The past can be hurts
Con il cuore in gola, Sherlock scese dallo slittino insieme al Dottore, avvicinandosi a Musgrave.
-Non causeremo qualche paradosso o roba simile, se non lo riportiamo dove l'abbiamo trovato?-gli domandò poi, trattenendo a stento una smorfia: non avrebbe mai pensato di mettersi a parlare di viaggi nel tempo e delle loro conseguenze...
-No, stia tranquillo-lo rassicurò lui, con un breve sorriso. - Ciò che facciamo non ha effetto sulla linea temporale. In verità, nessuno potrà neanche vederci o sentirci.
-Allora come abbiamo fatto a prenderlo?-domandò il detective, confuso.
-Perchè il Vigiliante voleva, che lo prendessimo-gli spiegò il Dottore pazientemente; non era facile spiegare a qualcuno che non fosse del suo pianeta i mille misteri che giravano intorno alle tante creature di altri pianeti che aveva incontrato.-Siamo come ombre, per questa realtà. E siamo qui solo per osservare. Per capire.
Sherlock, stavolta, non domandò "capire cosa", perché lo poteva facilmente dedurre: capire cosa l'avesse portato a odiare il Natale.
Il Vigiliante, intanto, gli sorrise, facendogli poi cenno con la mano, senza parlare, di avvicinarsi alla dimora: più precisamente, li attendeva entrambi di fronte ad una finestra, da cui già si intravedeva un albero di Natale illuminato e carico di decorazioni.
Sherlock, prendendo finalmente coraggio, si avvicinò, premendo appena il volto sulla superficie del vetro per guardare all'interno. Scorse un salotto festosamente addobbato, una tavola già apparecchiata, e una sagoma ai piedi dell'albero china su qualcosa che non riusciva a distinguere bene...
D'improvviso, avvertì una strana sensazione alla bocca dello stomaco, e la vista gli si appannò per una frazione di secondo, costringendolo a chiudere e poi a riaprire gli occhi. Con suo stupore, si ritrovò nel salotto di Musgrave.
-Che diavolo...?? È stato lei a...??-esclamò, voltandosi verso il Dottore. Che però, scosse la testa.
-Avevo dimenticato di dirglielo. I Vigilianti hanno molti poteri, a parte viaggiare nel tempo. Uno di essi è influenzare la materia e il mondo circostante. E possono coinvolgere chi vogliono, in questo potere, come hanno appena fatto. Noi possiamo assistere ai suoi ricordi, ma nessuno si accorgerà neppure della nostra presenza.
Il detective, ancora preda di quella sensazione tutt'altro che piacevole, si voltò stavolta verso il Vigiliante Victor. Il quale, però, gli fece di nuovo solo un gesto con la mano, invitandolo ad osservare la scena che stava per svolgersi sotto i loro occhi. Lo sguardo del piccolo era improvvisamente mutato, notò il corvino, grave e serio, passando dal non essere dissimile a un vero bambino di sette anni ad un adulto con un peso sconosciuto sulle spalle.
Sherlock lasciò per un istante vagare lo sguardo nel salotto addobbato, e si lasciò anche avvolgere dal calore della stanza, in piacevole contrasto col freddo gelido dell'esterno. Avvertì, inoltre, un profumo familiare: biscotti allo zenzero, i suoi preferiti... e un altro, sempre dolce, che però non riconobbe.
Volse dunque lo sguardo sulla sagoma che aveva solo intravisto poco prima. Era lui stesso, e doveva avere non più di sette anni. Era seduto sotto l'albero di Natale, e circondato da carta regalo stracciata. Gli dava la schiena, quindi non riusciva a capire cosa stesse facendo. D'improvviso, un'altra figura conosciuta fece il suo ingresso, ma senza far rumore, in punta di piedi: suo fratello, Mycroft, con un sacchetto natalizio appeso al polso. Gli fece uno strano effetto vederlo appena quattordicenne e un po' meno in forma rispetto a quello del futuro. Ma, dovette ammettere, non era diverso solo per l'età o nella corporatura: era la sua espressione, capì, a essere la vera differenza. Non c'era la solita aria di freddezza e gelida compostezza che lui conosceva così bene. Anzi, sul volto del Mycroft del passato c'era... un sorriso. Un sorriso vero, non come quello che elargiva alla maggior parte della gente, freddo, ironico, di circostanza. Questo non nascondeva nulla, era divertito, sincero. Si avvicinò in punta di piedi allo Sherlock bambino, e lo Sherlock futuro notò che stringeva tra le mani uno strano oggetto avvolto in carta colorata, non molto grande, simile ad una caramella...
