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Cap. 23 - Jarvis

Quegli occhi. Scuri, profondi, vivaci, così simili ai miei. I lineamenti del viso marcati, la mascella pronunciata, il naso perfettamente dritto. I capelli corvini, tenuti corti e ordinati, a differenza dei miei che ormai hanno una vita propria. La pelle abbronzata, ancora più della mia perché abituata al sole della Malesia e non al tempo instabile di Seoul. Spalle larghe di chi non può lasciarsi sopraffare dal peso delle responsabilità. Fisico slanciato, alto, atletico, proprio come il mio. E poi il sorriso commosso di chi rivede il proprio fratello dopo otto anni.

Jarvis. Mio fratello.

Sentire la sua voce al telefono è stato come un pugnale a riaprire delle ferite che pensavo sanate. Tre semplici parole nella mia lingua madre: "Sono a Seoul." Il passato che viene a chiedermi il conto. Mio fratello che è venuto a cercarmi. Non lo credevo possibile, non dopo quello che è successo otto anni fa. Non dopo che me ne sono andato voltandogli le spalle, voltando le spalle alla mia famiglia, alla mia carriera, al mio nome. Eppure Jarvis è qui. Senza preavviso, sbucato dal nulla dopo tutto questo tempo. Ritrovarmelo davanti è come una doccia gelata. Ma non per lui.

"Yarihe..."

I suoi occhi brillano mentre annulla la distanza che ci separa e mi abbraccia. Un abbraccio caldo, benevolo, fraterno. E lentamente la coperta di ghiaccio che mi ero costruito si sgretola in mille pezzi. Mi è mancato. La sua voce, il suo sguardo, il suo essere sempre dalla mia parte, la sua diplomazia, la sua fragilità. Mille domande mi frullano per la testa, una prima di tutte, ma mi costringo ad aspettare. Voglio godermi questo abbraccio il più a lungo possibile, prima di risollevare il polverone del passato. Passato vuol dire guai. Malesia vuol dire guai. Non ero pronto per affrontarli ma è giunto il momento di smetterla di nascondermi.

"Vieni... Ti offro una birra..."

Una proposta così normale, come se fossimo ancora due diciottenni alla scoperta del mondo, in preda alle prime sbronze. Si stacca da me e annuisce, indicandomi il pub di fronte al suo hotel, come se conoscesse la zona da una vita. Mio fratello è così. Ha la capacità di adattarsi a tutte le situazioni in tempo zero. Ci sediamo uno di fronte all'altro, squadrandoci, cercando quei piccoli dettagli che diano prova del tempo che è passato. Una piccola ruga, un capello bianco, una macchia scura sotto gli occhi. Niente di tutto ciò. Jarvis è bellissimo, proprio come lo ricordavo. Solo più adulto.

"Non pensavo ti piacessero i capelli lunghi, Yarihe... Ti stanno bene..."

Una semplice constatazione, come se avessi appena deciso di farmeli crescere. Come se non fossero otto anni che li porto così. Una cosa insignificante che pesa come un macigno: non sa niente di me e io non so niente di lui. Bevo un sorso di birra, buttando giù anche i complessi, i rimorsi, i sensi di colpa.

"Ti prego, non chiamarmi così. Yarihe è morto otto anni fa, in Malesia. Sono Yari. Solo Yari."

Una risposta secca, lo so, ma necessaria. Non posso sopportare di sentirmi chiamare in quel modo. Quel nome non mi appartiene, non più.

"Capisco. Cercherò di ricordarmelo."

La sua diplomazia che mette tutti d'accordo. È sempre stato lui quello razionale, posato, riflessivo. Io ero quello impulsivo, precipitoso, istintivo. Io ero quello che faceva le cazzate, lui era quello che mi copriva. Lui era quello delle mille paranoie, io quello che lo costringeva a buttarsi. Forse è per questo che non potevamo fare a meno l'uno dell'altro.

