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07. A little fucking mess

Canzone nei media:
"After death" - VISTA

Il giorno seguente procedette in modo più o meno uguale.

Alle prime luci dell'alba fui svegliata di soprassalto da Raka, che mi disse di raggiungerle davanti al fuoco. La colazione fu frugale e silenziosa, unico contatto l'accenno che Gizelle mi rivolse quando mi sedetti sul masso al suo fianco. Non ci rivolgemmo parola nemmeno mentre ripiegavamo le tende e ci preparavamo a partire.

Il silenzio rimase denso fino a tarda mattinata: per ore camminammo zitte e gravi, con gli zaini in spalla e gli occhi fissi sulla strada di fronte a noi. Loro dovevano essere scombussolate dagli eventi di quella notte, ma chiacchierare era l'ultima cosa che io avrei voluto fare.

Non mi sarei dovuta stupire, ormai succedeva sempre più spesso, ma avevo sognato di nuovo la mia ultima sera sulla Terra. Nemmeno Pargo era stato capace di liberarmi da quegli incubi, con i suoi sieri e le sue ampolle di materia dei sogni, solo a farmene dimenticare quando sorgeva il sole. Il motivo doveva forse cercarsi nel fatto che quel che vedevo non era frutto della mia mente, ma un ricordo che avevo vissuto: la magia di cui si serviva non poteva fare niente per fermarlo.

Le parole di Samuele mi tormentavano, dotate di senso solo ora che era troppo tardi. Dopo tre mesi, non riuscivo ancora a capire se spingermi nel passaggio dimensionale fosse stato il suo piano dall'inizio, o se lo avesse deciso sul momento, preferendo cacciare me in quel disastro invece che combattere per trovare una soluzione insieme.

In ogni caso, ero di pessimo umore, e l'atmosfera mattutina sembrava rispecchiare il fastidio pungente che provavo: il cielo era più pallido rispetto al giorno prima, non più di quell'azzurro pastello ma di una tonalità simile al bianco sporco; il sole era coperto di nubi grigiastre e del calore che la mattina precedente ci aveva accompagnate non c'era traccia. Fui felice di indossare il tabarro e più volte mi ci strinsi dentro, cercando di far passare meno vento possibile.

La nebbia non si era ancora diradata e mentre camminavo facevo fatica a vedere i miei piedi, nascosti da una coltre bianca che, quando vi facevo passare le mani, inghiottiva anche quelle. Se non attentasse alla mia vita ogni qualvolta mi girassi, Mar-dröm avrebbe anche potuto piacermi.

Quell'atmosfera spettrale si protrasse a lungo, indugiando sul bosco e su di noi. Per una volta non fui io a guardarmi attorno con fare preoccupato, seppure fossi conscia che quella nebbia non fosse nostra alleata. Il muro di bruma sembrava salire un po' di più ogni minuto, quasi volesse seppellirci sotto di sé. A un tratto sentii Raka chiedere a Gizelle se non fosse meglio fermarsi, l'ibrida però negò con la testa e andammo avanti.

Il fatto che loro fossero preoccupate avrebbe dovuto mettermi in allerta, ma ero troppo scombussolata per pensare a quale nuovo e assurdo ostacolo Mar-dröm potesse scagliarci addosso. Troppo occupata a cercare di raschiare ogni ricordo di Samuele dalla mia testa per preoccuparmi dell'entità che voleva uccidermi. Quindi mi limitavo a guardare avanti e a muovermi come un automa, digrignando i denti quando i ricordi si facevano più forti.

Era difficile vivere senza Pargo. Se fossi stata al negozio, a quel punto mi sarei già scordata di aver sognato il mio ex, o avrei comunque mantenuto un ricordo vago. Ma ero senza siero, senza casa e ormai vacillavo anche ad avere la forza mentale per sopportare. Ero un piccolo fottuto disastro.

Mar-dröm sembrava volermi far soffrire a ogni respiro che prendevo.

