06. Imprevisto e Inesorabile
Tra loro le cose cambiarono gradualmente. L'ostinazione con cui evitavano persino di incrociarsi nei corridoi era svanita, sostituita dalla curiosità di scoprire se anche l'altro, di tanto in tanto, gettasse lo sguardo nella propria direzione. Scambi rari e fugaci che sapevano di proibito e che non potevano impedirsi di lanciare. Nessuno aveva fatto caso al modo in cui Eren, con costanza, transitasse davanti la porta di Ackerman, così come nessuno aveva notato quante fotocopie occorressero a Levi in quell'ultimo periodo solo per passare accanto l'ufficio di Jaeger.
* * * * *
Era ora di pranzo. Chi più chi meno consumava il proprio pasto, mentre Levi tornava in ufficio dopo una riunione coi piani alti. A passo lento superò l'uscio della propria distrazione preferita, schiuso abbastanza da permettergli di ascoltare la conversazione in corso. Si fermò non troppo distante, fingendo di controllare il cellulare.
«Sì, doppio cheeseburger, salsa barbeque e patatine. Oh, e una Coca formato extra! Grazie mille.»
L'Alpha, nel sentire Eren ordinare quelle schifezze, storse il naso. Non si meravigliava del fatto che, a dispetto della sua reale dinamica famosa per forme e rotondità, fosse così magro. Aveva notato la quantità esorbitante di cibo spazzatura che trangugiava alla velocità della luce, quasi senza darsi il tempo di masticare per dedicarlo al lavoro e ad essere produttivo.
Sapeva bene anche dove il ragazzo spesso e volentieri telefonasse per richiedere il pranzo, avendo notato il logo stampato sulla pettorina del fattorino. Si affrettò verso il proprio ufficio, contattando immediatamente il posto per annullare la prenotazione a nome Jaeger. Chiamò invece uno dei suoi ristoranti preferiti, ordinando un'abbondante porzione di pasta al forno da mettere sul proprio conto.
Mezz'ora dopo Eren sentì qualcuno bussare alla porta del suo ufficio, ma non era la persona che aspettava.
«Signor Jaeger?»
«Sì, sono io...»
«Il suo pranzo.»
«Deve esserci un equivoco, io non–»
«È tutto pagato, signore, buon appetito.»
Fu solo nell'attimo in cui vide il contenuto della confezione, che ricordò.
"Sei troppo magro, dovresti seguire una dieta più bilanciata. Meno grassi e più carboidrati... Pasta al forno, ad esempio."
Parole pronunciate casualmente tra una carezza ed un sospiro, finite nel dimenticatoio per far spazio a morsi e suppliche.
Levi non vide mai il rossore sulle gote di Eren mentre mangiava, con gusto ed il sorriso sulle labbra, quel piatto gentilmente offerto. In cuor suo, però, l'avvocato sperò che avesse gradito.
* * * * *
«Mi hai chiamato?»
«Sì, Levi. Entra pure.»
L'ufficio di Erwin Smith era tutto ciò che ogni dipendente di quello studio potesse sognare. Bagno personale, balcone con vista, frigobar, perfino uno schermo ad alta definizione. Entrandovi, Levi non poté far a meno di pensare a quale faccia avrebbe fatto Eren vedendo tutto ciò che vi si trovava, conoscendo la sua ambizione ad occupare un giorno quella scrivania.
Smith non gli permise di sedersi sulla sedia, come fosse un formale colloquio tra datore di lavoro e sottoposto. Lo invitò invece a sedersi sul divano e gli versò un bicchiere di scotch, nonostante fossero solo le undici del mattino. Levi lo portò alle labbra senza però berne neanche una goccia.
«Ti ho invitato qui per parlarti della delicata situazione in cui si trova uno dei miei maggiori clienti e del perché ho deciso di affidarlo a te.»
Restò lì seduto ad ascoltare Smith parlargli di un affare che valeva milioni, del fatto che lo avesse scelto perché lo reputava il migliore, che un successo da parte sua lo avrebbe certamente invogliato a concedergli una promozione.
Quando però entrò nell'ascensore, l'unica cosa che gli rimbombava nella mente come un'eco fastidiosa era il fatto che sarebbe dovuto partire, ironia della sorte, durante il calore di Eren.
Aveva tenuto il conto, con la fievole speranza di poterlo trascorrere insieme. Invece si trovava con in tasca un biglietto per la capitale e sette giorni da trascorrere dall'altro lato del paese. Lontano dall'unico luogo in cui volesse essere e la sola persona con cui volesse stare.
Quando giunse al piano, era scuro in volto e di pessimo umore. Si rinchiuse nel proprio ufficio, pensando e ripensando a una possibile soluzione. Giunse il pomeriggio, infine la sera senza che potesse far altro se non accettare l'idea che Eren sarebbe andato in cerca di qualcuno che tenesse a bada i suoi ormoni impazziti. Un altro Alpha lo avrebbe guardato, toccato, e si sentiva impazzire.
Rassegnatosi, valigetta alla mano, era pronto a tornare a casa e fare la valigia quando sentì qualcuno picchiettare sulla tastiera. Eren, come accadeva spesso, si era trattenuto al lavoro.
