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06. Holdin' on for life

Canzone nei media:
"Alive" - Aradia Morrigan

Al giungere della sera ci accampammo appena oltre il limitare della foresta, senza addentrarci troppo nel folto ma abbastanza da non essere viste dalla strada. L'oscurità del sottobosco era più densa, ora che il sole era tramontato, e i versi che avevo sentito provenire dal fitto non mi erano piaciuti affatto; se durante la giornata eravamo state accompagnate da una piacevole quiete, interrotta ogni tanto da simpatici cinguettii, a pari passo con il buio il silenzio era diventato una cappa inquietante. La calma aveva lasciato il posto a quel tipo di attesa vibrante, quella che ti scende nelle ossa e fa salire l'adrenalina, che assicura che presto o tardi succederà qualcosa di brutto.

Tuttavia, Raka e Gizelle sembravano certe che quello dove ci eravamo fermate fosse il punto ideale. Non mi permisi di contraddirle, per quanto i miei nervi dicessero di fuggire a gambe levate.

Fu al calare della notte, però, che la mia stessa ansia sembrò prendere possesso di loro.

Cenammo in fretta e senza parlare, osservandoci attorno guardinghe, e appena prima di ritirarci Gizelle mi chiamò da parte. Avevamo due tende e Raka si era gentilmente offerta di lasciarmi la sua, così da darmi un po' di privacy. Non ero ancora del tutto sicura se la cosa mi rendesse più tranquilla, ma avevo accettato di buon grado perché, se avessi deciso di andarmene, non avrei rischiato di svegliarle e dover dare delle spiegazioni.

L'ibrida fu breve e concisa, parlando mentre scrutava il sottobosco sull'attenti. «Regola numero uno: non uscire dalla tenda. Per nessun motivo, ci siamo intese?» sussurrò puntandomi un indice addosso. Io mi limitai ad annuire. «Perfetto. Regola numero due: non fare nessun tipo di rumore.» Fece una pausa e poi aggiunse: «Infine, regola numero tre: non so come l'hai avuta, ma non togliere mai quella collana.»

Abbassai lo sguardo e mi accorsi che si riferiva al ciondolo di Pargo. «Non la toglierò, so a cosa serve.»

«Perfetto. Anche io e Raka abbiamo degli oggetti santificati, quindi dovremmo essere tutte e tre al sicuro, ma non si sa mai. Se perciò senti qualcosa, una voce, un verso, o noi che urliamo...» attese qualche istante prima di riprendere, fissandomi dritta negli occhi, «tu diventa una statua. Ignora qualunque cosa, anche se senti le nostre voci chiamarti, o quelle di qualcuno che conosci. Potremmo non essere noi.»

«I-intendi...»

«Le creature della notte hanno molte capacità, Clara, e possono imitare le voci e l'aspetto fisico, estrapolandoli dalla tua mente. In città è raro trovarle, ma qui fuori si nasconde di tutto e ho visto persone caderci con entrambi i piedi. Quindi prometti che rispetterai le tre regole e arriveremo a domani tutte intere.»

Annuii decisa. «Prometto. Non uscire, non fare rumore e non togliere la collana. Ricevuto.»

«Perfetto» mi posò la mano sulla spalla, appena prima di voltarsi ed entrare nella sua tenda. «Buona fortuna e a domattina.»

Non appena Gizelle mi ebbe dato le spalle, chiudendo la zip della tenda e lasciandomi sola, mi guardai intorno. Le tenebre erano spesse e ostili, la luce della luna che filtrava a malapena fra le chiome degli alberi. Il bosco si era fatto improvvisamente silenzioso, come se tutti gli animali notturni si fossero fermati per mettersi in ascolto, in attesa che facessi un passo falso.

Scrutando le foglie mosse dal vento tiepido, sentii una stretta allo stomaco. Per tre mesi ero stata affascinata e terrorizzata dalla Mar-dröm notturna, un mondo contenuto in un mondo, che a me era vietato vedere. Il destino, però, aveva vie contorte e alla fine mi ero trovata a fronteggiare gli incubi che curiosa avevo ascoltato dalla finestra per tre mesi.