E più le ore passavano, più sapevo di trovarmi nelle sabbie mobili.

Ad ora di pranzo, la situazione iniziò a migliorare: la brezza fredda diminuì e la nebbia iniziò a dissiparsi, ma le nubi occludevano comunque il sole. Più tranquille, le mie compagne decisero di appostarsi a lato della strada per mangiare. Io le seguii ma non mi unii alla conversazione, limitandomi a sedere rivolta verso il bosco mentre mordicchiavo la mia porzione, lo sguardo e la mente così distanti da vedere oltre le file di alberi sempreverdi.

Sono sicura che a un certo punto Gizelle e Raka discussero della creatura che aveva cercato di attirarmi fuori dalla tenda, e credo anche che mi abbiano fatto delle domande, ma io non risposi, non mi voltai nemmeno. Non le ignorai volontariamente, avevo solo troppo da analizzare e ora che mi ero seduta la paura era tornata a strisciare dentro di me; non avevo né la voglia né le energie per chiacchierare. Loro se ne accorsero e mi lasciarono in pace, forse convinte che fossi sotto shock.

Oh, come avrei voluto che un metamorfo fosse la cosa peggiore che avessi visto dal mio arrivo. Tutto sarebbe stato dannatamente semplice.

La giornata trascorse così, ore piene di nulla se non pensieri auto-generanti con cui la mia mente mi tormentava e sporadici tentativi da parte di Raka e Gizelle di parlarmi, bruscamente interrotti quando mi guardavano in faccia. Mi sentivo profondamente in colpa nello scacciarle con una sola occhiata, ma ero arrivata alla conclusione che quella notte me ne sarei dovuta andare. Stringere amicizia avrebbe solo reso le cose più difficili.

Tuttavia, quando dopo un'eternità scese la sera, decisi che non potevo abbandonarle così, dopo averle trattate nello stesso modo scostante che condannavo, non era da me. Per questa ragione, nel momento in cui iniziammo a sistemare le tende oltre il confine del bosco, mi azzardai ad attaccare bottone.

Nel vedere Raka in difficoltà mi avvicinai alle sue spalle ed esordii: «Ti serve una mano?» Lei si voltò di scatto, sorpresa, ma quando registrò il mio viso si illuminò e mi rivolse un sorriso a trentadue denti. L'uccellino che si era appisolato sulle sue corna la rendeva ancor più adorabile.

Gizelle si stava occupando del fuoco, ma con la coda dell'occhio la vidi sollevare la testa per guardarci. Seppure la sua espressione rimase neutra, i suoi occhi brillarono.

Senza attendere oltre afferrai la tenda dalle mani di Raka e, seguendo le sue istruzioni, la sistemai sul terreno. A piantare i chiodini di legno ci pensò lei, con un vigoroso colpo di tacco, e non appena avemmo finito la donna cervo mi si strinse accanto, circondandomi con il suo lungo braccio sinistro, e mi sfiorò i capelli con le dita.

«Grazie per avermi aiutata» cinguettò, prima di trascinarmi al falò.

Ci sedemmo, io su un tronco caduto e lei a terra, in quella sua postura strana ma regale, con le gambe anteriori piegate sotto di sé e quelle posteriori stese ai lati. Teneva le mani in grembo, fissando Gizelle in attesa che la cena fosse pronta – nel pomeriggio l'ibrida era riuscita a cacciare qualche scoiattolo, e seppure l'idea di mangiarli fosse per me strana non obiettai. Decine di ore di camminata erano davvero stancanti e se le notti non fossero durate così tanto dubito che sarei stata in grado di continuare quel viaggio, avevo i muscoli tutti indolenziti e gli stivali stavano iniziando a fare male, per quanto le suole fossero adatte alle lunghe camminate.

«Allora» intervenne d'un tratto Gizelle, mentre girava gli scoiattoli, «va tutto bene?»

«Mh?» la guardai facendo finta di non capire. Lei mi scrutava dall'altra parte delle fiamme, con quelle iridi luminose e la freddezza che aderiva al suo volto come una maschera.

