Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Un corpo freddo

Silenzio.
Regnava il silenzio, nel Tardis, ad esclusione dei bip e degli altri strani suoni prodotti, di tanto in tanto, dalle sue bizzarre apparecchiature.
Dopo aver visto il Natale presente, infatti, Sherlock non era più riuscito neppure a pronunciare una sola parola, limitandosi a fissare la grande vetrata di fronte a lui, dove il vortice temporale pareva non avere una fine. Gli sembrava di stare viaggiando da anni, ormai. Riusciva solo a pensare ad ogni scena vista nel salotto di Molly Hooper, alle parole pronunciate da ognuno dei suoi... amici, e quanto fosse stato stupido.
Sì, proprio lui, il grande e geniale Sherlock Holmes, era stato uno stupido.
Aveva lasciato che il suo passato gli togliesse la possibilità di essere felice nel presente, ancorandosi però ad esso come se non avesse altro. Ma si sbagliava. Lui lo aveva. Anche più di quanto si sarebbe meritato.
Peccato che se ne fosse accorto troppo tardi.
-Non è mai troppo tardi.
Il detective sussultò: il Dottore aveva smesso di armeggiare sul pannello della consolle e gli si era avvicinato con un sorriso di scusa.
-Mi dispiace. Non volevo leggerle nella mente. Ma dopo il contatto coi Vigilianti può restare una sorta di contatto psichico. E poi... non serviva esattamente leggerle nel pensiero per capire cosa stesse pensando. È molto più facile leggere i pensieri di chi sta soffrendo.
-Io non sto...!-fece per protestare Sherlock, d'istinto, per poi chiudere la bocca ancora prima di finire la frase. A che scopo, ormai, negarlo?

-Lo sa? Io un certo senso la capisco. - Il Dottore si sedette accanto a lui, per terra, con un sospiro.-Ho girato così tanti pianeti che ormai ho perso il conto, visitato così tante epoche diverse, e provato mille esperienze. Ma mi è sempre mancato qualcosa. Anche se non capivo cosa. L'ho capito solo nel momento in cui ho trovato una ragazza che mi accompagnasse nei miei viaggi. Era questo, che mi mancava. Ero sempre stato solo, viaggiavo da solo, stavo da solo. Non avevo un posto a cui davvero far ritorno, o dove stare. Certo, il Tardis è più di una macchina, ma non è la stessa cosa di aver qualcuno con cui poter parlare davvero, con cui confidarsi, pronto a guardarci le spalle...
Il corvino si ritrovò a fissare stupito il Dottore che si sfogava: il tono della sua voce era quello di qualcuno che aveva sperimentato per davvero la solitudine. E che forse la stava sperimentando anche in quel preciso momento.
-Anche lei stava passando il Natale da solo? - si ritrovò a domandargli, cogliendolo di sorpresa.
-... Come l'ha capito??
-Bé, diciamo che l'ho intuito, più che dedotto, come faccio di solito-ammise il detective, con un sorrisetto ironico.
Il castano annuì.
-Sì, è così. Non sapevo dove andare, e mi sono ritrovato a far viaggiare il Tardis fra varie epoche e pianeti. In realtà, è stato quasi un colpo di fortuna che passassi proprio su Londra e che captassi le frequenze dei Vigilianti. Ma ero contento di aver trovato qualcosa da fare, dopotutto.
-Ma non ha qualcuno da cui stare? Quella Rose di cui ha parlato prima...? - ribatté Sherlock, per poi stupirsi intimamente della frase appena profferita: lui, proprio lui, che aveva deciso sua sponte di passare il Natale da solo, ora forse davvero stava capendo cosa volesse dire, e realizzare che l'uomo al suo fianco stava per fare la stessa cosa lo rendeva più triste di quanto avrebbe mai pensato di essere.
-Oh no, lei non viaggia più con me da tanto, tanto tempo... - mormorò il Dottore, lo sguardo per qualche secondo perso nel vuoto.-Ora con me viaggia un'altra ragazza, Amy. Un bel tipino, davvero, credo che le piacerebbe. Solo che è da un po' che non vedo anche lei. Non saprei dire esattamente quanto, a volte il tempo si confonde un po', per me... Due anni, forse. Il problema è che lei crede che io sia morto... È una lunga storia-aggiunse, notando l'espressione sul volto di Sherlock, che era sconvolta a dir poco. - Quindi... ecco... Non ho molto il coraggio di presentarmi alla sua porta dicendo "Hey! Felice anno nuovo! Visto? Non sono morto!". E poi lei è sposata, con un bravissimo ragazzo, il migliore. Conosco anche lui. E hanno una figlia. Saranno arrabbiati con me entrambi, come minimo, e comunque hanno di certo altro da fare che anche solo pensare a me.