Il mio corpo tremava, mentre tendevo le orecchie alla notte, conscia che sarei dovuta andare dritta nella mia tenda e rimanere immobile per chissà quante ore, ma faticavo a muovermi. La paura era più forte rispetto a quel mattino, ma trovavo una certa bellezza in quel regno nascosto, costruito per uccidere. Il ragazzo con le corna sarebbe potuto spuntare da dietro un tronco e questo non avrebbe comunque cancellato lo charme che la notte di Mar-dröm aveva su di me.

Alla fine, però, un Avvoltoio Nero interruppe la falsa calma del bosco e al ricordo delle sue zampe scarnificate, del becco adunco e della carne in putrefazione ebbi un brivido. Fu quello a farmi rendere conto di aver aspettato troppo e che stare fuori, nonostante la collana, poteva essermi fatale.

Entrare nella tenda fu strano. Sia la mia che quella delle mie compagne provenivano dalla Terra, così come i cuscini e la coperta che vi trovai all'interno. Chiudere la zip e udire il suono che emise mi fece tornare alla mente di quando anni prima ero andata in campeggio con i miei amici. Anche Francesca e la sua fidanzata dell'epoca erano venute, invitate da Samuele. Era stato uno dei weekend più belli della mia vita, avevamo giocato a Obbligo o Verità, al gioco della bottiglia e ci eravamo raccontati storie dell'orrore davanti al fuoco. Giovanna, la mia migliore amica, si era spaventata tanto da aver chiesto di dormire in tenda con Benedetta e Dario.

Quello era uno dei ricordi che per anni avevo tenuto più vicini al cuore, speranzosa che lo avremmo ripetuto, cosa che non era successa. E che ora rischiava di non succedere mai più.

Il respiro mi tremò, nel chiudermi dentro e sedermi a terra. Quella notte l'avevo passata al fianco di Samuele, che mi aveva coccolata e mi aveva promesso di non lasciarmi mai. Aveva detto di amarmi, che ero la cosa più bella che gli fosse mai capitata... quante frasi fatte, bugie a cui avevo creduto come una stupida.

«Fottuto bastardo.» Era solo colpa sua, se mi trovavo bloccata a Mar-dröm. Era colpa sua se quel ragazzo dai capelli rossi mi aveva trovata ed era colpa sua se adesso stavo rischiando la vita. Avevo promesso da tempo che, se mai fossi tornata a casa, Samuele si sarebbe pentito di avermi mai conosciuta, e mentre sedevo su quella coperta morbida e ascoltavo il gracchiare dell'Avvoltoio Nero ripetei fra me e me quel giuramento. Non importava cosa sarebbe successo dopo, l'unica cosa che volevo era tornare dalla mia famiglia, dal mio mondo, e colpire Samuele fino a quando persino sua madre non l'avrebbe più riconosciuto.

Era sbagliato usare i pugni per impartirgli quella lezione? Forse sì, ma non mi interessava.

La mia vendetta sarebbe stata completa nel momento in cui fossi riuscita a intrappolarlo a Mar-dröm. Il novantanove percento delle creature di quel regno erano viscidi bastardi; non dubitavo che Samuele si sarebbe sentito a casa.

Piano piano all'Avvoltoio Nero se ne aggiunsero altri, versi che echeggiavano l'uno in risposta all'altro. Stesa sotto alla coperta mi chiesi che aspetto dovessero avere le altre creature della notte. Pargo non aveva mai voluto entrare nei dettagli, si era limitato a dire che i Ladri di vite erano persone che erano state corrotte dal Caos, il quale le aveva fatte impazzire, e che gli Invoca-Incubi erano veri e propri demoni. Quando mi ero informata per conto mio avevo scoperto solo che i Ladri di vite rubavano tutto ciò che componeva la vita di qualcuno e lo usavano per camminare alla luce del giorno. Erano rari, poiché erano tanto folli da uccidersi da soli, ma estremamente pericolosi.

Mastro Pargo si era tenuto vago sul popolo che viveva la notte, ma se c'era una creatura di cui si era sempre rifiutato di parlare erano le Ombre dall'Abisso. Non avevo la più pallida idea di come fossero fatti o di cosa facessero, se non mangiare le interiora delle proprie vittime. Quando gli avevo chiesto di parlarne lui era sbiancato e aveva chiuso la questione di tutta fretta.

