20. Ossessione
Motivo grave e persistente di preoccupazione o di molestia
Amir controllò per una seconda volta l'orario sul suo orologio. Era quasi mezzanotte, presto avrebbe accolto Yves. Il retro del locale era particolarmente silenzioso, aveva già sistemato altri due clienti, ognuno di loro arrivava a distanza di quindici minuti per garantire una privacy assoluta. Quella sera aveva scelto un ragazzo nuovo per Yves, un americano che aveva accettato il lavoro per arrotondare, ma che a quanto pare si era rivelato molto bravo. Per un attimo quel pensiero lo disturbò, si prodigava tanto per cercare una persona adatta ad Yves, qualcuno che avesse potuto accontentarlo e soddisfarlo al cento per cento, quando in realtà permettergli di conoscere quella gente andava soltanto a suo sfavore.
Cosa accadrebbe se Yves iniziasse davvero ad andare a letto con uno di quelli?
Ci pensava a lungo, tormentandosi di tanto in tanto per quei sentimenti che non voleva provare ma che erano più forti di lui. E se Yves, un bel giorno, si fosse svegliato e avesse capito che voleva di più da quegli incontri? Amir era certo che l'altro desiderava di più, a volte gli sembrava persino di leggerglielo in quello sguardo distante e cupo. Quello che mancava era il coraggio di accettare ciò che era senza finire in un loop di sensi di colpa e disgusto. Quanto poteva durare il tentativo estremo di Yves di non cedere ai suoi impulsi più bassi?
Non per sempre. Lo sai. Prima o poi cederà e tu non potrai fare altro che accettare la cosa.
Era lui a procurargli quegli incontri e quello era l'unico motivo per cui Yves frequentava il suo locale, affari esterni a parte. Ecco qual'era il suo ruolo nella vita del francese ...
"Ehi, ti ho portato qualcosa da bere per ammazzare il tempo" la voce carezzevole di Rémy lo raggiunse, scuotendolo dai suoi pensieri terrificanti.
Il suo ragazzo era lì, gli porgeva un bicchiere colmo di liquido bianco e lo fissava con aria curiosa.
"Grazie. La nottata è ancora giovane, forse dovresti iniziare a portarmi un caffè ... di sicuro mi farebbe meno male"commentò il più grande, ma accettò con piacere il drink. Era meglio sopportare quella serata con un po' di alcol in corpo, senza dubbio.
Baciò Rémy e lo osservò, aspettandosi che il suo ragazzo tornasse nell'altra parte del club, ma il biondo non sembrava avere fretta, anzi iniziò a guardarsi intorno con curiosità.
"Allora? Calma piatta anche qui stasera? Ho lasciato Jean al bar, mi annoiavo ..."
Amir sollevò un sopracciglio "sto aspettando dei clienti. Sai che a loro non piace farsi vedere da troppa gente ..."
Rémy sorrise, apparentemente poco colpito da quelle parole "vero? Eppure si scopano di tutto al piano di sopra. Di sicuro non mi danno l'impressione di persone particolarmente pudiche ... in fin dei conti hanno il coraggio di venire fino a qui" gli fece notare il ragazzo con un tono di voce strano, che ad Amir non piacque.
"Quello che fanno nella solitudine delle loro camere non ci riguarda fintanto rispettino i nostri dipendenti. Qui si aspettano della privacy però, quindi davvero ... dovresti andare via. Passo all'Heros non appena avrò finito con l'ultimo cliente" provò a rassicurarlo quando si rese conto di come erano suonate le sue parole, ma Rémy scosse la testa e puntò i suoi occhi chiari sul volto dell'altro.
"Viene anche lui, no? Lo stai aspettando, scommetto. Gli hai permesso di tornare qui nonostante il modo in cui mi ha trattato, vero?" disse con un filo di astio nella voce. Amir portò gli occhi al cielo. Sapeva che sarebbe successo e sapeva anche che non aveva abbastanza tempo per occuparsi anche di quel problema. Yves sarebbe apparso lì a momenti.
"Rémy ... è lavoro. E' un cliente, lui n-"
Ma l'altro lo interruppe subito "cosa fa lì sopra? Tu lo sai, no? I ragazzi ti raccontano tutto. Voglio saperlo anch'io."
