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We don't talk anymore


[We don't talk anymore
We don't talk anymore
Like we used to do
We don't love anymore
What was all of it for?
Oh, we don't talk anymore
Like we used to do]

[Angel]

Alla fine Marc non mi ha chiamato.

E non mi ha chiamato neanche il giorno seguente, e neppure quello dopo ancora.

Avevo provato a nascondere la delusione persino a me stessa, ma era stato pressoché impossibile.

Eppure, avrei dovuto aspettarmelo.

Qualcosa tra noi si era rotto per sempre e la cosa mi feriva enormemente.

Avevo provato a trovargli delle scuse.

Era uscito con Miguel, perché avrebbe dovuto dedicare del tempo a me e chiamarmi al telefono?

Avrà bevuto poi, e se ne sarà dimenticato.
Il giorno dopo?
Avrà dovuto preparare le valigie per i primi test della stagione, e non ci avrà più pensato.

Ma prima di partire non era passato a salutarmi, come faceva sempre.

Avevo provato a farmi scivolare tutto addosso, a fregarmene.

In fondo, era vero.

Non me ne importava nulla.

Non me ne importa nulla.

Ero un'inguaribile bugiarda quando si trattava di ammettere ciò che provavo per Marc.

Non era vero.

Mi importava, mi importava eccome.

Eppure, con quella mano che mi aveva teso, quel giorno, al bar, ero convinta che avessimo chiarito, che fossimo riusciti a lasciarci alle spalle quello che era successo tra di noi, ma a quanto pare mi sbagliavo.

Almeno, penso sia quello il problema.

Quando ho realizzato che mi stava evitando ho deciso che non lo avrei cercato, che non gli avrei chiesto spiegazioni.

Io non corro dietro a nessuno.

Avrei sofferto in silenzio, ma pur di ammettere davanti a lui che mi manca, sono disposta a questo ed altro.

In compenso, io e Alex stiamo passando sempre più tempo insieme.

Grazie a lui,la mancanza di Marc è più facile da sopportare.

Pranziamo insieme, e quando ho il turno pomeridiano al bar, viene quasi sempre a fare la chiusura con me. Aiuta me e mia madre a pulire, sistema i tavoli, e grazie a lui ultimamente riusciamo a chiudere anche dieci minuti prima del solito.

Grazie alla lontananza di Marc mi sto affezionando ogni giorno di più ad Alex, ed è una cosa bellissima.

Oggi ho deciso che passerò a trovarlo nel circuito di motocross che si trova poco fuori Cervera dove lui, Marc e José si allenano.

Il fatto che Marc non ci sarà perché è in Malesia per i primi test della stagione mi tranquillizza.

Non sarò costretta a vederlo.

Mi guardo allo specchio per un'ultima volta, prima di recuperare il telefono e le chiavi della macchina, per infilarle nella borsa.

<<Angel, dove vai?>> mi domanda mia madre, non appena esco in salotto.

Sta sorseggiando un thè davanti alla televisione.

<<Vado a fare un salto in circuito da Alex.>>

<<Marc quando torna? È da un po' che non lo vedo.>> mi domanda a bruciapelo, non appena le volto le spalle.

Stringo le labbra, chiudendo gli occhi.

Lei non sa che io e Marc non ci sentiamo più come prima da quasi un mese.

<<Stanotte dovrebbero essere terminati i vari impegni che aveva dopo i test, quindi dovrebbe tornare domattina, penso.>>

<<D'accordo, grazie tesoro, salutami Alex.>>

<<Va bene mamma, ti voglio bene.>> le lascio un bacio sulla guancia ed esco.

Salgo in macchina e guido fino al circuito di Rufea.

Dopo aver parcheggiato la macchina faccio un tratto a piedi, mentre la voce delle moto da cross si fa sempre più forte.

Mi siedo sul muretto che delimita la pista, in attesa dei ragazzi.

<<Ehi, Angel, sei venuta!>> mi volto di scatto, e mi ritrovo davanti Alex in sella alla sua moto, la tuta sporca di fango.