"Ho deciso di farmeli crescere appena arrivato in Corea e ormai non posso più farne a meno. Tagliarli sarebbe come perdere un pezzo. Come se mi amputassero un braccio..." Lo sguardo di mio fratello è attento, come se non volesse perdere nemmeno una parola che esce dalla mia bocca. Esattamente come quando il professore di economia chiudeva un bilancio e si girava per interrogare: Jarvis era sempre il primo ad alzare la mano. "Non sei cambiato per niente Jarvis." Mi sorride, captando al volo il ricordo che ha scaturito la mia frase. "Anche tu non sei cambiato, Yari. Hai solo un altro nome, i capelli più lunghi e lo sguardo più vissuto..."

Resto in silenzio qualche minuto, metabolizzando il suo complimento. Non ho nessuna foto che mi mostri come ero l'ultima volta che l'ho visto, nessuna immagine che possa testimoniare il mio arrivo a Seoul, la conquista dell'indipendenza, l'inizio della mia nuova vita. Posso solo affidarmi a lui e ai suoi ricordi. Bevo un sorso di birra, pronto a fargli la fatidica domanda. Quella attorno a cui ruota tutto.

"Papà è morto, vero?"

"Sì. Un mese fa."

Non una lacrima, non un sospiro, non un brivido. Me l'aspettavo. Nostro padre non gli avrebbe mai dato il permesso di venire a cercarmi. Conoscendolo gli avrebbe tagliato i fondi e l'avrebbe diseredato.

"Come hai fatto a trovarmi?"

Non gli avevo lasciato nulla, nessun indirizzo, nessun numero di telefono, nessun contatto. Ero semplicemente sparito nel nulla.

"E' stato piuttosto facile in realtà. Ho iniziato con delle ricerche a caso online, poi ho provato ad usare parole chiave come ballerino e Malesia e ho trovato dei video della tua compagnia. Sapevo che ce l'avresti fatta." "Ti hanno dato loro il mio numero?" "Sì. Li ho contattati dicendo che ero tuo fratello e che avevo disposizioni testamentarie per la morte di nostro padre." Vorrei interromperlo ma mi precede. "Non ti hanno comunicato nulla perché ho chiesto riservatezza. Temevo che solo a sentire il mio nome saresti sparito di nuovo." Scuoto la testa, le mani intrecciate appoggiate sul tavolo. "Sono scappato perché ero giovane e impulsivo, Jarvis, e il problema non eri assolutamente tu, anzi. Comunque... Ottimo tentativo però con me non attacca. Dubito fortemente che nostro padre mi abbia lasciato qualcosa..." "Lui no. Ma io sì. Sono io quello che decide adesso." E senza che possa rendermi conto di cosa sta dicendo estrae un assegno dalla tasca interna della giacca e me lo passa. Una cifra con talmente tanti zeri da farmi quasi cadere dalla sedia. Il dubbio che mio fratello voglia comprarmi e convincermi a tornare in Malesia si fa spazio nella mia mente, ma lo scaccio subito. Il Jarvis che ricordo non lo farebbe mai.

"Ti ringrazio ma non posso accettarlo, Jarvis. Vi ho voltato le spalle ed è giusto che me la cavi da solo." "Hai fatto quello che andava fatto. Se non vuoi considerarlo come un'eredità di nostro padre, consideralo come un regalo di tuo fratello. Usalo per aprire la scuola di danza che sogni da quando hai sette anni. Gli affitti qui in Corea sono stellari rispetto a quelli in Malesia." Colpito e affondato. Sentirlo parlare in questo modo scioglie qualsiasi tensione nei miei muscoli: non è qui per portarmi a casa. E' qui per riallacciare i rapporti, farmi sapere che non sono solo, che lui per me ci sarà sempre. E questa non è certo un'offerta che si può rifiutare.

