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27. Deadly night shadows

Canzone nei media:
Sleepwalking - DIAMANTE

"Anche il sogno non è che un'ombra."
(William Shakespeare)

❇️

Può una luce abbagliante giungere da una creatura che appartiene alle ombre?

Era la domanda che mi ponevo mentre, stesa sul materasso, facevo scorrere l'indice fra le scapole di Victor. I sussurri che esalava mi riempivano la testa e la sua bellezza mi riempiva gli occhi. E mi chiesi perché ci avessi messo così tanto. Perché mi ero fatta fermare dal suo carattere, mi ero convinta di non sopportarlo e che non andasse bene per me. In qualche modo, Victor trascendeva dove gli altri avevano fallito.

Che fosse il fatto che non era umano, che fosse la Bestia, che fosse che ero impazzita... ma quell'interruttore che era scattato dentro di me stava mettendo in luce ogni singolo elemento positivo in lui. Era come se le caratteristiche negative, che all'inizio non avevano fatto altro che impilarsi... fossero semplicemente sparite.

Volevo che i suoi occhi mi scrutassero fino a cancellare ogni traccia di senso di colpa.

Volevo che la sua voce ripetesse il mio nome fino a farmi uscire di senno.

Volevo che le sue mani mi toccassero fino a quando non avrei preso fuoco.

Eravamo chiusi nella sua stanza da tre ore.

Victor emise uno sbuffo e voltò la testa verso di me, osservandomi con un occhio chiuso. «Questo non era previsto, enkelin, lo sai?» biascicò.

«Cosa?»

Lui si sollevò sui gomiti e io mi scostai, imitandolo. Si guardò attorno. «Questo. Sei alla magione per un motivo, ma questo non era nei piani.»

Sbuffai anch'io e mi misi a pancia in su. «Che c'è di male?»

«Mh, andando per gradi? Le regole del nostro mondo vietano categoricamente l'unione fra Demonai ed Enkelit. È considerata blasfemia e una mancanza di rispetto agli dèi.»

Senza riuscire a trattenermi, mi lasciai scappare una risata. «Dubito che a un dio importi con chi vado a letto.»

Victor mi studiò in silenzio, senza replicare, ma il verde dei suoi occhi si fece più cupo. Era sempre quell'ombra, la stessa che non sapevo decifrare. Non ero così ingenua da pensare che non ci sarebbero più stati segreti fra noi. Lui li aveva. Io li avevo. E nessuno dei due era ancora intenzionato a svelarli.

«Lo trovi limitante?» aggiunsi dopo un po'. Lui mi guardò confuso. Con i capelli biondi così scompigliati e solo un leggero strato di barba sembrava l'incarnazione del sole. «Intendo il fatto che sia considerato blasfemo.»

Victor prese un respiro profondo, valutando bene le parole. «Un tempo? Sì.» Si zittì per un istante, poi scosse le spalle e mi scrutò. «Ma adesso? La Corte non può dirmi nulla e non sono rimasti demono capaci di giudicarmi. Con chi vado a letto è affar mio e di nessun altro.» Lasciò affiorare un sorriso sulle labbra. «E poi... ho sempre avuto un'affinità con l'infrangere le regole.»

«Oh, quindi sei un ribelle.»

«Ti sorprenderebbe sapere quanto ho fatto impazzire Dimitar durante tutto l'Ottocento. Non c'era giorno in cui non avesse i nervi a fior di pelle.»

Aveva parlato con serenità, come stessimo discutendo di eventi accaduti il giorno prima, e non di un tempo in cui nemmeno la mia bisnonna era ancora nata. Questo riaccese un campanello vicino al mio orecchio. Lui non era quello che sembrava. Non potevo ignorare i contorni della Bestia che fluttuavano attorno a lui, non potevo dimenticare che non era umano, né che, per quanto lui potesse dimostrare non più di venticinque anni, ne aveva molti di più.

Lui aveva vissuto più di una vita.

E io ero arrivata solo nell'ultima.

In qualche modo, questo avrebbe dovuto farmi vacillare. Insomma, avrebbe mandato in pezzi il cervello di chiunque, ma qualcosa nella mia testa doveva funzionare in modo sbagliato, perché il motivo per cui non mi soffermavo su questi dettagli... era che li avevo accettati. Poteva avere cento, seicento, mille anni e mi sarebbe andato bene comunque. Perché era immortale, mentre io avevo i giorni contati, prima o poi sarei svanita dalla sua esistenza come una stella cometa, ma ora, in quel preciso momento, Victor era mio. E non volevo sprecare momenti importanti a pensare a cose su cui non avevo il controllo.

