Un cuore chiuso
Sherlock non ne poteva più.
Era stato già difficile, per lui, accettare di stare viaggiando nel tempo trascinato da un'entità aliena. Anzi, da due. Ma assistere a tutti quegli eventi del suo passato, sentire quel dolore, di nuovo... Era troppo.
-Perchè mi stai mostrando tutto questo?? -sbottò infatti, incapace di trattenersi oltre. Ma stavolta, rivolse la domanda direttamente all'alieno/Victor, ancora al suo fianco, ma in silenzio, impassibile, gli occhi fissi sul giovane detective ancora raggomitolato sul divano del triste appartamento.-A cosa mi serve ricordare che ero un arrogante sputasentenze, incurante dei sentimenti altrui?? Anzi, lo sono ancora! E non cambierò mai!
Su quell'ultima frase, il tono del corvino, da rabbioso che era, mutò leggermente, come se dirlo a voce alta lo avesse fatto dubitare di quella che, fino a quel momento, nella sua testa, era stata una certezza Era davvero ancora lo stesso Sherlock di quel periodo? O stava mentendo a se stesso ancora una volta?
Il fatto che avesse sentito tutto quel dolore nel vedere la sua reazione alla morte di Barbarossa, o il suo atteggiamento nei confronti di Lestrade- uno dei suoi primi veri amici- e quella nostalgia, di fronte all'abbraccio tra lui e suo fratello, non dimostrava forse tutto il contrario?
Lui era cambiato.
-Perchè è questo che i Vigilianti fanno.-La voce del Dottore, rimasto in silenzio fino ad allora, lo fece sussultare. Era particolarmente seria.-Mettono il prescelto di fronte agli errori del suo passato... Ma questo non è del tutto un male. Perché significa che l'individuo in questione è ancora in tempo per tornare suoi passi. Altrimenti, i Vigilianti non l'avrebbero mai scelto.
Sherlock non riuscì a trovare alcun modo per ribattere a quelle parole. Non ne ebbe comunque il tempo: perché, finalmente, fu il Vigiliante a parlare, rivolgendosi direttamente a lui.
-Prima della mia morte, cosa significava il Natale, per te?
Sentire di nuovo la voce del suo amico d'infanzia-seppur consapevole che fosse solo una sua proiezione, e non per davvero il suo fantasma-provocò un ennesimo nodo alla gola del detective; soprattutto per la domanda che gli aveva posto.
-... Pranzi con parenti sconosciuti di cui non ricordo nemmeno tutti i nomi-bofonchiò però, incapace di trattenere, nonostante tutto, il suo lato ironico.
Ma il Vigiliante lo fissò con uno sguardo molto severo, da adulto, in contrasto con il suo aspetto da bambino. E Sherlock capì di non poterlo ingannare.
-Giocare con lo slittino nel boschetto di Musgrave. Le tazze di cioccolata calda sul portico, durante le nevicate. Le lotte a palle di neve con mio fratello.-Gli sfuggì una risatina sommessa, ma sincera.-Una volta gliene lanciai una e lo colpii preciso alla testa. Da quel giorno, giurò che si sarebbe portato sempre dietro un ombrello...
-Doveva essere un proiettile, altro che una palla di neve!-intervenne il Dottore, anche lui con una risata, la serietà di poco prima del tutto svanita.
Victor stesso sollevò le labbra in un sorriso, ma spronò il detective a continuare con un gesto della mano.
-Il Christmas Pudding e le Mince Pies preparate da mia madre. Il fuoco acceso nel caminetto. Mio padre che canticchia canzoncine natalizie mentre addobba la casa, mentre mia madre gli grida, dall'altra stanza, di smetterla, perché è stonato come una campana.-Sherlock non si rese conto di aver iniziato a piangere. Sentì solo calde lacrime salate scendere sulle sue guance. Ma erano di nostalgia, non di dolore. Infatti, mentre raccontava, sorrideva.-Mio fratello che mi regala il mio primo microscopio... anche se poi ruppi una delle sue preziose stilografiche proprio per testarlo. Mio zio Rudy che ride, con indosso uno di quei ridicoli cappelli trovati nei Christmas Kreacker...
