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14. A sip of darkness

Canzone nei media:
"Bones" - EQUINOX

Qualcosa picchiettava sulla mia fronte, strappandomi dal vuoto che era stato il mio sonno da quando, a fatica, mi ero riaddormentata. Nell'aprire gli occhi, la prima cosa che vidi fu la luce del sole inondare la stanza e le tende venire scostate da una brezza tiepida. Tuttavia sussultai, nell'alzare lo sguardo al soffitto: la faccia di Vicious gravitava a cinque centimetri dalla mia. La sua mano era ancora allungata verso di me, mentre levitava come una piuma.

«Cristo» sbottai, scattando contro lo schienale del letto. Nella foga sbattei la testa contro il muro e le fitte mi inondarono collo e cervelletto, ma mi sforzai di tenere la mia attenzione su di lui.

Vicious, in risposta, inclinò il capo. «Ben svegliata» disse, prima di scoppiare a ridere e girare su se stesso nell'aria. Non sapevo come potesse riuscirci, ma il fatto che volasse in quel momento era all'ultimo posto nella – lunga – lista dei miei problemi.

«Cosa...» guardai i mobili alle sue spalle solo per riportare subito gli occhi su di lui. «Che diavolo ci fai nella mia stanza?» Solo dopo aver parlato pensai che, forse, non avrei dovuto usare quelle parole. Sembravo dimenticare troppo facilmente chi lui fosse in realtà; non ero più nella capitale, ero nel regno privato del Dio Senza Occhi, e non potevo più permettermi queste dimenticanze.

Deglutii a vuoto, la gola secca e un gusto amaro sotto alla lingua, osservandolo gravitare. Quel mattino non indossava il mantello nero e teneva le maniche della camicia bianca arrotolate. Un panciotto nero gli stringeva il petto, dello stesso tessuto ricercato dei pantaloni.

Sulla pelle dei suoi avambracci c'erano i disegni neri che avevo visto anche sul corpo del ragazzo con le corna. La cosa non poteva passare inosservata ai miei occhi, ma mi fece un effetto meno strano di quanto mi sarei aspettata; alla fine si trattava solo di un incubo, no? Forse, con tutto quello che era successo, il mio cervello era andato in sovraccarico. Dopotutto, quello che avevo visto nel sonno non aveva il minimo senso: quante probabilità c'erano che un sociopatico proveniente da un'altra dimensione conoscesse una ballata popolare del ventesimo secolo?

«Immagino tu non abbia sentito le campane» mormorò Vicious sorridendo. Svolazzò lontano dal mio letto e posò i piedi a terra con grazia, fermandosi di fronte alla finestra. Incrociando le braccia al petto poggiò la spalla contro lo stipite, poi mi scrutò con espressione divertita. «Ti ho aspettata quasi un'ora davanti al portone. Quando non ti sei presentata ho intuito stessi ancora dormendo. Quindi eccomi qui.»

Alle sue parole i miei occhi si spalancarono e l'astio che avevo provato si dissolse. Ero arrivata da un giorno e stavo collezionando una gaffe dopo l'altra. «Stai... parlando sul serio?»

«Ritengo tu sia stata particolarmente fortunata. Se si fosse trattato di qualcun altro, il tuo risveglio sarebbe stato molto meno piacevole.» Inarcò un sopracciglio, lanciandomi un'occhiata significativa.

Liberai le gambe dalle lenzuola e scattai in piedi. «Scusa» sollevai le mani verso di lui, mantenendomi però a distanza. «Davvero, scusami. Non era mia intenzione, prometto che...»

Vicious mosse la mano destra, come a sminuire la questione. «Non importa. Sono sicuro che non accadrà di nuovo, ma ti consiglio comunque di fare attenzione, la prossima volta. Non sei in vacanza, abbiamo del lavoro da fare.»

Annuii decisa, mormorando ancora delle scuse. Ignorai il fatto che fosse entrato nella mia stanza senza invito, dopotutto non avrei nemmeno dovuto stupirmi della cosa: quel luogo non era casa mia, ma sua, e dubitavo di essere l'unica a essersi trovata un ospite indesiderato in camera. Vicious poteva sembrare un normalissimo ragazzo alla mano, ma era uno dei Sette Figli, e con ogni probabilità avrebbe potuto fare qualsiasi cosa senza subirne conseguenze. Da chi sarei potuta andare a lamentarmi, chi mai mi avrebbe ascoltata?