Mi chiedevo se li avrei mai incontrati, soprattutto nel momento in cui avrei lasciato Raka e Gizelle e sarei stata costretta a camminare nel buio da sola. Me li sarei trovata davanti? Qualche Ombra, qualche Ladro o demoni usciti dai miei peggiori incubi. Credo che anche in quel caso sarei stata meno spaventata che incontrare di nuovo il ragazzo con le corna; loro avrei potuto evitarli, finché indossavo la collana, ma lui... lui era tutt'altra storia. Pargo lo aveva definito "Morte". Non sapevo se fosse davvero l'incarnazione della morte, fatto stava che non avrei potuto fermarlo.

Nel momento in cui cominciai a pensarci, a rivivere le immagini della notte precedente, i versi animaleschi che provenivano dall'esterno si fecero più strepitanti, come se anche gli Avvoltoi Neri provassero la mia stessa paura, terrorizzati da un'entità che avrebbe potuto farli a pezzi come loro facevano a pezzi gli altri.

Nella mia mente, la sua figura era marchiata a fuoco. Avrei potuto disegnarlo a memoria nel mio telaio, creare un incubo su misura per me. Le sue corna erano la cosa che ricordavo meglio: lunghe, tese all'indietro e ricurve sulle punte, identiche a quelle che avrei immaginato sulla testa del diavolo. I suoi capelli rossi erano folti e lucidi sotto alla luce della luna, del colore del sangue e così curati da sembrare fuori luogo su di lui. I vestiti che indossava erano neri, difficili da distinguere dalle ombre in cui era avvolta la piazza deserta, ma il loro aspetto era parso tutt'altro che ordinato: nei miei ricordi la sua maglia era grande e piena di buchi e i pantaloni troppo larghi per essere della sua taglia.

La cosa più terribile, però, era l'aura oscura che lo attorniava, la quale faceva apparire il suo corpo snello più grosso.

Era difficile ripensare a come mi ero sentita mentre lo spiavo. La sensazione di fascino che avevo provato non aveva alcun senso, ma non potevo negare di aver percepito una certa attrazione per lui, come se quello che stava facendo fosse stata... arte. Non ero in grado di definire chiaramente quell'idea, e rimuginarci troppo mi stava facendo venire mal di testa, ma sul momento la morte della ninfa aveva assunto le caratteristiche di un quadro. Quella del ragazzo era un'arte unica e orribile, che toglieva il respiro ma da cui non si riusciva a distogliere lo sguardo.

Convincermi che l'incanto che avevo provato fosse frutto di un qualche suo astratto potere mi fece sentire meno in colpa. Non mi ritenevo comunque esente da colpe, perché non avevo aiutato la ninfa e quelle sensazioni le avevo nonostante tutto sentite, ma la consapevolezza che lui fosse un'entità più grande di me mi rese più facile convivere con me stessa.

Fuori dalla tenda, la notte brulicava di suoni a cui faticavo a dare un'origine, e a cui non ero nemmeno sicura di volerla trovare. Passi, gemiti e versi senza nome riempivano il sottobosco.

La tenda di Raka e Gizelle era a una quindicina di passi dalla mia, giusto appena oltre il tronco alla mia sinistra. Le mie compagne erano fisicamente vicine, ma questo non faceva alcuna differenza. Anche se mi fossi messa a urlare con tutto il fiato dei miei polmoni né la donna cervo né l'ibrida sarebbero intervenute, come Gizelle aveva fatto promettere a me. Ero sola. E mi pentii di non aver deciso di dormire con loro.

No, mi dissi, stringendo forte le palpebre. Stare nella loro tenda avrebbe solo intralciato le mie decisioni, e se lui mi avesse raggiunto quella notte sarebbero state condannate. Così, almeno, avrebbero potuto avere una chance di salvarsi.

Con un sospiro mi voltai sul fianco e portai gli occhi sul lato rivolto verso Raka e Gizelle.

Sarei morta lì? Intrappolata in un mondo oscuro in cui a forse solo tre persone importava di me? Mi chiedevo come diavolo avessi fatto a finire in una situazione del genere, a come avessi fatto a non notare che tipo di persona era l'uomo che amavo. Forse la colpa doveva ricadere su di me, perché ero stata tanto cieca da credere di vivere la vita perfetta, che tutto fosse al posto giusto e non ci fossero angoli bui dove la verità aveva deciso di annidarsi.