Non sapeva il perché, in fondo non avevano più tirato fuori l'argomento e le volte in cui si erano parlati davvero si contavano sulle dita, ma sentiva il bisogno di dirglielo. La necessità di scorgere una sua possibile reazione, anche solo per mettersi il cuore in pace ed essere consapevole che, in ogni caso, nulla tra di loro sarebbe cambiato. Ackerman e Jaeger, nemici-amici con un segreto da condividere.
Aprì senza bussare, proprio come quando tutto era iniziato.
Quando la porta si schiuse, Eren prese un lungo respiro, senza staccare gli occhi dal monitor. Poteva capire chi fosse entrato dal solo odore, senza doversi interrompere dal proprio lavoro, e quello tra tutti era il più familiare e facile da riconoscere.
Levi Ackerman era fresco come il vento di primavera, intenso come un'abetaia ricolma di alberi prima delle festività.
Sorrise ancora prima di alzare lo sguardo, ma l'ombra nelle sue iridi celesti fu un triste benvenuto.
Ancora peggio, ciò che disse subito dopo.
«Starò via per una settimana, parto domani.»
Poche parole che, pronunciate ad alta voce, resero tutto concreto. Sarebbe partito davvero.
«Domani?» ripetè, incapace di trattenere la sorpresa e – sì – lo sgomento.
Sette giorni da domani erano troppo tempo. Il suo calore, poteva sentirlo, sarebbe iniziato entro ventiquattr'ore, massimo quarantotto. Aveva già preso anche i giorni di permesso e ridotto la dose dei soppressori il tanto che bastava per incoraggiare il corpo a regolarizzarsi.
L'aveva fatto contando su di lui. Ed ora Levi gli stava dando buca.
Non poté controllare la rabbia e la delusione che avvelenarono il suo odore dolce.
«Sei venuto a sbattermi in faccia che sei il preferito di Smith? Complimenti. Auguri e figli maschi» commentò, sentendo il sangue ribollire nelle vene.
Invidia, rabbia, delusione.
Abbandono.
L'Alpha si sentì travolgere da ciascuna di queste sensazioni che gli si addensarono nei polmoni come fossero fumo.
Se avesse ricevuto una serie di pugni in pieno viso, era certo avrebbe sentito meno dolore.
Il disappunto di Eren era quasi tangibile nell'aria, l'odore che per mesi lo aveva camuffato da Beta era stato sostituito in quel frangente da una vera e propria vampata, dolce e acre al tempo stesso.
Il calore era alle porte e lui non sarebbe stato lì a sedare la febbre che lo avrebbe inevitabilmente consumato, a placare la sua fame di un corpo che lo toccasse e lo custodisse, a pulirlo e prendersi cura di lui come non aveva mai fatto con nessun altro.
«È una decisione a cui non posso oppormi, Eren» disse, svelando inconsciamente che, se solo fosse stato in suo potere, lo avrebbe fatto; parole che uscirono spontaneamente dalla sua bocca senza che ne avesse alcun controllo, le quali lasciavano trasparire quanta agonia stesse provando in quel momento.
«Naturalmente» rispose l'altro, stringendo con forza una delle mani a pugno sotto al tavolo. La plastica del mouse rischiava di scricchiolare e creparsi un ogni momento. Eren rimase ostinatamente sordo a una verità ovvia che entrambi si rifiutavano di accettare.
Levi sospirò, sconfitto. Non sapeva cos'altro dire o fare per placare l'evidente malcontento del ragazzo.
La porta dell'ufficio di Eren venne richiusa e l'uomo vi si poggiò con la schiena, lo sguardo basso e l'animo in tumulto. Strinse i palmi con tanta forza da ferirsi a sangue, angosciato e disilluso.
Ci aveva sperato.
Lo aveva desiderato.
Invece era andato tutto a puttane.
Eren ringhiò, abbandonandosi sulla sedia. Era bravo a lavorare sotto pressione, ma quella sera già sapeva che non avrebbe combinato più nulla.
Era arrabbiato e triste, infastidito e sicuramente incapace di concentrarsi.
Chiuse tutto una mezz'ora più tardi, dopo essersi dato il tempo di calmarsi un po' e tornò a casa propria. Si mise subito al computer a svolgere le solite ricerche del periodo. Hotel, locali, siti di incontri in città vicine con cui organizzare appuntamenti utili a sfogare il proprio calore e anche la frustrazione che sentiva ribollirgli dentro.
Eppure, non fu capace di concludere nulla.
Le prenotazioni erano pronte per essere confermate, ma il computer venne chiuso con un grugnito e due giorni più tardi, quando si svegliò preso da vampate di calore, fu il soffitto familiare della sua camera da letto la prima cosa che vide.
Per la prima volta nella sua vita, era solo durante il calore.
* * * * *
l meeting che il corvino tenne coi clienti dello studio furono estenuanti. Avrebbe potuto prendersela comoda, in fondo aveva sette giorni a disposizione e i suoi piani erano chiaramente saltati, ma la fievole speranza di fare in tempo, di impedire a Eren di partire in cerca di un partner non voleva abbandonarlo. Quella minuscola fiammella lo tenne concentrato sul proprio obiettivo, ovvero trarre quanto maggior profitto dalla situazione, accontentare il cliente e lo stesso Smith e prendere un volo per tornare a casa. Per fermarlo, anche se questo gli sarebbe costato il suo orgoglio.
