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Innocenza

-Si sente bene?
Sherlock registrò a malapena la voce del Dottore alle sue spalle, lo sguardo ancora fisso alla piccola finestrella di vetro opaco, ma non abbastanza da non consentirgli di riconoscere quella figura. Il calore datogli dalla bevanda e dalla coperta-ancora posata sulle sue spalle- era stato letteralmente risucchiato in un colpo solo da un gelo che aveva preso a diffondersi, arrivando addirittura a ghiacciargli il sangue.
Il Dottore, non ricevendo risposta, seguì il suo sguardo, e trattenne un sospiro. Aveva già inteso.
-Evidentemente l'identità assunta dal primo Vigiliante le è tutt'altro che estranea-commentò, senza nessuna traccia di ironia nel tono, l'espressione cupa.-La devo avvertire che questo è solo l'inizio. Le mostrerà immagini chiave del suo passato, magari addirittura da lei dimenticate, che potrebbero sconvolgerla. Ma...
-... Ma non ho altra scelta, giusto? Non se voglio che quest'incubo finisca-lo interruppe Sherlock, tornando ad un tono freddo, duro, in contrasto con il luccichio che ancora traspariva dai suoi occhi color acquamarina, frutto di lacrime non versate. Non aveva usato il termine "incubo" per nulla: una parte di lui, quella razionale, ancora si aggrappava al suo essere più profondo, e con essa la speranza che, se avesse fatto il necessario, sarebbe tutto finito, e lui si sarebbe risvegliato nella sua poltrona a Baker Street, di fronte al camino, con nessun'altra preoccupazione che passare una solitaria Vigilia di Natale.

Il castano, intanto, annuì, confermando la sua affermazione.
-Ma non deve temere-lo rassicurò, con un piccolo sorriso.-Non è certo il mio primo rodeo contro una razza aliena. L'aiuterò a superare indenne questa... "gita" nel tempo e nello spazio.
Prima che Sherlock potesse protestare sul termine inappropriato "gita", il Tardis fu improvvisamente scosso con una certa violenza, al punto che la tazza, che ancora  aveva tra le mani, quasi gli cadde per terra.
Il Dottore si fiondò ai comandi, scuotendo la testa con una smorfia.
-Credo che siamo arrivati-lo informò. -Chiedo scusa per l'atterraggio... Non è stato uno dei migliori.
-Dove siamo? O forse dovrei chiedere quando siamo?-domandò il corvino, con amara ironia.
Il Dottore lesse uno dei monitor, per poi scuotere la testa.
-Non so dirle né l'anno né il luogo in cui il vortice ci ha condotti-ammise. Schiacciò pure alcuni pulsanti, e la sua espressione si incupì ancor più di prima.-Sembra che dovremmo seguire il Vigiliante a piedi... Il Tardis ha i comandi bloccati.
-Quando è stata l'ultima volta che il suo trabiccolo ha fatto una revisione??-sbottò Sherlock, esasperato. Non solo era bloccato in una situazione ai limiti dell'assurdo, ma pure la macchina coinvolta in quell'assurditá dava problemi!
-Onestamente non ricordo... Forse ero dalle parti di Alfa Centauri-mormorò il Dottore, girando ancora qualche manopola, invano. -Senta, è inutile discutere. Dobbiamo...

