L'influenza del passato
"Siamo ciò che gli altri ci hanno fatto diventare".
Sherlock non ricordava dove avesse letto quella frase, o chi l'avesse detta, ma ricordava perfettamente l'irritazione che gli aveva suscitato. Per lui, infatti, niente lo aveva reso com'era. Si era fatto da solo.
Ma, non molto tempo fa, quella granitica certezza si era letteralmente sgretolata sotto i suoi piedi, mentre un cane dal pelo rossiccio di nome Barbarossa mutava in Victor Trevor, un ragazzino dai capelli rossi e una benda da pirata sull'occhio.
"Tutto ciò che hai fatto, che sei diventato... L'uomo che sei oggi, sono i ricordi che hai di Eurus".
Solo in quel momento Sherlock riuscì a comprendere, nel profondo, quanto l'affermazione di Mycroft fosse vera. Quel trauma, sepolto nei più profondi recessi della sua mente e persino modificato, era riuscito comunque a plasmarlo, a modellarlo... a cambiarlo. Dov'era finito quel bambino sì intelligente, ma pronto al sorriso, alla risata, che abbracciava il proprio fratello con totale spontaneità? Era forse morto con Victor, annegato nel medesimo pozzo dove John aveva ritrovato le sue piccole ossa?
Se nulla di tutto ciò fosse accaduto, lui sarebbe diventato com'era adesso? O il suo destino era segnato fin dall'inizio?
Destino... Una parola che detestava ancora di più. Così come non aveva mai creduto di essere "fatto" da qualcun altro, così detestava l'idea che il suo operato fosse sotto l'influenza di qualcosa di più grande di lui, come una marionetta con i fili mossi dalla mano di un burattinaio invisibile. Avrebbe di certo potuto fare qualcosa, per impedire quella terribile catena di eventi che avevano mutato così a fondo la sua vita e la sua personalità. Per impedire la morte del suo migliore amico...
A quel pensiero, lo assalì una dolorosa stretta allo stomaco.
- Credo che potrei levarle io qualche dubbio, rispondendo alle domande che la stanno assillando.
Sherlock, alla voce del Dottore, trasalì: era rimasto talmente assorto in quei mille pensieri da non accorgersi neppure che non erano più nel salotto di Musgrave, ma in luogo completamente diverso, che non riconobbe. Notò solo che era un piccolo appartamento, abbastanza disordinato, con pochi mobili rovinati e palesemente economici, tra cui un divano malconcio, una stufa con qualche fornello e un tavolino macchiato. Su quest'ultimo c'erano un microscopico e alcune provette.
Il Vigiliante era ancora con loro, sempre con le sembianze di Victor: dunque avevano compiuto un ennesimo spostamento temporale nel suo passato. Forse quella sensazione allo stomaco di poco prima era stata causata da quello. Quindi quel luogo era di certo legato a lui. Ma non riusciva a ricordarlo...
Invece, però, di studiarlo meglio, concentrò tutta la sua attenzione sul Dottore.
-Come fa a sapere cosa sto pensando? -ribattè, infatti, assottigliando lo sguardo.-Non saprà per caso...??
-... Leggerle nel pensiero? No. So accedere ai ricordi delle persone con un tocco. Una sorta di telepatia-ammise l'alieno, con un sorriso di scuse.- E non mi sarei mai permesso di farlo. Ma quando le ho stretto la mano per affrontare lo spostamento temporale è stato inevitabile. Ho visto un pozzo scuro. Ossa di un bambino. E non servono grandi poteri per capire cosa sia accaduto, e neppure cosa stava pensando. Cosa sta ancora pensando. Si sta chiedendo se avrebbe potuto cambiare ciò che è accaduto al suo amico. Ciò che l'ha cambiata nel profondo. È così, vero?
Sherlock, di fronte all'ennesima incredibile capacità di quell'individuo, non fece una piega: annuì soltanto. Anche se non era del tutto certo che ciò che il Dottore gli avrebbe detto l'avrebbe fatto sentire meglio o se avrebbe cambiato qualcosa.