Il pensiero mi fece andare di traverso la saliva.

Non essere negativa, mi dissi, sforzandomi di mettere da parte quelle idee cupe: se avesse voluto farmi del male lo avrebbe già fatto.

Lui ancora mi fissava, illuminato dai raggi di luce: lo incorniciavano come un'aura divina, così in contrasto con i vestiti e i capelli scuri. Mi scrutava come fosse in attesa di qualcosa, e la mia unica certezza era che volevo uscire da quella situazione imbarazzante il più presto possibile.

Deglutii ancora, o almeno tentai di farlo, sicché la gola era del tutto secca. «Se non ti spiace» iniziai, tentennando, «ti chiederei di uscire, così posso prepararmi.»

«Certamente» si staccò dalla parete e, ancora una volta, come fosse un tic, mosse la mano. «Ti aspetto in cucina, ho portato la colazione.» Dopo aver parlato, Vicious mi diede le spalle e si incamminò verso la porta. Invece di aprirla e uscire, però, raggiunse l'angolo lì a fianco, nascosto dalla scrivania. Non appena mise piede nella chiazza d'ombra il suo corpo si tramutò in un fumo nero: si diffuse nell'aria per qualche istante prima di diradarsi e svanire.

Rimasi spiazzata.

A grandi falcate raggiunsi la porta, gli occhi e la bocca spalancati; mossi le braccia davanti a me, cercando di afferrare qualcosa che non potevo vedere, ma tutto ciò che toccai fu l'aria.

«Si è appena... teletrasportato?» mormorai a bassa voce, incapace di trattenere una risatina nervosa. Con le mani nei capelli indietreggiai, fino a lasciarmi cadere sul materasso, le gambe molli e inadatte a tenermi in piedi. Avevo la forte sensazione che quella giornata sarebbe stata tutt'altro che leggera, ma non vedevo l'ora di iniziare. Avevo dormito malissimo e non mi sentivo affatto riposata, eppure la paura che il giorno prima mi aveva attanagliata e il timore di non farcela erano diminuiti. Non potevo nascondere di essere incuriosita da quelle persone, e dopo l'incubo ero solo più attratta dal mondo degli Artisti.

Non avevo cambiato idea sul mio essere inadatta, non mi sentivo magicamente parte di quella famiglia, né avevo tutto a un tratto iniziato a venerare il Dio... ma ero stata accettata per qualcosa a cui molti si erano rivelati indegni, qualcosa che mi avrebbe resa forte e mi avrebbe donato la capacità di difendermi ed essere temuta. Qualcosa che mi aveva portata al sicuro dal ragazzo con le corna.

Non volevo più aspettare.

Mi vestii in fretta, indossando gli abiti più comodi del mio armadio, e scesi fino al piano terra quasi volando. Mentre mi aspettava, Vicious aveva sistemato l'intera cucina e aperto le finestre. Con la luce del giorno e meno polvere il salone aveva tutto un altro aspetto, molto meno cupo e di gran lunga più accogliente; le candele profumate, poi, facevano il resto.

Durante la colazione restammo in silenzio, io mangiando il più velocemente possibile e lui continuando a rassettare la credenza, spazzando qui e mettendo un po' di cibo lì. Quando gli avevo chiesto perché lo stesse facendo, assicurando che non serviva, lui si era limitato a un cenno con la mano, ordinandomi di tornare a mangiare. La cosa mi fece sentire un po' maleducata, ma feci come detto.

Non appena ebbi finito Vicious si interruppe, recuperò il mantello da una delle sedie e fianco a fianco uscimmo alla luce del sole. Camminammo per un po' lungo i sentieri, incontrando di tanto in tanto qualche Artista che correva trafelato, prima che mi decidessi a dire qualcosa.

Non ero a disagio, quella sensazione era finita così com'era iniziata, e in compagnia di Vicious era difficile sentirsi d'incomodo. Anche la notte prima c'erano stati momenti di silenzio, in cui sia io che lui ci eravamo limitati a scrutare la luna, ma ciò che avevo provato era stata pace. Quel mattino non faceva eccezione: passeggiare al suo fianco senza dire nulla, semplicemente ammirando il giardino e i fiori illuminati da quel sole tanto normale, mi dava una sensazione di serenità. Non sapevo se fosse un effetto della sua natura, se fosse qualche potere che stava usando su di me o se era solo frutto di una connessione fra di noi, ma stavo bene. Fu allora che decisi che avrei sfruttato ogni occasione possibile per passare del tempo con lui, avrei unito l'utile al dilettevole.