Amir scosse la testa, i suoi occhi zigzagavano tra la porta e l'altro " non posso parlarne, sono affari privati. I clienti si fidano di me"
"Ma io sono il tuo ragazzo! Non puoi dirlo neanche a me?"
Rémy lo fissò dritto negli occhi, il risentimento che gli aveva mostrato negli ultimi secondi aveva lasciato posto ad un'espressione di dolore vivo. Si sentiva tradito, si sentiva negare qualcosa che Amir avrebbe dovuto dargli e basta. Ma non poteva, non si sarebbe mai sognato di raccontare quello che faceva Yves lì dentro.
"Devi lasciare perdere, ok? La tua è un'ossessione, non te ne rendi conto?" disse invece, e subito notò la furia nello sguardo del biondo.
"Io sarei ossessionato? E tu, Amir? Tu?! Non fai altro che andargli dietro, assecondarlo in ogni suo piccolo capriccio, mentre io non posso neanche sapere cosa succede!"
Amir stava per ribattere qualcosa, quando l'arrivo del buttafuori interruppe la discussione. Stava entrando, seguito da Yves. La solita espressione fredda sul volto del francese venne oscurata da un principio di irritazione non appena notò che Amir non era lì da solo come sempre. Il più grande si irrigidì.
"E lui che ci fa qui?" il suo tono era stato talmente sgarbato e glaciale che suonò come un'offesa. Tutto nel corpo di Yves lasciava suggerire quanto si sentisse offeso dalla presenza di Rémy.
"Stava andando via" disse debolmente il proprietario, poi appoggiò la mano sulla spalla del suo ragazzo "vai ora. Ci vediamo dopo."
L'aveva detto quasi senza crederci, sicuro che Rémy si sarebbe opposto fino a far sfociare quella situazione nel delirio più totale, ma incredibilmente non successe. Il biondo si incamminò verso l'uscita con passo rigido e senza degnare Yves di una sola occhiata, tanto che il moro rise piano, divertito.
"Ah, ma allora sta imparando ..." commentò, sollevando lo sguardo brillante sul più grande.
"Smettila e non farmi incazzare, Yves"sussurrò Amir, ma Rémy era già andato via. A quel punto la sua attenzione si concentrò unicamente sul nuovo arrivato, portava ancora addosso i segni di quell'aggressione che non aveva voluto spiegargli, ma tutto sommato il suo volto sembrava star tornando dei colori giusti. Lo guardò per un lungo istante, passando in rassegna la bellezza di quel viso austero.
Dovrebbe stare con te. Tu potresti dargli tutto ciò di cui avrebbe bisogno.
Ecco cosa pensava Amir, ma si costringeva a tacere con tutte le sue forze. Non voleva rovinare tutto, non voleva allontanarlo per sempre da lì. Dopotutto quel rapporto era l'unico rapporto che poteva avere con lui. Questa era l'unica verità che contava, purtroppo.
Yves si fece avanti, i suoi occhi si posarono sul piano di sopra, mentre il buttafuori tornava al suo posto oltre la porta.
"Posso, allora?" chiese con voce arrogante il francese.
"Non vuoi bere niente?"
"Perché me lo chiedi ogni volta? Non ho mai accettato, mi pare. Sei proprio duro di comprendonio tu" commentò Yves scuotendo la testa.
"Io mi definisco caparbio, al massimo" disse di rimando Amir, per niente ferito da quelle parole, anzi continuò "magari prima o poi ti verrà voglia di scambiare qualche parola con me e forse a quel punto ti renderai conto che non sono così male come credi."
Il francese si lasciò sfuggire un'espressione di puro scetticismo "a tutti piace sognare, suppongo. Chi sono io per negartelo?" poi lo oltrepassò e si diresse su per le scale senza aggiungere altro.
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Rémy lasciò il locale con una morsa al petto talmente stretta che fu costretto a fermarsi un attimo per cercare di prendere respiro. Era distrutto e tremante. Il mondo gli era caduto addosso, qualsiasi speranza di salvare la sua relazione era finita in quel momento, dentro a quel locale, quando Amir si era rifiutato, ancora una volta, di confidarsi con lui.
Ha protetto Yves. Proteggerà sempre lui. Il suo bene verrà prima del tuo ... sei solo un piccolo idiota. Perché ti stupisci tanto? Tu lo sapevi già.