Scese per un momento di nuovo il silenzio, mentre Sherlock rifletteva su quante cose lui e quello strano alieno avessero incredibilmente in comune.
D'improvviso, si ricordò anche di quello che gli aveva detto giusto poco prima: il Dottore aveva due cuori.
Per un momento, si ritrovò a domandarsi se ciò potesse influire anche sui sentimenti: un doppio cuore significava forse una doppia percezione? Un amplificarsi sia dell'amore che del dolore?
Non ebbe il coraggio di porre quella domanda, ma lo ebbe per dire qualcosa che proveniva direttamente dal suo, cuore. Uno solo, malridotto, poco utilizzato forse. Ma le parole scaturirono proprio da lì.
-Non ci crederà, ma ho vissuto quasi esattamente la sua stessa situazione. Mi sono finto morto per due anni. Anche la mia è una storia lunga... Lunga e dolorosa-ammise, alla fine, e quasi gli veniva da ridere per l'assurdità della cosa. - Nonostante desiderassi ardentemente tornare a casa, dopo tutto quello che avevo passato, avevo anche paura di come sarei stato accolto. Ma, allo stesso tempo, ero consapevole che, senza di loro, mi mancava qualcosa, anche se ancora non sapevo cosa fosse. È esattamente ciò che ha appena descritto lei. Come lei l'ha capito con quella ragazza, io l'ho capito quando un medico militare ha rincorso con me un taxi per le vie di Londra. Qualcuno che rimane al tuo fianco, che ti segue nelle tue follie, ma pronto a salvarti da esse, se necessario. Era questo, che mi mancava. Amicizia. Famiglia. Qualcuno da cui tornare.
Nonostante un nodo gli avesse stretto la gola sempre di più, il detective aveva lasciato che tutti i suoi pensieri prendessero forma in quello sfogo sincero e pieno di emozioni. E non se pentiva, perché pronunciando aveva capito quanto fosse vero.

Il Dottore, dal canto suo, l'aveva fissato per tutto il tempo-esattamente come lui poco prima-quasi incantato, le labbra semidischiuse, e addirittura gli occhi lucidi.
-Aveva ragione, prima. Non è mai troppo tardi-riprese Sherlock, con fermezza. - Vada da lei... da loro. Non posso garantirle, però, che non si beccherà un pugno sul naso o qualcosa di simile, perché ci sono passato io stesso-aggiunse, con una smorfia divertita.-Ma ne vale la pena. Questo, almeno, glielo posso garantire.
Dopo un breve silenzio, il Dottore, finalmente, si riprese, rivolgendogli un sorriso luminoso.
-Sa che le dico? Ha ragione! - balzò in piedi, riacquistando quell'aria un po' folle e sbarazzina che il detective aveva imparato a conoscere. - Non appena i Vigilianti ci lasceranno in pace, lo farò. Andrò da loro. Ho rimandato questa cosa davvero da troppo tempo. Speriamo solo che il pugno sul naso non mi faccia troppo male... - aggiunse, con una risatina, facendo ridere leggermente anche il corvino: forse la prima vera risata che faceva da quando era iniziato quel viaggio assurdo.
E poi, di colpo, una violenta scossa percorse il Tardis, seguita da un violento urto, come se fosse letteralmente precipitato, tanto che il Dottore stesso finì a terra, e Sherlock afferrò d'istinto la maniglia di una consolle per reggersi.
Ma questa volta, oltre alla scossa, tutti gli apparecchi si spensero, e nella cabina blu scese, di botto, il buio.

