A Christmas Carol
Mentre chiudeva la chiamata, John ringraziò il cielo per l'esistenza di Molly Hooper. Era l'unica, infatti, che avesse senza indugio accettato di trasferire la festa a casa sua, nonostante fosse piccola e non avesse fatto grandi spese per le cibarie. Non sarebbe spettato a lei, infatti, ma a John che, però, non era neppure riuscito del tutto. L'unica cosa che gli restava da fare era portare il poco che era riuscito ad acquistare a casa della patologa e, essendo già scesa la sera, pregare di aver il tempo di riuscire a mettere insieme una cena, se non eccelsa, quantomeno accettabile. Aveva contato di ultimare gli acquisti quella mattina stessa, e poi di applicarsi ai fornelli in tempo utile, ma l'indagine last minute e la lite con il consulente detective aveva stravolto tutti i piani.
Forse avrebbe dovuto lasciare la decorazione dell'albero all'ultimo...
Si riscosse, scuotendo la testa: ormai era inutile piangere sul latte versato. Doveva ancora preparare Rosie, raccogliere in qualche borsa le poche provviste e chiamare un taxi fino a casa della patologa, che non era comunque vicina. Si trovava infatti in un quartiere distante da lì circa un'ora e mezza, e questo senza traffico. E con la neve per le strade sarebbe stato ancora più lungo del consueto. Era necessario, dunque, ottimizzare i tempi.
Dieci minuti dopo, era miracolosamente riuscito a ficcare il cibo nelle sporte, a chiamare un taxi e, infine, a preparare Rosie. Aveva dovuto far tutto da solo perché Mrs.Hudson era già uscita da dieci minuti, adducendo, come pretesto, le compere dell'ultimo minuto; il detective, invece, pareva aver messo radici sulla sua poltrona in pelle nera, gli occhi chiusi, le dita a sfiorare appena il mento, apparentemente sordo a qualunque cosa. Incluso lui stesso, che non era certo silenzioso: stava infatti cercando di infilare il cappotto a una Rosie decisamente su di giri. Quest'ultima, tra parentesi, era pure sfuggita alla sua presa, e stava in quel momento cercando di attirare- senza successo-, l'attenzione dello zio Sherlock, tirandogli più volte la manica della vestaglia color cammello.
-Lo zio ora non può, Rosie-le disse, portandola via con dolcezza dal salotto, e reprimendo la nota nervosa e di stizza nella voce.
-Non viene con noi?-gli domandò la piccola, sporgendo tristemente in fuori il labbro inferiore.
-No, ma solo perché è impegnato in un caso molto importante-la consolò lui, lanciando un'occhiata alla figura di pietra con le fattezze del suo coinquilino.-È per una missione natalizia segretissima-aggiunse, sottolineando il "natalizia".
Gli occhi blu della piccola si spalancarono.
-Ohhh... Forse la so!-fece, bisbigliando, anche se il suo bisbiglio fu molto udibile nel silenzio dell'appartamento.-Il Grinch ha di nuovo rubato il Natale??
Il biondo fece molta fatica a reprimere una risata, più commossa che divertita, mentre le posava un leggero bacio sul capo.
-Hai indovinato, è proprio così. Ma non dirlo a nessuno, mi raccomando-la ammonì, con un sorriso complice.
Lei annuì con veemenza, mentre il medico le allacciava, finalmente, il cappottino rosa fino all'ultimo bottone, e mettendole poi una sciarpa e un cappellino di lana del medesimo colore sulla testa, in modo da non farle prendere freddo.-Anche se forse il Grinch è già lui stesso...-aggiunse, a mezza bocca, ancora in collera.
Regalò, però, un bel sorriso alla figlia.
-Ma non ti preoccupare. Ci divertiremo comunque. Anche da zia Molly.
-Ma, papà... Lo zio non si sentirà solo??-domandò ancora lei, preoccupata, con tutta l'innocenza che solo una bimba può avere.-Non lo aiuti a cercare il Grinch?
Il medico, anche stavolta, trattenne la commozione. E, forse, anche una punta di senso di colpa che mise, però, forzatamente a tacere.
-No, Rosie. Stavolta no-le disse infatti, sempre con dolcezza, ma insieme fermezza.-Questo è un caso che deve risolvere da solo.
Erano passati poco meno di cinque minuti da quando la porta del 221B era stata chiusa, portando via la voce acuta di Rosie e i passi pesanti del medico militare.
Sherlock si trovava ancora nella medesima posizione di mezz'ora prima, ma aveva sentito ogni singola parola. Era però rimasto immobile, sordo anche il tentativo della piccola Rosie: quest'ultimo gli era costato una fatica considerevole...
Ma sulla "Questione Natale"-come l'aveva battezzata nella sua testa- non aveva alcuna intenzione di cedere. Ed era ben consapevole che posare anche solo lo sguardo sulla piccola Watson lo avrebbe fatto capitolare.
Nel silenzio del salotto, si interrogò più volte su che cosa davvero odiasse, di quel giorno. Il suo eccessivo consumismo? L'illogicità di credere in qualcosa che lui reputava inesistente? O piuttosto, l'ipocrisia?
Forse era proprio quest'ultima.
Tutti si scambiavano per un giorno falsi sorrisi, per poi pugnalarsi alle spalle già la mattina seguente. Almeno lui aveva la decenza di dire le cose subito in faccia, senza trincerarsi dietro ad un giorno come tanti, solo perché a Natale "si deve essere tutti più buoni".
"Il Natale è un momento da passare con le persone che più ci stanno a cuore. Mi dispiace che tu non riesca a vederlo".