«Dove stiamo andando?» chiesi, quasi sussurrando per timore di interrompere la quiete. Eravamo soli, se non per i ronzii degli insetti e qualche ape che vicino a noi si andava a posare sui fiori. Il giardino era un tripudio di colori e fiori d'ogni tipo, alcuni dei quali si attorcigliavano alle statue e vi proliferavano come funghi.

«Nell'unico posto in cui possiamo far sì che il mio potere funzioni.»

«Che intendi?»

«Le Ombre funzionano poco di giorno, c'è troppa luce. Ci serve un luogo dove il sole non può raggiungerci.» Io non risposi, un po' confusa, e senza dire altro continuai a guardarmi attorno.

Vicious indossava di nuovo il mantello e il cappuccio alto gli metteva in ombra il viso. Il suo passo era lento, come se avesse tutto il tempo del mondo, e io lo seguivo, sempre ammirando i fiori, che diventavano più strani più andavamo avanti.

Il sentiero che stavamo seguendo era lastricato con grosse pietre piatte dal colore grigio scuro, sparse di ciuffi d'erba. Non lo avevo notato, il giorno prima, quando lui e i fratelli mi avevano condotta alla casa dei novizi, ma ora che lo stavo percorrendo mi chiedevo come avessi fatto. La strada si discostava dalle altre sia metaforicamente che letteralmente: l'aspetto era molto più cupo e più procedevamo sempre meno curato. Dopo la svolta a sinistra che avevamo preso – chiusa fra due grandi cespugli verdi – esso era anche completamente isolato.

Ai nostri lati si stagliavano due siepi alte quasi due metri, che ci impedivano di vedere tutto tranne che il cielo; le foglie erano più scure di quelle del giardino e fra di esse spuntavano fiori dall'aspetto un po' inquietante: somigliavano agli ibischi, ma erano più grandi e allungati e i petali sfumavano dal nero al bordeaux. L'odore che emanavano era difficile da identificare, ma non era di certo quello di un fiore d'ibisco, e il modo in cui crescevano non era naturale: si comportavano come una pianta rampicante. Ogni tanto fra le siepi compariva il volto di una statua, o una mano di pietra, magari l'orlo di una gonna, anch'essi attorcigliati dai fiori e dai loro gambi spinati.

Staccandomi dal fianco di Vicious mi avvicinai a una di queste statue, osservando quel poco di testa che compariva, e allungai una mano. «Che fiori sono?»

«Fossi in te non li toccherei» commentò Vicious, fermatosi a qualche passo da me. «Sono Lacrime di Driade.»

Con la mano ancora ferma a mezz'aria voltai la testa. «Sono cosa?»

«Lacrime di Driade» ripeté. «La strada che stiamo percorrendo non è aperta a tutti. Ci possono entrare solo gli Artisti dell'Ombra o chi è accompagnato da noi. Quei fiori sono stati creati di proposito per attirare l'attenzione di chi non dovrebbe trovarsi qui, ma ti sconsiglio di toccarli, gli effetti non sono piacevoli.»

Mi girai di nuovo verso il fiore, osservando i suoi petali delicati e annusando l'odore dolce che emanava, poi abbassai la mano e la chiusi a pugno. «Perché queste precauzioni? Cos'ha di speciale il luogo in cui mi stai portando?»

Vicious scosse le spalle. «Nulla, a dir la verità. Come ti ho detto, la vita dei miei emissari è solitaria. I miei Artisti preferiscono restare soli, avere un luogo in cui possono essere certi di non venire infastiditi.» Lo vidi chiudere le labbra e abbassare lo sguardo al terreno, ma non mi sfuggì l'ombra che passò sul suo volto. «Qui noi siamo gli unici» aggiunse dopo un po', a voce più bassa, «a funzionare meglio con il favore della notte. Gli altri Peccati si trovano... scomodi... nelle tenebre.»

Lo scrutai in silenzio, poi annuii. «Ci saranno altri Artisti dell'Ombra, dove stiamo andando?»

