde del violino, terminando di suonare le ultime note della melodia che aveva scelto per quella sera.
Nonostante l'aria frizzante dei primi giorni di ottobre, si era comunque radunata una piccola folla intorno al ragazzo, che aveva subito applaudito quando aveva fatto un leggero inchino.
Si sfregò le mani, non sarebbe riuscito a eseguire un altro pezzo, il vento stava diventando insistente e troppo freddo.
"Wow, dove hai imparato a suonare così?"
Il moro si voltò e notò che della folla radunatasi era rimasto solo un ragazzo, anche lui sembrava avere l'età di uno studente e lo guardava con ammirazione.
Manech sorrise "Mi esercito da molto tempo, sto cercando di entrare al Conservatorio di Parigi"
"Beh, sono certo che ci riuscirai. Non ho mai sentito nessuno suonare così" disse l'altro ammirato.
"Forse non hai mai sentito molti violinisti, devo ancora studiare parecchio" commentò Manech con un mezzo sorriso.
L'altro abbassò lo sguardo " comunque mi chiamo Paul"
"Manech" rispose il moro stringendogli la mano.
Conosceva bene il genere di occhiata che quel ragazzo gli stava mandando, se lo avesse invitato a bere qualcosa probabilmente avrebbe accettato e gli avrebbe lasciato il suo numero. Forse era solo quello che gli serviva, ritrovare un po' di normalità, una pausa dai suoi tormenti quotidiani, ma quando il suo sguardo si posò su una figura a qualche metro da loro capì che non sarebbe successo.
Contro ogni logica apparente, Gaspard era lì, appoggiato al muro dall'altra parte dello spiazzale. Ora che non c'erano più persone davanti a lui era chiaramente visibile ed il corpo di Manech si mosse quasi in automatico nella sua direzione, salutando in fretta il ragazzo appena incontrato.
"Hai già spezzato il cuore del tuo primo fan" disse il biondo accennando il solito sorriso affilato.
"Non sei al Jazz Club stasera?" chiese Manech immediatamente con tono di sfida " stai agli angoli delle strade come le puttane?"
Come sempre la compostezza di Gaspard restò immutata mentre un brivido di irritazione si estendeva lungo la schiena di Manech.
"Ci stavo andando, ma poi ho sentito la musica" rispose semplicemente "cosa stavi suonando?"
"Non è ancora completa, ci sto lavando. E' il concerto per violino e orchestra di Tchaikovsky"
"Suppongo che tu abbia parecchio tempo libero ora"
Manech sgranò gli occhi e scorse un bagliore di divertimento in quelli del biondo, era una chiara frecciatina, si sentiva anche in diritto di schernirlo.
"E il tuo di tempo invece? Non dovresti passarlo con il tuo amico a tramare o in qualche locale sofisticato? Che ci fai ancora qui?"
"Ti offro da bere se vuoi, per pagarti la performance." disse così tranquillamente che Manech rimase spiazzato "o vuoi provare a rincorrere la tua quasi conquista?"
E' pericoloso quello che stai facendo, Manech.
Disse una parte di sé, ben consapevole del labile confine dell'usare e dell'essere usati.
Ma l'altra parte continuava a voler andare più a fondo, desiderava trovare un punto debole da colpire per poterli ripagare tutti con la stessa moneta.
"Direi che per colpa tua ho perso la mia occasione, offrirmi da bere mi sembra il minimo sindacale"
Così si limitò a seguire il biondo lungo la strada affollata.
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Cosa stai cercando?
Quel pensiero non smetteva di attraversare la mente di Gaspard mentre osservava Manech accendersi la sigaretta e terminare l'ultimo sorso di birra.
Non aveva idea del perchè stesse continuamente cercando un contatto con quella persona, né che genere di conseguenze poteva portare. Eppure eccolo lì, in un incontro tutt'altro che casuale.