Accenno un sorriso, abbassando lo sguardo.

<<Già.>>

Sento un'altra moto farsi sempre più vicina, fino a che non si ferma accanto a quella di Alex.

<<Ciao, Angel.>>

<<Ehi José, come va?>>

<<Tutto bene, io e Alex stavamo facendo quattro salti. Tu?>>

<<Come al solito.>>

<<È bello rivederti qui. Non ti aspettavo.>> riprende Alex, il tono della voce ancora sorpreso.

<<E invece, vedi? Come al solito so essere sorprendente.>> rispondo subito, sporgendomi verso di lui, e socchiudendo gli occhi.

Alex continua a guardarmi con quei suoi begli occhi verde nocciola, fino a quando José non lo richiama.

<<Facciamo basta per oggi, Alex, che dici? O finirai per allenarti più di Marc!>>

Sentirlo nominare è come essere risvegliati bruscamente.

Istintivamente il sorriso sparisce dalle mie labbra e scendo dal muretto.

<<Sì, come no!>> ribatte Alex, per poi tornare a rivolgersi a me.

<<Angel, mi aspetti? Ti va di andare via insieme?>>

<<Certo che sì. Perché sennò sarei venuta qui?>>

Alex mi rivolge un largo sorriso e si sistema nuovamente la mascherina sugli occhi.

<<Vado a lavare la moto e a cambiarmi, faccio subito.>> mi limito ad annuire, per poi tornare verso la macchina.

Mi stringo nel cappotto, mentre accendo i riscaldamenti interni dell'auto.

È un freddo pomeriggio di inizio febbraio, e tutto quello che voglio è tornarmene a casa e guardare un film stretta in una morbida e calda coperta.

Marc.

Il suo nome lampeggia nell'oscurità della mia mente come un segnale luminoso, togliendomi il respiro per un istante.

Perché si sta comportando così?
Non si rende conto che mi ferisce?
Lui, che aveva promesso di non farmi mai soffrire.

Ma si sa, le promesse sono parole nel vento, non possiamo sapere se riusciremo a mantenerle, perché il futuro e il destino sfuggono al nostro controllo.

Ma non è questo il caso.

Marc ora mi sta ferendo volontariamente, e ora, ora, non desidero altro che fare altrettanto con lui.

In quel momento lo sportello del passeggero si apre, risvegliandomi dai miei pensieri.

<<Accidenti, che freddo!>> commenta Alex, strofinando l'una con l'altra le mani inguantate e soffiandoci contro.

<<Già, magari stanotte nevicherà, speriamo!>> dico, con aria sognante, mentre il ricordo delle mie montagne innevate mi ritorna in mente.

<<Se domattina ci sveglieremo con la neve mi devi promettere che andremo al parco a giocare!>> il tono di Alex è serio, ma nei suoi occhi c'è lo scintillio di un bambino che non vede l'ora di giocare.

Gli prendo il mento tra due dita.

<<Affare fatto.>>

Alex mi rivolge l'ennesimo largo sorriso, e si sporge verso di me per schioccarmi un sonoro bacio sulla guancia.

<<Senti, stasera i miei escono a cena con degli amici...ti va di venire da me? Ordiniamo una pizza e ci guardiamo un film insieme...che dici?>> propone, guardandomi di sottecchi.

Gli lancio un'occhiata mentre mi dirigo verso la cittadina.

In fondo, posso anche non passare una serata sotto le coperte a guardare la tv.

<<Perché no? Però niente pizza: facciamo la pasta!>> esclamo, euforica solo all'idea di preparare qualcosa con le mie mani.

<<In che senso "facciamo"?>> mi domanda lui, confuso.

<<Nel senso più vero del termine: la prepareremo io e te. Dai, Alex, aiutami in questo progetto, due incapaci insieme possono fare cose grandiose, in più sarà molto più divertente che provarci da sola. È da diverso tempo che mi gira per la testa l'idea di imparare a fare la pasta.>>

Imploro Alex con lo sguardo, e cede all'istante.