Si era preparato a ricevere un trattamento del genere, ma la verità è che faceva comunque male. Provò ad accendersi una sigaretta con le mani che tremavano, mentre il vento freddo di ottobre scuoteva la via con un fischio inquietante.
E' finita. Devi fartene una ragione ... hai perso.
Il rumore del vento aveva coperto i passi di un secondo ragazzo in avvicinamento. Rémy aveva notato prima l'ombra, stagliata contro l'acciottolato della strada, resa immensa dal lampione sporco che emanava una luce giallastra.
Gael lo aveva raggiunto e lo osservava con una certa preoccupazione. Senza rendersene conto Rémy era in lacrime. Si portò una mano sul volto e con un gesto rabbioso cercò di spazzarle via.
"C-che ci fai qui? Dovresti essere dentro a suonare" disse a fatica.
"Cos'è successo?" Gael non rispose neanche, i suoi occhi scandagliavano il volto devastato di Rémy che gli diede subito le spalle.
"Niente di cui tu debba preoccuparti. Voglio stare un po' da solo"
Ma l'altro non mollava, qualcosa gli suggeriva che la reazione di Rémy fosse dovuta ad Amir ed era imperativo per Gael continuare ad investigare in quella storia.
"Dai, faccio io" disse e approfittò delle mani tremanti del ragazzo per aiutarlo ad accendersi una sigaretta. Rémy fece un breve cenno di ringraziamento, era rosso in viso, stava cercando di trattenere le lacrime con scarsi risultati.
"E' che mi preoccupa vederti così ... di solito sei ... beh, so che non posso fare molto, ma se hai bisogno di sfogarti io sono qui."
"E a che pro? Credi che frignare risolverà le cose?" mormorò disperatamente il biondo "è finita, Gael. Non c'è modo di risolvere le cose, ormai è chiaro. I-io non sono abbastanza per lui e devo accettarlo una volta per tutte. Non posso continuare a farmi del male ..."
Aveva parlato troppo e lo aveva fatto con rabbia, quasi senza riflettere. Nessuno sapeva dei suoi problemi con Amir, eccetto Estelle e ora anche Gael, eppure non riusciva fermarsi. Aveva bisogno di quello sfogo.
"N-non è me che vuole, io sono solo quello di riserva, una magra consolazione" continuò con il respiro mozzo e una nuova ondata di disperazione "devo uscire di scena, capisci? Smettere di vederlo ... forse lontano da lui sarà più facile dimenticare."
"E non vuoi combattere? Non c'è niente che tu possa fare?" suggerì Gael che era a conoscenza degli ultimi movimenti di Andrea. Aveva avvicinato Rémy giusto un paio di giorni prima ... aveva provato a persuarderlo per ottenere informazioni su Yves, ma il biondo non lo aveva ancora contattato.
"Senti, se hai qualche carta in mano te la dovresti giocare. Io sono di questo avviso ... tanto non credo che potrebbe andare peggio a giudicare dalla tua faccia, no?"
Il biondo non rispose, aveva lo sguardo perso e una strana espressione meditabonda sul volto.
"Se hai bisogno di aiuto ... io"
"No, forse so cosa fare" disse in fretta Rémy, interrompendo Gael "hai ragione. Non mi è rimasto nulla ... prima di andarmene voglio che almeno lui paghi per quello che ha fatto."
"Amir?" Gael era stupito.
"No, non lui" rispose a denti stretti il biondo, mentre l'altro vedeva un'ombra di puro odio brillare negli occhi di Rémy. Poi aveva gettato la cicca a terra e l'aveva pestata con rabbia, un attimo dopo il suo viso era tornato quello di sempre. Nessuno avrebbe potuto immaginare che fino a pochi istanti prima fosse in preda alla disperazione.
"Grazie Gael. Volevi suonare all'Heros? Metterò una buona parola con Amir ... sai, fin quando la mia opinione è ancora ben accetta ovviamente" poi gli dedicò uno strano sorriso e andò via.
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Andrea si era messo in piedi svogliatamente, il ragazzo che aveva rimorchiato quella sera era nel suo letto, in apparente attesa di un terzo round. L'italiano gli passò una mano sulla coscia nuda, fino a stringere con poca delicatezza il sedere sodo del ragazzo. Quello rise e lo attirò a sé, spingendolo di nuovo sul letto che cigolò sotto il peso di entrambi.