-... Cosa diavolo è successo stavolta??
Il Dottore, anziché rispondere alla domanda del detective, corse da una parte all'altra della consolle, girando ogni manopola possibile, e premendo altrettanti pulsanti. Ma nulla funzionò.
-Non capisco... - borbottò, accigliato. - L'altra volta non è andata proprio così col terzo... A meno che non attuino diverse modalità a seconda...
-Mi vuole rispondere?? - sbraitò Sherlock, facendolo trasalire.
-N-non si preoccupi... Non c'è niente di cui allarmarsi-fece il castano, smentito però dalla sua voce palesemente nervosa e, forse, addirittura impaurita. - È solo che l'altra volta il terzo Vigiliante con Dickens non ha agito proprio così. Forse perché riguarda il futuro, che si modella in modo diverso per ognuno. Non so neppure dire dove siamo o quando siamo.
Si affacciò per un momento alla finestra smerigliata del Tardis, gli occhi socchiusi nello sforzo di vedere qualcosa.
-C'è una tormenta di neve, non riesco a vedere nulla... C'è addirittura la nebbia. Però mi sembra di scorgere degli alberi... Credo sia una foresta. Le dice qualcosa?
Sherlock, che si era affacciato insieme a lui, scosse la testa. Non sapeva assolutamente che luogo fosse. Gli ricordava il bosco di Musgrave, eppure no.
-Bé, non risolveremo nulla stando qui ad aspettare - sospirò il Dottore, con molto buonsenso. - Dobbiamo andare a cercare il Vigiliante. È pronto?
Il detective era ben lontano dall'essere pronto, ma annuì, conscio di non avere altra scelta.

Non appena misero un piede fuori dalla cabina blu, un vento gelido li investì, e fiocchi di neve gli vorticarono davanti, offuscandogli la vista. Ma, mentre il Dottore non doveva preoccuparsi del freddo, Sherlock si ritrovò a battere i denti, cercando di stringersi ancora di più nel pesante cappotto. Quel gelo era inumano, così come quella nebbia. E sì che lui, vivendo a Londra, avrebbe dovuto esserci abituato.
Ma quella non era normale. Era troppo densa, quasi soffocante.
Per un momento gli tornò alla memoria il caso di Baskerville, e la droga a dispersione aerea. E, di nuovo, rabbrividì, ma per il terrore: quali incubi essa avrebbe prodotto, stavolta? A quali paure ancestrali avrebbe attinto dalla sua psiche, per manifestarsi?
Il Dottore, nel frattempo, aveva estratto il cacciavite sonico, che lampeggiava di verde, e lo teneva puntato verso il basso, simile ad una bacchetta da rabdomante.
-Resti vicino a me-fece il Dottore, alzando la voce per farsi sentire sul fischio del vento sempre più forte. - Con questa strana nebbia c'è il rischio di perderci. Mi stringa il braccio.
Sherlock non protestò neppure, limitandosi a stringere il braccio del castano e a seguirlo passo passo, i piedi che affondavano pesantemente nella coltre candida.
Non avrebbe saputo dire quanto camminarono in quella strana foresta sconosciuta. A volte nemmeno riusciva a vedere la luce verde del cacciavite sonico. L'unica cosa che aveva come guida era la concretezza del braccio dell'alieno sotto le sue dita.
Ma poi, d'improvviso, anche questa venne meno.
Il detective non capì quando o come, ma solo che all'improvviso stringeva solo l'aria.
Cercando di non farsi soffocare dal panico, si guardò intorno, sperando di scorgere la sua guida. Ma non vide nessuno, se non le fronde coperte di neve. Provò, seppur sentendosi stupido, a chiamare ripetutamente "Dottore", ma quelle urla echeggiarono nell'aria senza ricevere alcuna risposta.
Solo dopo qualche secondo, però, la tormenta smise di colpo, e un'altra figura si palesò davanti a lui, in tutta la sua chiarezza. Anche se, col senno di poi, avrebbe preferito non vederla e continuare a vagare senza meta.
Una figura di poco più alta di lui, con indosso un gessato grigio scuro, e con un ombrello stretto nella mano destra, su cui si appoggiava appena.