Lui negò. «Tutti i miei Artisti sono occupati, non si trovano qui al momento.» Dopo aver parlato mi diede le spalle e, con un movimento del mantello, riprese a camminare. «Vieni, non restare indietro.»

Mi affrettai a raggiungerlo e nel continuare a camminare ben presto scoprii di trovarmi in un vero e proprio labirinto. Altri sentieri si aprivano ai nostri lati e a volte la strada era un vicolo cieco: se fossi stata da sola mi sarei già persa.

Tutto intorno a noi, quei fiori si moltiplicavano, fino al momento in cui delle siepi non restava altro che quei petali bicolore, magari qualche gambo spinato che spuntava solitario. L'odore era così forte da farmi venire le vertigini. Sentivo la necessità di toccarli, come fosse il mio corpo ad averne bisogno per restare in piedi.

Nello stesso momento in cui pensai di stare per cedere, il sentiero s'interruppe e sbucammo davanti a un cancello aperto. Dall'altra parte c'era uno spiazzo circolare circondato dalla siepe e al cui centro si stagliava una piccola casupola squadrata di pietra scura – ardesia, forse – con solo la porta d'ingresso e un tetto basso a spiovente.

«Siamo arrivati» annunciò Vicious, facendomi pat pat sulla spalla. Mi offrì la mano e insieme raggiungemmo la porta. Quando entrammo, fummo accolti dall'oscurità più totale.

«Non si vede niente» mormorai.

Lo udii ridere e pochi secondi dopo le ombre della stanza svanirono. Descrivere quello che vedevo è difficile ancora oggi: non era stata accesa alcuna lampadina, né c'erano fonti di luce, semplicemente l'oscurità era sparita. Ora potevo vedere quello che mi circondava, ma non era come vedere con i miei occhi. Tutto ciò che mi attorniava, compresi Vicious e me, era coperto da un filtro grigio: quando guardavo le mie mani, non vedevo più la tonalità bronzea della mia pelle, ma un colore grigio leggermente più scuro rispetto a quello dei miei vestiti. I contorni dei miei arti, così come quelli del corpo di Vicious, erano più chiari del resto, quasi bianchi, e mi permettevano di distinguere un oggetto da un altro.

«Oh mio dio» mormorai, muovendo le dita davanti alla faccia. «Cos'è? Un potere? Posso farlo anche io?» a ogni domanda il mio tono era sempre più estatico.

Lui scoppiò a ridere. «Non proprio. Questo è quello che un Artista dell'Ombra vede di notte. Le Ombre fanno parte di noi, quindi possiamo vedere al buio. A te può essere sembrato che abbia cancellato l'oscurità dalla stanza, ma ti ho semplicemente reso capace di vedere al di là delle Ombre.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Non so se ti è chiaro, ma è un po' difficile da spiegare.»

«No, credo di aver capito» lo rassicurai. «Quindi è questa la lezione di oggi?»

Scosse la testa e mi fece cenno di seguirlo mentre si dirigeva a una rampa che scendeva verso il basso. «L'intero edificio è oscurato, quindi finché sarai qui dovrai abituarti a questa... visione notturna.»

«Mi piace» replicai subito, quasi senza lasciarlo finire. «È strana, ma mi piace.»

Seppi che stava sorridendo, seppure mi desse le spalle. «Ne sono felice. Oggi inizieremo con qualche esercizio di concentrazione. Ti spiegherò come funziona il controllo di questo potere e proveremo a farti accedere al piano delle Ombre, la base per un Artista dell'Ombra.»

Mentre parlava avevamo cominciato a scendere gli scalini, chiusi fra due pareti molto strette. Vicious era a pochi passi da me e il suo profumo ancora più intenso; mi ricordava un incrocio fra il melograno e qualcosa di più sfuggente, quasi fumoso.

«Piano delle Ombre?»

«Quello che ho fatto stamattina. Sono entrato in una zona d'ombra e sono uscito in un'altra.»

Mi zittii per qualche istante e puntai lo sguardo sulla sua schiena. «Posso farlo anche io?»

Lui ridacchiò e annuì, e in silenzio continuammo a scendere. Dopo qualche minuto arrivammo al piano inferiore, un corridoio completamente spoglio fatto sempre di quella pietra grigia e liscia. Seguimmo l'andatura dell'androne, ignorando le varie porte chiuse ai nostri lati, e sbucammo alla fine in un'ampia stanza vuota.