-... Sherlock! Su, Sherlock! Vieni! Il primo ufficiale ha bisogno del suo capitano!
Entrambi si irrigidirono, voltandosi poi di scatto: la porta del Tardis era stata spalancata, facendo entrare nella cabina una corrente gelida. Sulla soglia stava un bambino dai capelli rossicci e una benda nera, da pirata, sull'occhio destro. Alle sue spalle, il paesaggio esterno era completamente innevato.
Sherlock era come paralizzato: sapeva che quello non era altro che una creatura solo con le sembianze del suo amico di infanzia. Ma aveva anche i suoi ricordi. Era come trovarsi di fronte ad una proiezione tangibile delle presenze costanti, nonostante gli anni passati, nel suo Palazzo Mentale.
Prima che potesse fare un passo verso di lui, questi corse via, sparendo quasi subito alla vista.
-Aspetta! Io...!-esclamò il detective, con voce ancora strozzata. Ma invano.
-Non si preoccupi, non lo perderemo. Lui vuole che lo seguiamo. Basterà intercettare la sua scia-gli ricordò il Dottore, brandendo il cacciavite sonico.-Purtroppo ci toccherá andare a piedi. Ma prima dobbiamo fare qualcosa per i suoi vestiti. Congelerà, lì fuori-gli fece notare.
Il corvino, effettivamente, indossava sì uno dei suo completi abituali, sotto la vestaglia-tranne quando si era recato a Buckingham Palace, ma quello era stato un caso a parte...-ma certo quell'abbigliamento non era il più adatto per affrontare il gelido clima esterno.
Sherlock sentì il Dottore armeggiare in una parte della Cabina e, suo malgrado incuriosito, si avvicinò: gli parve di essere in una sorta di gigantesca cabina armadio, carica di scaffali, appendiabiti e stampelle, ognuno ricolmi di camicie, completi, abiti... tutti appartenenti, inoltre, a svariate epoche. Scorse infatti un cappotto di foggia palesemente vittoriana, un saio, sari indiani, redingote, una tunica romana, marsine francesi... Ovunque posasse lo sguardo, notava altri dettagli che gli avrebbero fatto girare la testa, se non avesse ormai bene o male accettato che quello fosse davvero una macchina in grado di viaggiare nel tempo.

-Ecco! Che ne dice di questo?-Il Dottore gli mostrò trionfalmente proprio una delle marsine, come se fosse un commesso di una boutique. Era blu, con degli alamari dorati sia sul petto che sulle spalle. Non era certo un indumento discreto.-Detto fra noi, è uno dei miei pezzi preferiti. L'ho vinto a un generale francese alquanto suscettibile. Sa, odiava perdere. Ed era un po'... bassino, di altezza, per essere un generale.
Il corvino inarcò un sopracciglio.
-... Questo... generale... Faceva forse Bonaparte di cognome?
L'altro sgranò gli occhi.
-Esatto! Anche lei lo conosce??
-Di certo non di persona...-bofonchiò il detective, guardando poi la marsina in questione con una smorfia.-Comunque credo che la taglia non vada bene. Non ha qualcosa di adatto alla...?
-Nessun problema! Credo già di aver trovato qualcosa di ancora migliore!-fece l'altro, senza dargli neppure il tempo di finire la domanda, correndo da una fila di appendini all'altra come un trottola impazzita, colmo di quello che a Sherlock parve sincero entusiasmo. Sembrava lui stesso ogni volta che aveva per le mani un caso interessante. Per un solo momento, il detective si ritrovò a pensare che lui e quel bizzarro individuo non fossero poi così diversi.
Dopo aver frugato tra un fila di spessi cappotti e giacconi, l'uomo ne tirò fuori uno di pelle nera, e dall'ampio e decisamente ingombrante bavero di pelliccia bianca.
-Questo è perfetto. La terrá sicuramente al caldo. È un tulup, sa? Un cappotto usato dai...
-...Dai russi, lo so-concluse il corvino, le labbra arricciate ancora in una smorfia, prendendolo e infilandolo, seppur infastidito.-Spero almeno che non appartenesse a qualche Romanov...-aggiunse, sarcastico.
-Certo che no! Quello che mi regalò lo zar in persona lo conservo altrove!-ribattè l'altro, quasi fosse stupito dall'assurditá della sua insinuazione.
Sherlock trattenne a stento un gemito: se il suo cervello fosse stato per davvero un disco fisso, sarebbe andato in overload di informazioni già da un pezzo.

-Vuole anche un cappello? O degli scarponi??-Il Dottore si fiondò ad un attaccapanni, pieno di cappelli da cowboy, fez, e tube.-Dovrei avere da qualche parte uno proprio dello stile del...
- No. Grazie. Mi sento già abbastanza ridicolo così-lo bloccò il detective, dopo aver indossato l'indumento ed essersi guardato dalla testa ai piedi.
-Ne è sicuro? Ho anche un churro fatto di lana di alpaca che sicuramente...
-No. Grazie -ripetè lui, con ancor più durezza.-Voglio solo trovare il... Vigiliante il prima possibile e tornare a casa mia. Alla realtá.
Il Dottore si strinse nelle spalle.
-Come vuole. Allora andiamo-disse,  facendo strada verso la porta.
-E lei non indossa nulla?-obiettò però il corvino, agrottando la fronte.
Il Dottore gli fece un breve sorriso.
-Non si preoccupi. Ho una temperatura corporea diversa da quella umana.-Brandì poi il cacciavite sonico.-Ora andiamo, prima di perdere la traccia.
-E comunque quel cappello non è fatto di lana di alpaca, ma di pecora islandese-borbottò ancora Sherlock, mentre lo seguiva. Perché per quanto la situazione fosse assurda, non poteva trattenersi dal puntualizzare su qualsiasi cosa.