<<E va bene. Sarà divertente! E come la condiamo?>>

<<La facciamo al pomodoro, semplice. A parole garantisco tutto, nei fatti no, perché si noterà subito che non ho mai preparato neanche un uovo...>>

<<Ci penserò io, dai...>>

Accenna, con fare timido.

<<Tu? Scherzi?>>

<<No, ecco...è dall'anno scorso che beh, insomma, ho iniziato a spadellare ai fornelli.>>

Lo guardo sorpresa, mentre lo vedo arrossire.

<<Ma è bellissimo, Alex! Un punto in più per il mio pilotino. Mi piace guardare un ragazzo mentre cucina.>>

Noto con la coda dell'occhio il suo sguardo che si posa su di me, il lampo che lo attraversa.

<<Le mie mani spagnole però non saranno all'altezza del tuo esigente palato italiano...dovremo andare a fare la spesa.>> annuncia, sistemandosi meglio sul sedile dell'auto.

<<Perché? Avete finito tutta la farina che avete in casa?>>

<<Ma no, perché per un piatto italiano servono ingredienti prettamente italiani.>>

<<Alexito, non ci sono prodotti italiani al supermercato di Cervera.>> gli ricordo.

<<No, ma alla bottega delle bontà del tricolore a Barcellona sì.>>

Mi volto a guardarlo, incredula.

<<Alex, non stai dicendo sul serio che vorresti andare a Barcellona adesso, vero?>>

<<Mmh, direi sì.>>

<<Alex, non farmi questo. Io ogni volta che vado in quella bottega finisco per spenderci tutto il mio stipendio.>>

<<E va bene, allora lasciamo perdere.>> conclude lui, alzando le mani.

<<Però se tu vuoi andarci, io non te lo impedirò.>> affermo, svoltando bruscamente a sinistra e tornando indietro.

Lo vedo sogghignare sotto i baffi.

<<Sappi che ti riterrò responsabile di ogni mio gesto inconsulto.>> lo avverto.

<<Correrò il rischio.>>

~·~

<<Prendo anche questo...e questo. E beh, dato che sono venuta fino a qui non prendo la piadina? Non se ne parla proprio.>>

È da quando sono entrata nel mio negozio preferito in assoluto che continuo ad arraffare ogni sorta di cibo. Ho quasi riempito il carrello, e la cosa non è assolutamente da me.

Alex continua a fissarmi come se fossi posseduta da chissà quale spirito oscuro, ma alla fine è lui che ha scelto di venire qui, è tutta colpa sua.

Afferro un pacco di rigatoni, poi una confezione di mozzarella di bufala.

<<Angel?>>

<<Sì?>>

<<Che dici se...andiamo? Altrimenti non faremo in tempo a tornare a casa!>>

<<Ah sì, certo! Mamma sarà proprio felice di vedere che avrò speso tutto il mio stipendio per queste delizie.>>

<<Facciamo a metà.>> propone Alex, tirando fuori il portafoglio.

<<Perché?>> domando, alzando la voce di un'ottava.

<<Perché sono stato io a proporre di venire qui, quindi mi pare giusto fare a metà.>> spiega.

Lo guardo ancora per qualche istante, poco convinta.

<<Mi pare giusto.>> concordo, mentre ci dirigiamo verso la cassa.

<<Dato che abbiamo pagato a metà puoi portare qualche delizia con te.>> gli propongo, non appena saliamo in auto.

Alex va a sedersi al posto di guida, perché il buio è ormai sceso sulla città e io non ho gli occhiali con me.

<<No no, è tutto tuo. Penso però che mi vedrai molto spesso a casa tua all'ora di pranzo, ti dà fastidio?>>

<<Mi darebbe fastidio il contrario.>> soffio, dopo essermi allacciata la cintura.

Aex mi riserva uno sguardo estremamente carezzevole e sento qualcosa smuoversi al centro del mio petto.