Sherlock, nonostante tutto, non riuscì a reprimere un sorrisetto amaro.
-Avrei dovuto aspettarmelo. Quando le cose vanno male, potevi esserci solo tu, a peggiorarle. Non mi meraviglia che il terzo di voi abbia preso proprio queste sembianze.
Il Vigiliante con l'aspetto di Mycroft Holmes gli scoccò un sorrisetto beffardo.
-Siamo partiti subito con le offese, vedo. Sei già sulla difensiva. Ti senti minacciato, fratellino?
Sherlock sbuffò una risatina sprezzante e incredula.
-Io? Sentirmi minacciato? Da te?? Non farmi ridere! Non c'è mai riuscito quello vero, figuriamoci una sua proiezione mentale!
-Non da me, ovviamente, stupido, ma da ciò che io rappresento nella tua testa. Altrimenti non avrei assunto proprio queste particolari sembianze, non credi? -ribatté lui, con un tono e un atteggiamento così uguali a quelli del vero Mycroft che il corvino sussultò e si irrigidì. - Io rappresento una figura fondamentale, nel tuo futuro. Una scocciatura, certo, ma l'unico punto fermo in un futuro incerto. Io ci sono sempre stato, anche quando hai deciso di seguire la strada della droga. Ogni volta ero lì, pronto a tirarti fuori dai guai con ogni mezzo, a prescindere dalla rabbia e dagli insulti che ricevevo in cambio. Rappresentavo e ancora rappresento una delle tue poche certezze. Perché non importa quante prove d'amore ti diano i tuoi amici. Tu avrai sempre paura, di fidarti di loro. Sei convinto che prima o poi ti abbandoneranno, perché non sopporteranno più la tua arroganza, o la noncuranza per i sentimenti altrui... o un altra delle tue pregevoli caratteristiche. E tu resterai solo. A parte me. O almeno, questo è quello che speri. Perché se una volta la solitudine era tutto quello che avevi, quello che pensavi ti proteggesse, ora è ciò che più ti terrorizza.
Sherlock sentì un nodo stringergli la gola così forte da soffocarlo: ogni parola lo colpiva come se gli venisse scagliata contro una pietra.
-Smettila. Taci.

Ma il Vigiliante scosse la testa.
-Sfortunatamente per te, non posso farlo. Devi sentire la verità. Ma soprattutto, devi vederla.
Così dicendo, sollevò l'ombrello, puntandolo verso un punto preciso tra due imponenti alberi. Lì il detective scorse un piccolo specchio d'acqua incastonato tra essi.
-Mi puoi dire almeno dove siamo? - mormorò, facendo un cauto passo avanti verso lo specchio d'acqua. - Non ho mai visto questo luogo, prima.
-Questo luogo è ovunque, e da nessuna parte. Esiste, eppure no. È modellato sul bosco di Musgrave che già conosci, ma non per davvero. Puoi consideralo un non luogo, una sorta di zona bianca tra le dimensioni, tra lo spazio e il tempo.
-... Ora sì che è tutto più chiaro... - borbottò il corvino, sarcastico.
-In quell'acqua potrai vedere uno scorcio del tuo probabile futuro.
-Probabile?
-Il futuro è, per natura, mutabile, in continuo e imprevedibile mutamento. Anche solo una piccola azione all'apparenza insignificante può mutarlo completamente, facendogli prendere un'altra piega. Comunque questo è quello verso cui ti stai dirigendo.
Qualcosa mi dice che non mi piacerà per nulla quello che sto per vedere...
Sherlock sospirò, inginocchiandosi ai piedi di quella sorta di stagno, le mani appoggiate a terra, protendendosi verso la superficie che, nonostante la neve e il gelo, non aveva neppure sopra la superficie uno strato di ghiaccio.
E pian piano, tremolando, apparve un'immagine.

