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05. One little string

Canzone nei media:
"Preserved roses" - Blackbriar

Un attimo prima fissavo le fiamme e la cenere del camino nella Locanda del Vecchio Topo e un attimo dopo mi trovavo a correre in un vortice d'aria. Non ero io a muovermi, era più come essere trattenuta da una forza invisibile che mi trascinava con sé. Ero sollevata sul nulla e circondata da nulla, se non una brezza gelida: non c'erano colori, non c'erano suoni, non c'era niente a parte me, che parevo splendere in quel nero infinito.

Anche se durò pochi secondi a me parve un'eternità, mentre urlavo con la bocca spalancata e agitavo senza risultati le braccia. Alla fine spuntai in un sentiero in mezzo ai boschi, immerso in una luce grigia. Il vortice mi lasciò cadere a terra senza preavviso né delicatezza, svanendo nello stesso modo in cui si era manifestato. Quando dolorante mi sforzai di tirarmi su, scoprii che a pochi passi da me c'erano Raka e Gizelle, immobili mentre mi fissavano con gli occhi pieni di sorpresa.

«... Clara?» intervenne l'ibrida, osservandomi come fossi un fantasma.

Una volta in piedi mi passai le mani sui pantaloni per pulirli dal terriccio, ignorandola di proposito. Solo nel momento in cui il tessuto fu pulito e non trovai altro con cui guadagnare tempo, mi costrinsi a guardarle anch'io. Non avevo pensato con esattezza a cosa avrei detto loro, una volta raggiunte, o se le due sarebbero state disposte ad accogliermi nel loro viaggio, ma solo ora mi rendevo conto di essere stata un pochino avventata.

Rimasi lì davanti a loro, un sorrisetto nervoso appena accennato sulle labbra. «Io... mh, ciao.»

«Fanciulla, che ci fai qui?» intervenne Raka, come tornando in sé, e fece qualche passo nella mia direzione, il braccio già sollevato per toccarmi.

«Il mio Mastro mi ha cacciata» spiegai, conscia che la verità era l'unica opzione possibile.

«Ti ha cacciata perché ti sei persa?» chiese Gizelle, raggiungendoci a sua volta e affiancando l'amica, che mugolava dispiaciuta mentre strofinava la mano sulla mia spalla.

«Più o meno. Si è arrabbiato, abbiamo litigato e mi ha cacciata.» Beh, non tutta la verità. «In città non avevo un altro posto dove andare e ho pensato che magari mi sarei potuta unire a...» Prima che potessi finire la frase Raka emise un gridolino, saltellando sulle zampe anteriori. La guardai di sottecchi con espressione confusa e preoccupata, ma sembrava solo felice; la sua coda si muoveva nell'aria, come le orecchie che tremolavano mentre festeggiava.

«Certo che puoi venire con noi!» esclamò. Si girò verso Gizelle, «Può venire con noi, vero?»

L'ibrida roteò gli occhi, «Certo che può.» Portando l'attenzione su di me, questa aggiunse: «Hai usato l'incantesimo che ti ho dato?»

«Sì. Sono venuta a cercarvi alla locanda ma ve ne eravate già andate.»

«Lo so, mi dispiace. Raka stava iniziando a soffrire la città e abbiamo preferito accelerare i tempi. È stata una fortuita coincidenza che ti avessi dato quell'incantesimo.» Sentii una stretta allo stomaco, non del tutto sicura che fosse stato un caso o se il mio cervello avesse agito d'istinto, quasi prevedendo cosa sarebbe successo. Prima che potessi dire qualunque cosa, però, le due giovani mi si strinsero attorno circondandomi le spalle con le braccia. «Viaggiare in tre sarà più interessante.»

«Sono delusa dal tuo Mastro» esclamò la donna cervo, «cacciarti così per una questione futile. Ti sei persa, non è stata colpa tua.»

Scossi le spalle, «Lo so, ma non è cattivo. Ha solo un carattere...» ci pensai su, trattenendo a fatica un sorriso triste, «particolare.»

Nella vita non mi ero mai fatta problemi a mentire, soprattutto se per un tornaconto personale, ma farlo con loro mi lasciò un gusto amaro in bocca, forse perché la parte di verità che stavo nascondendo era potenzialmente mortale.