Il detective, finalmente, comprese cosa stava per accadere e, d'istinto, fece un passo avanti e schiuse le labbra, con l'intento di avvertire il giovane sé stesso-anche se, ovviamente, lui non avrebbe potuto sentirlo-ma...
-... Non provarci nemmeno.
La voce piatta ma ferrea del piccolo Sherlock fermò Mycroft, nell'atto di tirare un lembo dell'oggetto, ormai al detective non più sconosciuto: un Christmas Creacker.
-Ma come diavolo hai fatto a sentirmi??-domandò, scocciato, mettendosi in tasca l'oggetto ancora integro.
-Hai fatto scricchiolare leggermente la terza asse del pavimento, e respiri così forte che ti potrei trovare pure al buio. E anche se hai cercato di camminare pianissimo, con la tua mole hai la stessa delicatezza di un elefante in una cristalleria. Dunque il tuo puerile tentativo di spaventarmi con quel diabolico oggetto dall'esplosione ridotta ma fastidiosa non ha funzionato-elencò il riccioluto con la stessa intonazione che avrebbe avuto leggendo la lista della spesa, e senza neppure alzare gli occhi dall'oggetto che lo Sherlock adulto, finalmente, riuscì a scorgere: un microscopio.-Inoltre, mamma ha appena tirato fuori dal forno le minces pie. Aspettavo il tuo arrivo già trenta... anzi, venti secondi fa-precisò, alzando finalmente gli occhi color acquamarina e indicando l'orologio a pendolo nel salotto, che emetteva un sommesso e a malapena udibile ticchettio.
-Grazie dei complimenti, eh. E comunque, geniale fratellino, su una deduzione hai toppato: non sono venuto per le minces pie, sono a dieta-ribattè Mycroft, con sussiego, anche se il pensiero di dover rinunciare a quelle tortine natalizie ripiene di deliziosa marmellata gli pesava non poco.
-Sì, come no, l'ho già sentita questa-lo derise il minore, tornando ad osservare l'oggetto sul vetrino, che sembrava essere una bacca di agrifoglio di plastica, presa probabilmente da una decorazione dell'albero e sacrificata per il bene della scienza.
-Ora staccati da quel microscopio -gli ordino però Mycroft, imperioso, porgendogli il pacchettino avvolto in una scintillante carta dorata.-Devi aprire il mio regalo.
-E non potevi metterlo sotto l'albero come tutti gli altri??
-Io non sono gli altri-ribattè il maggiore con aria di superioritá. - E poi volevo che fosse uno dei primi che avresti aperto, visto che gli altri li apriremo solo quando arriveranno i parenti.
-Perchè?-domandò lui, assottigliando gli occhi, sospettoso, e rigirandosi il pacchetto tra le mani.
-Lo capirai quando lo vedrai-si limitò a replicare Mycroft, con uno strano sorrisetto misterioso.-E non puoi provare a indovinarlo! Sono proibite le deduzioni.
Sherlock roteò gli occhi, seccato, ma ubbidì, rompendo l'involucro di carta rossa con un gesto rapido e secco, facendo emergere un oggetto di stoffa, di colore nero.
Non solo lo Sherlock del passato, ma anche quello del futuro trattennero il respiro.
Il piccolo, intanto, sollevò con religiosa attenzione l'oggetto: un cappello da pirata, impreziosito da una leggera cucitura color oro. L'espressione sul suo volto mentre vi passava sopra la mano con delicatezza era l'immagine della più pura e semplice felicità.