"Credevo avessi fame ... sai, il cibo è in cucina. Mi devi dare modo di recuperarlo però." disse Andrea a pochi centimetri dalle labbra gonfie dell'altro.
"No, pensandoci preferisco te al cibo."
Ah, i francesi ... ragazzi passionali, pensò Andrea, lasciandosi trascinare di nuovo sotto il corpo tonico del ragazzo. Quello lo guardò con aria di sfida, poi afferrò le gambe dell'italiano e si infilò in mezzo "Facciamo a cambio? Ti farò gridare tanto da svegliare i tuoi zii."
Lo stomaco di Andrea ebbe un balzo di fronte a quelle parole audaci "ma davvero? Vuoi mettermi nei guai?"
Stava per lasciarsi andare totalmente a quella simpatica pausa ricreativa tra un pensiero ossessivo riguardo suo cugino e un altro, quando improvvisamente il suo telefono prese a suonare. Il ragazzo si lasciò sfuggire un lamento di impazienza, mentre Andrea buttava un'occhio sullo schermo. Era un numero sconosciuto.
Il cuore gli balzò in petto un attimo dopo. Doveva essere lui.
Si mise in piedi in fretta, lasciando perdere le lamentele dell'altro che gli intimava di non rispondere.
Quando Andrea prese la chiamata aveva il fiato mozzo. La voce di Rémy giunse fredda dall'altro capo del telefono.
"Sei tu? Ho delle informazioni che immagino voglia sentire."
"Dove sei?" chiese in fretta l'italiano, col cuore in gola.
"Lascia perdere dove sono ... ormai la tua occasione è andata per questo mese, ma non preoccuparti ... lui tornerà e noi saremo pronti. Ti farò sapere quando succederà, nel frattempo non farti vedere qui e non provare a seguirlo di nuovo."
"Cosa fa?"
"Te lo farò vedere." Disse Rémy con tono solenne, poi interruppe la chiamata.
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Puoi farlo Gael ...
No, non puoi veramente chiedermi una cosa del genere.
Se mi ami, lo farai per me. Ti chiedo solo questo.
Lèon...
Mi ami?
Gael si sollevò di scatto sgranando gli occhi, aveva il fiato corto e si sentiva soffocare. Dovette osservare attentamente le pareti logore del suo monolocale per rendersi pienamente conto di dove si trovava.
Era a Parigi, aveva vent'anni e frequentava il conservatorio.
Si passò una mano sul viso madido di sudore mentre sentiva ancora il suono di quella voce fargli eco all'orecchio, la sua voce.
Gael sapeva che non avrebbe dovuto farlo ma stirò una mano verso il comodino, recuperando una foto conservata con cura nel cassetto.
Ed eccoli lì, entrambi sorridenti e pieni di sogni. Gael osservò se stesso in quella foto di qualche anno fa e faticava a credere che fosse davvero lui, poi c'era Lèon.
Così dannatamente bello e pieno di vita, così audace, con i capelli color miele e gli occhi verdi.
Gael non avrebbe saputo dire quanto avrebbe dato per poterlo stringere di nuovo fra le braccia, per poterlo baciare e suonare con lui come il giorno in cui avevano scattato quella foto.
Alle volte si diceva che continuava a suonare e a investire nella musica perchè stava portando avanti anche il sogno di Lèon, altre invece, pensava solo che fosse puro egoismo e che se lo avesse amato davvero non avrebbe più toccato un pianoforte.
Sarebbe ancora vivo, se non avessi assecondato i desideri di un folle.
Quella consapevolezza lo investì come un pugno allo stomaco, i ricordi di quel giorno avevano ripreso a tormentarlo. Era davvero colpa sua, perchè se non avessero condiviso così visceralmente quell'ossessione, Lèon sarebbe vivo.
Nessuno gli avrebbe mai aperto quella porta, solo tu sei stato tanto malato.
Gael si ritrovò davanti agli occhi la macchia di sangue che era rimasta dopo la caduta di Lèon, avevano portato via il corpo prima che lui lo vedesse ma quella macchia era ancora lì, insieme a qualche frammento del suo cranio.
Come hai potuto lasciarglielo fare?