"Ti ringrazio Jarvis. Non... non vedo l'ora di dirlo a Kumiko..." Finalmente potrò fare la mia parte, mettere la metà dei soldi necessari per aprire una scuola di danza tutta nostra. Il nostro sogno. "Kumiko? Quella che balla con te nel passo a due? Ora che ci penso credo di averla vista in altri video strani su YouTube, ma non siete in teatro... Sono girati tipo in una discoteca... E lei indossa una mascherina..." "Sì, lei è Kumiko... Al momento non è a Seoul, te l'avrei presentata volentieri... E le esibizioni in discoteca sono di dancehall... La ballano in Giamaica..." Jarvis scoppia a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca. Mi ricorda molto Hobi.

"Cielo, Yari, mi sono perso troppe cose. Partiamo dall'inizio... Questa Kumiko... E' la tua ragazza? E' molto molto molto carina..." Sospiro. Devo decisamente aggiornare mio fratello. "No Jarvis. Mi duole dirtelo ma papà ci aveva visto giusto. Sono omosessuale." La sua espressione torna immediatamente seria, ma dolce. "Certo. Scusami." Rapido e conciso, senza indagare oltre. La ovvia domanda successiva sarebbe "quindi hai un ragazzo?" ma Jarvis non è mai stato invadente. Se hai voglia di raccontargli tutto per filo e per segno ti ascolta, se non hai voglia non ti pressa.

"Kumiko è la mia partner alla compagnia di danza contemporanea, la mia coinquilina e la mia migliore amica. Le voglio molto bene. Ci siamo conosciuti all'audizione e abbiamo legato subito. Dopo qualche mese mi ha proposto di andare a vivere da lei." Il viso di Jarvis diventa sorridente, e io mi lascio andare. Voglio raccontargli tutto, renderlo partecipe di quello che si è perso in questi otto anni. "Sono contento che tu abbia trovato un'amica e una persona su cui fare affidamento quando sei arrivato qui, Yari..." Scuoto la testa, pronto ad andare avanti con il resto della storia. Non gli piacerà, ma è giusto che sappia. "Ero in Corea da quattro anni quando ho fatto il provino per entrare nella compagnia. Prima facevo il cubista in una discoteca gay, vivevo in uno scantinato di dieci metri quadri e mi pagavo l'affitto con le mance dei clienti..."

La testa di mio fratello ha un impercettibile scatto all'indietro. Non mi sta giudicando ma ovviamente non si aspettava un racconto del genere: probabilmente aveva immaginato che fossi arrivato a Seoul e avessi sfondato il giorno dopo. "Oddio Yari non dirmi che ti sei... Venduto..." Lo tranquillizzo subito. "No, Jarvis, non mi sono mai prostituito. Mi spogliavo e basta." E' comunque un bel colpo per lui, ma mi lascia andare avanti con il racconto.

"I primi mesi sono stati molto difficili. Stavo ancora imparando la lingua, non avevo amici, mangiavo a stento una volta al giorno. Poi è arrivato il Nigga." Faccio una breve pausa, dolorosa. Questa parte fa ancora male. "Non ho mai saputo il suo nome, al locale dove lavoravo lo chiamavamo semplicemente il Nigga. Era scappato dalla Giamaica per evitare l'ergastolo e dopo aver girato il mondo si era rifugiato in Corea." Gli occhi di Jarvis sono sempre più spalancati. "Un posto strano in effetti, pieno di tabù, pieno di restrizioni, completamente l'opposto della sua terra. Ma a lui stava bene così: voleva redimersi dai suoi peccati e Seoul gli era sembrato il posto ideale. E' stato lui a farmi conoscere la musica giamaicana e la dancehall. "

