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20. I call this inferno

Canzone nei media:
Make me believe - The EverLove

"O quanto è malvagio
chi attribuisce la propria colpa
ad un altro."
(Publilio Siro)

Attorno a lui ogni cosa taceva.

Dopo essere scappato dal disastro che aveva combinato, Victor si era dematerializzato e ora non sapeva dove stesse andando, rinchiuso in quelle pareti fragili ma concrete; ricordava ancora le ferite che gli avevano deturpato le braccia quando, giovane e inesperto, aveva provato a oltrepassarle.

Per qualche tempo aveva errato senza meta, furente per quel che era successo e per il rifiuto di Zoë. Lo aveva allontanato usando come scusa l'umano. Una parte di lui aveva preso fuoco appena l'incredulità aveva lasciato spazio al disprezzo. Non sapeva se sperare che la sua fosse una bugia, un modo per toglierselo di torno, ma nel caso fosse stato vero, se l'enkelin lo aveva spinto via per una qual sorta di deviata fedeltà verso quel ragazzo... Dannazione, Richard non l'aveva solo picchiata, ma aveva minacciato di rifarlo davanti a lui, come se fosse immune dalle conseguenze. E Zoë ancora gli dava corda! Era assurdo.

Non riusciva a dare un senso alle azioni di Zoë, seppure si scervellasse. I suoi poteri non gli permettevano di entrare nella sua mente e non trascorreva giorno in cui i dubbi su cosa le passasse per la testa non lo turbassero. Perché, se amava Richard, Zoë gli aveva permesso di picchiarlo? La sua incoerenza lo scombussolava.

Uccidi.
Uccidi uccidi uccidi.

Avevano mormorato le voci nella sua testa, sibilando. Lui non voleva ascoltarle. Non era certo di a chi fossero rivolte, ma pregava di non aver fatto tutti quei passi indietro, ora ch'era riuscito a liberarsi degli impulsi violenti nei confronti di Zoë. Non sapeva definire se questo fosse positivo o meno e le giornate passate nascosto tra libri antichi, legno e polvere, mentre lei studiava ignara al tavolo, non lo avevano affatto aiutato.

L'istinto lo divorava, mentre voci e grida continuavano a sussurrare, morbide e occludenti.

Uccidilo.
Sangue
dolce.
Sfamarti
può
l'umano.

Resistere si era fatto più arduo a ogni sussurro, fino a quando ogni tentativo di combattere la Bestia fallì. Il suo sibilare aveva vinto. La collera bruciava nel suo petto, lo animava di una sete che non era più abituato a provare; la caccia aveva perso il proprio fascino da molto tempo, togliere la vita a persone trovatesi nel luogo sbagliato al momento sbagliato non gli trasmetteva niente... ma Richard... beh, lui non era innocente. Lui aveva colpe roventi a bruciargli la pelle, colpe che si rifiutava di conoscere, esattamente come suo fratello. Lui se lo meritava.

E così la rabbia, evocata dai ricordi, si era trasformata in desiderio di morte, fomentata dalla delusione dell'umiliazione. A Zoë non poteva né voleva torcere un capello, ma se si fosse sull'umano non ci sarebbe stata alcuna conseguenza. Dopotutto... l'enkelin non doveva per forza saperlo.

Victor aveva perciò sorriso e poi si era fatto trascinare dalla Bestia, quella che lei aveva definito il suo Mr. Hyde, fino ad arrivare a Grimlanes. Si era fermato davanti al pub dove Richard lavorava e aveva annusato l'aria per trovarlo. Quando la traccia del suo odore si era delineata nella luce argentata della notte, un ghigno gli aveva distorto il volto e il demono si era rigettato fra le pareti della Bėgimas, per raggiungere la sua preda prima che fosse troppo tardi.

Ora, avvolto dal bosco che conduceva a Blackriven, Victor correva veloce, inseguendo l'auto che a pochi metri da lui avanzava sull'asfalto. Un moto di risa gli sfuggì dalla gola, all'idea della paura che avrebbe provocato nel debole cuore dell'umano.

Raggiunta l'automobile, una vecchia Aston Martin DB4 blu, dovette trattenere un versetto divertito, mentre lo derideva dentro di sé: non era riuscito nemmeno a non farla ammaccare, come dimostrava la grossa botta sul parafango posteriore.