<<Dai campione, metti in moto.>>

<<Oh sì, certo.>> mormora, arrossendo.

Quando torniamo a Cervera sono già scoccate le sette.
Ho già avvertito mia madre che passerò la serata con Alex, per cui, ora siamo pronti a metterci al lavoro.

Faccio partire la musica, rigorosamente anni '80, che ci farà da sottofondo.

<<Allora>> inizio, dopo essermi tirata su le maniche del maglioncino, con tono da gran sapientona, pur non sapendo niente dell'argomento "pasta", <<versiamo la farina in una ciotola, facciamo una conca, e rompiamo al centro le uova, per poi iniziare a sbattere il tutto con una forchetta.>> eseguo i vari passaggi, poi Alex inizia a sbattere le uova.

Per ora non abbiamo ancora fatto disastri.

<<Ma chi l'ha scelta questa playlist?>> domanda lui, guardandomi con fare stranito, mentre The sun always shine on tv degli a-ha riempie la stanza.

<<Io, bada bene a ciò che dici.>> lo ammonisco, mentre iniziamo ad impastare.

Impastiamo per più di venti minuti, ma dell'impasto dalla consistenza liscia ed elastica non c'è traccia, perché è l'esatto contrario.

<<È un mattone.>> nota Alex, dopo più di mezz'ora.

<<Ma no, magari mettendo ancora un po' di farina...>>

<<Angel, è terribile.>>

<<Ma abbiamo seguito la ricetta alla lettera!>> piagnucolo, sbattendo l'impasto sul ripiano.

<<Dai, non prendertela, era la prima volta per entrambi, vedrai che la prossima andrà meglio!>>

<<E adesso che mangiamo?>> mi lamento, mentre Cyndi Lauper ripete per la milionesima volta che le ragazze vogliono solo divertirsi.

<<Pizza?>>

<<E va bene.>> borbotto, incrociando le braccia al petto.

Mentre Alex ordina le pizze, io testarda e orgogliosa come al mio solito, riprendo l'impasto tra le mani.

<<Angel, ancora?>> esclama Alex, com tono esasperato, prendendomi l'impasto dalle mani.

<<Sono convinta che->>

<<Se lo lanciamo verso la finestra rompe i vetri!>> mi interrompe, correndo in salotto con l'impasto in mano.

Gli corro dietro, cercando di salirgli sulle spalle, ma non è facile come con Marc, essendo Alex alto un metro e un grattacielo.

Prendo la rincorsa, ma lui si volta proprio nel momento in cui sto per saltargli sulle spalle, e finiamo sul divano, il tutto mentre i Tears for Fears ricordano che tutti vogliono governare il mondo.

<<Oddio Alex, scusami, ti sei fatto male?>> domando, prendendogli il viso tra le mani, per poi accarezzargli le tempie.

<<No...sto bene, tranquilla Angel.>> mormora, schiarendosi la voce.

Alex riapre lentamente le palpebre, il verde dei suoi occhi in questo momento pare più scuro del solito.
Li punta dritti nei miei, per poi farli scorrere piu giù.

Alla fine non si sta così male sopra di lui.

Evito il suo sguardo e noto che l'impasto è finito sulla poltrona di Julià.
Alex segue il mio sguardo, per poi tornare a guardarmi.

Scoppiamo a ridere, come due cretini.

<<Adesso ci tocca pulire anche la poltrona.>> dice, tra le risate.

Poso la fronte sul suo petto, senza smettere di ridere.

<<Vedo che qui ci si diverte.>>

La risata mi muore in gola.

La sua voce.

Devo averla sognata.

Sento Alex posarmi una mano sulla schiena.

<<Marc, sei già arrivato?>>

Non l'ho sognata.
È davvero qui, è tornato.

Mi sollevo di scatto da Alex e mi volto a guardarlo.

La sua mascella è serrata, i suoi occhi scuri fissi su di noi, più cupi del solito.