«Peggio per lui» replicò lei alzando il mento.

«Già.»

«Sei diretta in un posto specifico?» riprese Gizelle, interrompendo gli sproloqui dell'amica.

«In verità no, cerco solo un posto che possa darmi riparo, lontano dalla capitale.» Feci una pausa, poi sottovoce aggiunsi: «Il più lontano possibile.»

Sedute sul bordo della strada stavamo facendo la seconda pausa della giornata. Non avevo mai camminato tanto in vita mia, soprattutto fra i boschi, ma decisa a non voler fare una brutta impressione ero rimasta zitta e avevo seguito i passi di Raka e Gizelle.

L'atmosfera del luogo era al contempo magica e cupa. Il cielo era di quella costante tonalità cinerea e le nuvole coprivano un sole che in città non avevo mai visto direttamente, ma che qui ogni tanto faceva capolino dalla coltre con i suoi raggi dorati. La strada era una linea polverosa e disseminata di pietre che si snodava tra colline e alberi sempreverdi; le chiome di questi ultimi pendevano sopra alle nostre teste, formando una sorta di tettoia. Questa ci proteggeva dal calore - molto più forte, qui -, e dagli uccellaci che volavano starnazzando, versioni diurne degli Avvoltoi Neri.

Quello che mi rendeva inquieta era l'oscurità che vedevo ammassata ai lati del sentiero, dove file di alberi si susseguivano senza fine; più allungavo lo sguardo e più le ombre diventavano dense, fino a tramutarsi in una macchia nera indefinita. Questo, unito alla nebbiolina che in quelle ore stava iniziando a salire, non mi aiutava a controllare il mio battito cardiaco.

Non so quante occhiate alle spalle mi fossi lanciata, per vedere se qualche figura con le corna ci stava seguendo, ma sul sentiero non c'era anima viva oltre a noi, e gli unici suoni erano quelli della vita animale: cinguettii, ronzii, qualche scoiattolo che scattava da un albero all'altro. Niente di cui dovessi preoccuparmi, forse il mio piano stava funzionando.

Con le gambe incrociate sopra a una grossa tovaglia a quadri, mangiavo un po' di formaggio e una pagnotta. Le mie accompagnatrici parlottavano fra loro di qualcosa, ridendo di tanto in tanto, ma io non riuscivo mai a seguire abbastanza a lungo le loro conversazioni. Era certo che quel ragazzo non fosse lì con noi, soprattutto perché era giorno, ma nei momenti in cui smettevo di pensarci iniziavo a percepire sensazioni strane: a volte era un semplice fiato caldo appena dietro all'orecchio, a volte una risatina sfuggente e altre il ritmo della cantilena che lo avevo sentito cantare. Quest'ultima non proveniva mai da un luogo in particolare, ma sembrava riecheggiare nei boschi, in lontananza.

Era come se, con la sua promessa, lui avesse creato un legame fra noi: un sottile filo che ci collegava a chilometri di distanza; ma se io sentivo lui, questo significava che anche lui avrebbe potuto sentire me.

Rabbrividii.

Cercavo di distrarmi il più a lungo possibile, rimuginando per ideare un piano che potesse salvarmi. Non mi restava più molto tempo, sentivo le lancette ticchettare sopra alla mia testa, e calcolando l'altezza del sole e il calore che emanava, uniti alla nebbiolina che si levava dal terreno, ci stavamo avvicinando al tardo pomeriggio. Avevamo camminato per quindici ore buone, se i miei conti erano esatti, e non mancava molto al giungere della sera.

Non ero affatto pronta, e a un sacco di cose.

Di lì a poche ore avrei dovuto fare una scelta: se lasciare Raka e Gizelle e continuare per la mia strada o restare con loro e pregare che questo non le condannasse. Erano due ragazze davvero gentili e sembravano provare per me una vera simpatia, e non volevo che, se avessi fallito, facessero la mia fine. D'altro canto, però, ero spaventata all'idea di andarmene. Anche se vivevo a Mar-dröm da quasi tre mesi non sapevo come funzionassero davvero le giornate, se ci fosse un tramonto o se semplicemente il giorno diventasse d'improvviso notte; e soprattutto avevo paura di non avere mura solide attorno a me, una casa di pietra a proteggermi dal maligno che l'oscurità portava con sé. Come avrei potuto, con queste premesse, essere capace di abbandonarle nel bel mezzo della notte e vagare da sola? Ne sarei stata capace, se ne si fosse presentata la necessità, o avrei un'altra volta preferito la via più facile?