Tuttavia, nonostante i buoni propositi e i risultati eccellenti, aveva fallito: era appena la notte del secondo giorno, aveva portato a termine il suo compito in tempo record e non c'era un solo volo disponibile.
Davanti al portatile selezionò la mail di Eren, scrivendogli un conciso: — Sei a casa? — al quale però non ottenne replica. Il giovane passava ore a controllare la casella di posta per lavoro e la sua mancata risposta era imputabile al fatto che fosse già fuori città.
Chiamò quindi il Signor Smith il quale, nonostante la tarda ora gli rispose immediatamente, congratulandosi col proprio dipendente mentre riceveva gli allegati del contratto. Stupito e altresì contento di aver inviato il suo uomo migliore ad affrontare quella battaglia quasi impossibile, decise di concedergli comunque il resto dei giorni previsti per quel lavoro affinché festeggiasse quella importante vittoria.
Levi chiuse il ricevitore, amareggiato: non avrebbe avuto proprio nulla da festeggiare, al suo ritorno.
Il mattino seguente prese uno dei primi voli, accusando dei malesseri che non aveva mai sperimentato prima. Era il primo giorno di calore del castano e Levi, per la prima volta in vita sua, era inspiegabilmente connesso a un Omega, provando così una parte dei dolori e dei patimenti che il ragazzo doveva affrontare ogni tre mesi. Chiese all'hostess un'aspirina e poi, appena atterrato, comprò in aeroporto dei soppressori generici ma nulla sembrava placare la sensazione febbricitante che lo aveva aggredito all'improvviso. Tristemente, si trovò a pensare che quello sgradevole inconveniente si sarebbe certamente attenuato non appena Eren si fosse accoppiato col partner di turno.
Il suo Alpha, a quella prospettiva, ringhiò ferocemente facendo quasi tremare di paura il povero malcapitato tassista.
Il corvino aprì finalmente la porta della propria abitazione e se possibile fu anche peggio. Poteva percepire Eren, sicuramente lontano centinaia di chilometri da lui, e la consapevolezza di non poterlo avere lì tra quelle quattro mura, tra le sue braccia, sulla sua bocca, fu più di quanto riuscisse a sopportare. Scivolò contro la parete, maledicendo sé stesso e il destino.
Era caduto per uno stupido Omega, nonostante i suoi propositi di non lasciarsi invischiare in una situazione che aveva sempre reputato tossica, ma ormai non importava. Non gli sarebbe importato, se solo avesse avuto Eren vicino.
* * * * *
Ricordava bene il dolore che un corpo in calore subiva. Quella giornata infernale, tre mesi prima, passata chiuso in ufficio a contorcersi sudato sulla sedia era scolpita a fuoco nella sua memoria, ma lo era anche il finale. Il modo in cui si era trovato a invocare gli dei, piegato sulla scrivania.
Guaì di dolore. Ripensarci non faceva che peggiorare la situazione. Levi non era lì. Levi se n'era andato senza pensarci due volte.
E lui avrebbe potuto essere tra le lenzuola di almeno un centinaio di Alpha in quel momento, a gridare e alleviare la propria sofferenza; invece mordeva ostinatamente il cuscino del proprio letto, nudo e con la finestra spalancata nonostante fosse febbraio.
Era inutile.
Il freddo non placava il suo bisogno di essere preso e posseduto.
Toccarsi alleviava solo di poco il bruciore infernale che gli faceva ribollire il sangue nelle vene e contrarre i muscoli, mentre il corpo produceva umori che colavano lungo le cosce senza che nessuno potesse beneficiarne.
Il suo cellulare squillò, il mattino seguente, più e più volte ma lui lo ignorò, fino a sentire il familiare suono trillante di un messaggio.
[8:15] Jean Kirshit : So che il tuo culo è in permesso, ma sono sicuro che questa notizia ti rovinerà la giornata. Sai il contratto a cui stava lavorando Ackerman? Lo ha già concluso, quel figlio di puttana. E ha anche beccato una settimana di vacanza. Smith gli sta sbavando così tanto dietro che lascia la scia per terra.
Lo lesse una volta.
Poi un'altra.
E un'altra ancora.
Nulla parve cambiare. Le parole dicevano sempre la stessa cosa. Levi era in città...?
Scorse le mail, impallidendo quando ne trovò una il cui mittente era impossibile da non riconoscere. Sei a casa?, chiedeva.
Sì, ma non per molto.
Dopo essersi fatto una doccia più fredda possibile, infilò qualche vestito in una borsa insieme ai soppressori e chiamò un taxi. Mezz'ora resistette chiuso in quella macchina, avvolto in sciarpe, maglioni e giacca per contenere al massimo l'odore del proprio calore, e quando vide il palazzo dove si trovava l'appartamento del corvino il cuore gli schizzò in gola.
Si era mosso ancora prima di verificare che lui fosse effettivamente lì, tuttavia a quel punto aveva ben poco da perdere. Se il suo piano non avesse funzionato, avrebbe richiamato il taxi e chiesto di essere portato nel primo ricovero Omega nei paraggi, perché quel dolore era troppo da sopportare ormai.