Appena entrammo, alle nostre spalle il muro iniziò a muoversi e una porta scorrevole scese dall'alto fino a terra, chiudendoci dentro. Non so come ma riuscii a mantenere la calma. «Perché si è chiusa la porta?» dissi indicandola con un dito e un sopracciglio inarcato.

Vicious, che si stava slacciando il mantello, non mi guardò nemmeno. «Sei una novizia che si appresta a usare le Ombre. Voglio evitare che una volta entrata nel piano delle Ombre tu finisca dall'altra parte del mondo. Chiudendo ermeticamente la palestra faremo sì che tu non possa distruggere l'intero regno» dopo aver parlato mi rivolse un'occhiata di sottecchi e sollevò l'angolo delle labbra in un sorrisetto di sfida.

Io lo studiai in silenzio.

Vicious mi ignorò e afferrò dei guanti neri dallo stesso tavolo su cui aveva poggiato il mantello. Li infilò senza dire una parola e venne verso di me. Si fermò in mezzo alla palestra e mi lanciò un secondo paio che non avevo notato. «Indossali. Sono pochi gli Artisti capaci di manovrare le Ombre senza guanti.»

«Cosa succede se non li indosso?» chiesi iniziando a infilarli.

«Non lo so, potrebbero capitare molte cose spiacevoli. Le Ombre sono una materia difficile, raramente qualcuno è tanto in sintonia con loro da poterle guidare senza una protezione. E poiché non sappiamo che reazione avranno alla tua presenza voglio evitare che ti strappino la carne di dosso.»

Mi bloccai mentre stavo chiudendo uno dei due bottoncini e sollevai lo sguardo. «Cosa?»

Vicious fece un cenno con la mano, «Finché indossi i guanti non succederà niente.»

«E il resto del corpo?!»

«Sono le mani a essere a rischio, è con esse che un Artista manovra la materia.»

Con un «mh» poco convinto finii di sistemare i guanti di pelle nera sulle dita. Quando ebbi finito lo guardai. «E perché tu li indossi?»

«Precauzione» replicò soltanto. «Ora basta cianciare» aggiunse, dandomi la schiena. Si diresse alla parete alla mia sinistra. «Sono sicuro che non vedi l'ora di iniziare.»

Aveva ragione. Le premesse non erano delle più rosee, ma ero curiosa. Il controllo del sangue mi aveva affascinata, ma stavo scoprendo cose sulle Ombre che, se da un lato mi preoccupavano, dall'altro mi attiravano. Sembravano pericolose e potenti, esattamente ciò che cercavo.

Chi potrebbe fermarmi, con un potere del genere?

«D'accordo, quindi che devo fare?»

Dopo che ebbi parlato, Vicious premette un interruttore e una luce si accese al centro della stanza, illuminandone una vasta porzione ma lasciando molti spazi oscuri. I miei occhi vedevano ancora grigio, seppure meno di prima, e grazie a quel nuovo bagliore potei distinguere il fondo della palestra e le pareti, a cui erano poggiati vari attrezzi.

«Vieni» Vicious mi allungò la mano, a pochi passi dalla luce ma ancora fra le ombre. Lo raggiunsi e mi fermai al suo fianco. Lui si posizionò davanti a me, le spalle basse e un sorriso sereno in volto. «Ora ti spiegherò come funziona il controllo delle Ombre. Imita la mia posa.»

Lo feci, divaricando di poco le gambe e allungando le braccia lungo i fianchi, i palmi aperti.

«Rilassa le spalle.»

Le rilassai.

«Chiudi gli occhi.»

Sbattei le palpebre qualche volta, poi le chiusi.

«Il primo passo per poter controllare le Ombre è entrare in sintonia con loro. Devi cancellare ogni pensiero dalla tua mente e permettere loro di raggiungerti. Quando le sentirai, l'importante è che mantieni la calma.»

«Come devo fare?» chiesi, sempre con gli occhi chiusi.

«Svuota la mente e crea un'immagine mentale della stanza per come la ricordi. Osserva i suoi angoli bui. No, non aprire gli occhi.»

Strizzai le palpebre e mi costrinsi a tenerle chiuse. Non pensare a nulla non fu facile, come se nell'esatto istante in cui mi aveva detto di svuotare la mente essa si fosse riempita. C'erano tralci dell'incubo della notte prima, di Samuele, ricordi dei mesi vissuti con Pargo, il momento in cui ero arrivata, coperta di sangue non mio. C'era tutto, c'era la mia intera vita, nella mia testa, e con gli occhi sbarrati cercavo di dimenticarla.

Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci.

Inspirai a fondo ed emisi un soffio dalle labbra. Man mano i pensieri iniziarono a sparire, sostituiti da una fotografia mentale della palestra in cui mi trovavo. Digrignando i denti mi costrinsi a non pensare ad altro, di ideare solo quell'immagine.

«Guarda gli angoli» mi ripeté Vicious, con pazienza e tono basso.

Lo feci, osservando i punti che la luce nella mia testa non raggiungeva. E poi iniziò. Non so come, ma fu improvviso: un momento prima non c'era altro che silenzio e il momento dopo le mie orecchie erano occupate da un brusio leggero.

«Lo senti?»

«Il brusio?»

«Ascoltale» disse Vicious piano. «Permetti loro di avvicinarsi.»

Non lo feci di proposito, ma ignorai le sue parole. Le udii, ma non registrai subito il loro significato, troppo occupata a pensare a quel rumore bianco, che più mi concentravo sugli angoli bui più si faceva forte, come se si stesse davvero avvicinando, fino al momento in cui capii cos'era davvero. «Non è un brusio» mormorai sorridendo. «È uno sbattere d'ali. Sono farfalle!»

«Insolito» mormorò Vicious a mezza voce.

«Ora cosa devo fare?»

Dopo qualche istante lui prese un respiro e rispose: «Allunga le braccia ai tuoi lati e apri le mani, come dovessi offrirle a qualcuno.» Seguii le sue indicazioni e quasi subito percepii qualcosa toccarmi le dita. Piano piano la sensazione risalì lungo le mie braccia, mi raggiunse il torso e il viso. Lo associai, non senza stupirmi, a una carezza. Sentivo un calore espandersi nel mio petto e rendere più leggero il peso sulle mie spalle.

Liberazione.

Ecco la parola che cercavo, quello che mi faceva provare quella sensazione.

«Apri gli occhi» disse Vicious. Quando lo feci vidi la sua figura alta e snella ferma nello stesso punto di prima, ma un sorriso gli tirava le labbra. I suoi occhi chiari erano illuminati da una luce che ricordava l'orgoglio. «Guarda le tue braccia.»

Senza muovermi di un centimetro abbassai lo sguardo e vidi che attorno al mio intero corpo c'erano tentacoli di fumo nero. Si muovevano con grazia e lambivano la mia pelle con delicatezza. Aprii la bocca, ma non ne uscì niente.

«Direi che gli piaci» commentò Vicious.

«Wow» fu l'unico commento che riuscii a fare. «Succede sempre?»

«Quasi mai, in realtà» aggrottò la fronte. «Sei una persona notturna?»

«Ho sempre preferito la notte» risposi osservando le Ombre che si attorcigliavano alla mia mano mentre la muovevo. «Ovviamente sulla Terra. A Mar-dröm ho imparato che di notte è meglio nascondersi. Comunque no, non ho mai avuto paura del buio, anzi, se è questo che mi stai chiedendo.»

Lui mi scrutò in silenzio, poi allargò le braccia e modulò un sorriso. «Beh, come inizio è molto promettente. Penso che a questo punto possiamo cominciare con la lezione.» Mi diede la schiena ed entrò nella zona di luce. Quando vide che non lo stavo seguendo inclinò la testa, sospirò e alzando le braccia schioccò le dita. Nel momento in cui il suono rimbombò nella palestra i tentacoli di ombra svanirono senza preavviso.

Sollevai lo sguardo solo per incontrare il suo sopracciglio inarcato e la sua espressione di disapprovazione. «Scusa» mormorai.

Lui, ancora una volta, mosse la mano. «Coraggio, vieni qui.» Socchiudendo le palpebre per via del bagliore mi fermai al suo fianco, vicino al bordo fra luce e oscurità. «Entrare nel piano delle Ombre non è facile» riprese, «se non hai il favore delle Ombre stesse, ma la cosa più difficile è uscirne...»

Lo interruppi, voltando di scatto la testa nella sua direzione. «Stai dicendo che potrei essere intrappolata?»