Non ero stata in grado di vedere chiaramente, o forse mi ero solo rifiutata di vedere cos'avevo davanti, fino a quando questo non mi aveva investita. Adesso il peso che sentivo sul petto sarebbe difficilmente andato via, non esistevano schiocchi di dita capaci di salvarmi dall'inferno in cui mi ero cacciata, con l'unica compagnia della solitudine, l'unica che non poteva morire insieme a me.

O meglio, esisteva una magica via d'uscita dal caos in cui tutto era decaduto, una strada dorata che mi avrebbe portata lontano dal pericolo e dentro a quello che si poteva rivelare un sogno... o magari solo un altro incubo più intricato.

Avevo violato tre delle mie quattro regole, ero disposta a violare anche l'ultima?

Prima di arrivare a Mar-dröm non avevo mai pensato davvero alla religione, se Dio esistesse e cosa io pensassi a riguardo. I miei genitori erano ferventi credenti - mamma un po' più di papà -, ma io non mi ero mai preoccupata di definire il mio pensiero. Non avevo idea di cosa potesse esserci dopo la morte o se ci fosse affatto un qualche dio. Non c'era dubbio che io non lo avessi mai sentito vicino a me, nel momento del bisogno non c'era stata alcuna divinità pronta ad aiutarmi, le preghiere erano inutili e se i miei genitori erano tornati insieme non era certo opera di qualche Padre Nostro.

Tuttavia, a Mar-dröm il divino esisteva, era concreto, ed era cieco. Non avevo mai visto rappresentazioni del Dio Senza Occhi, ma avevo sentito storie di creature che giuravano di averlo incontrato, come Pargo, che ogni sera gli inviava un pensiero e gli riservava parte della nostra cena. Quando la mattina scendevo, il piatto su cui aveva messo l'offerta era vuoto.

Il Dio Senza Occhi esisteva, così come i Sette Figli, le incarnazioni di quelli che sulla Terra erano chiamati Peccati Originali. Non avevo idea di come questo si collegasse al mio mondo o alla religione cristiana - cominciavo persino a dubitare che le religioni terrestri avessero fondamento, nel vedere la differenza fra il loro divino e il nostro -, ma non sapevo con esattezza come io mi ci rapportassi.

Così come per Dio, non mi ero mai nemmeno soffermata sul concetto di anima: per ventitré anni, che l'anima esistesse o meno non aveva fatto differenza per me, ma ora che mi trovavo a Mar-dröm e ne avevo avuto conferma, le cose erano drasticamente cambiate. Non veneravo di certo il Dio Senza Occhi, non sapevo niente né di lui né dei suoi figli, e l'idea che divorasse la mia anima mi dava i brividi. Cos'avrebbe comportato, ciò, oltre a rendermi immortale? Sarebbe stato impossibile uccidermi? Avrei avuto qualche sorta di kryptonite? Gli Artisti erano figure misteriose, nessuno conosceva niente su di loro, e per quanto mi riguardava giurare la mia anima a un dio in cui non credevo era un gigantesco salto nel vuoto.

Sarebbe stata la via più facile, non lo nego, e ne ero veramente tentata... ma dall'altra parte c'era la consapevolezza che, se mi fossi votata al Dio Senza Occhi e questi avesse divorato la mia mortalità, avrei potuto essere bloccata per sempre a Mar-dröm. Certo, alla fine della fiera le mie erano solo supposizioni: magari, invece, i poteri che avrei ottenuto sulla materia sarebbero stati per sempre miei e mi avrebbero permesso di tornare a casa. O magari avrei scoperto un mondo del tutto diverso, di cui avrei potuto innamorarmi e in cui avrei trovato una nuova casa.

Le possibilità erano talmente tante da farmi girare la testa.

Non c'era niente che volessi più della mia sopravvivenza, forse solo la vendetta che era mio diritto rivendicare su Samuele, il dolore che desideravo così ardentemente lui provasse, la paura che stava animando me e che speravo prima o poi avrebbe soffocato anche lui. Forse, vendere la mia anima in cambio di poteri sovrannaturali era la soluzione e mi avrebbe reso più facile fargli pagare tutto quello che mi aveva fatto. Magari sarei diventata un'Artista del Fuoco e avrei potuto bruciare quella sua lingua di fata. O un'Artista della Tempesta, per farlo inseguire dai fulmini. O magari, ancora, del Veleno, cosicché sentisse sulla pelle in cosa mi aveva trasformato, in cosa aveva buttato cinque anni di relazione.