Sherlock riconobbe subito il salotto di Baker Street, privo di decorazioni natalizie, ma fin troppo affollato. C'erano Molly, Lestrade, Mrs Hudson... Mycroft, addirittura! E... Era Anderson, quello?? C'era persino Mike.
Ciò che accumunava tutti loro era l'espressione. Era cupa, triste. Molly, poi, aveva gli occhi pieni di lacrime. E c'era un'altra cosa, che li accomunava: il silenzio. Un silenzio assoluto, pregno di evidente dolore.
Che però fu Molly, per prima, a infrangere, la voce spezzata.
-Io ancora non ci posso credere... Quando me l'hanno detto non ci ho voluto credere. Ma poi ho visto... Il suo corpo... su quel tavolo... E...
Si premette una mano sulla bocca, soffocando un violento singhiozzo.
-Lo so lo so, cara... - mormorò Mrs Hudson, carezzandole piano la spalla e porgendole un fazzoletto. Anche i suoi occhi erano pieni di lacrime. - È già passata una settimana, e ancora non riesco a crederci nemmeno io.
-Ed è successo proprio quella sera. Alla Vigilia. -Fu la voce roca di Lestrade, stavolta, a rompere il silenzio. - Se avessimo potuto fare qualcosa... Se solo...
-Nessuno poteva prevedere una simile tragedia... - mormorò Mycroft, con il  tono più tremante che mai fosse uscito dalla sua bocca, mentre scendeva di nuovo il silenzio e la scena, di fronte agli occhi di Sherlock, svaniva.


Il detective, paradossalmente, emise una risatina ironica.
-Tutto qui? È tutto quello che sai fare? Mi mostri i miei amici parlare palesemente della mia morte?? - Soffocò un singhiozzo. - Certo, è assurdo, quasi grottesco che io sia destinato a morire proprio quella sera. Ma di certo che il mio destino sia quello di morire prematuramente, e per di più da solo, non mi sorprende. Dovrai fare ben altro, per scioccarmi.
Per tutta risposta, sull'acqua si palesò un'altra immagine, mostrandogli un luogo noto quanto il precedente: un obitorio. Al centro, un solo tavolo illuminato, con un corpo disteso sopra, nascosto da un lenzuolo bianco.
Il detective si fece istintivamente indietro.
-D'accordo, ho capito. Quello è il mio cadavere. Non ci vuole un genio per dedurlo, anche Anderson ci sarebbe arrivato. Ma non voglio vederlo... vedermi. Ne faccio volentieri a meno.
Ma prima che potesse tentare di allontanarsi dallo specchio d'acqua, le radici degli alberi che lo circondavano gli si strinsero all'improvviso intorno ai polsi, bloccandolo al suolo coperto di neve.
-Che diav...!? Liberami immediatamente! - ringhiò Sherlock, all'indirizzo del Vigiliante.
Che però, scosse tristemente la testa.
-Mi dispiace, Sherlock. Ma devi vedere. Non puoi fuggire dalla verità.
Il corvino, con un ringhiò rabbioso, cercò disperatamente di sottrarsi alla presa di quelle radici, strattonandole più volte, ma ottenne l'unico risultato di graffiarsi i polsi fino addirittura a farli sanguinare.
-Ti stai solo facendo del male inutilmente.
Senza badare alle sue parole, Sherlock non trovò altra scelta se non chiudere gli occhi.
Ma anche quel tentativo si rivelò del tutto inutile, perché si scoprì incapace non solo di chiuderli materialmente, ma anche di distogliere lo sguardo. Quelle maledette creature aliene dovevano anche avere dei poteri di controllo sul suo corpo.
-Devi vedere-ripeté Mycroft, con fermezza. - Ma stavolta non limitarti a guardare, ma osserva.
Il detective non riuscì più a opporre alcun tipo di resistenza, e non poté far altro che stare a guardare il lenzuolo che andava pian piano a sollevarsi, senza ancora però scoprire la figura sottostante.
Solo allora, si accorse di qualcosa che prima non aveva notato.
L'altezza... La corporatura... erano sbagliate. Non sembravano le sue. Com'era possibile??
Il lenzuolo si sollevò appena in corrispondenza del capo, mostrando in parte i capelli al di sotto.
I capelli... Erano biondi.