Un'altra pausa, forse più dolorosa della prima. "Ero profondamente innamorato del Nigga, nonostante i vent'anni di differenza che ci separavano. Era tutto per me. Un maestro, un mentore, un amico, una persona a cui poter confidare le mie angosce e le mie paure. E' stato il mio primo amore, la mia prima volta. Anche lui era molto affezionato a me, ma non in quel senso, almeno, non da subito. Ci ho messo un bel po' a convincerlo che l'età era solo un numero. Poi ho scoperto quale era il problema: era malato e si stava consumando lentamente, non voleva che mi legassi troppo a lui. Ma ormai era troppo tardi." Mi blocco incapace di andare avanti. Jarvis mi stringe la mano, in silenzio, aspettando pazientemente che mi riprenda. Non ho mai raccontato a nessuno questa storia, nemmeno a Kumiko.

Ricordo ancora l'ultima sera che ho passato con il Nigga, la sua pelle color cioccolato illuminata solo da una fioca luce della lampada, i suoi rasta legati con un elastico ormai sformato, l'espressione beata di un uomo che ha appena fatto l'amore. Io e lui nel suo letto, abbracciati.

"Yari..." Aveva pronunciato il mio nome con estrema lentezza, come a voler scandire ogni sillaba. "Forse è meglio se ci lasciamo..." Mi ero staccato dalle sue braccia incredulo, incapace di replicare. Mi stava lasciando? Così? Dal nulla? Dopo avermi scopato? "Non fare domande Yari, è meglio così. Promettimi solo una cosa. Trova la tua strada. La tua vita è troppo preziosa per sprecarla a fare il cubista in un locale gay gestito dalla mafia coreana..."

Respiro e vado avanti con il racconto. "Dopo che il Nigga mi ha lasciato ho passato i mesi più bui della mia vita. Niente aveva più senso. Dormivo tutto il giorno, la sera mi esibivo al locale e passavo la notte con chi capitava. Lui non ha mai più messo piede al Pretty Savage, probabilmente non voleva che la gente vedesse il suo decadimento causato dalla malattia. Poi un giorno mi dissero che era morto." Un'altra pausa, più lunga.

"Hai mantenuto la tua promessa, Yari. Lui è sicuramente fiero di te." Alzo la testa verso Jarvis, annuendo. Parlarne con lui mi ha fatto bene, è come se mi fossi tolto un enorme macigno dallo stomaco. Sapevo che non mi avrebbe giudicato, che avrebbe lasciato che mi sfogassi, fino alle lacrime se necessario. Stringo la mano di mio fratello accarezzandogli l'anulare sinistro. "Basta parlare di me. Anche tu avrai un mucchio di cosa da raccontarmi..."

Adesso è lui a rimanere in silenzio. "Per oggi ho risollevato abbastanza polveroni, Yari. Resto a Seoul ancora un paio di giorni, vediamoci domani, ok?" Lo guardo perplesso ma annuisco. Quando mio fratello si mette in testa una cosa è difficile fargli cambiare idea. "Va bene Jarvis. Però vieni a pranzo da me. Ti assicuro che non vivo più in un bugigattolo di dieci metri quadrati..." Si è bloccato alla prima parte della frase. "A pranzo? Cucini tu?" "Certo che cucino io..." "Cazzo Yari, mi rimangio tutto. Sei proprio cambiato." Ridiamo entrambi di gusto al ricordo dei miei disastrosi esperimenti culinari da ragazzo, quelle rare volte in cui rimanevamo in casa da soli.

Pago il conto prima che possa farlo lui e lo abbraccio a lungo. "Grazie per essere venuto a cercarmi, Jarvis..." Si stacca da me, lo sguardo improvvisamente ermetico. "Aspetta a ringraziarmi, Yari. Manca ancora la mia parte di storia."

E senza aggiungere altro mi volta le spalle e rientra nella hall del suo hotel.





Spazio autrice: è giunto il momento di aggiungere un paio di foto del cast, come vi avevo promesso nell'anteprima.

Lui è il Nigga:

Ma soprattutto... LUI E' JARVIS.

A voi i commenti....

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