Prese con mani tremanti il cellulare dalla tasca e digitò un numero che aveva salvato da sempre, ma mai si sarebbe sognato di usare.
Squillò tre volte, prima che la voce profonda e stanca dell'Alpha rispondesse.
«Pronto?»
«Levi...» disse mentre l'auto parcheggiava davanti al marciapiede. «Sono Eren.»
L'uomo, all'altro capo, trattenne istintivamente il respiro nell'udire la sua voce. Ancora seduto a terra, esausto e dolorante a causa di quel legame a doppio filo, si sforzò di rispondere con un tono normale il più possibile.
«Eren...»
Dove sei?, sarebbe stata la cosa giusta da dire. Avrebbe risparmiato tanta fatica e tanto imbarazzo. Avrebbe potuto riferire al tassista di cambiare destinazione, a seconda della risposta.
Invece, seguendo un istinto che lo rendeva cieco ad ogni altra possibilità, il giovane afferrò la maniglia della portiera e la aprì, scendendo.
«Sono qui» disse spingendo con la mano stretta a pugno il portone, lasciato socchiuso da qualche inquilino disattento.
A quel punto Levi fu assolutamente certo di aver definitivamente smesso di respirare.
Non era possibile.
Eren era partito, ne era sicuro, non avrebbe avuto senso restare in città preda degli ormoni.
Eppure, perché avrebbe dovuto mentirgli...?
«Qui in città?»
Troppo impaziente per chiamare ed aspettare l'ascensore, Eren aveva iniziato a risalire correndo i gradini.
L'uomo non aveva detto niente che potesse indicare la sua posizione, ma l'Omega lo sapeva. Poteva sentirlo.
Era vicino.
Toccò l'ultimo scalino, ormai col fiatone.
«Qui, sul pianerottolo di casa tua...»
Non sapeva neanche come era arrivato all'ingresso. Si era mosso ancor prima di capire, pensare, sentire altro che non fosse la presenza di Eren. Percepiva il suo odore nonostante la distanza che ancora li separava, la gran quantità di stoffa che certamente lo ricopriva, la porta chiusa a frapporsi tra loro.
Rimosse quell'ostacolo, spalancandola ed eccolo lì, a pochi passi da lui col respiro corto e il cellulare ancora tra le mani.
Restò a fissare le sue iridi sparire, inghiottite dalla pupilla, non appena i loro occhi si incontrarono. A inspirare il suo profumo dolce che non si era accorto gli mancasse così tanto. A sentire il suo cuore, nel petto, battere alla stessa velocità con cui batteva il proprio.
Eren chiuse la chiamata.
La sciarpa si era allentata, scivolando dal collo, ed ora dondolava davanti alla giacca che disperatamente aveva slacciato durante la sua corsa su per le scale.
Niente impediva al suo odore di arrivare all'Alpha e l'Omega guaì quando vide la folle fiamma di desiderio accendersi in quegli occhi azzurri, all'improvviso diventati neri come la pece.
«Ah... Hai aperto davvero...»
Le braccia di Levi lo avvolsero sulla soglia, trascinandolo dentro. La porta non si era ancora chiusa alle sue spalle e già la sua bocca divorava famelica la gemella.
Qualcosa si sciolse nel petto di entrambi ed una nuova sensazione, ormai quasi dimenticata, sorse a inebriarli.
Pace.
Richiuse l'uscio con un piede senza neanche guardare cosa stesse facendo, cibandosi delle sue labbra e dissetandosi del suo profumo che lo chiamava come il canto di una sirena. Lo guidò, senza staccarsi dal giovane un singolo istante.
«Ti avevo detto che l'avrei fatto...» si diede il tempo di rispondergli, biascicando le parole tra un bacio e l'altro.
Le mani di Eren erano già tra i suoi capelli quando fece cadere via il suo giaccone e strofinò le ghiandole poste sul loro collo una contro l'altra. Immediatamente una sensazione di sollievo pervase l'uomo, lontana eco di quello provato dal ragazzo che emise un piagnucolio liberatorio.
«Perché sei rimasto?» ebbe la forza di chiedergli, continuando a frizionare quei lembi di pelle mentre avanzava a tentoni dentro casa alla ricerca della camera da letto.
«Perché sei tornato?» mormorò, nascondendo il sorriso nel morso che inflisse al lobo del suo orecchio.
Eren si sentiva follemente felice, in quel momento. Non c'era nulla al mondo che non andasse. Tutto era perfetto perché le mani di Levi gli avevano appena sfilato la camicia e le sue cosce avevano toccato il bordo del materasso.
Ricordava ogni dettaglio di quella stanza.
All'Omega non servì che l'Alpha pronunciasse alcuna parola. Il suo odore parlò per lui, mentre lo faceva distendere liberandosi frettolosamente dei propri abiti senza abbandonare un attimo la sua pelle incandescente.
Nostalgia. Desiderio. Gelosia.
Gli mancava, lo voleva per sé. Si era praticamente scapezzato per rientrare in città in tempo per il suo calore, e quel pensiero inorgoglì Eren più di quanto avrebbe mai ammesso.
