Back to the start
[I need another story
Something to get off my chest
My life gets kinda boring
Need something that I can confess]
[Angel]
Fare pace con Marc era stata la cosa più semplice mai fatta in tutta la mia vita.
Nonostante mi avesse ferito come mai prima, non avevo potuto resistere ai suoi occhi pieni di dolore e sincerità mentre mi chiedeva scusa.
E in fondo, aveva ragione.
Lui non sapeva in che modo esattamente mi avesse ferito, non sapeva il motivo per cui me la fossi presa così tanto nel vederlo con quella sconosciuta.
E in realtà, non lo sapevo nemmeno io.
O meglio, forse lo sapevo.
Ma lui non avrebbe mai dovuto scoprirlo.
Avevo la testa in piena confusione.
Da una parte Marc e il turbinio di sentimenti che mi faceva provare e dall'altra Alex e la sua rivelazione.
Non sapevo come comportarmi.
In presenza di Alex mi sentivo sempre in imbarazzo, e mi rendevo conto che lo stavo facendo soffrire, ma cosa potevo farci?
I sentimenti portano sempre dolore, ecco perchè vanno evitati.
Dopo aver passato la mattinata in piscina, Miguel ha proposto di andare in barca nel pomeriggio, ed è proprio dove ci troviamo ora, al largo della costa di Mojacar.
È splendida la vista da qui.
Il paese arroccato sulla collina, che si snoda poi, fino ad arrivare al mare.
Ed il cielo blu acceso, che si scontra con il mare, dello stesso colore.
Pare un quadro dipinto da un grande artista.
Anna è da più di un quarto d'ora che ci sta raccontando del suo ex fidanzato.
Tutto davvero, molto interessante.
Se non la smette entro cinque minuti giuro che le tappo la bocca con una delle mie zeppe.
Marc pare aver palesemente notato ciò che penso dalla mia espressione, perchè continua a sghignazzare sotto i baffi.
Ecco dove potrebbe finire l'altra mia zeppa.
<<Sì, d'accordo, abbiamo capito, Anna.>> esclama ad un tratto Juan, alzando gli occhi al cielo.
Oh, che tu sia benedetto Juan.
<<Ma ora cambiamo argomento?
Che dite?
Va bene qualunque cosa, basta che non si tratti di Rafael e delle serate che passava a giocare alla Playstation con gli amici.>> conclude, lanciando uno sguardo ad Anna, che lo ricambia con un'occhiataccia.
Rafi s'illumina improvvisamente.
<<Questa è l'occasione giusta! Voi due>> ed indica me e Marc, <<parlateci di come vi siete incontrati!>>
Non vedeva l'ora, praticamente.
Come tutti gli altri.
Infatti gli occhi di tutti quanti si posano su di noi.
<<E quest'idea da dove è uscita?>> sogghigna Marc, guardando la cugina con ironia.
<<Avevo chiesto l'altra sera ad Angel di raccontarmelo, ma aveva detto che lo avrebbe fatto quando saremmo stati tutti insieme...be' ora mi pare l'occasione giusta!>>
Io e Marc ci scambiamo un'occhiata.
<<Ma davvero, non è niente di...speciale!>> con la coda dell'occhio noto che Marc mi guarda poco convinto.
<<Niente di speciale?
È stato il nostro primo incontro, Angel, è stato più che speciale!>> ribatte lui, con fare offeso.
Lo guardo quasi incredula.
<<Certo, ma in fondo come incontro è stato piuttosto banale, avanti...mi sei semplicemente venuto addosso!>>
Marc spalanca gli occhi con fare sorpreso.
Si sta davvero offendendo per ciò che ho detto?
Perchè tiene così tanto alla considerazione che ho del nostro primo incontro?
Sa quanto sia importante per me, da lì la mia vita è totalmente cambiata, ma in fondo l'incontro in sé non è stato niente di sconvolgente, ecco.
<<Io lo trovo romantico!>> si inserisce Rafi e sia io sia Marc, ci voltiamo a guardarla.
Io in maniera sconvolta.
<<Sì, d'accordo Rafi, ma non è questo il caso.>> sogghigno io, nervosamente.
<<Oh comunque, io voglio sapere, per cui, raccontate, avanti!>> piagnucola, e sospiro, alzando gli occhi al cielo.