-Ora capisci, sapientone, perché te l'ho voluto far aprire adesso?-fece Mycroft, ironico.-Victor tra poco sarà qui, e non sarebbe stata la stessa cosa dartelo più tar-...
L'improvviso abbraccio del fratellino, che gli buttò le braccia al collo, lo mise a tacere.
-Grazie, fratellone-mormorò il riccio, al suo orecchio, facendolo sorridere con inequivocabile tenerezza.
-Prego. Ma ora staccati, mostriciattolo-fece, falsamente imbronciato, ma scompigliandogli i ricci, per poi mettergli lui stesso il cappello sul capo.
Fu in quel preciso istante, che suonò il campanello. Si udì un rumore di passi, seguito da un parlottare, e da altri passi, mentre Violet Holmes entrava nel salotto, rivolgendo un sorriso ad entrambi.
-Credo che il suo primo ufficiale sia qui, capitan Barbagialla-disse poi, rivolta a Sherlock, fingendo solennità nel pronunciare il titolo, mentre quest'ultimo balzava in piedi, pronto a fiondarsi fuori dalla porta. La madre, però, sollevò una mano, bloccandolo.-Ma il pirata deve prima munirsi di guanti, sciarpa e cappotto, altrimenti incorrerá nell'ira della Dea del mare. Che sarei io-precisò, anche se la minaccia era attenuta dallo sguardo palesemente affettuoso.
Sherlock era talmente impaziente che non sbuffò o protestò, come sempre faceva di fronte alle raccomandazioni materne. Si limitò a correre nella sua stanza per afferrare i caldi indumenti e poi indossarli alla medesima velocità e uscire a fuori a rotta di collo, il capello ben saldo sul capo riccioluto, mentre la madre, vedendo che tutte le sue raccomandazioni erano state eseguite, faceva ritorno ai fornelli.
-Vedi di tornare in tempo per il Discorso della Regina!-gli urlò dietro il fratello maggiore.
-Basti tu a vederlo per tutti e due!-urlò Sherlock in risposta, facendogli una linguaccia poco prima di chiudersi la porta alle spalle. Sapeva benissimo quanto il maggiore degli Holmes fosse particolarmente affascinato da Lei e dal governo inglese. Più volte aveva affermato con decisione che un giorno vi avrebbe lavorato, ne era certo.
Colta la frecciatina, Mycroft avrebbe voluto restituirgli lo sberleffo: ma vedendolo così felice per il regalo appena ricevuto non riuscì a trattenere, invece, un sorriso. Avvertì invece di nuovo il profumo dei biscotti appena sfornati dalla madre solleticargli le narici un attimo di esitazione, si diresse verso la cucina: dopotutto, la deduzione del suo geniale fratellino non era poi così errata...
-Io non capisco...-ammise il Dottore, mentre scendeva di nuovo silenzio nel salotto di Musgrave.-Non posso asserire di comprendere appieno tutte le sfumature dell'animo umano. Ma lei mi sembrava... felice.
-Sì... sì, lo ero-mormorò Sherlock, con un filo di voce.-Anche se non amavo particolarmente la compagnia di altri miei... simili. Ma Victor, lui... Lui era diverso. Il periodo natalizio era il migliore, per giocare insieme.
-Allora cosa è successo? Che cosa l'ha cambiata così tanto? Cosa le ha fatto odiare questo giorno?
Sherlock chiuse gli occhi per un istante, mentre un nodo andava a stringergli nuovamente la gola, e indicò con un cenno della testa una figura appena giunta nel salotto, talmente silenziosa che non avevano neppure udito il rumore dei suoi passi: una bambina alta quanto lo Sherlock del passato, i capelli rossicci legati in due codini. Indossava un maglione beige e una gonnellina a pieghe. In una mano stringeva l'archetto di un violino.
Si diresse a piccoli passi verso la finestra, premendovi il viso sul vetro-come aveva fatto lui stesso poco prima- e guardando fuori, dove Victor e Sherlock si stavano lanciando, ridendo, palle di neve.