L'uomo ringhiò sommessamente succhiando la ghiandola del ragazzo con cupidigia, ed Eren guaì di piacere in risposta. La pelle del corvino era fresca, paragonata alla sua, ma ovunque lo toccasse sentiva inferno e paradiso fondersi insieme e creare una sensazione unica che solo Levi era in grado di donargli.
Eren stava piangendo.
Lacrime salate gli scivolavano lungo le guance. Non aveva più forza. Non riusciva a sollevare le gambe per stringerle attorno alla sua vita, né a mantenere la presa delle dita sulle sue spalle.
Le mani ricaddero debolmente ai lati dei viso, chiuse in pugni morbidi mentre il corpo tremava e sussultava.
«Non fa–AH! Levi... Levi non pe-perdere... tempo... ti prego... prego...»
Levi si prese un istante per guardare Eren. Per imprimere nella propria mente l'immagine dell'Omega con gli occhi lucidi, mentre scie brillanti scorrevano sulle sue gote arrossate.
Era bellissimo.
Era perfetto.
Era suo.
Sollevandogli le gambe si fece spazio per accomodarsi dove gli umori del ragazzo avevano ormai impregnato il letto. Un invito, una supplica, una vera e propria preghiera.
Con lentezza si appropriò del suo corpo bollente, la propria bocca schiusa a pochi millimetri dalla sua che emetteva piccoli e dolci gemiti.
Dio, se gli era mancato. Dio, se lo aveva sognato...!
«Ah... Eren...»
Spinte docili per meglio godere di quel momento, per osservare i suoi occhi smeraldini fissarlo con la stessa smania di possesso che certamente brillava nei propri.
Era così difficile reggere il suo sguardo quando l'unico istinto di Eren era quello di serrare le palpebre e urlare, la testa piegata, la schiena inarcata in una curva morbida.
Gli avvolse invece le braccia al collo, singhiozzando, stringendolo petto contro petto. Non ricordava quanto l'avesse aspettato. Desiderato.
Ogni sospiro, ogni graffio, ogni volta che si muoveva andando incontro ai suoi movimenti cadenzati erano parole inespresse.
Ti voglio. Prendimi. Ancora.
E l'Alpha accoglieva quella tacita richiesta con l'unico desiderio di soddisfarlo, compiacerlo. Percorse con le labbra il viso caramellato del giovane che aveva affollato i suoi pensieri, sfiorandolo leggero come una piuma, saggiando le sue lacrime fino a giungere, tentatore, sulla sua bocca: voleva sentirglielo dire, era un vero e proprio bisogno fisico da soddisfare.
«Dillo, Eren, che non riuscivi a immaginare di essere toccato da nessun altro all'infuori di me...»
Incurvò la schiena quanto bastava per insinuarsi più a fondo dentro di lui, le pareti del castano che si contraevano dal piacere mentre gemeva senza ritegno lacerandogli la pelle sotto le unghie.
La virilità di Levi spingeva dentro di lui, strappandogli il respiro. Eren si agitava, aggrappandosi all'uomo con ogni briciolo di energia che gli fosse rimasta. Era certo che ad atto compiuto sarebbe crollato, ma le braccia di Levi sarebbero state la sua culla.
Per permettergli di rispondere, l'Alpha fu costretto a rallentare quelle spinte che li tenevano l'uno avvinto all'altro, cosicché potesse respirare. Calmarsi. Parlare, infine.
«No... Ah... Non volevo. Nessuno... è te... Ci ho provato, a cercare... Potevo farlo... Ah! Non erano... te...»
Una mano dell'uomo andò a pettinare i capelli sudati dell'Omega sotto di lui, ed Eren rincorse quel contatto.
«Credevo fossi partito. Mi sono sentito impazzire al pensiero che qualcuno ti stringesse come sto facendo io.»
Scalciò e quel colpo sulle cosce spinse un po' più forte, un po' più a fondo, Levi dentro di sé.
Entrambi strozzarono un gemito, arrivando vicini a baciarsi. Così vicini.
Eppure il bisogno di parlare e rassicurarsi, in quel momento, era più forte di quello di scambiarsi simili effusioni.
«Ah! Quando sei... andato via... Mi sono sentito morire... Le-Levi... Ah...»
L'uomo poggiò la fronte sulla sua, gli occhi chiusi e l'animo in subbuglio.
«Non sai quanto mi è costato andarmene... Lasciarti, con la crudele certezza che non mi avresti aspettato.»
Quando sollevò le palpebre, quell'incubo svanì sostituito dalla visione di Eren, lì tra le sue braccia che lo guardava colmo di desiderio. Lo accarezzò, muovendosi piano dentro di lui e facendolo mugolare.
«Ma sei qui, con me» gli disse, sospingendosi in avanti come un'onda che inesorabile batte contro gli scogli, infrangendosi per poi tornare ad attaccare con esasperante costanza.
Sembrava una magia. Una surreale magia la lentezza regolare con cui l'Alpha si spingeva nell'Omega. Due creature il cui unico scopo al mondo è accoppiarsi, non si prendono il proprio tempo quando l'istinto chiama. Eppure...