Tacque di colpo, sommerso da tutti quei ricordi che riaffioravano tutti uno dietro l'altro. Stavolta non grazie a un viaggio temporale, ma semplicemente usando quell'hard disk che era la sua geniale mente. Aveva sempre asserito, quasi altero, di tenerci solo informazioni utili, all'interno di quest'ultimo. Eppure, anche questi ricordi erano stati custoditi, sopravvivendo alla sua personalissima bonifica.
-Quando sono morto, hai lasciato che il dolore ti chiudesse il cuore-riprese Victor, con la sua voce sempre da bambino, ma con di nuovo la gravità nel tono di un adulto.-Hai scordato ciò che di bello il Natale aveva sempre rappresentato per te. Per questo ti sei rifiutato di festeggiarlo, da allora.
Sherlock annuì soltanto, mentre un nodo andava a stringergli nuovamente la gola.
-Ho deciso che non avrei mai più festeggiato il giorno in cui il mio migliore amico mi era stato portato via-mormorò, mentre avvertiva una strana sensazione allo stomaco.-Non sono neppure più andato a casa dei miei genitori. Era troppo doloroso. Il Natale, ormai, per me, significava solo quello.
La sensazione di nausea si fece più intensa.
-Ma non è stato sempre così, vero? Qualcuno ha leggermente scalfito la tua gelida corazza, dico bene?
Il detective sollevò appena le labbra in un mesto sorriso.
-John... Mi ha costretto a festeggiare... E ha pure invitato l'ennesima conquista. Non mi ricordo neppure come si chiamava... Jane? Juliette?... Janette, ecco. Ma io ero troppo immerso nel caso della Donna, e non ho badato troppo a...
-Oh, ma non è a quel giorno che mi sto riferendo-lo interruppe la voce di Victor, mentre il mondo, di fronte al consulente detective, spariva ancora una volta.
Per fortuna si era quasi abituato a quei dannati salti temporali. Dunque, stavolta, il senso di nausea e il giramento di testa passarono abbastanza rapidamente. Quando il detective riaprì gli occhi, infatti, gli ci volle meno di qualche secondo a capire che non erano più nello squallido buco d'appartamento di poco prima. Ma non solo per l'arredamento diverso, moderno ma elegante, o per la presenza di decorazioni natalizie, dal grosso abete riccamente addobbato in un angolo, alle lucine bianche sugli scaffali. Sentì persino della musica, proveniente da un'altra stanza, diffondere "White Christmas". Era qualcosa nell'aria, che mancava completamente in quello di poco prima. Un sentore di cannella, ma anche di zenzero e abete. Sherlock si ritrovò a pensare che, se il Natale avesse avuto un suo profumo, sarebbe stato proprio quello. E subito dopo, si dette dello sciocco romantico per averci anche solo pensato.
-Ah, così sì che va meglio!-esclamò il Dottore, con evidente soddisfazione, rimirando l'albero e l'intera stanza.-Credo che qualcuno stia pure cucinando. Penso biscotti. A essere sincero, questi continui viaggi mi stanno mettendo un leggero appetito. Cosa darei per dei bastoncini di pesce con crema!
Sherlock si voltò a guardarlo di scatto.
-Bastoncini di pesce e... crema??-Il disgusto nella sua voce era pari a quello sulla sua faccia.-Ma che razza di abbinamento è??
-Mi creda, è delizioso!-ribattè invece l'alieno.
Mentre il detective stava per ribadire che no, era assolutamente disgustoso, sentirono entrambi delle voci.
Voci che il corvino ben conosceva, e che gli fecero anche capire dove il Vigiliante l'aveva portato.
La casa in cui John aveva vissuto, anche se per poco tempo, con...
-...Mary! Credo che tua figlia debba essere cambiata!
-È anche tua figlia, furbone! E oggi eravamo d'accordo che il controllo pannolino era di tua competenza!-ribattè una voce femminile, dolce ma divertita, dalla cucina.-Il pranzo di Natale non si prepara da solo. E Lestrade e gli altri stanno per arrivare.
-Se vuoi ci penso io alla cena.
Alle voci, seguì un rumore di passi proveniente dal piano superiore, e il John Watson di un paio d'anni prima scese le scale con, tra le mani, alcuni sacchetti natalizi, che depose sotto l'albero.
-Comunque era solo un falso allarme.