Attraverso il riflesso, Sherlock e il Dottore videro l'espressione della bambina, mentre osservava la scena: erano un concentrato di odio puro, rivolto soprattutto verso Victor, mentre stringeva l'archetto con forza tale che arrivò, infine, a spezzarlo.
Mentre quel sinistro "crack" echeggiava nel salotto silenzioso, Sherlock iniziò a ricordare ciò che per lungo tempo aveva rimosso, persino dopo l'incontro con Eurus a Sherrinford.
Perchè fu proprio quel mattino di Natale, che Victor, il suo unico amico, sparì, per mano di sua sorella. Fino ad allora, non aveva ricordato il giorno esatto della sua scomparsa. O meglio, non aveva voluto ricordarlo, sebbene il suo astio verso quella festività fosse, da dopo gli eventi di Sherrinford, pian piano riemerso dagli abissi della sua coscienza.
Mentre quella nuova consapevolezza ai faceva strada nella sua mente, il mondo, per il detective, all'improvviso, divenne nero.
-... Mi dispiace, mi dispiace! Avrei dovuto avvertirla! Si sente bene??
Fu la voce preoccupata del Dottore, a riportare Sherlock alla realtà: credeva di aver perso i sensi, invece era ancora in piedi, nello stesso salotto di Musgrave, come se non si fosse neppure mosso. Ma avvertiva la medesima sensazione provata quando lo spirito li aveva teletrasportati, ma ancor più amplificata, lo stomaco come attorcigliato su sé stesso, tanto da farlo temere che avrebbe rimesso. Fortunatamente, non accadde, e pian piano quella sensazione passò, anche se in bocca gli rimase un sapore amaro e disgustoso.
-Che... diavolo... è...??-boccheggiò. Anche parlare gli parve un'impresa.
-Avrei dovuto avvisarla!-ripetè il Dottore, con veemenza, abbassandosi poi rapidamente e passando il suo Cacciavite in vari punti del corpo del detective senza alcuna logica apparente, come le ginocchia e la nuca. E Sherlock non ebbe neppure la forza, o il tempo, di protestare o domandarne la ragione.-I Vigilianti aprono varchi temporali a caso e all'improvviso per passare da un Natale all'altro. Questi passaggi, a differenza di quello del Vortice temporale primario, non uccidono l'umano che li attraversa, ma causano sensazioni non tanto... piacevoli, ecco.
-Ma non mi dica! -riuscì finalmente a ribattere il corvino, ritrovando anche l'ironia che tanto lo contraddistingueva.
-Comunque, i suoi organi sono tutti al loro posto-affermò l'alieno, sollevato, riponendo il Cacciavite di nuovo nella tasca della giacca.-Anzi, a guardarla bene, ha affrontato il viaggio temporale meglio del previsto. Ricordo che il signor Dickens, invece, era completamente verde in faccia. Pareva un...!
Il discorso del Dottore venne interrotto, all'improvviso, da un suono. Un suono dolce, ma al tempo stesso carico di tristezza al punto che, più che una melodia, pareva un vero e proprio pianto. La melodia di un violino.
Il salotto era addobbato per Natale, esattamente come poco prima, ma Sherlock capì che era passato del tempo: un anno, almeno, se non due, a giudicare dai volti dei presenti.
Vide, infatti, i suoi genitori e, a giudicare dalle loro espressioni, l'atmosfera del Natale, in quel momento, non esisteva.
Entrambi sedevano sul divano, il padre sfogliando un vecchio volume, e la madre sorseggiando una tazza di tè, in silenzio. Entrambi parevano solo fingere di essere impegnati in quelle attività.
Seduto su una poltrona c'era anche Mycroft e, finalmente, Sherlock vide già l'ombra- nonostante fosse ancora solo sedicenne- dell'uomo che sarebbe diventato: l'espressione altera, fredda, impenetrabile... ma con una leggera tristezza negli occhi grigio ferro. Stava sfogliando, anche lui, un volume, ma gli occhi erano immobili.
Sul tavolino di fronte stava un piattino di porcellana azzurra con sopra delle minces pie e alcuni biscotti allo zenzero, ma nessuno dei presenti sembrava aver intenzione di mangiare alcunché. Neppure Mycroft.