<<Chi inizia?>>
<<Tu ovviamente!>> esclama Marc, come se la cosa fosse ovvia.
Lo guardo male, ma poi inizio a raccontare.
[Estate 2011 - cinque anni prima]
<<Angel, ti prego, puoi smettere per un secondo di ascoltare la musica? Siamo davanti alla Sagrada Familia!>> mi ripete mia madre per l'ennesima volta.
<<E con questo?
Non mi pare che sia vietato ascoltare la musica davanti alla Sagrada Familia.
E io ne ho bisogno mamma, non ti basta avermi portato lontano da casa?>> ribatto, acida, e mia madre non risponde, si limita a sospirare.
Non posso crederci.
Ha deciso praticamente da sola che sarebbe stato meglio per noi, raggiungere mia zia in Catalogna, che si era trasferita un anno prima.
Ma a me già mancavano le montagne, le vette infinite, i laghi cristallini, i pascoli sconfinati, i boschi pieni di vita e profumi.
Non volevo ricominciare da un'altra parte.
Quando il dolore è dentro di te non puoi fuggire da nessuna parte.
Mia madre continua ad ammirare la facciata principale della cattedrale, mentre io continuo ad andare avanti e indietro a testa bassa, fissando lo schermo del telefono mentre le note della musica dei One Republic mi riempie le orecchie, la testa, il cuore.
La musica è l'unica cosa che può provare ad acquietare la tempesta che sento dentro.
Vorrei poter fuggire via da me stessa, essere diversa.
Non lascio niente di particolare in Italia, non ho mai avuto amici.
Ho sempre avuto banalissime conoscenze con cui ho attraversato un frammento del mio percorso, ma in realtà, sono sempre stata sola.
Secondo gli altri, c'era sempre qualcosa che non andava, in me.
C'era sempre qualcosa che non corrispondeva ai loro standard.
Semplicemente, io non corrispondevo ai loro standard.
La solitudine non mi ha mai spaventato.
Ormai ci ero abituata.
Non mi importava se i miei coetanei a stento mi rivolgevano la parola.
Io non ero mai stata spensierata.
La mia testa non era programmata per pensare a quelle che io consideravo sciocchezze, e che per gli altri adolescenti erano importanti.
Non me ne importava niente di dove sarei andata il sabato sera.
Non me ne importava niente della festa a casa di Tizia sconosciuta.
Non me importava niente dei fondo schiena dei ragazzi.
Non me ne importava niente di truccarmi o indossare il reggiseno imbottito a quattordici anni.
C'era tempo per ogni cosa.
Io non avevo fretta di crescere, anzi.
Solo che per me, certe cose, non avevano tempo e basta.
Non mi appartenevano e non potevo farci niente.
Ecco perchè ero sola.
L'importante era avere mia madre al mio fianco.
E questo mi bastava.
Sapevo però ciò che stavo lasciando.
Ma cosa mi aspettava ora, in un paese nuovo?
Ho paura.
Talmente tanta paura che non riesco quasi più a respirare solo al pensiero, che vorrei chiudermi in casa e non uscire più.
Sospiro, scostandomi i capelli dal viso, mentre "Secrets"dei One Republic inizia.
Una lacrima mi scorre lungo la guancia ed in quel momento, sento qualcuno venirmi addosso.
Un deficiente, sicuramente.
Stringo più forte la presa sul cellulare, e mi volto di scatto, togliendomi una cuffietta.
<<Capisco di non essere un palo della luce, ma non pensavo di essere diventata invisibile!>> non penso al fatto che, non essendo in Italia, è difficile che qualcuno possa capirmi, ma in fondo ne sono anche sollevata.
Potrei sembrare un po' troppo aggressiva.
<<Scusami, io...ecco, stavo ammirando la facciata della Sagrada, e...non ti ho notato, perdonami.>>
Mi tolgo gli occhiali da sole, e i miei occhi incrociano quelli scuri e belli del ragazzo che mi trovo di fronte.
Come me, non è decisamente un palo della luce, anche se è ovviamente più alto della sottoscritta.
I capelli neri e leggermente ondulati sono spettinati, forse a causa del fatto che ci ha già passato le mani per ben due volte nell'ultima frazione di secondo.
Un paio di occhi neri brillano sul suo viso dai tratti infantili e dalle labbra piene e ben disegnate.
La sua pelle dorata è l'opposto della mia.