Chiusa nei miei ragionamenti, non replicai e scese il silenzio, ma non fu imbarazzante. Fra me e lui i silenzi non erano scomodi, erano solo tranquilli. Ci guardavamo e non serviva nient'altro.

Forse il fatto che avessi sognato un uomo simile a lui prima d'incontrarlo poteva significare qualcosa. E se fosse stato destino, ogni tassello sarebbe andato al punto giusto. Dopo aver saputo che esistevano creature capaci di diventare ghiaccio e sanguinare da ogni orifizio, potevo stupirmi di un caso di preveggenza?

«Vorrei farti una domanda» esordì d'un tratto, «ma non sono certo che sia il momento adatto per portela.»

«C'è solo un modo per scoprirlo.»

Victor ridacchiò. «Ti andrebbe di restare qui, stanotte?»

A quell'offerta tutta la leggerezza che provavo svanì. Perché c'erano tre diverse considerazioni da tenere a mente, e tre erano le risposte che potevo dare, tutte ugualmente decisive.

No. Perché voleva dire fare un passo di troppo.

Sì. Perché lo volevo con tutta me stessa.

Cazzo. Il biglietto.

Mi fissava dritto negli occhi, quelle iridi verdi piene d'aspettativa in un viso privo d'emozione, e il mio cervello non sembrava ragionare abbastanza in fretta. Potevo mandare tutto al diavolo e abbandonarmi, una volta tanto, a un imprevisto, a una svolta nella monotonia delle mie scelte? Sì, dannazione, certo che potevo, così come avrei potuto ignorare l'invito e non presentarmi all'incontro di quella notte. Ma io volevo, dovevo sapere chi era la persona che mi seguiva, perché era uno degli ultimi rompicapi che mi tormentavano, e una volta trovata la risposta avrei potuto godermi meglio la mia permanenza alla magione.

Mi morsi la lingua, strinsi il pugno dietro la schiena e quando aprii la bocca mi costrinsi a dire: «Non credo che sia una buona idea.»

La delusione fu cocente, nel suo sguardo. «Va bene.»

«Non credo sia una buona idea perché trovo sia un po' presto, voglio prendere le cose con calma» mi affrettai a spiegare. «E perché vorrei evitare che tutta la casa venga a sapere della nostra tresca.»

Victor mi scrutò con un sopracciglio inarcato e una parte del velo di distacco che era calato nei suoi occhi tremolò e scomparve. «... Tresca? Come siamo antiquati.»

«Ehi, mi adeguo al contesto.»

«Sappi che questa la ritengo un'offesa personale» replicò, prima di stiracchiarsi, uscire dal letto e alzarsi in piedi. «Avanti, non manca molto a ora di cena. Tu devi andare a darti una rinfrescata e io mi devo preparare. Vorrei evitare che qualcuno a tavola possa rischiare di indovinare qualcosa.»

* * *

Mi pentii della mia scelta.

Fu difficile stare seduta e fingere che non fosse accaduto nulla – assurdamente, quel giorno tutti avevano deciso di farsi vedere in salone –, soprattutto con gli occhi di Aušrius puntati addosso come fari. E ancora più arduo fu dare la buonanotte a Victor alla fine, quando mi accompagnò alla mia stanza e dovetti mandarlo via con il sorriso.

Il Cielo solo sapeva quanto avrei voluto restasse, dimenticarmi quel biglietto e dormire fra le braccia del mio demone personale. Ma per quanto fossi affascinata non ero ancora così annebbiata da accantonare la realtà. E la realtà era che Victor non era il mio intero mondo, c'erano altri aspetti di quella proprietà e di quelle persone che mi sfuggivano e a cui avrei dovuto trovare una risposta. Lui era solo il primo di quei misteri a essere stato svelato.

Perciò lo avevo salutato e mi ero seduta sul letto in attesa, iniziando a leggere un libro a caso dalla mia libreria.

La mezzanotte impiegò un'eternità ad arrivare.

Per ore rimasi immobile, quasi il mio corpo temesse che, muovendomi, potessi far scoprire a Victor e ai suoi fratelli cos'avrei fatto. L'unico cambiamento di cui fui testimone fu quello del crescere del temporale, con tanto di lampi e tuoni. Non l'atmosfera perfetta per girovagare di notte, con la sola compagnia di una lanterna.

Arrivata l'una misi via il libro e cominciai a fissare l'orologio. All'una e trenta persi la pazienza. Preferivo aspettare in piedi in una biblioteca deserta che perdere un altro secondo a logorarmi.

