28. What you must not hear
Canzone nei media:
Element - Fifth Dawn
"Ci sono giorni in cui il mondo mente,
giorni in cui dice il vero.
Stasera dice il vero -
E con quale triste e insistente bellezza."
(Albert Camus)
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Nel momento in cui Britta mi lasciò sola mi sarei aspettata di restare bloccata a rimuginare, accasciata contro uno scaffale in preda alla confusione. Per questo mi stupii quando, non appena l'eco dei suoi passi si spense, girai i tacchi e corsi verso l'uscita. Spuntai dalla soglia come spiritata, guardandomi attorno per essere sicura che non ci fosse nessuno.
Il temporale era ancora più selvaggio di prima: i fulmini illuminavano il corridoio a tempi alterni, i tuoni così forti da farmi tremare dalla testa ai piedi. Dovevo tornare alla mia stanza il più in fretta possibile, ma avevo troppa paura per percorrere i corridoi principali. Paura di incrociare Victor e dover spiegare cosa ci facevo in giro o dove avessi trovato quel dannato libro. Perché lo avevo preso? Perché avevo dato ascolto a quella pazza? Era assurdo quello che andava farneticando.
Ma.
Perché un "ma" c'era.
Aleggiava sopra di me e attendeva solo che gli permettessi di cadermi addosso. Insomma, c'erano delle cose che non quadravano, ma da un paio di strani atteggiamenti al volermi sacrificare c'era un bel po' di differenza.
Non
ricordi.
Non ricordare cosa?
Lo hai
dimenticato.
C'era
scritto.
Guardai l'aria attorno a me cercando di capire di cosa accidenti stavano parlando le voci, ma senza riuscire a trovare un senso. Dimenticato? Scritto?
Folle.
In ge nua.
Deglutii a fatica, ancora aggirandomi come una ladra, e raggiunsi la porta che mi avrebbe portato nel dedalo interno, dove sapevo non avrei incontrato chi volevo evitare. Quell'insopportabile velo azzurro mi dava ai nervi; avrei voluto strapparmelo dagli occhi e tornare alla vista a cui ero abituata, a scrutare le tenebre come qualsiasi altro essere umano... ma non potevo, non potevo espellere il sangue innaturale che mi teneva in vita, perché ora sapevo che non poteva esistere alcuna Zoë Marie Turunen senza l'enkelin che si nascondeva dentro di lei.
Io ero l'enkelin.
Che mi piacesse o no, ero come loro, e loro erano come me, nonostante non lo capissi appieno.
E anche quella Britta lo era.
È possibile che mi abbia mentito, mi dissi. Ma io conosco la sua dinastia. I Divokost' sono i più fedeli alleati degli enkelin. Ma se gli enkelin sono cattivi cosa significa tutto ciò? Fu lì che me ne resi conto: c'erano davvero troppe cose che non quadravano.
D'improvviso mi fermai, accorgendomi di non sapere dove stavo andando. Presa dai miei pensieri avevo lasciato che le gambe andassero dove volevano e non riconoscevo il posto. Non avevo ricordi di aver mai visto quel corridoio prima e questo mi spaventò ancora di più.
Mi fermai e, sommersa dalla vastità, mi poggiai alla parete, scivolandovi contro fino a terra. Lì mi accartocciai, piegando le ginocchia, e nascosi il viso dietro le braccia. Cosa stavo facendo? Chi volevo prendere in giro? Ero tornata da dove avevo iniziato.
I singhiozzi iniziarono da soli, silenziosi ma sempre più dolorosi a ogni respiro. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta in cui avevo pianto, ma sapevo di non poter permettere che quel crollo nervoso diventasse qualcosa di più grande, che si tramutasse in uno sfogo per tutto ciò che non quadrava nella mia vita.
«Basta» bisbigliai a mezza voce. «Riprenditi, forza.» Mi asciugai con violenza le guance, scuotendo la testa per ricacciare tutto indietro, nel buco in cui lo avevo lasciato per anni. Non avevo intenzione di togliere il lucchetto adesso.
