Cap. 27 - Gli incontri. Gli scontri.
"Bentornato signorino Yarihe..."
"Duwa ti prego... Non c'è bisogno di essere così formali..."
"Mi perdoni signorino Yarihe... La forza dell'abitudine..."
Mi sistemo sul sedile posteriore della berlina che mio fratello ha mandato a prendermi, soffermandomi a lungo sullo specchietto che riflette il volto professionale e concentrato dello storico autista e tuttofare di mio padre. Dubito fortemente che Jarvis abbia bisogno di un autista, ma ha un cuore troppo grande per licenziare Duwa. Ruoto la testa verso il finestrino lasciandomi invadere dal paesaggio malese che scorre intorno a noi, lo stesso con cui avevo detto addio alla mia famiglia otto anni fa. E immediatamente un senso di panico mi pervade. Inspiro ed espiro profondamente, mettendo in pratica gli esercizi di rilassamento che ho imparato dai monaci buddisti in Birmania. Ne avrò bisogno.
"Prego, signorino Yarihe... Siamo arrivati."
Duwa mi apre la portiera prima che possa farlo da solo e mi blocco di fronte alla sagoma di una villa bianca, circondata da un vasto cortile delimitato da un cancello ambrato. Casa dei miei genitori. La mia vecchia casa. Jarvis è rimasto a vivere qui dopo che si è sposato, proprio come immaginavo. Questo posto è talmente grande che potrebbe tranquillamente ospitare tre famiglie con bambini annessi. Sì, avrebbe tranquillamente ospitato anche la mia di famiglia, ma le cose sono andate diversamente.
Finalmente le mie gambe decidono di rispondere ai miei comandi e percorrere il piccolo sterrato che porta all'ingresso, il rumore dei sassolini sotto i piedi che da solo risolleva un polverone di ricordi. Inspiro. Espiro. Entro in casa.
"Yarihe... Yarihe, figlio mio..."
Una lunga treccia argentata mi colpisce involontariamente la spalla mentre vengo travolto dall'abbraccio di mia madre. La stringo forte, riuscendo a stento a trattenere le lacrime. Sono felice di vederti, mamma. Si stacca da me per osservarmi meglio, a lungo, e io faccio lo stesso con lei. E' vestita di nero in segno di rispetto al lutto per mio padre, ha gli occhi scuri appannati dalle lacrime, ma il sorriso è lo stesso che ricordavo. Anche la dolcezza che permea ogni sua carezza non è cambiata. Le blocco il polso per baciarle il palmo, singhiozzando.
"Ciao mamma..."
Un altro abbraccio, ancora più lungo e profondo del primo. Un abbraccio con cui voglio chiederle scusa, per essermene andato senza nemmeno avvisare, per averla abbandonata senza nemmeno salutarla se non con un misero biglietto. Non ho bisogno di aggiungere altro, perché mia madre ha già capito tutto e mi ha già perdonato.
"Vieni, siediti sul divano. Ti faccio del the nero, il tuo preferito..." "Mamma, non ti disturbare..." "Sai che mi piace prendermi cura dei miei figli. Lo faccio ancora anche con tuo fratello, nonostante ormai sia un adulto. Proprio come te. Sei diventato un uomo bellissimo, Yarihe..." Un brivido mi attraversa la schiena nell'assaporare il tono calmo e posato di mia madre. La perdita di mio padre deve essere stata un duro colpo per lei: nonostante tutto gli era molto devota, e un velo di tristezza traspare nella sua voce. Solo adesso che posso riascoltarla mi rendo conto di quanto mi era mancata.
"Tieni..." La tazza fumante interrompe la mia scansione dell'enorme soggiorno. Mobili. Quadri. Lampade. Tappeti. Sono rimasti tutti esattamente al loro posto, come se gli anni non fossero passati. "Hai così tanto da raccontarmi Yarihe... Jarvis mi ha detto che ce l'hai fatta, sei diventato un ballerino professionista!" Sollevo la testa dal mio the e le sorrido. "Sì mamma... Ce l'ho fatta..." Un'altra lacrima le riga la guancia, una goccia di orgoglio puro. E come un fiume in piena inizio a raccontarle tutto, dalla mia audizione, all'incontro con Kumiko, alla soddisfazione che ho provato quando mi hanno assegnato il ruolo da protagonista, al nervosismo del primo debutto. E lei mi ascolta, in silenzio, rapita da ogni mia singola parola, rivivendo con me ogni istante, ogni ricordo, ogni emozione. Appoggio la tazza sul tavolino e recupero una busta dal mio zaino.