È magro e dal fisico affusolato.
E...un attimo.
Mi ha risposto in italiano.
Ha capito ciò che gli ho detto.
Oddio, che imbarazzo!
So di essere sul punto di arrossire, e abbasso la testa sul mio cellulare.
Non mi sono neanche accorta di non aver fermato la canzone che stavo ascoltando.
Secrets è una delle mie preferite, non ho idea del perchè, semplicemente, mi fa stare bene.
<<Parli italiano?>> gli domando, rivolgendogli un'occhiata sorpresa. Lui si gratta la nuca.
<<Sì, anche se mi rendo conto di non essere bravissimo a parlarlo...>>
<<Non sei male in realtà.>> mi limito a dire, mentre mi rendo improvvisamente conto che sto rivolgendo la parola ad un ragazzo del tutto sconosciuto.
<<Oh...grazie. Comunque, ti chiedo ancora scusa per esserti venuto addosso.
Ho spesso la testa tra le nuvole.>> accenna una risatina, mentre io mi limito ad un sorriso tirato, già con l'intenzione di allontanarmi.
<<Beh, io...io sono Marc.>> riprende, porgendomi una mano, che osservo per qualche secondo, non sapendo cosa fare.
O meglio, so che dovrei stringergliela, più per una questione di educazione che altro, ma davvero, non mi interessa sapere come si chiama.
Alla fine, decido di non fare l'asociale antipatica e gli stringo la mano.
<<Angel.>> borbotto, iniziando a cercare con lo sguardo mia madre.
<<È un bellissimo nome!>> dice lui, mentre un grande sorriso si apre sulle sue labbra.
Non posso fare a meno di lanciargli uno sguardo.
Ha un sorriso bellissimo, affascinante e pieno di vita.
Probabilmente il sorriso più bello che io abbia mai visto.
<<Grazie.>>
<<Sei qui in vacanza?>> continua lui.
<<Purtroppo no.>> sospiro, stringendomi le braccia al petto.
<<Oh, dunque vivi qui?>> domanda, mentre noto un lampo attraversargli lo sguardo.
<<Sì e no...sono arrivata da qualche giorno, mi sono appena trasferita.
Ma non vivrò a Barcellona, ma in una...cittadina sperduta a centinaia di chilometri da qui!>> rispondo, acida, dato che la cosa non mi è ancora andata giù.
Penso che non la digerirò mai, in realtà.
<<Davvero? E...sai il nome di questa cittadina, per caso?>> inarco un sopracciglio, guardandolo.
<<Perchè ti interessa?>> si gratta di nuovo la nuca.
Probabilmente è in imbarazzo.
<<Beh, perchè sono nato e cresciuto qui, in Catalogna, e conosco ogni cittadina, o paese.>> alzo le spalle.
<<Non mi ricordo bene...ha un nome strano...simile ad un cervo...Cervica? No, decisamente.
Ehm...cerveza?>> lui scoppia improvvisamente a ridere, e io mi domando che cosa io possa aver detto di così divertente.
Però, ha una risata meravigliosa.
Allegra, viva, pare una cascata d'acqua fresca.
Ed è contagiosa.
<<Perchè stai ridendo?>>
<<No, scusami, è che...cerveza...vuol dire birra, e dubito esista un paese con quel nome!>> mi spiega, smettendo pian piano di ridere.
<<Oh.>> mormoro, in imbarazzo.
<<Forse, volevi dire...Cervera.>>
<<Oh sì, ecco! Bravo!>>
<<La conosco, non è così male, anzi.
Si trova nell'entroterra, a Lleida, circondata dalle colline.>>
<<Sì, d'accordo, parli bene tu, che vivi in una città dinamica e bella come Barcellona!>>
<<Veramente non vivo qui!>> ribatte, mentre un sorriso ironico si dipinge sulle sue labbra.
Lo guardo confusa.
<<Vivo a Cervera, hai presente?>>
~·~
<<Grazie Marc, per aver deciso di darci una mano con gli scatoloni!
Sei davvero molto gentile!>> mia madre lo ringrazia per la trentesima volta, mentre io sbuffo in silenzio, alzando gli occhi al cielo.
Per fortuna abitiamo al primo piano. In questo palazzetto del cavolo non c'è neanche l'ascensore.
Già lo odio.