"Non voglio limitarmi a suonare" disse il moro, rispondendo ad una domanda fatta poco prima "se devo essere onesto fino in fondo, quello che voglio è far ascoltare la mia musica"
"Componi delle melodie tue?" chiese incuriosito il biondo.
"Ci provo" mormorò l'altro con tono misterioso "potrei avere qualcosa per le mani" ci fu una lunga occhiata ma poi Manech distolse lo sguardo "ma non è ancora finita"
"Spero di sentirla quando l'avrai ultimata"
Gaspard notò come lo sguardo di Manech diventava sempre più interrogativo e penetrante ad ogni sua parola. Forse cercava ancora di far quadrare la persona che aveva davanti con il mostro che frequentava la sua scuola.
"E' davvero strano sai, chi ti ha trasmesso questo amore per la musica?" chiese ad un tratto "non è solo un interesse come un altro"
"Lo è invece"
"Andiamo, a chi vuoi che lo racconti? Non penso tu mi stia dicendo qualcosa di così segreto! Coraggio, chi è l'appassionato in famiglia? Tuo padre? Tua madre?"
Una fitta dolorosa si piantò fra le costole di Gaspard sentendo quelle parole, non lo diede a vedere, forse solo una breve smorfia che indicò a Manech di aver risposto correttamente.
"Tua madre? E che genere di musica le piace? E' mai venuta al jazz club?" chiese intrigato.
Ma comprese di aver fatto un grosso errore quando vide l'oscurità regnare nello sguardo di Gaspard. Il vago luccichio divertito era scomparso dai suoi occhi, al suo posto c'era solo rabbia.
"Non parlare di lei" sibilò in un modo che a Manech si accapponò la pelle.
Non ebbe il tempo di dire niente, il moro osservò Gaspard sollevarsi di scatto mentre sbatteva la mano sulla superficie del tavolino, per poi voltare le spalle e andarsene.
A Manech non restò altro che fermarsi lì, immobile, a fissare quella figura farsi sempre più indistinguibile dal resto della folla. Attonito.
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Jean aveva appena finito di portare al tavolo l'ordinazione quando l'ingresso di qualcuno attirò la sua attenzione. Era pronto ad accogliere il nuovo cliente ma si rese conto che non era necessario.
Gaspard aveva fatto il suo ingresso con passo svelto, dritto verso di lui, lo stomaco di Jean si torse quando notò che l'altro non sembrava cercare di evitarlo.
Senza che il biondo indietreggiasse, i due si ritrovarono faccia a faccia e Gaspard afferrò il più grande per un braccio.
"Fai una pausa" mormorò Gaspard ad un soffio dal suo viso.
Jean era letteralmente senza fiato, incapace di rispondere si voltò, cercando con lo sguardo la figura di Amir intento a sorseggiare il suo drink mentre teneva d'occhio quella scena.
Il volto di Jean era una chiara supplica, sembrava pregare il padrone del locale di concedergli del tempo e Amir lo accontentò con un gesto quasi impercettibile della mano destra.
Allora il biondo annuì prontamente in direzione di Gaspard e lasciò che il più giovane lo trascinasse lontano dal resto della sala, verso le camere del piano di sopra.
Jean non sapeva cosa avesse portato Gaspard nuovamente da lui e, scioccamente, non se lo chiese. Si concentrò unicamente sul suo tocco, conosceva ogni centimetro di quel corpo ma non riusciva ad averne abbastanza, sembrava un veleno, una droga.
Qualcosa di così tremendamente sbagliato da dare dipendenza, Jean passò le labbra lungo l'incavo del collo di Gaspard, non si avvicinò nemmeno alle labbra del biondo, sapeva che non voleva essere baciato.
Scese sempre più giù, liberandolo della maglietta e inginocchiandosi davanti all'apertura dei suoi pantaloni. Sentire quanto il corpo di Gaspard traboccasse di sedierio bastava a Jean per essere felice, per sentirsi l'artefice di quel momento di passione.