«Non fare la finta tonta» replicò. Distolse l'attenzione da me. «Sei stata sulle tue tutto il giorno.»

Sbuffai lentamente, portando lo sguardo a terra, osservando le piante e i cespugli che crescevano sul terreno e si allungavano verso di noi. La maggior parte dei tronchi degli alberi erano coperti di edera, la quale creava venature dalle strane tonalità. La maggior parte di queste era verde, ma ce n'erano anche viola, marroni, arancio, persino rosse.

«Diciamo che avevo alcuni pensieri per la testa, ecco.»

Nello stesso momento in cui Gizelle mormorava un «se vuoi parlarne», Raka se ne uscì con uno squillante: «Si tratta della creatura di ieri?»

Se la cosa non fosse stata così inappropriata, penso che sarei scoppiata a ridere. Quelle due erano diverse come il sole e la luna, e per quanto Raka fosse senza peli sulla lingua e non si rendesse conto di essere fuori luogo, non riuscivo a non provare dell'affetto per lei. Era così ingenua.

«Sì» dissi soltanto, con la bocca asciutta e le mani premute sul tronco.

«Raka, non essere così invasiva» la riprese Gizelle.

Io intervenni in sua difesa. «Grazie, Gizelle, ma sta' pure tranquilla. Non c'è problema, immaginavo ve ne avrei comunque parlato.»

Lei annuì lentamente, fissandomi dritta negli occhi. «Chi era?»

Non ci fu bisogno, da parte sua, di dire altro. Mi raddrizzai e, abbassando il capo, portai i palmi in grembo. Alla fine cambiai idea e invece tirai su le gambe, rannicchiandomi come se nel farmi piccola piccola potessi trovare il coraggio di parlare loro di Samuele.

Dopo vari secondi riuscii a mormorare: «Il mio ex ragazzo.»

Gizelle chiuse lentamente le palpebre, sospirando, e mi parve di scorgere quello che sembrava dolore sul suo viso. Come se potesse... comprendermi. «Stavi pensando a lui, non è vero? È così che il metamorfo ti ha sentita.»

«Sì» biascicai, tormentandomi le mani. «Penso molto spesso a lui.»

«Era suo, il patto, eh?» Annuii soltanto, senza dire niente. «Mi dispiace» sussurrò lei dopo un po', a mezza voce, tanto piano che faticai a sentirla. «Queste cose non dovrebbero accadere, lui...»

«Sono stata stupida a fidarmi di lui» la interruppi, guardandomi le dita. «Sono stata stupida a innamorarmi di lui.» Feci una pausa, in cui attesi che dicessero qualcosa. Non lo fecero. «Stavamo insieme da cinque anni, cinque, capite?» ripresi. «Qui non sono niente, ma sulla Terra sono davvero tanti. Pensavo di conoscerlo, pensavo che mi amasse, invece mi ha attirata con l'inganno e mi ha spinta a Mar-dröm.»

«Qual era il suo patto?»

Scossi il capo, «Non ne ho la minima idea. Non mi ha detto nulla, prima di cacciarmi qui, mi ha solo detto che gli era sembrato conveniente. Immagino abbia capito male le parole di qualunque cosa lo abbia...»

«No, non è così» mi fermò Gizelle. Raka si limitava a fissarmi triste. «Anche lui è stato ingannato, funziona sempre così.»

Sollevai la testa. «Cosa intendi?»

«Quando le creature di Mar-dröm trovano un contraente terrestre non gli dicono... tutta la verità, ecco. Mettiamola in questi termini: danno un pezzo di informazione alla volta, spesso farcendo con cose non vere, descrizioni poetiche di questo mondo e di tutto ciò che può fare.» Tacque per qualche istante, poi aggiunse: «Un contraente mar-drömiano non dice all'umano cosa vuole in cambio, solo che tornerà a riscuotere il favore, con qualcosa che riguarda la Terra. Non dicono che il compenso per un dono è entrare per sempre a Mar-dröm, se non quando è troppo tardi e il contraente umano non può più rifiutarsi.»