-Vede... io sono in grado di percepire il tessuto di cui è costituito l'universo. Vi sono alcuni punti di esso che possono essere modificati, altri no. E, in un caso o nell'altro, a volte riesco anche a vedere cosa accadrebbe se gli eventi prendessero un determinato corso o un altro.
-... E dunque?-domandò il corvino, seppur con uno sforzo.-La mia situazione in quale di queste... bizzarre categorie rientra?
-Ehm...-Il Dottore si grattò la nuca, imbarazzato.-Vede, il fatto è che... I miei poteri hanno un limite. Il suo particolare caso rientra nelle zone grigie, cioè punti che non mi è possibile capire se siano definiti o meno.
Il detective trattenne a stento un gemito di frustrazione: proprio come aveva temuto, la spiegazione astrusa dell'alieno non lo stava facendo sentir meglio, proprio per nulla.
-Tutto ciò che è accaduto al suo amico non è stata colpa sua. È stata opera di sua sorella-continuò però l'altro, attirando di nuovo la sua attenzione -Per questo è difficile capire se le cose sarebbero dovute andare o meno così. Più persone sono coinvolte, più la linea temporale diventa complessa, e le possibili variabili aumentano. A volte agire su di esse può addirittura peggiorare le cose.
Seguì un momento di silenzio.
-La mia prima compagna di viaggio fece proprio questo errore. Nonostante i miei avvertimenti, salvò suo padre da una macchina che avrebbe dovuto investirlo, evitando così la sua morte. Ma questo cambiamento creò un paradosso, che danneggiò il tempo e lo spazio. L'universo iniziò a sfaldarsi, attirando delle creature che... Ma sto divagando. Quello che voglio dire è che, a volte, certi eventi non possono proprio essere evitati, a prescindere da quanto lo desideriamo. Accadono e basta.
Scese di nuovo il silenzio.
-Avevo ragione. Questo non mi fa sentire assolutamente meglio-mormorò il detective.-Ho sempre detestato l'idea della predestinazione.
Il Dottore sorrise appena.
-Ma se i Vigilianti le hanno fatto visita, significa che lei sta vivendo in un punto sicuramente mobile della sua esistenza. Certo, non si può cambiare il passato. Ma si può imparare, da esso, e cambiare il proprio futuro, se non altro.
Prima che Sherlock potesse riflettere appieno su quelle parole, udirono delle voci avvicinarsi all'appartamento. La porta si spalancò, e due figure intente a discutere varcarono la soglia.
Fu solo a quel punto che il detective, finalmente, capì dove si trovavano.
Aveva vissuto in quel buco forse una decina di anni prima: uno degli innumerevoli appartamenti a basso costo che si poteva permettere durante uno dei periodi più bui della sua vita. Non ricordava cosa fosse accaduto quel particolare giorno, e perché il Vigiliante avesse voluto mostrargli proprio quello.
L'unica cosa che poteva fare era stare a guardare l'ennesimo frammento del suo passato, mentre un po' più giovane detective ispettore Lestrade e un altrettanto più giovane Sherlock Holmes entravano nell'appartamento, discutendo animatamente.
Sherlock stesso quasi non si riconobbe, soprattutto per l'abbigliamento: una felpa nera col cappuccio tirato sulla testa, jeans sbiaditi, sneakers consunte... Il volto era forse più pallido e smagrito del consueto, i capelli più corti, non ricci, la frangia un po' troppo lunga, quasi volesse nascondere gli occhi di proposito. Lestrade, invece, gli parve sempre lo stesso, forse meno brizzolato.
-Te l'ho già detto, Lestrade, era per il caso!-ringhiò lo Sherlock più giovane, con le mani affondate nelle tasche della felpa, mentre l'ispettore si guardava intorno con una smorfia.
-Potevi anche trovare di meglio che questa topaia.