Prese la sua erezione fra le labbra, cominciando un massaggio lento e languido, beandosi della vista del volto di Gaspard che lentamente si stava abbandonando al piacere. Poi lo allontanò, facendolo sollevare e cozzare i loro corpi l'uno contro l'altro.
E' tornato da me, continua a desiderarmi, possiamo ancora stare insieme.
Sentiva le mani del biondo scivolare lungo i suoi fianchi e poi sollevarlo dalle cosce, per trascinarlo verso il letto, dove entrambi crollarono.
Jean chiusi gli occhi mentre la lingua umida di Gaspard scendeva sul suo petto, fino all'ombelico e poi ancora più giù, sulla sua erezione.
Il ragazzo sentì il suono familiare del preservativo che veniva aperto e già solo quello bastò a provocargli una contrazione allo stomaco, stava per succedere, sarebbe stato suo ancora una volta.
Trattenne il respiro e anche il gemito di dolore quando Gaspard lo penetrò, continuando a tenere vivida nella sua mente quella pericolosa fantasia, quella di un principe che avrebbe finalmente smesso di scappare e sarebbe rimasto.
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Amir aveva chiuso un affare piuttosto rilevante con due nuovi clienti. Le sue ragazze erano impegnate in un party privato, mentre alcuni dei ragazzi avevano la serata libera, non tutti però. Lo sguardo dell'arabo si posò sull'ultimo arrivato, l'americano che aveva trascorso la sua nottata con Yves giusto un paio di giorni prima. Era raro che chiedesse ai suoi dipendenti quello che accadeva all'interno delle stanze, ma quella volta non era intenzionato a porsi troppi scrupoli. Avanzò verso il biondo, intento a chiacchierare con una donna dall'aspetto molto elegante e vicina alla cinquantina che subito sorrise alla volta del proprietario del locale.
"Amir, che piacere! Apprezzo le nuove aggiunte" lo informò, passando la mano sul dorso del ragazzo in una carezza possessiva. Le unghie laccate di rosso scintillavano nella luce bassa del locale. "Specialmente questo qui ... se la cava così bene a intrattenermi, mi chiedo se si sappia muovere altrettanto bene anche in una sede diversa."
"Non le resta che provarlo. Siamo a sua completa disposizione, Madame Leclerc." rispose Amir con un sorriso educato sulle labbra.
"Peccato che la portata più gustosa non sia sul menu."Si lasciò sfuggire la donna, posando gli occhi affamati sul corpo perfetto dell'arabo.
"E' il fascino del violare il proibito, ma mi creda: i miei ragazzi sono molto più abili e preziosi del sottoscritto" commentò vagamente Amir, poi affiancò l'americano e gli passò una mano sulle spalle "le dispiace se scambio qualche parola con Steve? Glielo riporterò subito. Promesso."
La donna rise e annuì, poi tornò a parlare con il gruppetto di donne altrettanto facoltose che sedeva accanto a lei.
Steve era lievemente confuso, ma continuò a seguire il più grande verso la porta dell'ufficio. Si chiese se l'altro fosse intenzionato a testare la sua abilità di persona e si ritrovò a pensare che in effetti non gli sarebbe dispiaciuto affatto. Era già assurdo che l'avesse preso a lavorare lì senza approfittarne un po', ma a quanto pare Amir non aveva mai usato il suo potere su nessuno degli altri ragazzi. Piuttosto strano per un pappone ... considerò l'americano, immaginando poi che uno come quello non aveva bisogno di far sesso usando quei mezzucci.
"Come sta andando? Vedo che ti sei ambientato in fretta" iniziò Amir, appoggiandosi alla scrivania in legno scuro alle sue spalle e osservandolo con attenzione.
"Sì, alla grande. Riesco ad arrotondare abbastanza ..." disse il ragazzo, un po' a disagio sotto le occhiate penetranti del suo capo. "Ma va tutto bene? Ho fatto qualcosa di sbagliato?"