Scuotendo la testa si lanciò al fianco della macchina e spiccando un balzo andò a colpire con la nocca il metallo del tettuccio, prima di ributtarsi nella Bėgimas per non farsi vedere. Richard reagì come previsto e pochi istanti dopo le note di Nothing else matters interruppero il silenzio.

Patetico, pensò.
Terrore.
Spaventa.
Gioca!

Uscì di nuovo dal tunnel fatto di vento e ridendo bussò sul finestrino socchiuso dalla parte del guidatore. Richard si voltò di scatto, terrorizzato, ma non fece in tempo a vederlo prima che lui aumentasse il passo per precederlo. Non appena raggiunse una distanza a suo parere accettabile, Victor si fermò, proprio nel mezzo della strada, illuminato solo dalla luna. Era una sensazione deliziosa, quella del bagliore lunare sulla pelle nuda della sua schiena: gli provocava brividi di piacere lungo la spina dorsale; non a caso si diceva che la notte fosse il regno dei demoni.

L'umano ci mise un po' per accorgersi che lui era lì, mentre il demono lo studiava avvicinarsi con le palpebre socchiuse, mormorando fra sé. Era davvero patetico.

D'improvviso il ragazzo riaprì gli occhi e guardò avanti a sé. Victor poté distinguere il battito del suo cuore interrompersi, solo per riprendere più veloce di prima, e la pausa sui suoi lineamenti. Lo stridio dei freni si levò nella notte, mentre Richard inchiodava spinto contro il sedile, gli occhi spalancati per quel misto di sorpresa e terrore che l'immortale sentiva addensarsi e intrecciarsi nella sua mente. La sensazione che gli dava, il poter di nuovo violare il confine dei pensieri di qualcuno, era simile a quella della pioggia dopo un lungo periodo di arsura. Era faticoso, a volte, vivere con creature di cui non poteva sondare la mente, e invidiava Aušrius, che non era soggetto a questi limiti.

L'auto si fermò a qualche centimetro dalle sue gambe.

Illuminato anche dai fanali, un sogghigno gli tirò le labbra, tenuto sott'occhio da Richard. «Ma cosa...» lo sentì pronunciare, boccheggiante, prima che slegasse la cintura e aprisse la portiera. Scese dalla macchina, il motore ancora acceso, e con un piede a terra e l'altro dentro poggiò il braccio sul tettuccio. Victor rimase in silenzio. Non aveva fretta, poteva godersela con calma.

Richard lo scrutò, tentando di mostrarsi minaccioso. «Ti togli di mezzo?» esclamò. Lui non rispose, limitandosi a inclinare il capo e facendosi sfuggire un sorriso. Riconobbe il brivido che gli accapponò la pelle.

Oh, quanto si sarebbe divertito.

Attacca.
Aspettaaa, aspetta!
Uccidi.

Richard non riuscì a trattenere il tremore. Quando sbuffò, a Victor giunse una nauseante zaffata di birra. Leggendo nella sua testa il demono discerné il dubbio sussurrare all'umano pensieri terribili, strisciante nei recessi dei suoi ragionamenti. Da quanto Richard non dormiva?

Sei ipocrita, pensò una parte di lui.

«Che ci fai in mezzo alla strada?» ritentò il ragazzo.

Per tutta risposta Victor scoppiò a ridere, una risata cristallina che andò a cozzare con i Metallica in sottofondo. «Corri» disse solo, osservandolo da oltre i fanali. Voleva fargli male, troppo, più di quanto avrebbe sopportato. Voleva continuare quello che Zoë gli aveva impedito di portare a termine, tutti quegli impulsi che dal principio aveva provato per lei, ma che aveva dovuto chiudere in un cassetto. Il desiderio di morte si era amplificato, diventando una presenza concreta.

Il suo sorriso si aprì ancora di più.

Devasta.
Squarcia.
Uccidi.

Richard aprì la bocca per formulare un «c-cosa?» ma non ne uscì nulla. Deglutì a fatica. «Cosa vuoi da me?» gracchiò infine, i polpastrelli della mano destra premuti sul metallo e da sinistra stretta alla portiera.