C'erano momenti in cui solo immaginare il suo viso pieno di lividi mi dava pace.

«Cla-ra!»

Saltai a sedere, sull'attenti.

Con le mani premute contro la coperta mi guardai attorno, scrutando l'oscurità in cui ero immersa. Vedevo a fatica a un palmo dal mio naso, distinguendo a malapena i contorni del cuscino e gli angoli della mia tenda. Non c'erano ombre, fuori dalle pareti di tela, né udivo più passi o il gracchio degli Avvoltoi Neri. C'era un silenzio spettrale, nel sottobosco, interrotto a tempi alterni da quelli che sembravano sussurri e sospiri.

«Clara» ripeté la voce. Non somigliava a niente che avessi già sentito; sembrava femminile, ma non ci avrei messo la mano sul fuoco, poiché sembrava distorta, come coperta da un filtro. Si limitava a chiamare il mio nome, sempre più veemente più io non rispondevo.

La saliva che deglutii mi punse la gola come un ago. Poi la situazione precipitò.

Ci fu silenzio per qualche istante, poi nella quiete del bosco si udì il crack di un ramoscello, accompagnato da dei passi, estremamente vicini alla mia tenda. Fu allora che la voce che infestava le mie notti da tre mesi disse: «... Clara?»

Non avrei mai potuto dimenticare la voce di Samuele, bassa e calda, con quel lieve accento milanese che non lo aveva mai lasciato. Né avrei potuto scordare il suo modo di dire il mio nome, quella r arrotondata sulla punta della lingua che mi era sempre piaciuta.

Mossi le labbra, ma non pronunciai alcuna parola.

«Clara, amore, ci sei?» qualche altro passo, incerto. Sembrava che stesse girando in tondo. Stringendo le palpebre mi portai le mani alle tempie, afferrandomi i capelli e stringendone le ciocche fino a farmi male. Scossi la testa, ripetendo no, no, no nella mia testa. Non era Samuele, non dovevo dimenticarlo. Non poteva essere lui, perché Samuele in quel momento era a Torino, a festeggiare e vivere la vita che mi aveva rubato. Doveva trattarsi di una delle creature da cui Gizelle mi aveva messo in guardia.

«Clara, rispondimi, per favore» lo sentii piagnucolare.

No, non sei tu. Tu non sei qui.

«Clara, ti prego!»

Dovetti stringermi le mani attorno alla gola per impedirmi di rispondere. Dovevo stare ferma, ignorarla, e qualunque cosa fosse se ne sarebbe andata.

«Clara, mi dispiace, non odiarmi! Non posso sopportare che tu mi odi, Clara!»

Fu in quel momento che mi resi conto di cosa stava facendo. Qualunque frase dicesse, la voce che fingeva di essere Samuele ripeteva in continuazione il mio nome, come fosse incapace di fare altrimenti. Immaginai che fosse collegata alla mia mente, a quello che stavo pensando prima che si manifestasse, e che avesse bisogno di dire il mio nome per mantenere il legame. Questo rese più facile convincermi a ignorarla: Samuele aveva l'abitudine di chiamarmi Lar.

Non era lui.

Non dovevo uscire.

Inspirando a fondo, senza però riuscire a trattenere il tremore, mi stesi di nuovo, portandomi la coperta fino al naso, seppure fosse probabile che la creatura non mi vedesse, ma percepisse solo i miei pensieri.

«Clara!» pianse d'un tratto, più forte e più vicina.

Voltai in automatico la testa verso sinistra, dove ero stata rivolta fino a un minuto prima.

«Clara, non osare ignorarmi!» gridò, iniziando adesso a suonare rabbiosa.

Vattene.

«No, Clara.»

Vai. Via.

Non appena pronunciai quelle parole nella mia mente, affilate e astiose, un urlo acuto e graffiante lacerò la notte, assordandomi. Un istante dopo, una mano premette contro la tenda, spingendo il telo come decisa ad entrare. Il tessuto però resistette. «Apri, Clara! Subito, Clara!»