Mi ero accorta già da un po' che esisteva una terza strada, l'unica su cui la mia mente aveva deciso di non soffermarsi, forse perché contraria a tutte le regole che mi ero imposta e che Pargo mi aveva impresso a fuoco nella testa. Non volevo seguirla, ma non avevo avuto nemmeno la forza di escluderla del tutto. Dovevo ideare in fretta qualcos'altro, perché da essa non c'era ritorno ed ero già incastrata in quel mondo più di quanto mi piacesse.

«Clara?»

Sollevai lo sguardo di colpo e lo portai prima su Gizelle e poi su Raka, a tempi alterni. «Sì?» esclamai, forse un po' troppo forte.

L'ibrida inarcò un sopracciglio, ma l'altra non fece caso alla mia reazione. «Tu sei umana, vero?» chiese la donna cervo, guardandomi mentre addentava la pagnotta.

«Ehm... sì, sono umana.»

«Perdonala, è indiscreta» sussurrò Gizelle, allungando una mano sulla tovaglia e verso il mio ginocchio, ma senza sfiorarmi.

«Ed è da molto che ti trovi a Mar-dröm? Gizelle mi ha detto che se ne vedono molti, di umani, ma che non sopravvivono mai più di due giorni.» La saliva mi andò di traverso, alla nonchalance con cui parlò. Sapevo già di non essere l'unica umana finita in quel mondo, molti venivano tentati e imbrogliati dalle creature di Mar-dröm, che in cambio li costringevano a entrare nel vortice - a meno che non ci spingessero qualcun altro al loro posto, come aveva fatto Samuele con me; ai contraenti non interessava di chi era l'anima che veniva riscossa, bastava che ce ne fosse una.

Queste persone non finivano quasi mai bene, pochi avevano la fortuna che avevo avuto io: la maggior parte veniva uccisa dai doni, altri venivano fatti schiavi, altri ancora finivano nel Quartiere delle Lanterne. La maggior parte, però, non veniva avvisata dei pericoli della notte, la quale li faceva a pezzi. Da quando ero arrivata, però, non ne avevo mai incontrato nessuno.

Sentire l'innocente indifferenza di Raka mi chiuse la bocca dello stomaco, tanto che faticai a mandare giù il boccone di pane e posai quel che restava del mio secondo pranzo sulla tovaglia.

«Dannazione, Raka!» sibilò Gizelle. «Gli umani sono sensibili» la udii pronunciare appena dopo, ancor più sottovoce, forse per non farsi sentire da me.

«Ho avuto più fortuna degli altri» intervenni, facendo tacere il loro bisticcio. «Il mio Mastro mi ha preso sotto la sua ala da quando sono arrivata, dandomi una casa e un lavoro.»

«Da quanto sei qui?» chiese l'ibrida, tornando ad avere quel tono neutro.

«Fra pochi giorni saranno tre mesi.»

«Correggimi se erro, ma per gli umani il concetto di "mese" indica molto tempo, giusto?»

Scrutai il volto proporzionato di Gizelle e mi trovai a nutrire sincera simpatia, se non riconoscimento, nei suoi confronti. Sapevo poco degli ibridi, se non che avevano genitori di specie diverse e per questo ce n'era una grande varietà. Il contrasto fra le razze nel loro sangue li rendeva diversi agli altri abitanti, le loro emozioni erano più diluite e non era raro che un ibrido conducesse due vite, una diurna e una notturna, per cercare di riparare al vuoto che aveva dentro. Immaginavo fosse questo, quello che spingeva Gizelle a viaggiare, e che fosse la stessa ragione per cui il suo modo di esprimersi fosse tanto grigio. E per tale motivo apprezzai ancora di più il fatto che avesse ripreso l'amica o che mi parlasse in modo cauto, modulando i termini che usava. Non ci voleva un genio per capire che lo faceva per non ferirmi.