Mi alzai in piedi, tirando su con il naso, e mi scrollai di dosso la polvere. Misi un piede dopo l'altro, convincendomi che, piano piano, a ogni passo, quelle fitte al costato sarebbero sparite. Studiando il corridoio stretto, largo a malapena per una persona, camminai circospetta. Le porte sui lati non erano chiuse, gli usci solo appoggiati, e quando mi azzardai a dare un'occhiata all'interno, scoprii che le stanze erano completamente vuote, oltre che vicoli ciechi. Camere da una sola entrata e prive di una storia, un'identità. Mi sentii un po' come loro.
Mi allontanai lentamente dalla soglia, scrutandola come temessi potesse svanire davanti a me, e indietreggiai prima di voltarmi.
Le voci si risvegliarono.
Attenta!
Dissero.
Non sei sola!
Fu una sensazione istantanea che mi fece andare di traverso la saliva. Sul momento pensai che, non appena mi fossi girata, mi sarei trovata di fronte qualcuno, ma nel corridoio non c'era anima viva. Compresi solo dopo pochi istanti di cosa si trattava: vicino, da qualche parte lì nei paraggi, udii echeggiare un vociare estraneo.
Procedetti ancora più guardinga, svoltando l'angolo e spuntando su un pianerottolo. Lì c'era una scalinata a chioccola che andava verso l'alto e verso il basso, con scalini ripidi e una ringhiera di metallo scuro. Il chiacchiericcio giungeva da poco sopra di me, proprio nella direzione in cui dovevo andare. Spalancai gli occhi quando riconobbi di chi si trattava.
Da dove mi trovavo sentivo ogni cosa, tanto era denso il silenzio, ma decisi di arrischiarmi ad avvicinarmi comunque. Lasciai la lanterna a terra e salii i pochi gradini con calma, poggiando i piedi il più lentamente potei.
Aušrius e Soraya erano immobili sul pianerottolo del secondo piano, a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altra. Lei teneva le braccia incrociate al petto, vestita con una tuta grigia che dava l'impressione di essere scomoda; lui vestiva come al solito, proteso verso di lei con un'espressione scocciata. Sulle loro teste pendeva una lampadina, che rischiarava lo spazio con una luce aranciata.
«Cosa credi di fare, esattamente, Soraya?» sussurrò Aušrius. Lei non rispose, indifferente alla sua vicinanza. Si limitava a fissarlo e io scrutavo lei dallo spiraglio che gli scalini creavano. Lui rise sottovoce. «Non so cosa tu stia pianificando, ma sarò meglio per te farmi passare.»
«No» replicò lei impassibile.
«Devo ricordarti chi sono?»
«No, non devi.»
Aušrius spalancò gli occhi. «Devo allora forse avvertire mio fratello del tuo comportamento?»
Stavolta fu il turno di Soraya di ridere. «Sappiamo entrambi che è una minaccia vuota.» Aušrius tacque. «Quindi no, non ho intenzione di farti passare.»
Lui si avvicinò ancora di più al suo volto, scrutandola direttamente negli occhi. «Cosa stai nascondendo?»
«Nulla.»
«C'entra il temporale, vero?» Aušrius aprì la bocca e inspirò a fondo, sconcertato. «Ti sei messa d'accordo con Britta? Wow, inaspettato.» Soraya rimase in silenzio. «Questa è nuova, sono sicuro che a Dimitar farebbe molto piacere scoprirlo.»
«So che non dirai nulla. Se proprio vuoi minacciarmi dovresti almeno evitare di guardarmi dritto in faccia» la ragazza inclinò il capo, sorridendo.
Cosa diavolo sto vedendo?
Guarda, tu
guarda.
«Spero tu sappia che state rischiando grosso. Tu a trattenermi qui e Britta a... beh, immagino stia cercando di parlare con l'enkelin.» Cadde il silenzio, fino a quando lui non riprese parola: «Se gli altri lo scoprono, siete morte.»
«E a te cosa importa?»
Aušrius ci mise un attimo a rispondere, ma quando lo fece la sua voce nascondeva un ringhio di disappunto. «Assolutamente nulla. Ma lo dico per voi. Non condivido i metodi di mio fratello.»