Nuove lacrime calde scivolarono lungo il viso di Eren, facendogli bruciare gli occhi per il sale che contenevano. Levi le leccò un'altra volta, ottenendo singhiozzi grati in risposta, pieni di trasporto e tenerezza.
Non aveva importanza cosa fosse stato, ma solo ciò che c'era in quel momento.
Il corvino si beò di quei suoni che lasciavano le sue labbra e la sua gola, accarezzandolo e baciando ogni angolo del suo volto come fosse qualcosa di fragile e prezioso. E lo era, in quel frangente di assoluta debolezza dove si era affidato completamente a lui e lui soltanto. Sapere che era disposto a trascorrere quei giorni in pena e solitudine, piuttosto che lasciarsi andare tra le braccia di un altro, gli gonfiò il petto di gioia. Mai nella sua vita Levi si era sentito tanto felice come allora.
Aveva sempre creduto che il lavoro gli avrebbe regalato le giuste soddisfazioni, che intraprendere una relazione si sarebbe rivelato un madornale errore e avrebbe perso di vista i propri obiettivi appannaggio della dinamica opposta. Che si sarebbe ritrovato a proteggere e servire, lui che era un combattente e un vincitore.
Ma Eren si era insinuato, giorno dopo giorno, sotto la sua pelle raggiungendo mente e cuore per non lasciarli più. Era lui ad averlo conquistato con la sua tenacia, determinazione, la sua lingua lunga.
Eren, non l'Omega.
Solo Eren.
«Eren...»
La bocca dell'uomo coprì quella dell'altro in un bacio dolce e appassionato, aumentando al contempo la cadenza delle spinte. Ingoiò i singhiozzi, mugolii e guaiti che tentavano di lasciare la sua gola – ruggendo rassicurante in risposta – sempre più intensi mentre ormai martellava il suo corpo come fosse metallo incandescente da forgiare a nuova forma: la propria.
Toccando l'apice dell'orgasmo, Eren lasciò le sue labbra. L'Alpha poté ascoltare ogni nota di quel latrato acuto che gli spezzò il respiro. L'adrenalina gli diede la forza necessaria ad artigliare nuovamente le dita sulle spalle dai muscoli contratti. Tutto il suo corpo si tese disperato, stringendosi all'uomo che, liberato il proprio seme all'interno del ragazzo ormai esausto, percepì lo knot gonfiarsi e imprigionarlo ulteriormente, Alpha ed Omega che rifiutavano con ogni mezzo che la natura forniva loro di perdersi ancora.
Sorpreso e allarmato per la possibile reazione del suo giovane compagno, Levi abbassò lo sguardo ma Eren riposava, il respiro affannato e gli occhi socchiusi. Le mani aperte adagiate ai lati del viso.
Calmo.
Sereno.
Sembrava essere sull'orlo tra coscienza e oblio, incerto se lasciarsi andare o lottare per resistere un altro minuto.
«Stai bene, Eren?»
La voce preoccupata del corvino giunse ovattata all'Omega che, debolmente, scosse la testa accennando un piccolo sorriso.
L'uomo sapeva perfettamente cosa fosse accaduto, ma non aveva mai vissuto un'esperienza simile. Lo knot era quasi la prassi in una coppia marchiata, e poteva verificarsi all'interno di una coppia consolidata da tempo; per Eren e Levi era appena il secondo calore che trascorrevano insieme, ed altamente improbabile se non impossibile il verificarsi di una simile eventualità.
L'unica spiegazione logica che seppe darsi era che le loro dinamiche fossero così compatibili da scatenare una reazione a catena, portandoli a legarsi per quanto fosse loro concesso.
L'Alpha sfregò la gola su quella dell'altro, lì dove la ghiandola resa lucida dagli umori pregava di essere toccata, gorgoliando sommessamente. Rassicurando Eren e sé stesso andava tutto bene, che fossero insieme e nulla nei giorni a venire avrebbe potuto dividerli.
Il suo odore mutò, parlando al ragazzo attraverso i suoi sensi annebbiati dalla stanchezza.
Protezione. Affetto.
E mentre si sistemava come meglio poteva per non arrecargli fastidio a causa dello knot, sussurrò al suo orecchio qualcosa di cui non si era reso conto prima di riaverlo finalmente tra le proprie braccia.
«Non voglio lasciarti andare...»
Restò così ad ascoltare il suo respiro ormai regolare, la stanchezza e la tensione degli ultimi giorni completamente svanita per esser sostituita da gioia e soddisfazione.
Si sentiva bene.
Si sentiva completo.
Chiuse gli occhi, cullato dal petto del giovane Omega addormentato.
* * * * *
Eren non riposò per molto. Presto Levi vide i suoi occhi verdi aprirsi, guardandosi attorno. Le pupille nere si restrinsero per la sorpresa del ricordare dove si trovasse. Con chi.
«Oh...» disse, inarcando la schiena per allontanarsi, guadagnando i pochi centimetri necessari a guardarlo. «Ehi...»
«Come ti senti?»
L'Omega stiracchiò braccia e gambe, prima di tornare a raggomitolarsi contro il corvino.
«Decisamente meglio...»
«Senti...» iniziò il corvino, indeciso su come affrontare l'argomento. «Senti dolore...?»