«Sì» risposi dopo un po', «lo è.»

«Cos'è un mese

Non riuscii a trattenere un sorriso alla domanda di Raka. «Un mese è un lasso di tempo che comprende dai ventotto ai trentun giorni» spiegai. «Sulla Terra i mesi indicano lo scorrere delle quattro stagioni che compongono un anno: primavera, estate, autunno e inverno.»

La donna cervo emise un versetto di meraviglia, poi scoppiò a ridere. «La Terra deve essere un posto magico!»

Scossi le spalle, «Più o meno. Lì la magia non esiste.»

«E come fate a fare... le cose?» chiese Gizelle.

«Con la scienza e costruendo oggetti, immagino» spiegai, lasciandomi scappare un risolino.

«Mi piacerebbe vedere il posto da cui vieni» intervenne Raka, continuando a mangiare la sua pagnotta. «Vedere questa... scienza» pronunciò la parola a fatica, facendo ridere sia me che l'amica.

«Magari un giorno ci riuscirai» risposi. Sollevai lo sguardo verso il cielo, osservando le nubi e gustandomi la brezza leggera che mi scostò i capelli, immaginando fosse quella di casa. «A me manca molto» sospirai.

Venni scossa quando Gizelle parlò, interrompendo il silenzio: «Hai fatto un patto, eh?» mi scrutava con sguardo triste, tanto intenso da farmi dubitare per un secondo della sua natura, per quanto il colore splendente delle sue iridi la decantasse.

Inspirai a fondo e trattenni il respiro, poi scossi le spalle. «No, il patto non era mio. Sono stata mandata qui al posto del contraente» spiegai a voce bassa, dopo aver chinato la testa. Iniziai a giocare con i lacci dei pantaloni, tutto pur di non fissare quella pietà dritta negli occhi.

Nessuno disse nulla per un po', poi la voce di Gizelle mormorò un vago «mi dispiace», accompagnato dal frusciare delle chiome verdi. Io scossi di nuovo le spalle e mi dipinsi un sorriso in faccia, risollevandomi a forza. «Ora smettiamola di parlare di me!» esclamai. «Perché non mi raccontate qualcosa di più su di voi? Conosco poco le vostre razze, ma sembrano così interessanti!»

Raka colse la palla al balzo e mi diede l'impressione di non essersi resa conto di come stavano le cose in realtà, dell'aria che tirava e della pesantezza della conversazione. «Oh, io sono cresciuta nei boschi, come sai» disse, muovendo le mani rapidamente. Pensai che si sarebbe messa a saltellare di nuovo, ma restò seduta. «Sono quinta in linea di successione per il ruolo di capotribù e sono stata la settima ad andarsene in tutta la storia del villaggio!»

Io annuii, senza sapere bene cosa rispondere. Fortunatamente, Gizelle venne in mio aiuto: «Il suo popolo tende a essere molto sedentario, sono rari i casi in cui lasciano il territorio o qualche individuo si separa dalla tribù.»

«Però volevo troppo bene a Gizelle per lasciarla andare via senza di me» intervenne Raka con un sorriso, rivolta verso l'amica. L'ibrida fece una battuta a bassa voce e l'altra rise, prima di chinarsi e stamparle un bacio sulla guancia.

Un po' in imbarazzo dissi: «E tu, invece, Gizelle?»

«Cosa vuoi sapere?» rispose la ragazza scostando una ciocca di capelli. Sedeva sul fianco, le gambe piegate di lato, e si teneva su con il braccio destro.

«So che vieni dalla capitale, ma i tuoi genitori cosa sono?» sperai con tutta me stessa che non fosse una domanda scomoda, come detto conoscevo poco degli ibridi.

Lei sospirò e si scosse. «Mia madre è una ninfa, ma non so cosa fosse mio padre. Mamma non ne parla mai volto volentieri» sollevò le sopracciglia, «penso che non lo ricordi nemmeno lei. Non credo che fosse molto sobria quel giorno.»

«Oh» sussurrai, «scusa, non...»