Deglutii cenere. «E lì non resta altro che entrare nel passaggio o spingerci qualcun altro.»

«Esatto.»

Il silenzio calò e tutte e tre rimanemmo in ascolto dello scoppiettio del fuoco, osservando gli scoiattoli cucinarsi. Probabilmente quella sarebbe stata la mia ultima cena e la cosa mi fece ridere, non avrei mai pensato che degli scoiattoli di un altro universo sarebbero stati il mio ultimo pasto.

Poi, d'un tratto, Gizelle chiese: «Come si chiama?» La guardai confusa, ma le bastò un cenno della testa per farmi capire di cosa stava parlando.

«Samuele» dissi a bassa voce, quasi temendo che il metamorfo potesse tornare per imitare la voce dei miei incubi.

«Sei stata brava, ieri notte. Molti non avrebbero resistito al richiamo di un metamorfo.»

Scossi le spalle, «Per quanto mi abbia fatto male, sapevo che non poteva essere lui. Samuele mi ha mandata qui, non c'era motivo per cui dovesse essere in questo bosco a chiamarmi.»

«Sei sveglia» l'ibrida mi puntò l'indice addosso, «e questo ti terrà in vita.»

Sorrisi e ringraziai, seppure dentro sentissi una presa stringermi lo stomaco. «Sono solo stata fortunata» dissi infine, «se quel metamorfo avesse preso l'aspetto di mia sorella non credo che ora sarei qui.»

L'ibrida stavolta non intervenne, ma Raka si allungò verso di me e mormorò: «Ti manca?»

«Moltissimo. In realtà non siamo mai state molto legate, non so nemmeno se Francesca si sia preoccupata della mia assenza. Un po' lo spero, ma se non fosse così non gliene farei comunque una colpa. Sono stata una pessima sorella maggiore e me ne pento.» Loro non mi risposero e immaginai di essere stata un po' troppo pesante, ma quando feci per cambiare argomento Gizelle mosse una mano nell'aria e sbuffò, come a dirmi di smetterla di piangermi addosso. Poi, annunciò che la cena era pronta.

Attorno a noi stava calando la notte, la luce del giorno moriva piano piano e il pallore della luna si poteva scorgere in lontananza, attraverso i rami pieni di foglie. Ricordavo quanto fosse luminosa da quando ero rimasta intrappolata nella zona in rovina: la luna di Mar-dröm era molto più grande di quella terrestre e il suo bagliore era cinque volte più forte, tanto che permetteva di vedere più chiaramente nel buio. Per questo ero stata capace di non perdermi un singolo elemento dell'omicidio della ninfa.

Come quel mattino stava salendo una leggera nebbiolina, molto meno densa ma dai tratti spettrali. Tuttavia, non c'era un alito di vento.

Mentre mangiavamo, Raka e Gizelle iniziarono a parlare di qualcosa che non capivo e come già era successo mi trovai a scrutarmi attorno. Il sottobosco era per la maggior parte immerso nelle ombre, così corpose in alcuni punti da far sembrare si stessero muovendo. La luna era distante per poter illuminare questa porzione di bosco, tuttavia i miei occhi erano abbastanza abituati da poter distinguere senza fatica i contorni delle cose, le quali, con la notte, assumevano quella colorazione bluastra che finiva per diventare inquietante.

Le creature notturne non erano ancora uscite dalle loro tane, ovunque esse fossero, ma gli animali diurni erano già spariti. Per qualche tempo avremmo avuto un po' di pace, fintanto che gli strascichi del giorno si sarebbero protesi e la luna non fosse completamente salita nel cielo. Questo non mi fermava comunque dall'immaginare gli occhi del ragazzo con le corna dietro qualche cespuglio, intenti a fissarmi e attendere che abbassassi la guardia.