-NO!
Sherlock non avrebbe mai pensato che dalla sua gola sarebbe mai potuto uscire un grido così terribile, così pieno di dolore. Anche solo emetterlo aveva fatto male.
Ma mai quanto il suo cuore mentre guardava il corpo senza vita di John Watson steso su quel tavolo.
-È una menzogna! Vi state prendendo gioco di me! - gridò Sherlock ancora, ma stavolta con rabbia, ancora trattenuto a terra dalle radici, ma riuscendo stavolta a voltarsi verso il Vigiliante. - È solo un modo per torturarmi!
-Vorrei che fosse una menzogna, ma non lo è - rispose lui, tristemente. - Questo è ciò che il tuo futuro ha in serbo per te. Non è nelle mie intenzioni infliggerti una tortura. Non ne ricavo alcun beneficio. Tutto ciò che hai visto accadrà.
D'improvviso, le radici lo lasciarono andare. Ma a Sherlock non importò assolutamente nulla, a malapena se ne accorse. Rimase a terra, le ginocchia sprofondate nella neve gelida, mentre l'immagine tremolava e svaniva dall'acqua, ed emise un altro grido, ancora più terribile del precedente, se possibile, colmo di rabbia, dolore, terrore, shock, sofferenza... Avvertiva tutto questo, e tutto nello stesso momento. Gli sembrava di esser appena stato distrutto in mille pezzi. Altre lacrime - troppe, per poterle contare-gli scivolavano lungo le guance, mentre era scosso da violenti singhiozzi, e il Vigiliante stava lì a guardarlo, in silenzio. Si sentiva morire.
John Watson... Il suo migliore amico... La prima persona che fosse stata per davvero al suo fianco... Sarebbe morta?? Era quello il futuro che l'aspettava??

Nello stesso momento, come in risposta alla sua domanda, il piccolo lago sparì, rimpiazzato da qualcosa di ancora peggiore: dalla neve crebbe, letteralmente, una lapide di marmo bianco, con inciso a lettere dorate proprio il nome che mai, mai avrebbe voluto vedere.
No. Non poteva esserlo. Non l'avrebbe permesso.
-Come?? Come è accaduto?-riuscì finalmente a dire, anche se a fatica. Quasi non aveva più voce.
-Il Vigiliante del presente ti ha mostrato lui che usciva per tornare a Baker Street. Voleva che passassi il Natale con loro, volente o nolente. - Mycroft sospirò. - Purtroppo, mentre si allontanava alla ricerca di un taxi, un delinquente drogato ha cercato di rapinarlo, minacciandolo con una pistola. John ha cercato di ragionare con lui, di fargli abbassare l'arma, e si è avvicinato. Ma lui, colto dal panico, gli ha sparato. Un colpo solo. Proprio al cuore. Se ti può essere di qualche consolazione, la morte è stata istantanea. Non credo abbia sofferto.
Sherlock non si curò neppure di replicare. Non riusciva quasi nemmeno a vedere più intorno a sé, tanto aveva gli occhi pieni di lacrime.
Era tutta colpa sua.
Era stata solo colpa sua, se John era morto. Se lui avesse accettato quella maledetta festa di Natale a casa sua... O ancora, se invece  li avesse raggiunti tutti dopo a casa di Molly... non sarebbe accaduto. John non sarebbe uscito, e...
-Dopo la sua morte eri distrutto, devastato dai sensi di colpa, soprattutto nei confronti di Rosie. Secondo il tuo punto di vista, avevi causato indirettamente anche la morte di suo padre, oltre che di sua madre. Non sei neppure più riuscito a guardarla per la vergogna. Molly, in veste di madrina, si è assunta la responsabilità di accudirla e crescerla. Ma tu, anche se ne eri il padrino, ti sei rifiutato di farlo. Sei arrivato al punto di accettare quella famosa missione senza ritorno in Europa dell'est. Hai preferito abbandonare tutti quelli che ti amavano, incurante di provocare altro dolore.
Nell'acqua apparve un'altra tremolante immagine-o forse erano a i suoi occhi colmi di lacrime, a renderla tale-dove vide sé stesso di fronte alla tomba di John, il capo chino, la schiena curva, come se di colpo invecchiato di anni. Tra le mani guantate stringeva la vecchia stampella del suo migliore amico che, dopo un lungo momento di esitazione, appoggió con cautela e reverenza sul blocco di marmo bianco. Solo allora, dopo aver emesso un sospiro - più simile, però, ad un singhiozzo a stento trattenuto-il detective voltó le spalle e lasciò il cimitero, senza più girarsi indietro.