Lei scoppiò a ridere, in modo tanto sguaiato da rendere la risata più finta. «Non mi sono offesa, tranquillizzati.» Si leccò le labbra, «Tutto quello che so di mio padre è che non era un ninfeo e che grazie a lui sono quello che sono, e mi sta bene.»

Deglutii, «Com'è essere un ibrido? Cioè, come funziona? Ereditate qualche tratto dai vostri genitori o siete come gli umani?»

«Se intendi il mio aspetto» cominciò Gizelle, «è come il tuo. Gli occhi sono l'unica cosa che mi differenzia da te. Io posso anche inventare nuovi incantesimi - al contrario della gente comune, che può solo usarli -, come quello che ti ho dato oggi, ma anche su di me vige la legge del Dio Senza Occhi.»

Rimasi spaesata dalla sua risposta. «Legge? Di cosa...»

«Non la conosci?» Scossi la testa. «Tutti a Mar-dröm possono usare la magia, ma solo per piccole cose. Doni, servizi, piccoli aiuti nella vita di tutti i giorni. Nessuno può usufruire di magie più grandi di queste, tantomeno creare portali.»

Alle sue parole il mio cuore saltò un battito e ancora seduta indietreggiai con la schiena. «P-portali? Come quello che mi ha condotta qui?»

Mi sentii offesa quando Gizelle scoppiò a ridere. «Oh, no. Quello con cui sei arrivata era un passaggio dimensionale, lo usiamo puntualmente per recuperare oggetti dal tuo mondo e per portare qui gli umani. Ma il passaggio dimensionale non permette di restare sulla Terra per più di qualche minuto e àncora a Mar-dröm qualunque cosa entri qui dall'altra realtà.»

«Q-questo significa che io non posso più andarmene?» Perché Pargo non me l'aveva mai detto?

«No, tu potresti andartene, ma solo tramite un portale.»

Raka intervenne subito dopo di lei: «Un portale si riconosce perché è molto più grande di un passaggio dimensionale e perché si lega al creatore. Una volta che è stato formato non può più essere cancellato e permette a chi lo ha formato di entrare a tutti gli effetti nell'altra dimensione, la tua, e può essere richiamato a comando.»

«P-perché è vietato?» porre quella domanda mi costò grande fatica, le parole non volevano manifestarsi e l'idea che la mia unica via d'uscita fosse illegale mi toglieva il respiro.

«Pensaci. Se tutti potessero usare i portali non esisterebbero più due dimensioni separate. Tutti potrebbero vagare a piacimento sulla Terra e fare quel che vogliono. Il Dio Senza Occhi non ha alcun potere sul tuo mondo, non potrebbe impedire alle creature di Mar-dröm - sia diurne che notturne - di distruggerlo.»

Nascosi il brivido che mi percorse collo e schiena. «Nemmeno il Dio Senza Occhi può creare portali?»

«Oh, sì, lui e i Sette Figli non sono soggetti alla legge di Mar-dröm, possono entrare e uscire quando vogliono. Dopotutto sono stati gli umani a renderli così potenti» replicò Gizelle.

Non le chiesi cosa intendesse, troppo confusa da tutte quelle nuove informazioni, ma non riuscii a trattenermi dal porre la domanda che in quel momento premeva nella mia testa. «Quindi tecnicamente potrei rivolgermi a loro per poter tornare a casa?»

Ancora una volta loro scoppiarono a ridere, come avessi fatto una battuta. «Certo, ma è assai difficile riuscirci. Né i Sette Figli né tantomeno il Dio Senza Occhi si mostrano più da secoli. Hanno emissari a intervenire per loro conto» spiegò l'ibrida.

«C'è un solo modo per poter arrivare loro così vicino» intervenne Raka, «e anche in quel caso sarebbe difficile convincerli.»

Raddrizzai la schiena, sull'attenti. «Quale?» esclamai, «Quale modo?»

Gizelle mi guardò con un sorriso sardonico. «Oh, non lo sai?» i suoi occhi dorati brillarono di una luce divertita. «L'unico modo è diventare un loro emissario. Diventare un Artista.»

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Betaggio a cura di Octavia_Stokercrow e ElianaPi

Divisore commerciale creato da me, vietato rubare o riprodurre.

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