"No, affatto. Volevo solo fare una chiacchierata. Sabato è andato tutto bene quindi?" continuò il moro e sembrava che quella risposta fosse essenziale per lui. Steve fece mente locale, sabato aveva lavorato e non c'era stato niente di insolito. Forse un cliente si era lamentato con Amir? Forse non lo aveva soddisfatto?
"I-io ... beh, sì tutto regolare, credo. Ho visto due persone, prima quel cliente inglese e poi ero in coppia con Fernand per l'altro ragazzo, quello che voleva solo guardare."
Gli occhi di Amir si erano illuminati e Steve non mancò di notarlo. Il moro parlò con voce bassa e controllata "che cosa vi ha chiesto di fare?"
"Il francese?" chiese confusamente il più piccolo.
"Sì." la voce di Amir era bassa, il tono roco. Voleva sapere tutto, voleva rivivere quella nottata attraverso le parole del ragazzo, bearsi di quello che aveva potuto vedere negli occhi di Yves e che lui non avrebbe mai visto di persona.
"Era eccitato? Si è toccato?" lo interrogò ancora, maledicendosi per quello che era diventato. Così disperato da aggrapparsi ai racconti dei suoi dipendenti per ottenere un minimo di soddisfazione.
Steve era sempre più confuso, ma rispose "sì, lui ci ha lasciati fare quello che volevamo, in realtà. Ha solo tolto la giacca ... è strano, vero? Non credo si sia toccato. E' rimasto solo a fissarci."
"Nient'altro? Era eccitato?"
"Beh, suppongo di sì. Non lo so ... avrebbe dovuto toccarsi? Non siamo stati abbastanza bravi? E' venuto a lamentarsi?" il ragazzo pensò di aver capito il motivo di tante domande, ma quando Amir scosse la testa realizzò che niente di quella conversazione aveva senso.
"Credo che gli sia piaciuto lo spettacolo, ma non ho chiesto, non sembrava felice di parlare con noi."
Amir annuì, aveva il respiro corto ed era tormentato dall'immagine di un Yves abbandonato sul divano della camera numero 7, intento ad osservare quello spettacolo senza prenderne parte. Era attratto dagli uomini, questo era indubbio ... forse con il tempo si sarebbe lasciato andare, forse Yves sarebbe crollato da lì a poco. Forse c'era ancora speranza per lui. Voleva sentirlo, voleva vederlo, ma sapeva che non si sarebbe fatto vivo senza un motivo. Gaspard era lì però, quale migliore occasione di chiamarlo usando il biondo come scusa?
"Ehm, posso andare? Credo che quella signora mi aspetti ... diceva che il marito era fuori per lavoro e che stanotte ..."
Amir si riscosse dai suoi pensieri e annuì "Certo, va pure. Grazie per la chiacchierata."
Poi aveva seguito Steve con lo sguardo fin quando non fu fuori dal suo ufficio. Rémy aveva la serata libera e, a ogni modo, non gli sembrava che le cose andassero poi così bene con lui. Era intelligente il suo ragazzo, doveva ormai aver capito chiaramente cosa tormentava Amir da un paio di mesi a quella parte. Il suo tormento aveva il volto di un angelo e la spietatezza di un mostro.
Cercò il numero di Yves sul cellulare e un attimo dopo si decise a chiamare. Due, tre, quattro squilli e la voce del più piccolo rispose. Sembrava assonnato e bastò quello per eccitare ulteriormente Amir.
"Che succede?"chiese in un sussurro il francese.
"Ti ho svegliato ... di solito non dormi mai" commentò Amir, sentendosi lievemente in colpa per non aver badato all'orario.
Sentì Yves muoversi appena "Già. Devo essere crollato senza rendermene conto."
Se solo abbassassi le difese nel momento giusto ...