-Per stavolta l'hai scampata, soldato.-Mary Morstarn uscì dalla cucina con un grembiule natalizio indosso, ridendo, e baciando il marito.-Comunque grazie dell'offerta, ma per ora non serve. Ho tutto sotto controllo. Gli antipasti sono già pronti, e l'arrosto sta cuocendo.
-Non dovevi preparare chissà cosa! È solo un pranzo in famiglia -le ricordò il biondo.-Inoltre, sarà già un miracolo convincere Sherlock a mangiare qualcosa.
Mary sorrise, furba.
-Ho scoperto che adora i biscotti allo zenzero. Sono certa che almeno per quelli non si farà pregare. Piuttosto mi sorprende che tu sia riuscito a convincerlo a venire. Hai detto che odia il Natale.
-Infatti è così. Anche se non mi ha mai voluto dire il perché. Ci si potrebbe scrivere un blog, sugli innumerevoli misteri di quell'uomo-borbottò John, accigliandosi.-Non so neppure io come ho fatto. Credo di aver approfittato di un momento in cui aveva appena risolto un caso da dieci. Ormai aveva promesso, e non ha potuto tirarsi indietro. Sará di sicuro intrattabile. Spero solo che non faccia battute su Tom.
-Ah, già. Viene anche lui.-Mary arricciò il naso.-Ma lui e Molly non si erano lasciati?
-A quanto pare hanno deciso di riprovarci.-John si strinse nelle spalle.-Però hanno annullato il fidanzamento. Non so quanto potrà durare.
-Sembra un bravo ragazzo, ma non credi che assomigli molto a...? Almeno, nel modo di vestire...
Sherlock, che aveva ascoltato fino ad allora tutta la conversazione in silenzio, si accorse che, di nuovo, un paio di lacrime erano sfuggite al suo controllo, mentre gli occhi erano ancora fissi su Mary, e un nodo gli stringeva la gola.
Ma, a quell'ultima frase, non riuscì a trattenere una mezza risata.
Quella donna era sempre stata fin troppo intelligente. Ma non solo. Era stata, fin dall'inizio, una delle poche -se non l'unica- che aveva sinceramente apprezzato. E, non meno importante, l'unica che aveva apprezzato lui.
John, nel frattempo, scosse la testa, soffocando una risata.
-Non credo che se ne sia accorta. In compenso, Sherlock se ne è accorto benissimo.
-Ma non ha detto una parola. Neppure quando Molly ce l'ha presentato-gli ricordò Mary, con un piccolo sorriso.
-Sì... in effetti ha sorpreso anche me. Forse anche lui ha imparato che a volte è meglio tacere.
Lo Sherlock del futuro sorrise, ma più commosso che divertito.
-O forse quella somiglianza lo avrà fatto riflettere. Dopotutto, Molly non ha mai fatto mistero di essere innamorata di lui...
Il suono del campanello interruppe la conversazione tra i coniugi Watson. John andò ad aprire, trovandosi di fronte proprio il soggetto della loro discussione, con in volto un'espressione che non sarebbe stata fuori luogo ad un funerale.
-Bè... Eccomi qua, contento?-sibilò lo Sherlock del passato all'indirizzo del medico, mentre Mary tratteneva una risatina.-Spero solo che non duri troppo, questa tortura.
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Sherlock sedeva, imbronciato, sulla poltrona, in attesa di tutto ciò che più detestava. Lestrade, secondo i suoi calcoli, sarebbe stato il prossimo ad arrivare, seguito da Molly con Tom, poi alcuni colleghi di Mary e John, Mrs.Hudson, e un altro paio di facce sconosciute. Forse colleghi del Barts o di Scotland Yard.
Riusciva già a immaginarsi i "Ciao! Che piacere! e i "Buon Natale" di rito che tra non molto gli avrebbero ferito i padiglioni auricolari.
-Tutti che si salutano... Meraviglioso...- bofonchiò a mezza bocca, piluccando, seppur svogliatamente, il terzo biscotto allo zenzero preso dal vassoio sul tavolo. Doveva ammettere che la cucina di Mary era davvero niente male. Ma non vedeva l'ora che quell'agonia finisse, nonostante non fosse neppure ancora effettivamente cominciata.
Ancora non capiva perché John avesse tanto insistito. Non sarebbe di certo mancato a nessuno, se non fosse stato lì. Ok, forse a John, concesse. Non di certo a Molly, accompagnata dal suo fidanzato (al secondo tentativo), né a Lestrade, che di sicuro sarebbe venuto senza sua moglie, a giudicare dalla cravatta leggermente storta che aveva quella mattina.
Il Natale, per lui, non era altro che una farsa.
Sapeva che, se avesse scrutato ogni singolo invitato di quella serata, avrebbe subito dedotto mille problemi e preoccupazioni, nascosti agli occhi dell'altro per il solo fatto che fosse la Vigilia di Natale. Bisognava essere tutti allegri, no?
Per questo aveva sempre odiato il Natale. Quando il suo amato cane, Barbarossa, era morto, i suoi genitori avevano cercato in tutti i modi di farlo sentire meglio: soprattutto il primo Natale che avevano passato senza di lui. Ma Sherlock non desiderava festeggiare, e nessun sembrava rendersene conto. Oppure, semplicemente, non volevano accettarlo. E quell'allegria che tutti loro, suo fratello compreso, si sforzavano di mostrare, era solo una farsa.
E lui non aveva intenzione di prendervi parte un secondo di più, decise. Neppure per compiacere John.
Si alzò e si diresse verso la porta, con l'intento di andarsene indisturbato, senza avvisare. Comunque, si ripeté, a nessuno sarebbe importato più di tanto, e la rabbia e la delusione di John li avrebbe facilmente gestiti in seguito. Erano, tra parentesi, entrambi troppo impegnati per accorgersene. Il medico era salito al piano di sopra per cambiarsi la camicia, e Mary si trovava in cucina, ancora presa coi preparativi per il pranzo. Avrebbe mandato un messaggio all'amico una volta tornato al 221B. Avrebbe passato quella giornata da solo, come aveva sempre fatto prima che il medico militare entrasse nella sua vita.
Sennonché, mentre stava per prendere il cappotto, delle urla stridule quasi gli perforarono i timpani. A quelle, ne seguirono altre. E poi altre ancora. Parevano non finire mai, e non sarebbe stata un'esagerazione definirle sataniche. E provenivano tutti dalla carrozzina che stazionava vicino all'albero di Natale, e a cui lui non aveva posto attenzione fino ad allora.
Rosie, mesi tre, aveva appena interrotto il suo sonnellino.
Sherlock, però, dopo l'iniziale sorpresa, non se ne preoccupò particolarmente. Di certo o John o Mary sarebbero subito corsi a prendersi cura dell'infante, calmandola magari con quegli strani e irritanti versetti da minus habens.
Peccato, però, che nessuno sembrava udire le urla, a causa della musica ancora accesa e delle porte chiuse.
Il detective, seppur non entusiasta, ricordò che era pur sempre il padrino di Rosie. E, come tale, doveva per lo meno evitare che le si consumassero le corde vocali.
Si protese perciò col viso verso la carrozzina, dove la bimba seguitava a gridare, il volto già rosso per lo sforzo.
-Allora, piccola Watson, si può sapere qual è il tuo problema??-esordì il detective, con lo stesso tono severo che avrebbe usato con un cliente.-Se il tuo pannolino deve essere cambiato, mi duole informarti che non ho alcuna intenzione di...!
L'ennesimo strillo acuto lo interruppe, facendogli contrarre le labbra in una smorfia. Ma John e Mary avevano forse messo i tappi per le orecchie?? Come potevano non aver ancora sentito quei dannati vocalizzi??
Non sentì strani o ripugnanti odori provenire dalla carrozzina: dunque, forse, poteva escludere l'opzione del pannolino.
La soluzione c'era, seppur banale: poteva andare a bussare lui stesso alla porta della cucina, e avvisare Mary. Lei sarebbe accorsa subito, e non sarebbe più stato un suo problema.
Ma quella soluzione presentava una falla, anzi due: se la avesse avvisata, avrebbe poi dovuto spiegare che stava andando via, e inventarsi qualche scusa, col rischio di essere bloccato anche da John.
E secondo, ma non meno importante: già non accettava di non riuscire a risolvere un qualsiasi problema o enigma posto dalle più grandi menti criminali... Figurarsi accettare di non essere capace di far smettere di piangere una bambina di pochi mesi!