Alla fine il ragazzo si sollevò dal letto e corse in bagno, non riuscì a trattenere il conato di vomito che gli risalì in gola, così si liberò, accasciandosi sulle mattonelle fredde.
Non era nuovo a certi pensieri, ma ogni volta non riusciva a controllare quanto fossero devastanti. Si sciacquò il viso e alla fine decise che era meglio mettersi in piedi e cominciare a prepararsi per il conservatorio.
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Quando attraversava quei corridoi, nonostante fosse immerso in una realtà piena di musicisti, di persone che vivevano con la sua stessa aspirazione, si sentiva tremendamente distante da tutti.
Era come se nessuno di loro potesse veramente comprendere il suo grado di devozione alla musica, forse perché sentiva che nessuno di loro aveva sacrificato tanto quanto lui.
Nessuno ha aiutato il proprio ragazzo a schiantarsi dal tetto di un palazzo.
Gli sussurrò una vocina nella sua testa.
Nessuno di loro è così malato e ossessionato.
Gli ricordò ancora quella voce, che somigliava sempre più pericolosamente a quella di Lèon.
Tutti dovrebbero avere un piano B nella vita, è quello che ti salva da te stesso.
Gael scacciò per la millesima volta dalla sua mente quei pensieri e quella voce, mentre osservava le occhiate che gli altri studenti si lanciavano al suo passaggio.
Era al secondo anno ormai eppure non aveva instaurato un vero rapporto con nessuno dei suoi compagni di corso.
"Gael?"
Il suono del suo nome lo destò da quei pensiero che lo stavano tormentando da tutta la mattina, sollevando lo sguardo si rese conto che il suo professore di pianoforte gli aveva fatto cenno di avvicinarsi, così ubbidì.
"Buongiorno"
"Ho saputo che volevi parlarmi riguardo un compito che ho lasciato alla classe" disse l'uomo.
"Sì, so che per l'esame di metà corso vuole che ci esibiamo in coppia, con un pezzo a quattro mani" mormorò il moro cercando di non far trasparire il proprio disagio.
"Esatto"
"Vorrei sapere se fosse possibile essere esonerati o esibirsi singolarmente"
Gael aveva parlato in fretta senza fissare l'insegnante negli occhi, quello aveva osservato il ragazzo con attenzione, percependo il disagio mal trattenuto.
"Posso sapere perchè?" chiese l'uomo.
Perchè non voglio più suonare in coppia con qualcuno in vita mia che non sia Lèon.
"E' personale. Ho delle difficoltà a suonare con gli altri, preferisco esibirmi per conto mio" disse alla fine.
"La musica è condivisione, Gael. Non si può crescere come musicisti se non si è aperti agli altri, al farci contaminare con stili e tempi diversi dai nostri" spiegò l'uomo "e tu più di tutti troveresti giovamento da un esame come questo, sei troppo chiuso. Se vuoi passare l'esame del mio corso, dovrai fare uno sforzo verso gli altri"
Il ragazzo non disse altro, annuì anche se non era d'accordo e si dileguò lungo il corridoio sperando che gli venisse in mente qualcosa per aggirare quella difficoltà. Perché non era assolutamente pronto a lasciare che qualcun altro prendesse il posto di Lèon accanto a lui.
Qualche ora dopo fu un messaggio a distrarre Gael dai suoi cupi pensieri mentre tentava di studiare un nuovo pezzo che gli era stato assegnato. Lanciò lo sguardo sul display del telefono e vide il numero di Jean.
Sorrise pensando all'ennesimo casino in cui si era cacciato, dare una mano Manech e Andrea non era proprio il genere di impiccio in cui avrebbe dovuto immischiarsi ma allo stesso tempo, sembrava proprio essere quello che gli serviva.
Distrarsi anche qualche ora dai suoi pensieri per occuparsi dei drammi da liceale di Manech, era quasi una liberazione per la sua testa.
Il messaggio diceva: Stasera hai un'audizione per l'Heros, verrò a fare il tifo per te.
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Gael fece il suo ingresso all'Heros in punta di piedi, non aveva mai visto l'interno di quel locale e ne rimase colpito. Era molto lussuoso e ogni minimo dettaglio contribuiva a dargli un aura di proibito e sosfisticato.
Notò immediatamente sulla destra un'area che ricordava i bar degli anni trenta, dove era posizionato un sontuoso pianoforte a coda. Poco distante c'era un piccolo palco, dove Gael pensò che si tenessero delle esibizioni di qualche tipo.
Non ebbe molto tempo per guardarsi intorno, dopo pochi passi fu raggiunto dalla figura di Jean. Mancava qualche ora all'apertura del locale ma lui indossava già un elegante divisa da barista, teneva i capelli ricci raccolti in una piccola coda. In quel momento sembrava quasi dimostrare i suoi venticinque anni.
"Nervoso?" chiese con un sorriso rassicurante.
"Sto bene" replicò Gael " questo posto è bellissimo"
Prima che potessero dirsi altro ci fu un altro ingresso nella sala, Gael si rese conto che si trattava di Amir. Aveva visto poche volte il proprietario dei locali ma lo riconobbe subito, era giovane ma, allo stesso tempo, circondato da un'aura che lo rendeva più adulto di quanto non fosse. Osservò Gael per un lungo momento, come se lo stesse soppesando, poi, senza troppe cerimonie, gli indicò il piano.
"Prego" lo incitò.
Gael si mise al piano e cominciò a suonare, le sue dita si mossero rapide e precise lungo i tasti, aveva deciso di improvvisare e far fluire il suo dolore lungo le corde. La melodia era bella e terribile, come i suoi pensieri e, anche se lui non poteva saperlo, come le vite dei due uomini che lo stavano ascoltando.
Jean abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle mentre quella melodia gli stava scombinando lo stomaco, mentre Amir continuava ad ascoltare con aria impassibile fino alla fine dell'esecuzione.
Non ci fu un applauso, Gael non se lo aspettava neanche, tolse le mani dai tasti e spostò lo sguardo nuovamente verso Amir, in attesa.
"Non c'è alcun dubbio sul tuo talento" disse alla fine l'arabo "ti avevo già sentito suonare io stesso altre volte, se non fossero bastate le lusinghe da parte di Jean e Rémy. La vera ragione per cui ti ho fatto venire qui, è un altro tipo di provino"
Gael si sollevò "capisco perfettamente cosa intendi"
"Davvero?"
"Non sono stupido, capisco che la natura di questo locale è di fornire alla clientela discrezione" commentò "altrimenti non sarebbe tanto difficile venire a lavorare qui o entrare come cliente. Posso solo dire che dimenticherò ogni nome e ogni faccia che mi capiterà di vedere in questo posto"
Amir lo osservò attentamente, soppesando quelle parole e scrutando il più possibile i suoi occhi, in cerca di menzogne o esitazione, ma non ne trovò.
"Posso fidarmi?" chiese nuovamente lanciando un'occhiata a Jean.
Quello annuì "Garantisco io"
"Allora sei in prova" comunicò a Gael "deludimi o vieni meno alle regole di questo posto e non te ne pentirai mai abbastanza"
Gael annuì e poi osservò sparire l'uomo lungo la sala, Jean gli si affiancò, con il suo solito sorriso bonario sul volto.
"E' un grande onore, sono sicuro che farai faville qui"
"Hai garantito per me, spero di non farti finire nei guai. Non era il caso che ti esponessi tanto" commentò Gael.
L'altro scosse le spalle e mise su un'espressione misteriosa, che Gael non avrebbe mai pensato si addicesse a una persona come Jean.
"A volte anch'io mi concedo atti di egoismo" replicò "vorrei potermi esibire con te"
"Esibirti?" chiese quello incuriosito.
"Per stasera vai, ti farò sapere i tuoi orari per la prossima settimana, sarà una sorpresa"
Gael pensò che non fosse il caso di chiedere altre spiegazioni, così lasciò il locale e scrisse a Manech: Se avete bisogno che li tenga d'occhio, sono dentro l'Heros.
ANGOLO AUTRICI:
Il mistero si infittisce! Vite si incontrano e si intrecciano, cospirazioni prendono piede ...
E voi? Che ci dite? La storia vi sta piacendo? Cosa ne pensate dell'arrivo anche dei nuovi personaggi che si sono incastrati nella vicenda? Come sempre aspettiamo i vostri commenti per sapere cosa ne pensate e vi diamo appuntamento alla prossima settimana.
BLACKSTEEL
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