Se Sherlock fosse stato in vena, avrebbe fatto un commento sarcastico al riguardo. Ma, in quel momento, la sua onnipresente vena ironica sembrava completamente sparita.
-Credi che ricordi qualcosa?
La voce tremante di sua madre lo fece sobbalzare, e lo spinse a portare tutta la sua attenzione verso i coniugi Holmes.
-Vorrei poter dire di no, ma non è così-rispose Holmes senior, con un sospiro, chiudendo piano il libro.-Ricorda solo ciò che la sua mente è in grado di accettare. Così ha detto lo psicologo... Per questo, dietro suo suggerimento, abbiamo rafforzato la sua idea, acquistando quel collare e quella ciotola per cani. Non che la perdita per lui sia così molto più accettabile, beninteso.
-Sì, ma...-La mano di Violet che reggeva la tazza ebbe un leggero tremito.-Ha ancora gli incubi. Quasi ogni notte.
-Lo so. Ma anche quelli passeranno. Col tempo.-Non aggiunse "lo spero", ma il tono in cui pronunciò quelle parole fu comunque eloquente.
-Sta sempre chiuso nella sua stanza, soprattutto oggi-mormorò ancora la donna.
-Puoi biasimarlo? Dopotutto, è sparito proprio questo esatto giorno -ribattè il padre, con un sospiro, stringendo con delicatezza la mano della moglie.-Dubito che tornerà ad amare il Natale come un tempo. Per quanto possiamo stargli vicino, questo particolare giorno gli porterà alla memoria sempre e solo dolore. È per questo che è meglio che abbia rimosso anche Eurus. Più tempo starà lontana da lui, meglio sarà. Ma difficilmente tornerà ad essere lo Sherlock spensierato e completamente felice che conoscevamo.
Una figlia rinchiusa lontano, perché pericolosa. Sherlock col cuore spezzato. Violet bevve un sorso di tè, trattenendo a stento le lacrime al pensiero di come tutta la sua famiglia e la serenità, dopo quel 25 dicembre, fossero andate in frantumi.
Intanto, nella camera del figlio, la melodia proseguiva, accentuando la triste atmosfera. D'improvviso, però, si interruppe, facendo tornare di nuovo il silenzio.
Mycroft era l'unico a non aver ancora pronunciato una sola parola, limitandosi ad ascoltare le parole dei genitori. Ma, all'improvviso, si alzò, dirigendosi verso la camera del fratello, a pochi passi da lì.
Prima che potesse bussare, o entrare, sentì però chiaramente un pianto sommesso, straziante, ma molto vicino: come se Sherlock fosse appoggiato proprio lì, vicino alla porta. Distinse solo una parola, in quei singhiozzi sommessi.
Barbarossa.
Mycroft appoggiò il palmo della mano sul pezzo di legno che, in quel momento, divideva entrambi: avrebbe solo dovuto varcare quella porta, e stringere il suo fratellino tra le braccia, rassicurarlo, promettergli che l'avrebbe sempre protetto da qualsiasi nuova sofferenza futura. Ma qualcosa lo fermava. Una consapevolezza che aveva sempre avuto, ma che da quel maledetto 25 dicembre si era concretizzata. Tutte le vite erano destinate a finire, e amare significava solo soffrire. Era una ineluttabile verità. A che scopo, dunque, fare una promessa che la realtà avrebbe comunque infranto?
Lui non avrebbe mai provato quella sofferenza, decise. Mai. Si sarebbe distaccato da tutto ciò che temeva di perdere, persino dalla sua famiglia, se necessario, a prescindere da quanto gli sarebbe costato, compreso l'amore dei suoi stessi famigliari. Se il prezzo per amare ed essere amati era tutto quel dolore, lui non voleva pagarlo.
Non era mai stato sensibile, almeno non quanto Sherlock: ma, mentre teneva il palmo della mano ancora posato sulla porta, avvertì con estrema chiarezza che qualcosa non si era spezzato solo nel cuore del fratello minore, ma anche nel suo.
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