Poi Amir percepì un'altra voce, apparteneva ad una donna e stava chiedendo a Yves se andava tutto bene. Era Victoria. Per un attimo il dubbio assalì l'arabo. Possibile che ci fosse qualcosa tra i due? Erano insieme ed era notte fonda, ma non aveva mai avuto l'impressione che Yves fosse interessato a lei, tanto meno a qualsiasi altra donna nel locale.
"Che succede? Perché hai chiamato?" chiese di nuovo il più piccolo e adesso i rumori erano diversi. Doveva essere uscito fuori a giudicare dal basso fischio del vento.
"Niente, sta tranquillo. Ho solo visto Gaspard e credevo che saresti venuto anche tu."
"Gaspard? All'Heros? E che fa?"
"Si sta facendo un drink, ascolta un po' di musica ... era nei paraggi e ha fatto un salto." Mentì Amir, ben consapevole che non era il caso di nominare Jean o rapporti tra uomini davanti a Yves.
"Spiacente. Dovrai accontentarti di lui" ribatté Yves, "e poi credevo di non essere gradito lì. Sbaglio o il tuo ragazzo cerca ancora di uccidermi con lo sguardo?"
"Ha la sera libera. Ci sono solo io" disse Amir, maledicendosi ancora una volta per quella conversazione che non avrebbe portato a niente. Ma che diavolo poteva fare? Gli sembrava di ritrovarsi nel solito loop impossibile da eludere. Essere troppo diretti con Yves non portava a nulla, ma anche quelle chiacchiere vuote non avrebbero portato a nulla.
Si riscosse e interruppe quel silenzio insolito "com'è andata sabato? Non abbiamo avuto modo di parlare."
"Non c'è niente da dire, ecco perché." Disse mellifluo Yves.
"Ti sono piaciuti i ragazzi?"
"Ma che diavolo vuoi? Che ti importa?"
"Mi importa perché ho a cuore come stai ... quando sei qui. Come mio cliente." aggiunse Amir qualche istante dopo. Che cosa diavolo stava dicendo? Voleva dare la colpa ai tre long island che aveva bevuto, ma sapeva che la sua resistenza all'alcol valeva più di tre drink del cazzo.
"Ah, sì? Gentile da parte tua, ma non disturbarti" commentò rudemente Yves, "quindi mi hai chiamato per dirmi queste stronzate? Non dovresti lavorare tu?"
"Ti ho chiamato perché volevo sentirti." Ammise Amir, sorprendendo sia sé stesso che l'altro.
"Volevi sentirmi? Ti manca la tua tua dose di insulti giornalieri? Se vuoi posso accontentarti subito" lo prese in giro Yves, riprendendosi in fretta dalla rabbia che quelle parole gli avevano provocato.
"Sì, ormai è chiaro che non ci sto molto con la testa. Prima mi stavo chiedendo se hai mai voluto altro ..." Amir parlò in fretta prima che qualsiasi ripensamento avesse potuto frenarlo, "che cosa vuoi veramente, Yves? Non può bastarti quello. Non può e basta."
Il silenzio si abbatté sui due. Amir poteva quasi percepire l'effetto che le sue parole avevano provocato nell'altro. Aveva esagerato?
"Quello che voglio io non ti riguarda. E' un problema mio" ribatté secco il più piccolo, quando fu abbastanza in sé da rispondere.
"Ma lì dentro puoi fare quello che ti pare, Yves. Nessuno saprebbe niente, a nessuno importerebbe ..."
"Va al diavolo. Non ti pago per venire stalkerato di notte e assillato con consigli non richiesti. Ma che cazzo di rapporto credi che abbiamo noi due?" la voce di Yves salì di qualche nota.
"Devi aprire gli occhi."Continuò imperterrito il più grande.
"E tu devi lasciarmi in pace. Smettila di pensarmi, smettila di chiamarmi. Scopati il tuo ragazzo e ignorami! Non chiedo altro, Cristo."
Poi silenzio. La chiamata era stata interrotta prima che Amir avesse potuto replicare.
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Yves era rientrato in casa con i nervi a fior di pelle. Victoria era riapparsa in camicia da notte, il suo viso era stanco e preoccupato.
"Che succede? Problemi con Amir?"
L'altro scosse la testa, mentre recuperava i suoi effetti personali e il cappotto dal divano sul quale era crollato.
"Lascia perdere. Gaspard era lì e lui ha pensato bene di chiamarmi, come se volessi sentirlo." Poi si lasciò andare ad una risatina nervosa. Come diavolo era potuto finire in un giro simile?
"Perché non rimani qui per stanotte? Sono le tre del mattino. Puoi sistemarti nella stanza degli ospiti."
"No. Domani abbiamo scuola e la divisa è a casa mia. Tanto vale che vado via adesso, forse riuscirò a dormire qualche ora" sbottò Yves, ormai con il cappotto addosso e l'aria di chi avrebbe pagato oro per dormire un altro po' e spegnere i suoi pensieri.
La bionda lo accompagnò alla porta senza insistere ulteriormente. Sia lei che Gaspard erano pienamente consapevoli del debole di Amir nei confronti di Yves, ma nessuno dei due era tanto stupido dal parlarne più del dovuto. Sapevano che l'amico trovava quelle attenzioni tutt'altro che piacevoli.
"Ci vediamo domani, Vic. Grazie per la serata" disse poi il ragazzo e qualche attimo dopo si ritrovò sulle ampie scalinate del palazzo, dritto verso la notte scura e ventosa. Avrebbe fatto una camminata di trenta minuti e in fin dei conti capì che non gli dispiaceva più di tanto. Aveva bisogno di starsene da solo, di assimilare le parole dell'arabo e di far fronte a quel dannato bisogno che si sentiva crescere dentro.
Lo odio. Mi odio.
Era tutto lì. Amir aveva ragione e Yves odiava che la avesse. Era sul punto di cedere, ad un passo dal perdere quel poco di autocontrollo che gli rimaneva ancora. E poi cosa sarebbe successo a quel punto? Cosa sarebbe accaduto se si fosse fatto toccare da uno di quegli uomini? Non avrebbe più potuto continuare a negare e fingere e mentire. Poi sarebbe stato tutto fin troppo chiaro e innegabile. Avrebbe dovuto fare i conti con qualcosa di ancora più grosso e orribile: la consapevolezza che era marcio come una mela divorata dai vermi.
Ti toccheranno e ti piacerà. Sarai abominevole. Sarai come tutti quelli che detesti. O forse peggio ... perché tu hai mentito. Ti sei sempre reputato migliore, ma non lo sei mai stato.
E poi arrivarono i flash di quei corpi nudi, stretti l'uno contro l'altro. La bellezza di una schiena nera, imperlata di goccioline chiare. I loro gemiti gli risuonavano nelle orecchie come una musica suadente quanto terribile. Quelle dita che si muovevano dentro i loro corpi, le loro bocche che si chiudevano l'una sull'altra ... e le lingue come fiamme di fuoco puro.
Yves era eccitato. Con un disgusto terribile capì che voleva essere lui il protagonista di quella scena.
Voleva essere toccato. Voleva essere usato. Voleva essere penetrato.
ANGOLO AUTRICI:
E siamo qui alla fine di questa settimana con questo nuovo ed esuberante capitolo, come sempre ci auguriamo che la storia vi stia intrigando e ci farebbe piacere sapere la vostra anche sul nuovo personaggio che state conoscendo. Che ci dite di Jean e del suo strano rapporto con Gaspard? Come sempre un abbraccio va anche ad Amir e ai suoi poveri tentativi di capirci qualcosa su Yves.
Grazie a tutti coloro che leggono la storia e trovano qualche minuto per commentarla con noi.
A presto.
BLACKSTEEL
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