Quando uscii in corridoio scoprii di avere il batticuore. Seppure fossi scalza e camminassi in punta di piedi mi sembrava che i miei passi fossero più rumorosi del rombo della tempesta. Non stavo facendo nulla di male, in fondo, ma una parte del mio cervello mi sussurrava che stavo tradendo la fiducia di Victor. Perché lui non aveva mai voluto che rimanessi sola in biblioteca, sostenendo che quella raccolta di libri fosse la vera ricchezza in quella casa. Mi aveva spiegato che il problema non si poneva, per lui, poiché era sicuro avrei fatto attenzione, ma Dimitar non era d'accordo e per quanto potesse opporsi lui non avrebbe cambiato idea.

Per questa ragione avevo sviluppato un certo senso di colpa. Non avevo idea di chi fosse la persona che avrei incontrato o perché volesse che ci vedessimo proprio in biblioteca, con tutti gli angoli segreti e dimenticati di quella magione. Quindi camminavo rasente alle pareti, con la lanterna bassa e il terrore liquido d'incrociare Victor a scorrermi nelle vene.

Quando raggiunsi la biblioteca, l'ansia aveva assunto la forma di una pietra, incastrata nella mia trachea. La mano tremava a pochi centimetri dalla maniglia, illuminata dai lampi di luce alle mie spalle, il mio cuore un tutt'uno con il diluvio. Ero incapace di aprire la porta, di rendere vero il mio tradimento o scoprire che l'uscio era chiuso ed ero stata presa in giro. E se fosse stata una prova? Se andando all'incontro l'avessi fallita? Victor mi aveva detto che andando avanti gli esami a cui mi avrebbe sottoposta sarebbero stati più duri. Magari aveva a che fare con l'Æternae.

Vai. Non
attendere.
Il tempo
scorre.

Presi un respiro così profondo da sentire male alla cassa toracica, e aprii la porta. Il cardine scivolò senza fare alcun rumore. Strano.

Feci un passo all'interno, portando la lanterna ad altezza viso e deglutendo cenere. Senza la luce del giorno la biblioteca pareva uscita direttamente dai miei peggiori incubi: un ammasso di scaffali altissimi, sedie vuote, un silenzio tombale e quel dannato velo azzurro a coprire ogni finestra, ogni contorno, come un'enorme ragnatela impalpabile. Dovetti combattere contro tutta me stessa per convincermi che nessun mostro sarebbe strisciato dagli angoli bui per uccidermi.

Serrai le labbra e, determinata, mi diressi alla stradina oscura che serpeggiava fra le due librerie frontali, le stesse da cui Victor prendeva i tomi che poi mi consegnava. Non ero mai andata oltre la zona studio, neppure in sua compagnia, e non avevo la ben che minima idea di cos'avrei trovato. Ma alla fine era solo una biblioteca: andavo avanti e le uniche presenze a darmi il benvenuto erano i libri, sempre più vecchi più procedevo, di pari passo con gli scaffali. E più mi addentravo, più l'odore di chiuso mi avvolgeva. Non c'erano finestre, qui.

Sbagliai strada una o due volte, faticando a tornare indietro, prima di riuscire a raggiungere la zona in cui mi avevano detto di recarmi. Era la più vecchia e qui l'atmosfera era dannatamente cupa, il velo azzurrognolo più spesso di quanto fosse mai stato – come a contrastare la tenebra che lì era annidata – e l'odore troppo forte. Ragnatele pendevano dagli scaffali e sperai di non incrociare qualche ragno lungo la strada.

Mi resi conto che delle lettere erano incise sulle librerie e sollevai un altro po' il braccio, cercando di concentrarvi meglio la luce della lanterna.

A-B.

Continuai a camminare.

A-D.

Deglutii.

A-K.

I tendini del mio collo si irrigidirono.

A-N.

Rallentai, ma era troppo tardi: ero già arrivata, la mia testa spuntata oltre il bordo.

Una figura incappucciata se ne stava in piedi fra i due scaffali, di lì a qualche passo. Era rivolta verso di me, il capo chino che mi impediva di guardarla. Era minuta, forse un metro e sessanta scarso, ma sotto al tessuto nero si potevano vedere le curve di una donna.

Inclinai la testa, raddrizzando le spalle, prima di mettere da parte la mia paura e dirigermi da lei. Ero certa che il mio sospetto fosse riflettuto sulla mia faccia. Stavo cadendo in trappola?