Voglio ridere quando mi toccherà portare gli scatoloni dei libri.
Mia madre porta con sé uno dei più leggeri, sparendo dalla mia vista, e io osservo gli altri cercando di capire quale prendere per primo tra quelli rimasti.
Mentre mi sporgo all'interno del furgone lo scatolone dei cuscini mi viene addosso per la quarta volta.
<<Hai finito, Mister Simpatia?>> sbraito, anche se so di poter sembrare abbastanza ridicola.
Mi metto anche a litigare con gli scatoloni.
Sento Marc sghignazzare dietro di me.
<<Cos'hai da ridere?>> domando, rivolgendogli un'occhiata confusa.
<<Rido per quello che dici, insomma...sei simpatica.>> lo guardo sorpresa.
<<Mi trovi...simpatica?>> nessuno mi aveva mai trovato simpatica.
Anzi.
Mi trovavano tutti rompipalle, solitaria e orgogliosa.
Ah, e strana.
Dimenticavo l'aggettivo migliore.
<<Sì. Ti pare strano?>> mi domanda, perplesso.
E adesso che gli dico?
No, non ho intenzione di fargli capire che una scimmia urlatrice avrebbe più probabilità di avere amici della sottoscritta.
<<Sicuramente non è la prima cosa che notano gli altri di me.>> mi limito a dire, prendendo lo scatolone con i cuscini.
Osservo quello dei libri per qualche secondo.
<<Quello posso portarlo io.>> dice subito Marc, sporgendosi per prenderlo.
<<No, è troppo pesant->> il resto della frase mi resta intrappolata in gola, non appena vedo Marc prendere lo scatolone senza troppa fatica.
Ah.
Non immaginavo fosse così forzuto, dato che il mio scatolone pieno di libri peserà sicuramente molti chili.
Mi supera rivolgendomi un sorriso, e io prendo a guardarlo ancora senza parole.
Dove li nasconde quei muscoli?
Non riesco a notarli!
In quel momento passano diversi motorini strombazzando, e mi risveglio dai miei pensieri.
Alzo lo sguardo verso il condominio di fronte a me, e noto per la millesima volta da quando sono arrivata in questa cittadina, che attaccata a molti balconi, vi è una specie di bandiera color rosso intenso, con un 93 stampato sopra, e su alcuni vi è scritto "Marquez".
Prendo lo scatolone con i cuscini e raggiungo Marc, che è già entrato nell'appartamento.
<<Sono tutti tuoi questi libri?>> mi domanda, voltandosi appena verso di me.
<<Sì, ma puoi lasciarli benissimo qui.>>
<<No tranquilla, li porto in una delle due camere da letto, se ancora non hai deciso quale sarà la tua.>>
<<Oh beh...grazie mille, Marc.>> è la prima volta che nomino il suo nome, da quando ci siamo incontrati, qualche giorno fa.
Anche Marc pare notarlo, infatti mi guarda nuovamente, rivolgendomi un grande sorriso.
<<Senti, posso chiederti una cosa?>> gli domando, non appena entra in una delle due stanze.
<<Certo.>> risponde, posando a terra lo scatolone.
<<Ho notato che praticamente ovunque in questa cittadina vi sono bandiere o cose simili con un numero 93 sopra, e in alcune il cognome "Marquez".
Mi sapresti dire...chi è?>>
Marc mi rivolge uno sguardo sorpreso, come se non si aspettasse una domanda simile.
Sono abituata ad essere guardata in questo modo, sono un aliena, come potrei non averci fatto il callo?
Inclina la testa di lato, accennando un sorriso.
<<Ecco...certo che so chi è, è un pilota di qui.>>
<<Un pilota...un pilota di aerei?>> domando, e vorrei sotterrarmi da sola.
Marc mi guarda per qualche istante, per poi scoppiare a ridere.
Lo guardo male, mentre sento le guance prendere colore per l'imbarazzo.
Cos'ha da ridere in quel modo?
Se non la smette prendo uno dei miei libri più pesanti e glielo sbatto in faccia.
<<Scusami, non sto ridendo di te, sia chiaro, ma...per ciò che hai detto.
No, non è un pilota di aerei, ma di moto.
Vi è la F1 per le quattro ruote, la MotoGP per le due ruote, e lui corre nella categoria intermedia, che si chiama Moto2, che apre le porte della MotoGP ai piloti più meritevoli, e per ora, lui è primo in classifica.