-Fare il consulente investigatore non porta molte entrate-gli fece notare il corvino, con uno sbuffo, crollando sul divano malconcio.-E comunque non ti ho invitato. Sei tu che sei voluto venire. Anzi, mi correggo. Sei tu che mi ci hai trascinato, interrompendo la mia indagine! Su cui tu stesso hai chiesto il mio aiuto.
- ...L-la tua...! Certo, perché io ti ho chiesto di indagare facendo uso di droga, vero!?-sbraitò l'ispettore, aprendo cassetti a caso di alcuni mobiletti con veemenza.
- Come ti ho già detto mentre venivamo qui, non troverai nulla-bofonchiò Sherlock, con insofferenza, il dorso della mano a coprirgli gli occhi.-Non mi sono portato il lavoro a casa. È da un anno che sono pulito.
-Peccato che le tue analisi dicano il contrario. O adesso mi dirai che Molly ha sbagliato le analisi? O che non erano le tue, magari??-lo rimbeccò lo Yarder, con sarcasmo feroce, continuando a ispezionare la stanza.
Sherlock emise un'altro sbuffo, ma più rassegnato che di esasperazione.
-Okay... Forse mi sono calato troppo nell'indagine-ammise.-Ma, dopotutto, il modo migliore di recitare una parte è quella di viverla. Non avrei mai ingannato quello spacciatore se non avesse avuto la certezza che fossi un...
-Ho mandato in galera un gran numero di spacciatori, Sherlock. E non ho mai dovuto drogarmi, per farlo-ringhiò Lestrade.
-Forse. Ma questo particolare spacciatore era da un anno che ti sfuggiva, o mi sbaglio?-Le labbra del detective si sollevarono appena in un ghigno, la mano ancora a nascondere gli occhi.-Comunque, trovo la tua preoccupazione verso di me estremamente toccante... Se non fosse che il mio disgustosamente ricco fratello di certo ti paga per questo disturbo.
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Lo Sherlock del futuro non riuscì a soffocare un senso di disgusto per se stesso. Per come si fosse ridotto all'epoca, ma soprattutto per la palese cattiveria di quella frase. Lestrade era sempre stato uno dei pochi a dargli fiducia e persino amicizia, nonostante tutto, e accusarlo di farlo per i soldi di suo fratello era la cosa peggiore e più falsa che potesse dirgli. Aveva capito solo poco tempo prima quanto le parole potessero far male, specie le sue. Potevano diventare armi potenti e pericolose, al pari o peggiori di pistole o di lame. E lui, soprattutto in passato, le aveva usate proprio nel peggiore dei modi, indiscriminatamente, incurante delle ferite sanguinanti che esse provocavano nei suoi bersagli. Perché lui, quelle ferite, non le vedeva neppure. Oppure, semplicemente, decideva di non vederle, di non curarsene.
-Che razza di idiota...-sibilò, seppur cosciente di essersi appena insultato da solo.
Lestrade, però, non gli era rimasto accanto per più di due anni senza più o meno assuefarsi al suo modo di fare. Non reagì perciò a quelle parole crudeli, facendo finta di non averlo udito. Anche se aveva smesso di botto la sua perquisizione, e la sua espressione era eloquente. Per lo Sherlock del futuro, quantomeno. Quello del passato, infatti, seguitava a non guardarlo.
Lo Yarder si passò una mano sui capelli, trattenendo uno sbuffo. In effetti non aveva trovato nulla, e quell'appartamento offriva ben pochi nascondigli. Però... avrebbe avvisato Mycroft, decise, digitando di nascosto il messaggio che usavano sempre in casi come quello. I suoi uomini sarebbero arrivati in un batter d'occhio, perquisendolo fino all'ultimo angolo o pertugio possibile. Forse sarebbe stato meglio se Sherlock non fosse stato presente... Ma dubitava che avrebbe passato il Natale da suo fratello. O da qualcuno, in generale...