Quando ero ormai vicina, la figura raddrizzò il capo e, con un movimento a dir poco fulmineo, si tolse il cappuccio. Rimasi di sasso. Era una ragazza, probabilmente della mia età. Aveva capelli biondi dal taglio sbarazzino che le arrivavano alle spalle, un viso pallido coperto di lentiggini, lineamenti affilati e un nasino all'insù. Ma la cosa più sconvolgente era la cicatrice rosa e frastagliata che le attraversava l'occhio sinistro.

«Ciao, Zoë» disse soltanto.

Indietreggiai involontariamente. «Chi sei? Come fai a conoscermi?»

Lei mi ignorò. «Grazie di essere venuta» mosse una mano, «sono contenta che tu abbia il raziocinio adatto per capire quali sono le scelte giuste nella situazione in cui ti trovi.»

La scrutai senza capire, aggrottando la fronte. «Ma di che diavolo stai parlando?»

«Saltiamo i convenevoli, che ne dici?» inclinò il capo. «Tu sai perché sei alla magione, Zoë?»

Il mio volto si accartocciò ancora di più, la testa che girava nel tentativo di capire cosa quella ragazza volesse da me e perché ero stata tanto stupida da seguirla. «Sì» sbottai. «Sono qui perché serve il mio aiuto per salvare l'Æternae.»

«Ah, sì?» replicò. Era priva d'espressione, solo la sua voce esprimeva qualcosa.

Tu
ascolta,
Marie.

«E chi te l'ha detto? Loro?» Non dissi nulla. «Tu davvero ti fidi di quei mostri?»

«Ehi» scattai, puntandole addosso un dito. «Non sono dei mostri. Tu, piuttosto, chi diavolo sei? Mi segui per settimane, scappi quando cerco di parlarti e poi mi lasci bigliettini sotto alla porta? Dal mio punto di vista sei tu quella di cui non posso fidarmi. Non so nemmeno chi tu sia!»

«Sono quella che ti salverà il culo, enkelin

Mi sfuggì uno sbuffo sconcertato. «Come, prego

«Non ti sei chiesta perché la maggior parte dei libri che ti propongono riporta informazioni incomplete o testimonianze negative riguardo ai Demonai?»

«Sì, perché i libri sono stati scritti dalla Corte, dagli Enkelit. I vincitori hanno manipolato la storia» la mia voce, senza che lo volessi, uscì rauca e gelida. Ero moderatamente arrabbiata.

Lei scosse il capo, sorridendo fra sé e sé con il labbro arricciato. «Credevo fossi più scaltra.»

Sospirai, spostando il peso da un piede all'altro. Iniziavo a spazientirmi. Avevo rinunciato a una notte con Victor per questo? «Senti» esordii, «non so che vuoi da me, ma se mi hai fatta venire qui – nel bel mezzo della notte – solo per farmi perdere tempo, in un luogo in cui nemmeno dovrei entrare...»

Mi interruppe: «E non ti sei chiesta il motivo?»

«Di cosa?!» aprii le braccia.

«Del fatto che non ti permettono di entrare qui da sola.»

«Me lo hanno spiegato, il motivo. Questi libri sono...»

«Oh, andiamo, ragazza» sbottò, «non puoi farmi credere di essere così ingenua. Sono libri. Di cosa potrebbero mai avere paura, che tu gli dia fuoco?» mi derise. «A loro non frega un cazzo di questa biblioteca, non ci entravano da anni prima che arrivassi tu.» Feci per intervenire, ma lei non me ne lasciò il tempo: «Questo non è altro che un teatrino» fece girare l'indice nell'aria polverosa.

«Un teatrino per cosa?»

«Per convincerti che sei qui per aiutarli, quando la realtà non potrebbe essere più diversa.» Fece una pausa, umettandosi le labbra. «A loro non interessa l'Æternae, o almeno non salvarlo. Loro vogliono distruggerlo, perché è questo che fanno, è la loro natura. Vogliono il controllo, dare la morte e la distruzione... ovunque ci sia vita.» Stavolta la sua voce fu un sussurro e io potei percepire una punta di dolore nelle sue parole, qualcosa di non detto e di ben nascosto, ma che gravava su di lei. Era una sensazione che conoscevo fin troppo bene.

«Victor non è un mostro, non fa del male a nessuno. E dubito che Aušrius potrebbe toccare anche solo una mosca. Ma lo hai visto?»

«Mentono.»

«Ascolta» alzai di nuovo la mano, «non so cosa tu ti sia bevuta per convincerti di questo, ma posso assicurarti che – almeno per quanto riguarda Victor – non mente. Ci ho passato insieme un sacco di tempo e non dovrei dirlo, ma mi ha dimostrato ben più che un lieve interesse, quindi...»