La mano destra stretta così tanto intorno al manico del trolley che si intravedono le nocche bianche.

<<Ho preso l'aereo stanotte, volevo tornare a casa il prima possibile. È venuto José a prendermi.>> risponde, scostando bruscamente lo sguardo da noi.

<<Resti a cena con noi?>> domanda Alex, sollevandosi dal divano.

Marc si volta lentamente.

<<Noi?>>

<<Sì...resterò a cena qui. Vuoi anche tu una pizza?>>

Gli rivolgo la parola per la prima volta, guardandolo fissa negli occhi.

Quando i nostri occhi si incontrano Marc deglutisce rumorosamente e fa un passo indietro, per poi distogliere lo sguardo da me.

<<D'accordo. Spero di non disturbarvi.>> sibila, il tono canzonatorio.

<<La preparate voi per caso? No, perché vi informo che non è molto igienico lasciare riposare l'impasto sulla poltrona, avete preso forse un po' troppo alla lettera il fatto di doverlo far riposare...>>

Lo guardo male, anche se non può vedermi perché mi sta dando le spalle.

<<Le ordiniamo, non preoccuparti. Sempre la solita?>>

<<Non ho molta fame, prendo la stessa di Angel.>>

Sentirlo nominare nuovamente il mio nome mi provoca una sensazione strana al petto.
Come se qualcosa di morbido mi stesse accarezzando il cuore.

<<Vado a farmi una doccia.>> ci informa, mentre Alex afferra il telefono per ordinare la pizza di Marc.

Osservo la sua figura mentre sale le scale e lo seguo.

<<Marc.>> mormoro, prendendolo per la manica della giacca a vento.

Si arresta non appena lo chiamo.

Poi si volta lentamente verso di me.

E ora che cosa gli dico?

<<Sì?>>

<<Io...ecco...com'è andato il viaggio?>>

<<Bene. È stato lungo ed estenuante, ma è andato bene.>>

Non posso credere che ci ritroviamo a questo punto.
Io e il mio migliore amico ci parliamo a malapena.

Pare passato un secolo dal giorno del mio compleanno, quando mi ha riempito di regali, dimostrandomi tutto il suo affetto per me.

E ora?

È come se stessi provando a rimettere insieme i pezzi di un preziosissimo vaso che è andato in mille pezzi, nonostante sia impossibile.

Lo so, so che si legge nel mio sguardo quello che sto provando.
Non posso fingere, non riesco a fingere, non ci sono mai riuscita.
I miei occhi hanno sempre parlato al posto mio.

<<Sono felice che sei tornato.>> gli dico, senza guardarlo.

<<Anche io sono felice di essere tornato a casa. Ora forse è meglio che vada a farmi una doccia, prima che arrivino le pizze.>>

<<Sì, sì, scusa.>>

Alla fine però, Marc resta lì, a fissarmi, in un modo così struggente, che mi pare quasi di avvertire le sue stesse emozioni.

<<Che ci è successo, Marc? Non ci riconosco più. Forse abbiamo davvero sbagliato tutto.>> soffio, senza guardarlo.

Non attendo una sua risposta perché gli do subito le spalle e torno sui miei passi.

Trovo Alex in cucina, a pulire.

<<Aspetta, ti do una mano.>> affermo, iniziando ad aiutarlo a sistemare.

Alex alza lo sguardo verso di me.

<<Ehi Angel, tutto bene?>>

<<Sì, sì, non preoccuparti!>>

Scosto il viso di lato per impedirgli di vedere che in realtà mi viene da piangere.
Eppure lui, lui non pare soffrire di tutto questo, di questa situazione.

A lui pare andare bene, anzi, è proprio lui ad essersi allontanato talmente tanto da me da aver rovinato le cose per l'ennesima volta.

Forse dovrei iniziare ad accettare anche io il fatto che è tutto andato irreparabilmente distrutto.

Sento aria di tempesta nell'aria.

E non ho idea di come sfuggirvi.

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