Forse doveva attirare la sua attenzione in qualche modo, così da distrarla dal suo problema ancora sconosciuto. Sempre che ne avesse uno specifico. Peccato che non vedesse sonaglini o altri oggetti del genere nella stanza... Meglio, d'altro canto: aveva sempre odiato quei cosi...
Poi, di colpo, l'illuminazione. L'albero di Natale era pieno di palline luccicanti. Ma sapeva che molti bambini non gradivano vedersi agitati oggetti davanti al naso -non era del tutto digiuno di puericultura- dunque la scelta più ovvia era... avvicinare la bimba ad essi. Quindi...
Con un sospiro profondo, come a farsi coraggio, sollevò la piccola, ancora urlante, dalla carrozzina, prendendola da sotto la schiena, con una cautela infinita. Non era la prima volta che la teneva in braccio-ancora ricordava quando era stato John stesso a mettergliela tra le braccia il giorno in cui era nata-ma era la prima in cui era lui a prenderla, senza nessuno presente nella stanza.
Tenendola con altrettanta cura, la avvicinò all'albero, verso una pallina rossa con dei ghirigori dorati.
-Guarda, piccola Watson-le mormorò, all'orecchio, nonostante ancora non avesse smesso di gridare, picchiettando appena l'unghia sulla pallina.-Osserva quanti soldi i tuoi genitori hanno speso per un ammasso di plastica ricoperto di scadente porporina rossa con un disegno asimmetrico... Per non parlare di queste luci elettriche colorate, che secondo le statistiche sono tra le maggiori cause di incidenti domestici per cortocircuito. E... Mio Dio... Hanno pure spruzzato la neve finta... E cosa sarebbe questo?? -esclamò, quasi scandalizzato.- Una testa di Babbo Natale... E poi fanno la morale a me per le teste mozzate nel frigorifero...
Il detective era così assorto nel suo dissacrare ogni decorazione dell'albero, da non accorgersi subito che Rosie aveva smesso di piangere.
Gli occhi blu della piccola andavano dalle decorazioni luciccanti a lui; ma a lui, soprattutto. Sembrava incantata dal suono della sua voce.
Sherlock avvertì uno strana sensazione scaldargli il petto, mentre le sue labbra accennavano un sorriso.
-Questo non è ancora nulla, Rosie-mormorò, mentre il suo sorriso non accennava a spegnersi.-Ancora non ti ho parlato della serpentina...
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Tempo dopo, Sherlock avrebbe dimenticato molti dei dettagli di quella Vigilia. Ma alcuni gli rimasero impressi.
Ricordò di aver tenuto Rosie in braccio per tutta la serata. La piccola, infatti, aveva ripreso a lanciare altre urla da soprano non appena anche solo aveva accennato a rimetterla nella carrozzina. Lui, quindi, aveva dovuto mangiare tutto il pranzo con una mano sola.
Ricordò che tutti i saluti e gli auguri di rito non lo infastidirono quanto si sarebbe aspettato.
Ricordò John che cercava di non ridere mentre Rosie gli rigurgitava sulla camicia. E gli pareva anche di aver visto Lestrade scattargli una foto, in quel momento...
Ricordò Molly che gli lanciava occhiate colme di una sorta di tenerezza, mentre lo osservava tenere in braccio la bambina con la stessa cura e delicatezza che avrebbe avuto con una provetta di puro cristallo.
Ricordò le occhiate d'intesa di Mary, mentre gli diceva che sua figlia non avrebbe potuto avere un padrino migliore di lui...
Tutto, quella Vigilia di Natale, per la prima volta dopo tanto tempo -persino le risate alle pessime battute di un collega di John, o le frivole osservazioni dell'amica di Molly sul vestito di Mary, o le sciocchezze sparate da Tom- non gli parve così insopportabile. C'era qualcosa più forte persino delle solite deduzioni che avrebbe potuto fare su ogni singolo invitato: il calore.
Un calore che esulava dalla sfera fisica.
Era il sentirsi, di nuovo, parte di una famiglia, che riaprì appena il suo cuore, e che riuscì a spazzar via, almeno in quel momento, la tristezza e il dolore che lui aveva sempre associato a quel giorno.
L'ultima immagine di quel Natale che lo Sherlock del futuro vide, fu la piccola Rosie addormentata tra le sue braccia, ma con la piccola manina destra stretta con forza intorno al suo dito.
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