«Allora non fare niente che ci tradisca.»
Il ragazzo scoppiò in una risata amara. «E pensi che l'enkelin vi crederà? Victor l'ha intortata molto bene. Buona fortuna a convincerla.» Il battito che persi mi tolse il respiro. Oddio.
«Non mi sembri molto d'accordo con quello che i tuoi fratelli stanno facendo» notò Soraya con un ghigno, studiandolo. Da dove mi trovavo potevo vedere che non aveva sbattuto le palpebre una singola volta. «Qualcuno potrebbe anche sostenere che sembri... stranamente neutrale.»
«Tu non sai niente» sibilò il ragazzo, portando il viso a un soffio da quello di lei.
Soraya sorrise, non muovendosi di un centimetro. «So più di quanto tu conosca di te stesso.» Dopo aver parlato anche lei fece un passo avanti, quasi annullando la distanza fra loro. Gli puntò un indice contro il petto. «Mi basta guardarti negli occhi.» Fece una pausa. «E dimmi, quando la uccideranno... cosa farai? Rimarrai chiuso nella tua stanza a piangere? Non è mai abbastanza affilata, quella spada, vero?»
No... non può essere.
Il mio cuore si fermò. Rimasi boccheggiante, in attesa che succedesse qualcosa che smentisse quelle parole, che Aušrius dicesse che era pazza, che era tutta una bugia. Ma sarebbe stato troppo bello e, beh... in quel caso adesso non sarei dove sono.
«Non ti deve interessare cosa farò io. La sacrificheranno, punto. Credi che tu, io o Britta potremmo mai fare qualcosa?» Scoppiò a ridere di nuovo, frustrato. «Dimitar sta solo aspettando una buona scusa per sgozzarmi. Non voglio avere niente a che fare con questa storia del cazzo! Io ho cercato di aiutarla, ma guarda un po', lei è ancora qui!»
«Quindi non la vuoi morta.»
«Non replicherò a questa domanda, tanto conosci già la risposta.»
Soraya disse qualcosa che aveva a che fare con la blasfemia, ma io non stavo più ascoltando. I battiti sordi del mio cuore mi avevano riempito i timpani e stavo soffocando sotto al mio stesso terrore. Era tutto vero. Come avevo potuto essere così sciocca? Come avevo potuto non vedere la realtà che stava in bella vista a pochi centimetri dal mio naso? Avevo preferito adagiarmi su un profumato prato di bugie piuttosto che indagare. Avevo preferito i dolci baci di quel bastardo e le sue parole adornate di rose piuttosto che la libertà.
Una risata premette per scoppiarmi di gola. Mi aveva raggirata per bene, convincendomi che avrei potuto andarmene quando volevo, che se solo lo avessi desiderato sarei potuta tornare a casa. Mi aveva portata a Grimlanes e io avevo dato le spalle alla mia vecchia vita. Due volte. Aveva picchiato Richard per quello che mi aveva fatto, predicando principi e valori, ma poi non aveva fatto altro che mentirmi.
Volevano uccidermi.
E io ero stata tanto stupida da andarci a letto.
Non riuscii più a trattenermi, mi voltai e corsi giù dalle scale nello stesso momento in cui Soraya mormorava: «Aspetta... il portone? Cos'è che hai fatto?!» Il mio cervello non collegò, non in quel momento, troppo sommerso da informazioni perché potessi capire cosa mi succedeva attorno.
Con il libro ancora sotto al braccio e la lanterna in mano mi lanciai giù lungo le scale e sbucai al piano terra. Corsi a perdifiato, diretta alla mia stanza. La verità mi inseguiva come una bestia rabbiosa e l'unica cosa che volevo era mettere quanta più distanza fra me e lei, così che non potesse mai raggiungermi.
Ma erano solo illusioni e nessun luogo avrebbe potuto allontanarmi abbastanza dalla consapevolezza di essere stata tradita e che fosse tutta colpa mia.
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Betaggio a cura di Sayami98
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