Trattenni un singhiozzo e mi girai sull'altro fianco, dando le spalle alla mano e a quella creatura maledetta. Sollevando le braccia afferrai il cuscino e lo piegai attorno alla testa, coprendomi le orecchie per non sentire più il falso Samuele. Piangendo silenziosamente, pregai che se ne andasse.

Rimasi immobile in quella posizione fino a quando non mi addormentai.

La brezza di inizio estate è tiepida contro il suo viso, mentre siede in attesa, sul lato della strada. Nonostante siano solo le dieci di sera, c'è poco traffico, cosa inusuale per questo quartiere in questo periodo dell'anno.

Samuele l'ha chiamata quasi tre ore fa, dandole appuntamento di fronte alla fermata della linea 9. C'era qualcosa di strano nella sua voce, forse l'affanno con cui aveva parlato, come avesse corso, o quel sottotono vibrante che Clara raramente ha udito venire da lui. Le è sembrato... spaventato.

Gli automobilisti dall'altra parte dei binari del tram la ignorano, forse non si sono nemmeno resi conto della sua presenza, indaffarati nelle loro vite. Il mezzo pubblico è passato da poco, sferragliante e come sempre mezzo vuoto, ma lei non è salita.

Sta aspettando da un'ora e mezza.

Non è da Samuele ritardare così.

Alle sue spalle, il parco del Valentino è di un'oscurità deserta, se non per le poche luci che riescono a filtrare fra gli alberi. Tuttavia Clara sa di non essere sola: sulle panchine dietro di lei deve esserci qualcuno che la osserva, sente i suoi occhi sulla schiena, bruciano. Mordendosi il labbro, lancia uno sguardo all'orologio che porta al polso, picchiettando il piede.

Dove cavolo è finito?, pensa.

E come se lo avesse evocato, Samuele spunta dall'altra parte della strada: mani in tasca, sguardo basso, cappuccio alzato e passo veloce. La raggiunge in fretta, quasi senza guardare il semaforo. Quando è a poca distanza da lei, la sua voce interrompe il silenzio: «Vieni con me» mormora piano, in modo nasale, come se avesse pianto. Non si abbassa, né le offre una mano per alzarsi, ma Clara non ci fa molto caso. Deve essere successo qualcosa.

«Tutto bene?» sussurra avvicinandosi a lui, senza preoccuparsi di togliere la polvere dai vestiti. «Non dirmi che tua nonna si è sentita di nuovo male...»

Samuele tentenna, si guarda attorno ignorandola, sembra non averla sentita. «Mia nonna sta bene. Devo parlarti, ma non qui» fa un cenno con la testa, guardando il parco, «seguimi, non abbiamo molto tempo.» Le sue mani, adesso lungo i fianchi, tremano.

«Io... okay.» La ragazza lascia che le afferri la mano e non oppone resistenza quando la trascina con sé. Scavalcano i cespugli e camminano, camminano, fino a raggiungere un punto riparato. L'unica luce che filtra è quella del lampione lì vicino.

«Okay» Samuele le posa le mani sulle spalle e si lancia occhiate preoccupate attorno. Poi si blocca, i suoi occhi si spalancano e l'orrore accartoccia il suo viso. «Cazzo.»

Clara si volta di colpo. Guarda, ma non c'è niente. «Cosa?» si gira più volte, confusa. «Cosa c'è, cos'hai visto?»

Samuele non le risponde, però, si tappa la bocca e irrompe nei singhiozzi. «Sono vicini, li sento. Oddio, oddio, Clara, cosa ho fatto?»

Lei sente la paura attanagliarle il petto, non capisce cosa sta succedendo, ma deve essere grave per averlo ridotto così. Perciò manda giù tutto con la saliva e si lecca le labbra, pronta a caricarsi del peso. «Ehi» porta le mani al viso di lui, scostandogli i capelli castani con una carezza e stringendo piano il suo mento glabro. «Cosa c'è? Chi è vicino?»