«Sta fingendo» replicò asciutta. Poi abbassò il tono, «Lo fa sempre.»

A quell'affermazione una fitta mi attraversò il petto, ma feci finta di nulla. «Perché mai dovrebbe?»

Lei scoppiò a ridere, amara. «Svegliati, ragazzina. Il motivo è perché vogliono ucciderti.»

Mi congelai all'istante, il mio corpo diventato niente più che un pezzo di ghiaccio. Sono convinta che per qualche momento nelle mie vene il sangue smise di scorrere e che la mia vista divenne ancora più blu. Le parole morirono sulla punta della mia lingua, scivolarono e si annidarono in un fiocco proprio al centro della mia gola. Cosa?

«... Cosa?»

Mente.
Lei mente.
No, tu
sai che
dice il vero.

«È questa la realtà, enkelin. Tu sei qui perché vogliono ucciderti. Gli serve la tua vita, il tuo sangue, per compiere un rituale. E tu devi svegliarti subito, devi capirlo, perché non abbiamo molto tempo. La scadenza giunge alla fine dell'anno e siamo già a ottobre. Se non faremo qualcosa tu morirai e tutto il resto del mondo insieme a te.» Le sue parole divennero più taglienti man mano che andava avanti, lo sprezzo dipinto addosso. Non si era mai mossa da quando ero arrivata.

«Io... No» riuscii solo a biascicare. «Non è vero. Tu stai mentendo.»

Un'altra risatina gelida le scosse le spalle scheletriche. «Puoi non credere alle mie parole, ma dovrai per forza credere a questo» scostò un lembo del mantello ed estrasse un fagottino quadrato. Era avvolto in un tessuto marroncino che sembrava feltro. Lo allungò nella mia direzione, avanzando di qualche passo e cacciandomelo addosso.

«Che...»

«Questa è una di quelle cose che non vogliono farti trovare. Ecco perché non ti fanno entrare in biblioteca senza Victor.»

«Ma...»

«Non sei costretta a credermi. Non sono sciocca, sapevo che sarebbe stato difficile farti aprire gli occhi. L'unica cosa che ti chiedo è di leggerlo, di leggerlo bene e comprendere appieno le parole che ci sono scritte. Perché qui troverai qualcosa che cambierà per sempre il tuo modo di vedere le cose e, se abbiamo fortuna, salverà te e tutti noi.» La mia mano si mosse in automatico, afferrando il libricino. Lo strinsi al petto nello stesso istante in cui lei indietreggiò, portando le braccia in alto per sistemare il cappuccio.

«Ma... tutto questo non ha senso. Se vogliono uccidermi, perché lasciare la porta aperta e permettermi di andarmene?»

Lei si bloccò nello stesso istante in cui dissi quella frase. «... Come, scusa?»

Boccheggiai. «Il portone di casa. La seconda notte ho cercato di andarmene, ed era aperto. Questo mi h fatto capire che non ero una prigioniera. Se quello che dici è vero... perché darmi la possibilità di scappare?»

La confusione fu la prima e unica emozione che vidi sul suo volto. «No, non può essere. Vedo con i miei occhi ogni notte Balveer chiudere a chiave ogni uscita.»

«Beh» replicai, muovendo la mano che teneva la lanterna e la testa in contemporanea, «io l'ho trovata aperta.»

La ragazza corrucciò la fronte, poi emise uno sbuffo. «Deve esserci dietro un motivo, con ogni probabilità era un piano di Dimitar. Nessuno fa niente senza che lui lo voglia.»

Feci per parlare ma lei si sistemò meglio il cappuccio, facendomi capire che l'incontro era chiuso. Avrei voluto intervenire, bloccarla sul posto, ma non potevo costringerla a restare.

Sono confusa. Avrei voluto dire.

Cosa fai – non puoi andartene così!

Non capisco!

Ma l'unica cosa che feci fu ripetere un: «Io...»

«Confido che ascolterai la voce della ragione e che seguirai la strada giusta. Sei intelligente, non deluderci. Ah, e non dire a nessuno di avermi incontrata. Quando vorrai metterti in contatto con me, dillo ad Áshildur.» Si girò, pronta ad andarsene, ma appena prima di fuggire come aveva sempre fatto, si voltò di tre quarti, le mani lungo i fianchi. Potevo vedere solo il suo mento, quando disse: «Io, comunque, sono Britta. Britta Divokost'.»

Dopodiché se ne andò, lasciandomi sola fra le ombre.

E in quelle oscure ombre mortali, una parte di me si spense sotto le fiamme del dubbio.

Betaggio di Sayami98
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