-Sono morto anch'io, dunque, alla fine? - mormorò il corvino all'improvviso, quasi con indifferenza. Cosa importava, ormai, di fronte a tutto questo?
Mycroft si incupí.
-È difficile dirlo. Sei sparito, e nessuno ha avuto più tue notizie. Potresti ancora essere vivo, o forse no. Ma una cosa è certa.
Come rispondendo ad un segnale, un'altra lapide fiorì dalla coltre di neve vicino alla prima. Questa, però, era di marmo nero, e il nome inciso sopra era più che ovvio.
-Quando hai saputo della morte di John Watson, una parte di te è morta, divorata dal dolore e dal senso di colpa. Anche se sei rimasto vivo, in realtà non hai più vissuto, da allora.
-Io lo impedirò-soffiò Sherlock, lo sguardo fisso sulla lapide bianca.
-È troppo tardi. - La voce di Mycroft si fece dura. - È questa la via che hai scelto.
-No! Non è vero! - Sherlock si voltò a guardarlo, gli occhi ancora pieni di lacrime. - L'hai detto prima! Il futuro è in continuo mutamento, basta solo cambiare una scelta. È così, vero??
Il Vigiliante non rispose, lo sguardo di pietra.
-Rispondimi! È così o no?? Posso cambiare le cose?? Perché mostrarmi tutto questo, se non c'è più speranza?? Ti prego, dimmi che non è questo il mio destino! Che non è il suo! Che posso cambiarlo! TI PREGO!!
Quell'ultimo "Ti prego" Sherlock lo urlò alla lapide, piangendo e colpendola ripetutamente con le mani strette a pugno, incurante del dolore che sentiva ad ogni colpo. Voleva distruggerla. No, voleva farla a pezzi, sbriciolarla fino all'ultimo atomo. Non si curò dell'impossibilità della cosa, né del sangue che cominciò ad apparire sulle sue nocche spaccate, né del rischio quasi certo di rompersi le ossa. Continuò solo a colpirla con tutta la sua forza, sotto lo sguardo del Vigiliante silenzioso, mentre altri singhiozzi e preghiere spezzate lo scuotevano. Da quando era iniziato tutto, le lacrime erano diventate qualcosa di inevitabile. Lui, che aveva sempre controllato i suoi sentimenti, aveva ceduto più volte ad esse.
Ma in quel momento non erano solo lacrime. Era un dolore troppo intenso per essere descritto, era disperazione allo stato puro, era rifiuto per quel futuro orribile oltre ogni misura.
-Ti prego... Dimmi che posso cambiarlo... Ti prego... - Continuò a sussurrare solo queste due frasi, come un mantra, la voce sempre più debole, le forze che venivano meno secondo dopo secondo, mentre il freddo si impossessava delle sue membra, insieme alla spossatezza e allo shock di tutto ciò che aveva dovuto sopportare fino ad allora.
Finché non ce la fece più.
Perse i sensi, la fronte appoggiata sulla lapide ancora intatta-non era neppure riuscito a scalfirla-il segno delle lacrime sul viso, il sangue sulle mani, il gelo nel cuore, il nome "John Watson" su quella lapide impresso a fuoco nella retina.
Prima di svenire, però, udì come in lontananza la voce del Vigiliante dargli finalmente una risposta.
-Non puoi cambiare proprio nulla, se prima non cambi te stesso...

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro