Michele
Finisco di leggere la prima pagina di quello che sembra essere un diario e rimango senza parole. Inizio a pensare che forse mi sono ficcata in qualche pasticcio e che ho messo le mani su qualcosa che dovevo proprio lasciare lì al suo posto. Credo che la mamma e il papà si arrabbieranno tantissimo. Mi alzo di scatto, furtiva, come se qualcuno potesse entrare da un momento all'altro e cogliermi con le mani nel sacco. Faccio per rimettere il quaderno dentro al baule e sospiro, poi ci ripenso. La storia che ho letto mi è piaciuta proprio tanto e poi sono così curiosa! Chissà se continuando a leggere posso scoprire cosa succederà ad Elia e alla sua macchinina... Mi porto un dito sulla bocca ed inizio a picchiettare sul labbro inferiore, mi viene la faccia da scema come ogni volta che sto pensando. Si, ho deciso, voglio continuare! Tanto manca più di un'ora prima che il mio papà rientri a casa, ho tempo di leggere ancora qualche pagina e poi rimettere tutto a posto. Riprendo tra le mani la mia torcia e la punto sulle pagine ingiallite, la persona che ha scritto queste storie doveva essere molto arrabbiata, la sua grafia è piena di curve, ghirigori e cancellature. Lascio che la storia mi travolga e inizio a leggere di nuovo.
Michele
L'innocenza è un crimine. Lo scopre così Michele, a diciassette anni suonati, mentre sta tornando zaino in spalla dalla partita di calcetto. Sono le dieci e un quarto, il buio ha inghiottito ogni cosa e nella città è sceso un sovraumano silenzio. La strada che Michele sta percorrendo è illuminata da pochi lampioni che vanno a intermittenza, lui non si sente tanto tranquillo, nonostante faccia quella strada tutte le notti da ormai un anno. Ha i calzoncini di spugna tirati su fin sotto al ginocchio. Sono sporchi d'erba e impregnati di sudore e passione. È un ragazzino sveglio, gli piacciono il calcio e le domeniche d'estate in cui se ne rimane steso sul letto a dormire. Sulla schiena porta il numero 3, come il giorno in cui suo padre lo ha abbandonato come un cane in autostrada perché non riusciva ad accettare la sua vita. Cammina con le spalle incurvate, lo sguardo basso ma mai tranquillo che sta sempre pronto e all'erta per qualsiasi evenienza. Michele non è sicuro di sé, la sua camminata e il suo passo incerto che si poggia sul mondo ne sono la prova. Ha il passo svelto, brucia kilometri come il fuoco brucia alberi in un incendio, li inghiotte. Sua madre lo sta aspettando sdraiata su un fianco nel suo letto, gli ha lasciato la luce della cucina accesa. È preoccupata, non sta tranquilla la notte da quando Michele ha deciso di fare Coming Out col mondo. Lui prima di uscire la rassicura ogni volta, le dice che andrà tutto bene, che non può succedergli nulla. La sua innocenza è un crimine, ciò che lo conduce dritto nella gabbia dei leoni. Quella sera è particolarmente stanco, ha corso tantissimo sul campo e ha segnato la sua prima rete. È orgoglioso, ha ancora una linea curva ai lati della bocca che è un residuo di tutta la gioia provata. È quasi arrivato a casa, quando un rumore improvviso gli fa gelare il sangue e lui subito lo capisce, che a casa forse non riuscirà ad arrivarci mai. Si immobilizza, sta fermo come un orologio senza lancette. Qualcuno lo afferra per lo zaino, lo tira indietro, lo butta terra. Sono due, grossi, hanno un sorriso stampato sul volto che non se ne va.
"Le femmine non dovrebbero giocare a calcio."
Uno dei due parla, poi gli sferra un pugno dritto nello stomaco e ride. Ma Michele non si lascia travolgere da questa banalità del male. È forte. Gli punta gli occhi negli occhi, poi parla.
"Io sono un ragazzo. Lasciatemi in pace."
Dice queste parole con la voce fiera ma rotta dal pianto. Poi si porta le mani alla testa e si copre il volto coi gomiti perché lo sa, che le belve si gonfiano nel petto di maggior violenza quando la loro preda mostra resistenza. Inizia per Michele una raffica di botte che non potrà dimenticare mai. Addosso dopo anni si porterà ancora i segni di quella brutalità immotivata che sarà poi la causa di tutte le sue paure e di tutte le sue insicurezze. All'improvviso uno dei due si ferma, prende Michele per i capelli e lo guarda dritto negli occhi.
"Finché non hai il cazzo non sei uomo."
La risata che risuona per le strade della città è l'ultima cosa che arriva alle orecchie di Michele prima di rigirare gli occhi al contrario e svenire.
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