Gli rivolse quella domanda con titubanza. Forse aveva paura di sentirsi dire che per lui non era una novità, che gli era capitato con uno dei tanti Alpha con cui era stato. Che aveva sperimentato già una connessione simile con qualcuno che non fosse lui.
«U-un po'...» balbettò ed il suo tono di voce così flebile e imbarazzato fece arrossire l'Alpha, il quale nascose il viso tra i suoi capelli con la scusa di strofinarvisi.
«Non molto. È tutto okay... Credo che una parte di me se l'aspettasse...»
«Cosa intendi?» chiese l'uomo senza muoversi dal proprio nascondiglio.
«Intendo che... ciò che abbiamo detto e fatto... Il modo in cui mi sentivo... Riuscivo solo a pensare che avrei voluto tenerti con me e questo era il modo più immediato per farlo, no?»
Eren sorrideva, accarezzandogli i capelli. Le dita sfioravano l'undercut e risalivano fino alle ciocche più lunghe, lasciandole scorrere fino a cadere. «Istintivo...»
Levi non riuscì a impedirsi di gorgogliare, beato, a quel dolce contatto. Le mani di Eren erano calde, delicate tanto quanto erano feroci nel lacerargli la pelle ad ogni amplesso.
«Ho provato lo stesso...» mormorò con voce bassa, la gola resa secca dall'emozione. «Non ho desiderato altro che questo, ultimamente.»
Sollevò il busto, puntellandosi col gomito sul materasso, quanto bastava per guardarlo nuovamente negli occhi. Era magnifico potercisi specchiare ancora, averlo così dannatamente vicino eppure desiderare di poter annullare una distanza – già di per sé inesistente – con tanta forza da far quasi male.
«Ho contato i giorni. Ho atteso il tuo calore sperando che, restando nei paraggi, mi avresti scelto. Mi è crollato il mondo addosso quando ho visto il biglietto aereo.»
L'odore dell'Omega, così inebriante e seducente da farlo capitolare all'istante quella sera di tre mesi prima, lo faceva sentire sulle cime del paradiso. Gli erano mancati quei momenti, ma più di tutto gli era mancato Eren.
Lasciò che le sue mani dai capelli gli scivolassero lungo il viso, accarezzandolo fino a ricadere sulle spalle pallide.
«Sì, ecco... A questo proposito... Mi dispiace di essere stato così brusco, l'altro giorno. Non volevo notassi che c'ero rimasto male anche io...»
Levi accennò vagamente un sorriso.
«Era piuttosto palese» mentì, i polpastrelli che sfioravano con delicatezza il suo profilo. «L'unica cosa a cui riuscivo a pensare era di averti deluso. Che saresti partito. Che ti avrei perso.»
Gli occhi di Eren brillarono divertiti. Girando il viso, cercò di prendere tra le labbra le sue dita, per un attimo dimentico del discorso serio che stavano affrontando.
Levi sfruttò quel piccolo gioco, portando il castano a piegare la testa all'indietro per inseguirle. La sua gola ora esposta divenne il bersaglio della bocca dell'Alpha, che ne tracciò la lunghezza facendo in modo che il ragazzo, intrappolato sotto di lui, sentisse i denti contro la pelle.
Un lieve guaito irruppe dalle sue labbra gonfie.
«A-Ah... Non sapevo neanche... fossi in città... Me-me l'ha detto... Jean... ahh...»
«Oh, tu e il cavallo siete amici? C'è qualcosa che non so, Eren...?»
«Amici... Pft!» rise il ragazzo, scuotendo la testa. «Quello è solo un idiot–AH!» La sua scioccata calma durò solo pochi secondi, finché i denti del corvino non gli spezzarono il respiro.
«Quindi avevi preferito trascorrere il calore da solo, piuttosto che con un altro Alpha? Piuttosto che senza di me?»
L'uomo prese a mordicchiare la carne morbida del suo collo, facendolo sospirare dal piacere e artigliare nuovamente le dita tra i suoi capelli, tirandoli fino a farlo ringhiare sommessamente.
«Non puoi farmi parlare mentre... Mentre... Mhmm...»
«Mentre cosa...? Godi delle mie attenzioni? Preferisci che le sposti altrove?»
Non riusciva a non sentirsi euforico, Levi, potente eppure schiavo del ragazzo che si contorceva senza sosta e inarcava contro di lui per meglio percepirlo. Pelle contro pelle, mentre l'uomo scendeva con straziante lentezza verso il suo petto magro.
«Ah!»
Un verso acuto lasciò la bocca di Eren quando la lingua dell'altro stuzzicò un capezzolo, rosa e sensibile.
«Riesci a concentrarti meglio, ora? Eravamo rimasti al fatto che Kirschtein sia palesemente un idiota...» disse l'Alpha, massaggiando con le dita il bottoncino di carne gemello. «Aspetto di sentire il resto: saresti rimasto solo piuttosto che senza di me, Eren?»
Non gli diede tempo di rispondere. La sua bocca si impossessò di quell'angolo di paradiso, succhiando e mordendo a intervalli regolari facendolo imprecare e guaire all'unisono.