La frase pronunciata John si intrufolò nella sua mente, strappandogli una smorfia.
Era solo una facciata, ribadì con testardaggine. E comunque lui non aveva bisogno di passare quella giornata-che era come tutte le altre, si ripeté-con qualcuno. Stava benissimo da solo. Come lo era sempre stato, d'altronde.
Ma nonostante tutte quelle logiche considerazioni, c'era un qualcosa che non gli dava tregua. Una sorta di bruciore fastidioso, nei pressi della sua cassa toracica, ma più precisamente verso la regione cardiaca, di fronte al silenzio che regnava in quel momento nell'appartamento. Mancavano i passi del medico militare sulle scale. Mancava la voce chioccia di Mrs.Hudson. Mancavano le risate della piccola Rosie.
Sherlock aveva sempre apprezzato... anzi, di più: aveva addirittura anelato il silenzio, soprattutto nei momenti in cui doveva risolvere un caso. Aveva bisogno della più totale assenza di suoni, per consentire al suo cervello di operare al massimo. Ma in quel momento invece, quel silenzio arrivava quasi, paradossalmente, a ferirgli le orecchie. Come se quei rumori, che un tempo non avrebbe esitato a definire fastidiosi, gli mancassero...
Un tè. Questo gli ci voleva, per calmare i nervi. Era solo nervoso per la discussione con John. Non era certo triste o dispiaciuto, per carità! Era solo innervosito. E un tè bollente era proprio quello che gli ci voleva.
Aprì dunque gli occhi; ma prima che potesse mettere in atto il suo proposito, qualcosa attirò la sua attenzione: un libro dalla copertina color porpora, abbastanza consunto, posato proprio sul tavolino di fianco alla sua poltrona. Sopra di esso era stato appiccicato un post it, su cui erano state scritte poche righe. Non c'era nessuna firma, ma il detective non ne aveva alcun bisogno:
Nel caso volessi farti una cultura che non riguardi gli omicidi, una volta tanto.
Saremo da Molly, comunque, se cambiassi idea e volessi raggiungerci.
Sherlock passò leggermente un dito sopra le frasi del biglietto: a giudicare dall'inchiostro-leggermente più umido-la terza era stata aggiunta solo dopo qualche minuto rispetto alle precedenti, come se John avesse riflettuto se scriverla o meno:
Nessuno dovrebbe passare il Natale da solo.
Sherlock, avvertì, di nuovo, quel fastidiosissimo bruciore al petto. Ma anche stavolta lo ignorò, ponendo invece attenzione al titolo del volume, scritto a rilevo, in lettere dorate e ornate da eleganti ghirigori:
Un canto di Natale
Di
Charles Dickens
Il detective aveva ormai rinunciato al tè e, dopo neanche un quarto d'ora o poco più, aveva giá letto una trentina di pagine del romanzo, nonostante il disprezzo, l'incredulità e l'indignazione che ogni parola gli suscitava. Finalmente aveva scoperto chi fosse il famoso Scrooge nominato da John. E vedersi paragonato ad un vecchio misantropo scontroso e irascibile, dedito solo ai propri affari e al proprio denaro, non aveva certo migliorato il suo umore!
E poi... quante assurdità, una dietro l'altra! Un batacchio che per magia si trasforma nel volto di un morto... Un fantasma che appare trascinando con sé delle catene... Era una storia talmente assurda da risultare ridicola. I fantasmi non esistono!
Nonostante questo però, era stato catturato, suo malgrado, dalla storia.
Soprattutto certe frasi e certe situazioni, sebbene non lo volesse ammettere-anzi, neppure pensare!- avevano di nuovo risvegliato un pizzico di senso di colpa: il nipote fastidiosamente allegro che cercava di convincere lo zio a partecipare ai festeggiamenti a casa sua gli ricordò John, con tutti i suoi discorsi sulla bellezza del Natale che, a suo parere, lui non riusciva a vedere. E anche quei "Natale? Sciocchezze!" e "Io non festeggio il Natale, non vedo perché dovrei farlo festeggiare ad altri!" pronunciati da Scrooge gli erano sgradevolmente familiari...
Era ormai arrivato al punto in cui lo spettro di Marley preannunciava a Scrooge la venuta di altri tre spiriti.
Ora il tè era una necessità. I nervi, se possibile, gli si erano tesi ancor più di prima.
Chiuse dunque il volume con un gesto secco, senza preoccuparsi di segnare la pagina, e si recò nella cucina. Si chiuse pure alle spalle la porta a vetri che la divideva dal salotto, dandosi, subito dopo, dello stupido. Era infatti un'abitudine che aveva preso da quando Rosie aveva iniziato a gattonare per tutto l'appartamento: essendo la cucina il luogo dove il detective svolgeva la maggior parte dei suoi esperimenti, la piccola avrebbe potuto incappare in pericolose sostanze cadute sul pavimento.
I suoi pensieri volarono anche ad una certa scatola, nascosta nel suo armadio. Non era un regalo di Natale, che fosse ben chiaro! Era un regalo per lei e basta, nulla di più.
L'acqua fischiò nel bollitore, sottraendo nuovamente il corvino alle sue elucubrazioni.
Mentre girava la bustina di tè nel liquido bollente, però, qualcosa lo fece trasalire: un rumore.
Un rumore stranissimo, simile quasi a un suono vero e proprio, ma che non avrebbe saputo definire con precisione: gli parve però, per assurdo, di aver già udito altre volte... Era continuo e ripetuto, simile a un ronzio, eppure non lo era.
Ma, soprattutto, proveniva dal suo salotto...
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