«L-loro! Io... non so cosa siano!» Samuele biascica più volte parole senza senso, frasi frammentate che non vogliono dire niente, ma che Clara si sforza di ascoltare comunque. «Loro me lo hanno offerto, e io... io pensavo che potevo farcela! Cioè, non mi pareva così brutto come accordo!» si passa il palmo sudato sulla fronte, scostando la frangia. «Però non li avevo visti, non sapevo cosa volevano! Oh mio dio, Clara, io non li avevo visti!» in lacrime, lui nasconde il viso fra le braccia. Il suo petto è scosso da singhiozzi, sobbalza mentre cerca di continuare a parlare invano, alzando sempre di più la voce. «Non sapevo che fossero... dio, cosa ho fatto!»

«Ehi, ehi» lo scuote, senza però rischiare di fargli male. «Calmati, risolveremo. Io sono qui con te, ti darò una mano. Troveremo una soluzione, ci sono io per te.»

Samuele alza di scatto la testa, quasi illuminandosi. «Tu...» tira su con il naso, «tu mi vuoi aiutare?»

«Certo, amore! Come sempre» si avvicina e lo stringe. Lui ricambia dopo poco. «Qualsiasi cosa, lo sai. Siamo io e te.»

«Tu-tu mi ami?»

Clara si scosta leggermente per guardarlo. «Ovvio che ti amo.»

«Tu faresti di tutto per me, vero?»

«Io... certo» scuote la testa, confusa. «Lo sai.»

«È ancora come avevi giurato? Moriresti persino per me, Lar? Daresti tutto solo per me? Mi ami sul serio?» con un sorriso lievissimo, giusto all'angolo delle labbra, Samuele le porta una mano alla guancia, carezzandole il volto con tocco leggero. I suoi occhi verdi sono pieni di speranza e quello che lei è convinta sia amore.

«I-io... sì. Ti amo più del primo giorno.»

Con un sorriso, lui le afferra il palmo sinistro e se lo posa sul petto. Poi la trascina a sé e la bacia, lei sente il calore che ogni suo bacio accende nel suo ventre. Dopo pochi istanti, Samuele si stacca e le stringe di nuovo le spalle. «Sono così fortunato ad averti, Lar.»

«Cosa sta succedendo, Samu?» mormora. «Hai fumato di nuovo con Ludovico?»

Lui scuote la testa. Ha ancora le lacrime agli occhi, ma stavolta sorride, come se il peso che lo soffocava fosse sparito. «Ho fatto una stronzata, piccola, ma per fortuna ci sei tu a salvarmi il culo, come sempre.» Un'altra scrollata di capo. «Dio, non so cosa farei senza di te.»

«Okay...» Clara mormora, è perplessa, non ha capito cosa è successo, ma Samuele sembra essere tranquillo. «Quindi cosa...» lui la guarda in attesa che finisca la frase, quel sorriso sollevato che non sembra volerlo lasciare. «Cosa dobbiam...»

Non la lascia finire, zittendola all'improvviso posandole un indice sulle labbra. Guarda di nuovo quel punto vuoto. «Sono qui.»

Clara cerca di dire qualcosa, ma nessun verso esce dalla sua bocca aperta.

«Sanno dove siamo. Sanno tutto. Gli va bene.»

«Mi puoi dire cosa...»

Samuele si volta verso di lei, carezzandole con insistenza le spalle e sorridendole. «Sono così felice che tu mi ami così tanto, Lar» le dice. «Non potrei chiedere di meglio, davvero» annuisce. Poi la guarda in silenzio, i suoi occhi chiari ora illuminati da una luce triste, sotto tutto quel sollievo. Le dà un bacio sulla fronte, inspirando il profumo dei suoi capelli. «Ti auguro buona fortuna.»

«Ma che diavolo...» ma Clara non fa in tempo a finire la frase, perché una folata di vento la investe da oltre le sue spalle, giusto un secondo prima che Samuele le dia una spinta violenta, facendola cadere all'indietro. Il terreno però non è dove dovrebbe essere, al suo posto si trova qualcosa di oscuro, che la attornia. Ci sta cadendo dentro, la risucchia. Urla.

Sopra di lei, oltre il bordo del buco in cui sta scivolando, Samuele le rivolge un ultimo sorriso e un saluto con la mano. Le dà le spalle, svanisce dalla sua vista, e Clara si trova da sola, avvolta da tenebre senza fine.

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Betaggio a cura di Octavia_Stokercrow

Divisore commerciale creato da me, vietato rubare o riprodurre.

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