"Tieni..." Le sue mani incuriosite aprono delicatamente l'involucro tremando leggermente quando ne comprendono il contenuto. "So che ci tieni molto alle fotografie, pensavo ti avrebbe fatto piacere averne un paio mie..." "Ma... Ma certo... Grazie Yarihe..." "Qui è durante il mio ultimo spettacolo." Rimango in silenzio, lasciando che possa ammirare il mio corpo impresso nella pellicola. "Sembra che tu stia volando..." Annuisco, sorridente. "E' uno dei salti del mio assolo." "E' uno scatto bellissimo..." "Sì... Lo è..." Appoggia delicatamente la fotografia sul divano e apre leggermente la busta per estrarre la seconda. "Questa è per la tua collezione..." Un'altra lacrima, di sincera commozione. "Sei... Sei stato in Birmania..." "Sì... Prima di venire qui..." Il suo sguardo è completamente rapito, perso nell'emozione scaturita dalla mia immagine avvolta dalla veste arancione che ho indossato durante la mia permanenza nel monastero.
Vorrei raccontarle tutto, di come la meditazione mi abbia aiutato a superare il periodo di crisi dopo l'incontro con Jarvis, di come la lontananza dalla frenesia della città mi abbia donato un senso di pace, ma una voce proveniente dal cortile interrompe i miei ricordi. Una voce profonda, gutturale, suadente.
"Nadya! Ti occupi un attimo di Safìa mentre lascio la spesa in casa?" Per fortuna sono seduto, perché credo che le gambe potrebbero cedermi. "Certo Shayasa! Mandamela pure..." Chiudo gli occhi, cercando di dare un freno al mio battito cardiaco impazzito. Ma non c'è niente da fare. Nessuno degli esercizi respiratori che mi hanno insegnato i monaci in Birmania potrebbe funzionare in questo momento.
"Papà! Sei qui!"
Riapro gli occhi, sconcertato per il suo saluto. E la visione che mi si para davanti è talmente indescrivibile da lasciarmi senza fiato. Una bambina bellissima con i capelli neri intrecciati in uno chignon elegante e un vestito leggero rosa mi sta fissando spaesata con i suoi occhioni scuri. Safìa. Mia figlia. Cerco di trattenere le lacrime per non spaventarla e le sorrido. "Scusa. Sei uguale al mio papà." Una vocina dolcissima e già così matura per la sua età. Annuisco, comprensivo. "Non preoccuparti, piccola. Ci confondono tutti." La bambina si gratta la testa, pensierosa, rimanendo ferma vicino alla porta.
"Vieni qui Safìa, dai un bacio alla nonna."
Il dono di mia madre di rompere qualsiasi barriera. Con la scusa di abbracciare la nipote l'ha fatta avvicinare a me, per darmi modo di guardarla meglio, da vicino. La pelle ambrata di pesca, le gambette scattanti che spuntano dalla gonna, le guance ancora leggermente arrossate per l'imbarazzo nei miei confronti. Increspa teneramente le labbra per schioccare un sonoro bacio sulla guancia di mia madre, e rimanendo in piedi avvinghiata al suo braccio ricomincia a studiarmi. Quanto vorrei entrare nella sua testolina per capire cosa sta pensando in questo momento.
"No, non sei uguale al mio papà. Lui ha i capelli più lunghi dei tuoi." La schiettezza dell'innocenza. Scoppio a ridere, più rilassato. Per fortuna mia figlia non si fa problemi a parlare con gli estranei. "Li ho appena tagliati. Prima mi arrivavano qui..." E mentre parlo avvicino la mano alla spalla per mostrarle la vecchia lunghezza che avevano le mie ciocche corvine. "Anche a me piaceva legarli a chignon sai? Però non mi veniva bello come il tuo..." "Me lo fa la mia mamma... Alla mia maestra di danza non piacciono i capelli in disordine..."
Sbam. Un altro blocco, nel realizzare che in qualche modo i miei geni hanno trasmesso la mia stessa passione a mia figlia. Incredibile.
"Safìa. Vai a fare i compiti!"
Mi ero talmente perso ad ammirare questa meravigliosa creatura da non accorgermi della figura autoritaria immobile dall'altro lato del soggiorno. "Ma mamma! Mi avevi detto che potevo stare un po' con la nonna!" "Non discutere con me, signorina..." "Ma li ho finiti i compiti! Me l'avevi promesso!" Forte e combattiva. Questo lato del carattere non l'ha preso da me. "Vieni Safìa, la nonna voleva preparare un bel dolce per la cena. Ti va di aiutarmi?" "Siiiiiiiiiii!!!" "Bene. Allora forza, in bagno a lavare le mani!" Mia madre annuisce nella mia direzione e con passo cadenzato segue la nipote lungo il corridoio che porta al bagno.
Mi alzo per salutare Shayasa ma davanti a me c'è solo una porta d'ingresso spalancata. Probabilmente è uscita per non farsi sentire dalla figlia. La seguo in cortile, tenendomi a distanza. Le vibrazioni che mi sta inviando non sono propriamente positive.