-Voglio sperare che tu non mi stia mentendo-disse, preferendo non avvisarlo dell'arrivo del fratello.-Gregson era fuori di testa. È sempre stato contrario al tuo aiuto ufficioso. Potevi almeno non indagare proprio oggi!
-Peccato che il mio "aiuto ufficioso" lo abbia aiutato a conservare anche il suo posto di lavoro-ribattè il corvino, acido.-E la Vigilia di Natale è un giorno come un altro, non vedo dove sia il problema.
Lestrade alzò gli occhi al cielo, dando l'ennesima occhiata, ma stavolta generale, alla tristezza di quelle quattro pareti, completamente prive di decorazioni natalizie. Ora sapeva cosa fare.
-Be'... Visto che ormai la tua indagine è finita... Perché non passi la serata da me? -gli domandò, sforzando un sorriso.-Ci farebbe piacere. Siamo solo io, mia moglie e un paio di amici della Centrale. Nulla di troppo esagerato. Lo so che non ti piace molto la compagnia, ma è davvero molto ristretta. Dopotutto, è Natale... A nessuno piace passarlo da solo-gli fece notare. Ci teneva davvero che non passasse quella festa da solo, per quanto insopportabile fosse a volte. Il suo era un invito sincero.
Lo Sherlock del futuro, a quell'ultima frase, avvertì una fitta al cuore. Per la prima volta, si ritrovò a pregare che il suo alter ego passato stesse zitto, o che rifiutasse l'offerta senza infierire. Ma, ovviamente, non venne accontentato...
-Invece a me va benissimo. Il Natale è un giorno come un altro-ribattè infatti la sua controparte più giovane, sul volto un'espressione indifferente, le labbra storte in una smorfia.- Non ho mai capito tutta l'importanza che voi gente comune vi ostinate ad attribuirgli.
-Va bene, allora fingi che sia solo un... ritrovo causale di persone che cenano-ribattè Lestrade, con stavolta un sorrisetto sinceramente divertito.-Potresti persino trovarlo divertente.
-Vedere tua moglie provarci spudoratamente con il suo amante, che è pure un tuo collega, non lo considero un gran divertimento.
Il sorriso sparì totalmente dalla faccia dello Yarder.
-Non dirmi che non te ne sei mai accorto!-esclamò il corvino, con incredulità ed esasperazione nella voce.-Scollatura eccessiva ogni volta che viene a trovarti in ufficio. Messaggini continui con te presente. È da mesi che ti tradisce, ormai.
-È una vecchia storia. Abbiamo messo le cose a posto-ribattè l'altro, la voce pacata ma palesemente venata di rabbia.
-Allora dovresti ringraziarmi, perchè oggi ti ho fatto ben due favori-commentò il detective, stavolta lanciandogli uno sguardo coi suoi occhi color acquamarina.-Ho risolto il tuo caso e risparmiato di continuare una relazione fasulla. Sarà il Natale che mi rende più gentile del solito. Non è così che si dice?
Per alcuni secondi regnò nell'appartamento un gelo e un silenzio tale da far rabbrividire persino lo Sherlock del futuro.
-... Lo sai? Hai ragione-ribattè finalmente Lestrade dopo quel lungo silenzio, e con un tono di voce gelido al pari dell'atmosfera.-Anzi, devo ringraziarti anche per un altro motivo.
-Ah, sì? E quale?-domandò il corvino, parendo sinceramente incuriosito.-Mi è sfuggito qualcosa?
-Oh, sì. Ti ringrazio di avermi fatto finalmente capire davvero perché non hai amici.
Negli occhi del detective, stavolta, passò fugacemente un'ombra, e venne assalito da qualcosa di simile allo sgomento, mentre l'ispettore gli voltava la schiena e usciva, sbattendosi fragorosamente la porta alle spalle, e lasciando Sherlock con una strana ma alquanto sgradevole sensazione, che parve invadere soprattutto quel cuore che sempre aveva detto di non possedere, mente l'immagine di un cane dal pelo rossiccio attraversava i suoi pensieri.
L'unico amico che avesse mai avuto.
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