Bianco. Sherlock vide solo questo, una volta fuori dalla cabina blu.
Erano proprio al centro di quello che sembrava essere un bosco, anche se con pochi e rari alberi, le cui fronde erano coperte da spesse coltri di neve candida. Stava altresì nevicando: alcuni fiocchi vorticarono intorno a loro, e si posarono sul capo riccioluto del detective, ma il freddo non l'assalì: il cappotto, per quanto gli desse un'aria ridicola, lo proteggeva dalle frequenti raffiche gelide.
-Dove siamo?
-Speravo lo sapesse lei-ribattè il Dottore, puntando a destra e poi a sinistra il cacciavite sonico.-Dopotutto, è il suo, passato. Questo luogo non le dice niente?
-Non al momento, no-ammise il corvino, infastidito: odiava non sapere. Specie se, come in quel caso, avrebbe dovuto saperlo.
In verità, ammise, c'era qualcosa di familiare, in quel boschetto: ma più cercava di ricordare, più il ricordo in questione scivolava via dalla sua mente, come quando si cerca di trattenere l'acqua tra le mani. Solo pochi e sporadici dettagli: il sole che splendeva tra le fronde ora cariche di neve, risate, un tronco d'albero centenario usato come veliero... E, in più, il fatto che l'entità aliena avesse assunto proprio le sembianze di Victor. Non serviva essere Sherlock Holmes, per giungere all'ovvia conclusione.
-So dove ci troviamo-ammise infine il detective, seppur malvolentieri, mentre il Dottore, che aveva nel frattempo ispezionato il terreno alla ricerca della traccia, alzava lo sguardo su di lui.-Musgrave. Almeno, nelle vicinanze di Musgrave, la casa dove passavo le vacanze, tanto tempo fa. Non ricordo però quanto distasse il bosco dalla casa.
Si guardarono entrambi nuovamente intorno: anche se fossero stati non troppo distanti, la camminata sarebbe stata tutt'altro che agevole. Certo, il Dottore non aveva il problema del freddo, ma per entrambi sarebbe stata una lunga e faticosa camminata. Forse gli sarebbe toccato persino rivalutare l'offerta degli stivali coordinati col cappotto... A meno che...
Sherlock socchiuse gli occhi, puntandoli proprio verso il tronco centenario, cavo, che un tempo aveva assolto la funzione di veliero, e vi si diresse con decisione, mentre un ricordo riaffiorava prepotente nella sua testa.

-Dove sta andando??-domandò il Dottore, sorpreso.-La traccia è da quella...!
Sherlock, però, lo ignorò del tutto, infiltrandosi nella piccola apertura, spostando i rami secchi con le mani, e procurandosi così dei leggeri graffi. A cui, però, non fece caso, avendo trovato proprio quello che sperava.
Una piccola slitta di legno, leggermente consumata, ma ancora intatta, grazie al riparo offertogli dal tronco. Sherlock la prese delicatamente, e vi passo sopra le dita con altrettanta delicatezza. Su un lato del legno sottile e consumato vi erano ancora incise due iniziali, anche se, non sapendolo, qualcuno li avrebbe potuti scambiare per i tanti graffi già presenti: una "esse" è una "vi".
Un improvviso nodo andò a stringergli la gola, ricordando lui e Victor su di essa, a scivolare su piccole discese- ma che a loro parevano altissime e perigliose-ridendo, nonostante le cadute.
Sherlock stesso fu sorpreso di quei ricordi improvvisamente affiorati: prima di Eurus, i ricordi della sua infanzia erano stati come avvolti dalla nebbia; a volte si affacciavano alla sua mente, ma rapidi, come se la sua mente stessa si ritraesse inconsapevolmente. Dopo Eurus, al contrario, si erano fatti più chiari, ma stavolta era stato lui stesso a imporsi di non indugiare su di essi, come se avesse paura di ciò che avrebbe potuto ancora scoprire sul suo passato.
Ma, a quanto pareva, lo scopo del Vigiliante era proprio questo, che lui lo volesse o no.