"Cosa ci fai qui, Yarihe?" Proprio come immaginavo. Se l'incontro con Jarvis e mia madre è stato carico di commozione quello con lei è un covo di spine. Già da come mi sta fulminando mi sembra evidente che non mi abbia mai perdonato. Abbasso la testa, consapevole che niente di quello che sto per dire può sanare la ferita che le ho inferto otto anni fa.
"Mi dispiace Shayasa. Sono stato meschino, sono sparito nel nulla lasciandoti un insulso biglietto. Non te lo meritavi." "No. Non me lo meritavo." Secca e concisa, come una pugnalata. Faccio per andare avanti ma mi blocca, sia le parole che il corpo. "Tu non hai idea di cosa ho passato. Credevo di aver vissuto la notte più bella della mia vita e invece il giorno dopo mi sveglio e mio padre mi dice che sei scappato. Non un saluto, non una spiegazione, solo due misere righe in cui mi chiedevi di considerarti morto. Morto! Il ragazzo a cui avevo dato tutto, quello che doveva proteggermi, che dovevo sposare! Mi hai distrutta quella notte, Yarihe. Non ti perdonerò mai."
Cerco di fare un altro passo verso di lei, incurante dell'astio che prova nei miei confronti. "Shayasa, tu hai ragione. Ma lasciami spiegare..." "Cos'hai da spiegare? Sei solo un'egoista. Te ne sei fregato di tutto e hai pensato solo a te stesso." Si avvicina a me, ma solo per sussurrare e non farsi sentire dai passanti. "Sai cosa vuol dire pregare che ti arrivi il ciclo e scoprire di essere incinta di un ragazzo che ti ha abbandonato? Sai cos'è il terrore di essere giudicata, di essere considerata una puttana dalla propria famiglia? Non credo." Ogni parola è una lama che scava in profondità nella mia carne. E me le merito, dalla prima all'ultima, ma non ce la faccio a stare qui in silenzio senza provare a rimediare ai miei errori del passato.
"Shayasa... Io sono... omosessuale..." Non voglio che sia una giustificazione, ma non ho altro modo per fermare l'uragano di furia che le ha scaturito il vedermi dopo otto anni seduto sul divano a chiacchierare con mia madre, come se niente fosse.
"Cosa? Non... Non è possibile..." Finalmente mi dà modo di avvicinarmi, addirittura di appoggiarle una mano sul braccio. "Sono omosessuale Shayasa. L'ho sempre saputo, ma allora ero un ragazzino, ero confuso, e tu eri speciale per me, lo sei sempre stata. Ma la verità è che ho soppresso i bisogni del mio corpo solo per compiacere mio padre. Quella notte l'ho sentito urlare a mia madre incolpandola perché suo figlio era frocio e non ci ho più visto." Il suo sguardo è ancora sul chi va là ma più docile. E' come se mi avesse concesso una tregua per permettermi di illustrale il mio punto di vista e gliene sono molto grato.
"Niente di tutto questo può curare la sofferenza che ti ho inferto, Shayasa, ma cerca di immaginare come sarebbe andata... Prima o poi la mia vera natura sarebbe venuta fuori e a quel punto cosa avremmo fatto? Saremmo andati avanti a fingerci marito e moglie, mentendoci a vicenda? Avresti permesso una cosa del genere? Non credo. Non ero io quello giusto Shayasa, io ero la tua scelta solo perché i nostri genitori avevano deciso così." Un brivido percorre il suo corpo e aumento la stretta della mia mano sul suo braccio.
"Jarvis ti ama, Shayasa. Ti ha sempre amato, e tu lo sai meglio di me. Si è preso cura di te e di Safìa, anche se nessuno lo obbligava. Ha deciso di vivere nella menzogna facendo credere a tutti di essere il padre biologico della bambina e sai che c'è? Sono onorato di avergli regalato una figlia che non avrebbe mai potuto avere. Se avessi potuto scegliere mi sarei fatto carico della sua malattia ma purtroppo non è questo che la sorte ha voluto per me. Quindi ti ringrazio per il tuo coraggio e per aver fatto entrare mio fratello nella tua vita."
Calde lacrime rigano il volto bellissimo di Shayasa e mi avvicino a lei per abbracciarla. L'ondata di ricordi scaturita da questo contatto è forse la pugnalata più forte. Il suo profumo, il suo calore, la sua dolcezza, il suo tocco, tutto di lei è rimasto quello della ragazza di diciotto anni che doveva diventare mia moglie. "Perdonami... Ti prego..." "Ti perdono Yarihe... Ma rimani uno stronzo..."
Sorrido mentre la stretta delle sue braccia attorno al mio corpo diventa più forte, segno che la voragine tra di noi si è finalmente rimarginata.
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