Una vampata di calore lo attraversò, tramutandosi in profumo dolce e ardente.
«Dopo... Do-dopo... Ahh... Levi...»
Non aveva la forza di contrastarlo. Non l'aveva quando era nel pieno delle energie, sicuramente non l'avrebbe avuta in quel momento, dopo un'intera giornata di calore passata a contorcersi da solo nel letto e con le conseguenze di un rapporto appena consumato.
Il maggiore, colpito in pieno dagli ormoni dell'Omega, accantonò momentaneamente l'argomento. Preda dell'istinto, il suo Alpha rispose immediatamente al richiamo del compagno, intenzionato a riservargli tutte le attenzioni di cui necessitava. Lo avrebbe stretto, morso, accarezzato, posseduto tanto quanto lo supplicava col suo odore intenso e intossicante.
Non ebbe bisogno di udire altro provenire dalla sua bocca se non gli ansimi e i gemiti, i sospiri e le grida mentre scendeva tra le sue cosce, mordendo e leccando ogni centimetro del suo corpo febbricitante e profumato.
Di nuovo, Eren toccò il Paradiso.
Levi era diverso da chiunque altro. Dare piacere ad Eren per lui era importante quanto darne a sé stesso. Prima delle notti in casa sua, mesi prima, la sua erezione non era mai stata toccata a quel modo. La bocca di Levi invece l'aveva accarezzata per il puro scopo di fargli raggiungere l'orgasmo e renderlo completo.
L'uomo lo sentiva tremare ad ogni lappata, imprecare e guaire quando i suoi denti scorrevano sulla pelle bollente e bagnata, piangeva ogni qualvolta la sua bocca torturava le ghiandole poste nel suo interno coscia. Gonfie, incandescenti, producevano una secrezione il cui odore lo stava portando sull'orlo della follia. Il suo istinto Alpha avrebbe voluto morderle con forza, facendo sgorgare il sangue ed imprimere il proprio marchio su quel corpo che aveva desiderato per giorni, settimane, mesi interi e da cui non avrebbe voluto separarsi mai più. Ebbe invece la forza di tornare a dedicarsi alla virilità pulsante e arrossata dell'Omega, in lacrime e senza fiato, portando al contempo una mano nel punto in cui Eren lo avrebbe nuovamente accolto. Grondava umori con incessante costanza in attesa che il compagno finalmente lo reclamasse, sedando quel bisogno incontrollabile e insostenibile. Levi voleva essere certo che Eren non sentisse dolore, che non avesse sminuito la portata del fastidio sperimentato a causa dello knot. Certo di poterlo stringere ancora tra le proprie braccia nei giorni a venire, perché la preoccupazione per quell'essere così irriverente e al contempo bisognoso di attenzioni lo avrebbe divorato vivo.
«Stai bene, Eren? Posso toccarti...?» gli chiese, le labbra rese gonfie e lucide dall'olio denso che aveva saggiato fino a poco prima.
In quel momento, Eren aveva completamente perduto l'uso della parola, così come il controllo su di sé. L'Omega rispose per lui, guaendo per invitare l'Alpha a possederlo senza domandare, perché non avrebbe mai potuto rifiutarlo; in nessuna circostanza, in nessuna vita.
Era un animale a caccia di piacere, che insegue l'orgasmo braccando il partner, concedendosi a lui, prendendo ciò che desidera. Il suo odore, il suono della sua voce, erano una creazione della natura. Perfette, seducenti. Trappole studiate per attrarre, irretire, trattenere.
Fu un attimo e Levi si ritrovò ancora una volta avviluppato dal suo calore.
Non pensò a nulla che fosse coerente o minimamente logico. Entrò dentro di lui con un movimento fluido e deciso, grugnendo sulla sua bocca rossa che liberò un verso disperato.
Eren si aggrappò alle sue spalle, graffiandogli la schiena fino a farla sanguinare, sollevando le cosce quanto bastava per permettergli migliore accesso a quel punto del suo corpo che anelava di essere colpito e torturato.
Gridò il suo nome e Levi sentì il proprio petto scaldarsi immediatamente, un tepore che si espandeva ed irradiava sempre più ad ogni gemito e nuovo bacio.
«Ah, cazzo!» imprecò, la fronte imperlata di sudore mentre il ragazzo gli mordeva la gola momentaneamente esposta. Lo sentì succhiare con forza, e tremò sopra di lui spingendosi in avanti con foga sempre maggiore.
Perché era così naturale, unirsi a lui?
Perché le sue grida acute erano benzina su un incendio?
Perché tutto, dalla curva del collo al modo in cui i muscoli si flettevano, muovendosi sottopelle, procurava a Levi una scossa così profonda, viscerale?
Il dolore era qualcosa di sconosciuto, per loro. Nella dimensione nella quale il sesso li trasportava, niente era spiacevole o negativo. C'era solo calore, sudore, umori e spinte e grida ed Eren, Eren, Levi, ancora. Ancora. Di più.
E quando finiva, la melodia di quella realtà parallela restava a pulsare nelle loro menti per interi minuti, ore come il canto della sirena, il cui unico scopo era afferrare loro due, inconsapevoli vittime, trascinandoli di nuovo in quel personale abisso di follia.
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