Non avevo la minima idea di come dovessero essere, o di come fosse il suo viso, ma qualcosa dentro di me era convinto che dovesse essere bellissimo, così come faceva pensare l'aura di fascino che scaturiva da lui. Un vero incubo, il più terribile di tutti: meraviglioso alla vista e marcio all'interno, di una bellezza mortale. Ero certa che i suoi occhi potessero rischiarare la notte più di quanto facesse la luna stessa, e che la sua chioma cremisi fosse stata resa tale dal sangue che aveva versato.

Tremavo all'idea di vederlo di nuovo e nella mia testa le immagini della ninfa avevano me come protagonista: erano i miei capelli scuri ad alzarsi nell'aria, non i suoi; era la mia pelle bronzea a essere ricoperta di sangue, non la sua, pallida come neve; ed erano le mie lacrime a bagnare il terreno.

Mandando giù un grumo di saliva e costringendomi a respirare senza venire scossa da brividi inspirai a fondo. Non dovevo dimenticare che non era ancora tutto perduto: avevo quella notte e un altro intero giorno per trovare una soluzione e sfuggire a quel mostro. Avevo ancora tempo, seppure fosse agli sgoccioli.

Distogliendo l'attenzione dal bosco feci in modo di infilarmi di nuovo nella conversazione fra Raka e Gizelle. Non parlammo di nulla di interesse ma feci comunque in modo di mantenere viva la discussione finché mi fu possibile. Ma la notte stava calando ogni minuto che passava e presto fu chiaro che – se non volevamo correre rischi – dovevamo ritirarci.

Tutte e tre insieme spegnemmo il fuoco e sistemammo le nostre cose. Tuttavia, prima che entrassero nella loro tenda le fermai. Sia l'ibrida che la donna cervo mi guardarono confuse e io mi scoprii imbarazzata. Era una cosa strana per me, non ero mai stata timida, né avevo mai avuto problemi a esprimermi.

Impalate di fronte a me, Raka e Gizelle mi studiavano in attesa, mentre io mi rigiravo le mani una nell'altra. Trovare le parole adatte non fu facile, ma sforzandomi di formulare una frase di senso compiuto andai dritta al dunque: «Vi devo ringraziare, ragazze. È stato molto dolce da parte vostra ascoltarmi.»

Raka fece un passo avanti. «Non c'è di che, cara» sussurrò, sorridendomi e facendomi una carezza.

Annuii. «Mi ha aiutato, parlarne con voi.»

Stavolta fu il turno di Gizelle di sorridere. «Ciò mi fa piacere. Ma lasciatelo dire, il tuo ex ragazzo è uno stronzo» asserì, lasciandosi sfuggire una risatina.

Mi strinsi nelle spalle, non sapendo bene come reagire se non ringraziandola.

Alla fine, prima che potessero girarsi ed entrare nella tenda, presi lo slancio e le abbracciai entrambe. «Non so cos'avrei fatto, senza di voi» sussurrai nella spalla di Gizelle, la quale mormorò qualcosa in risposta.

Dopo un paio di minuti, che mi parvero durare troppo poco, le lasciai andare e feci un passo indietro. Se lo trovarono strano non lo diedero a vedere, poiché si limitarono a sorridere di nuovo e a darmi la buonanotte. Io le osservai entrare nella tenda e chiuderla dietro di sé e rimasi lì ferma anche quando il silenzio aveva ormai preso possesso dell'intero bosco. Solo quando i fruscii della notte iniziarono, dopo svariato tempo, potei scrollarmi e trascinarmi fino alla mia tenda.

Avrei atteso che la notte si inoltrasse e solo a poche ore dall'alba me ne sarei andata, così da evitare la finestra di tempo in cui avrei rischiato gli incontri più spiacevoli. Pregai che questa volta nessun metamorfo decidesse di venire a importunarmi.

Prima di ritirarmi, tuttavia, mi voltai un'ultima volta verso le mie compagne, e un sorriso amaro mi tirò le labbra. Avrei voluto poter dire loro addio in modo migliore.

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