-Credevo che l'albero l'avesse inghiottita! Sembrava un tronco normalissimo, ma ne ho viste di cose strane...
Il corvino trasalì leggermente, alla voce del Dottore, che lo aveva raggiunto, ma indugiò ancora per qualche istante, le dita a stringere il piccolo slittino così forte da sbiancarsi le nocche.
-Potremmo usare questo per proseguire il tragitto-borbottò, voltandosi finalmente verso di lui, e mostrandoglielo.-Certo, staremo un po' stretti, e non so da cosa potremmo farlo trainare, ma...
-Quest'ultima cosa non è un problema-lo interruppe l'alieno, con uno strano sorrisino sulle labbra.-Ho qualcosa, nel Tardis, che farà al caso nostro...


Folle. Era questo il termine più adatto alla situazione in cui il nostro consulente detective si era trovato. Insieme a assurdo, impossibile e altri termini afferenti all'area del "non può essere reale".
E la situazione, se possibile, aveva raggiunto un nuovo livello di follia, dato che in quel momento Sherlock si trovava a tenersi stretto alla vita del Dottore, seduto davanti a lui sullo slittino, e che brandiva il cacciavite sonico per seguire la traccia, mentre sfrecciavano sulla neve a gran velocità. Davanti ancora, infatti, uno strano apparecchio era stato montato, di forma quadrata, non più grande del palmo della sua stessa mano, metallico, e pieno di strane lucine multicolori: una sorta di motore in miniatura.
Mentre sfrecciavano a quel modo, però, Sherlock avvertì di nuovo qualcosa di strano invaderlo, diverso dalla nostalgia e dalla tristezza che lo aveva colto poco prima: non sapeva esattamente cosa fosse, ma si sentiva stranamente... leggero. Quella corsa sfrenata-anche troppo- gli riportò di nuovo alla memoria quelle fatte insieme a Victor; ma, a differenza di poco prima, lo fece sentire inondato da una sorta di spensieratezza. Come se, all'improvviso, fosse tornato il bambino dai ricci ancor più scompigliati di adesso, gli occhi pieni di entusiasmo, la bocca spalancata in un grido di gioia, la sua innocenza completa, ancora non distrutta dal dolore. Alzò il viso, gli occhi chiusi, lasciando che i fiocchi di neve si depositassero sul suo volto, non badando più neppure al freddo.
In quel preciso momento, scordò tutto: i suoi dubbi, lo sconcerto, il fastidio per l'assurda giacca che aveva dovuto indossare, la paura per quello che ancora l'aspettava. Si abbandonò, invece, a quella sorta di spensieratezza improvvisa, come mai si era concesso di fare da molto, molto tempo, mentre le sue labbra si tendevano appena in un sorriso. Se non avesse avuto paura di apparire un idiota agli occhi del Dottore, forse si sarebbe addirittura lasciato andare a un grido di gioia... Per una volta, anziché nascondere le proprie emozioni, desiderò buttarle fuori.
-Dobbiamo scendere a valle, ma c'è una discesa un po' ripida ora! Si tenga forte!-lo avvertì però quest'ultimo proprio in quel momento.
La discesa era davvero ripida, e per un momento, quando Sherlock si aggrappò a lui più forte, cacciò per davvero un grido, dicendosi che era stato per puro istinto, che non l'aveva potuto trattenere, che era stata solo una reazione al pericolo e alla paura di cadere.
Ma, nel profondo, sapeva benissimo che non era stato per quello...

Fu solo quando si fermarono di fronte ad una piccola villetta isolata, che il suo entusiasmo appena riscoperto si spense, e la vera paura tornò a farsi sentire. Il Vigiliante col l'aspetto di Victor era già lì, in sua attesa, di fronte ad una grande finestra, sorridente, e con un gesto della mano lo invitava ad avvicinarsi.
Era arrivato il momento che aveva paventato sin dall'inizio, ma che per un istante si era concesso di accantonare: trovarsi faccia a faccia, e senza possibilità di scampo, con il suo passato.

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