«Potrebbe accadere, sì. Il mondo delle Ombre è come il nostro, ma molto più... malleabile. Gli spazi non rispecchiano quelli reali: due passi lì potrebbero essere sei chilometri in questo regno, per questo motivo ho chiuso ermeticamente la palestra.» Fece una pausa, «Prima di entrare sii consapevole che lì non troverai alcuna fonte di luce, ti muoverai alla cieca. L'unico modo è ascoltare le Ombre. Dovrai avere bene in mente un posto da raggiungere e farti guidare da loro.»

«Come posso ascoltarle? Non parlano.»

«Certo che parlano» ribatté Vicious con tono offeso, portandosi una mano al petto. «Devi solo saperle ascoltare.»

«E se rimango incastrata?»

«Io sono qui per questo. Non sarebbe la prima volta che devo recuperare qualcuno dal piano delle Ombre.» Ci guardammo negli occhi per qualche istante, fino a quando lui non rilassò la fronte e mi fece un cenno. Sbuffai e distolsi gli occhi, ma prima che potessi dire qualcosa Vicious allungò il braccio verso di me e posò la mano sulla mia spalla. «Clara» disse, attirando la mia attenzione, «raramente ho visto un Artista ricevere questo benvenuto dalle Ombre. Se ti hanno accolta così, vuol dire che si trovano in sintonia con te, e questo è un ottimo inizio, credimi.»

Pesai le sue parole. Vicious era l'incarnazione della Lussuria, le Ombre erano il suo potere, che lui donava agli Artisti. Non avrebbe avuto motivo di mentirmi e se diceva che le cose sarebbero andate bene allora doveva essere così.

Non mi sarei persa nell'oscurità.

E se anche succedesse, saranno le Ombre ad aiutarmi.

«Okay» sussurrai. «Che devo fare? Solo entrare nella zona buia?»

«Muoviti con il fine di entrare nel piano delle Ombre. Non chiedere di poter entrare, convinciti che entrerai, che lo stai già facendo. Annuncialo nella tua testa.»

Inspirai a fondo e senza dire nulla annuii fra me e me. Ripetei le sue parole nella mia mente, dicendomi che potevo farlo, e quando mossi il piede e lo poggiai oltre il bordo mi ripetei che ero già nel piano delle Ombre. Avevo gli occhi aperti e per questo potei distinguere il momento in cui la palestra svanì, rimpiazzata dall'oscurità più densa che avessi mai visto. Non aveva fine e io ero diventata cieca.

La sensazione che provai mi ricordò le notti in cui, sulla Terra, restavo sveglia a fissare il soffitto, con un paio di auricolari alle orecchie e tanti sogni in testa. Non provai né pressione né paura nel non riuscire a vedere il mio corpo. Se possibile, in realtà, mi sentii più rilassata, perché il ricordo che mi aveva portato era felice.

Ancora una volta inspirai a fondo e aprii le braccia, lasciando che le Ombre avvolgessero di nuovo il mio corpo. Loro non si fecero attendere e dal silenzio tombale emerse l'aggraziato fruscio d'ali di pochi minuti prima.

Devo raggiungere l'angolo est della stanza, mi dissi. Quello vicino all'entrata, dove si trova la scala di legno. Dipinsi il punto nella mia mente, per come lo ricordavo, e potei percepire le Ombre pulsare. Un tentacolo si strinse attorno alla mia mano sinistra e tirò. Non parlò, non a parole almeno, ma potei capire quello che mi stava dicendo.

Non dovevo fare niente, sarebbero state loro a fare il lavoro per me.

Senza emettere un suono mi lasciai trascinare e prima che potessi fare qualunque altra cosa sbucai di nuovo nella palestra, dall'angolo che avevo pensato di raggiungere.

Sbarrai gli occhi. Ce l'avevo fatta!

Un applauso interruppe la quiete e quando mi voltai vidi Vicious venire verso di me. Mi guardava con un angolo delle labbra tirato in su e la sorpresa in volto. «Complimenti, Clara» commentò. «Meno di un minuto!»

Respirai piano ma profondamente, fino a quando un sorriso non mi si accese in volto. «Ce l'ho fatta» dissi, incredula. «Non è stato difficile come credevo!»

Il suo sguardo si raddolcì mentre sussurrava: «Non so a te, ma a me questo sembra vero talento.»

Banner POV di Saintjupiter

Betaggio a cura di Octavia_Stokercrow

Divisore commerciale creato da me, vietato rubare o riprodurre.

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