Lo scorso anno invece, ha vinto il titolo nella 125, che ora si chiama Moto3, la categoria minore, in pratica!>> spiega, dandomi più informazioni possibili, che io capisco a malapena.
<<Oh...caspita, deve essere molto bravo!>> mi limito a dire, passandomi una mano tra i capelli.
<<Sì, è molto, molto bravo. Uno dei migliori, oserei dire!>> afferma, sorridendo con fare orgoglioso.
<<Addirittura! E...beh, perchè continua a vivere in una cittadina dell'entroterra, quando potrebbe andare a Barcellona?>>
<<Perchè è nato qui, ed è casa sua.
E si sente veramente bene qui, al sicuro.
E in fondo, Barcellona non è molto lontana.>>
<<Da come ne parli sembra che tu lo conosca molto bene!>>
<<Sì, lo conosco abbastanza bene! Se vuoi, posso fartelo conoscere anche subito!>> mi volto di scatto verso di lui.
<<Come? No guarda, io sono un'asociale cronica, non voglio conoscere nessuno, voglio stare sola->>
Marc inizia a sogghignare, mentre fa un passo verso di me.
<<Piacere, sono Marc Marquez, pilota di Moto2!>> per poco non mi casca la mascella per terra.
Resto lì, impietrita a guardarlo, mentre lui, dall'espressione che ha dipinta in volto, si sta divertendo parecchio.
È un pilota?!
<<Tu...tu...sei un pilota?
Stai scherzando, vero?
No, non ci credo.
Non hai la faccia da pilota!>>
Marc inarca un sopracciglio, un sorriso divertito dipinto sulle labbra.
<<Perchè, com'è la faccia da pilota?>>
E che diavolo ne so, io!
<<Be', non di sicuro la tua!>>
<<D'accordo, non mi credi?
Allora cerca Marc Marquez su Google.>>
<<Lo faccio subito.>> ribatto, tirando il cellulare fuori dalla tasca dei jeans.
Digito il nome su Google, e per l'ennesima volta, trattengo l'istinto di spalancare la bocca.
Decine di foto del ragazzo che ho di fronte appaiono ai miei occhi.
Lui mi guarda tra l'ironico e il curioso.
<<Allora? Trovato niente?>> mi domanda, conoscendo bene la risposta.
Ripongo nuovamente il cellulare nella tasca dei jeans.
<<Direi di sì. Comunque...ti dona la tuta da pilota, sai?>>
~·~
<<Dite quello che volete, ma io lo trovo estremamente romantico!>> continua Rafi, non appena termino di raccontare.
Marc è intervenuto spesso per esporre il suo punto di vista, e devo ammettere che mi è piaciuto rievocare il momento in cui ci siamo conosciuti.
È sempre bello ricordare quando lui è entrato nella mia vita.
<<Dov'è il romanticismo in tutto questo?>> domando, esasperata, guardandola.
<<Ma...ti è venuto addosso...per sbaglio?>> domanda improvvisamente Javier, cambiando discorso.
Lo guardo confusa.
<<Sì, certo. Perchè andare addosso a qualcuno...apposta?>> sogghigno io, voltandomi verso Marc che accenna una risatina.
<<Lascia perdere Javier, non si è ancora svegliato, oggi!>> lo schernisce, per poi lanciargli un'occhiataccia.
Lancio un'occhiata ad Alex, e il mio momentaneo buonumore sparisce all'istante.
È seduto con noi, ma è perso nei suoi pensieri.
Al contrario di Marc, Alex non riesce a nascondere le sue sensazioni, che si dipingono tutte sul suo viso.
In realtà neanche Marc ci riesce completamente; può anche sorridere, ma i suoi occhi trasparenti parlano sempre.
Marc ha ragione.
Dobbiamo parlare, chiarirci.
Ma sono completamente bloccata, non ci riesco.
È come se dal momento in cui Alex mi ha confessato i suoi sentimenti, tra di noi si fosse innalzato un muro.
O meglio, si fosse innalzato un muro da parte mia nei suoi confronti.
Il fatto è che non so come comportarmi, con lui.
E nonostante io sappia benissimo che sta soffrendo, non ho intenzione di farlo soffrire ulteriormente.
È un grande casino, un grandissimo casino.
E io non so cosa devo fare.
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