Victor ridacchiò di nuovo, stavolta in modo più gutturale. «Hai sentito bene.»

L'umano si immobilizzò, palesemente diviso fra la razionalità e l'istinto, che gli diceva di salire in macchina e scappare. Il demone trattenne lo scoppio di risa che gli premeva sulla laringe: non c'era alcuna possibilità che ne uscisse vivo!

Stringendo le mani ad artiglio Victor tese il collo e permise alle corna di allungarsi fra i capelli. La sensazione che le accompagnava era sempre stata in bilico tra il dolore e il piacere, mentre le pareti di ossa strisciavano lungo la carne, tirandola e sul filo di romperla.

Dalla sua gola si levò un ringhio.

Richard venne scosso e indietreggiò, prima di inciampare e cadere. Victor fiutò l'odore del sangue provenire dalle sue mani, graffiate contro l'asfalto mentre tentava di strisciare lontano da lui. Era deliziato dai pensieri di Richard, contorti gli uni sugli altri nel tentativo di capire che creatura fosse.

Victor fece un passo avanti, gli occhi famelici fissi su di lui. «Corri, O'Sullivan» sibilò.

Richard non se lo fece ripetere un'altra volta.

* * *

Nella calma piatta del bosco, non una foglia si agitava.

Attorno a lui, che silenzioso si muoveva come un soffio di vento, ogni cosa taceva, rendendo il luogo placido e immobile nel tempo. Le uniche ombre dotate di vita erano lui e Richard.

L'umano si era gettato nella fitta boscaglia, perdendosi fra un sentiero abbandonato e l'altro. Victor lo inseguiva, leggero come una piuma, lasciandogli spazio di manovra, per convincerlo di essere in vantaggio. In realtà i suoi passi erano fin troppo pesanti, gli indicavano la strada. A Victor non serviva nemmeno correre, per stargli dietro.

Nella pace che li circondava, Victor lo sentiva mettere un piede dopo l'altro e la sua mente farneticare febbrile: inseguiva domande a cui non avrebbe trovato risposta, discendendo sempre più nella miseria. Mute risa sghignazzanti si liberavano dalla sua bocca, quando le frasi che riempivano la testa di Richard rimbombavano nel suo cranio. Si chiedeva se sarebbe morto e a lui andò quasi di traverso la saliva quando l'umano si convinse che no, sarebbe riuscito a uscirne vivo.

La rabbia era sempre in agguato, ai bordi della sua coscienza, e tentava di irrompere in colpi violenti quando i pensieri di Richard si concentravano nel cercare di capire cos'avesse fatto di male, quale fosse la colpa che lo aveva portato a finire in una situazione simile. Victor ringhiava, in quegli istanti, furibondo davanti alla sua cecità. Non riusciva a credere fosse così stupido, che non fosse in grado di rendersi conto che se l'era cercata. Forse mentiva solo a se stesso.

Con un gemito lo udì sbucare nello spiazzo a pochi metri da lui. Si avvicinò, nascosto dalla boscaglia dietro al pozzo, e lo osservò poggiarsi le mani sulle ginocchia, ansimante. Il terreno era coperto di aghi di pino, i quali formavano un tappeto marrone che attutiva i passi. Sarebbe stato il luogo ideale per recidergli la carotide.

Sulla sinistra, una stradina conduceva a un edificio fatiscente, una casetta che si ergeva come uno scheletro spoglio. Sulla destra invece c'era un altro sentiero, ugualmente poco praticato, che conduceva nel profondo del bosco. Ma era il pozzo ad attirare l'attenzione di Victor: sembrava vecchio, molto vecchio. I blocchi di pietra erano macchiati da una strana sostanza nera simile a fango, che sotto la luce della luna pareva quasi sangue. Fra i massi crescevano ciuffi di muschio e un secchio di legno pendeva da una corda consunta. Avrebbe potuto spingerci dentro Richard una volta finito.

Ascoltò la mente dell'umano, mentre si chiedeva se procedere lungo il sentiero o cercare un modo di tornare sui propri passi. Una morsa attanagliava il petto di Richard, che ora non pensava più alle possibili colpe che potevano gravargli addosso, né alla preoccupazione per la scomparsa di Zoë. Ora pensava solo a se stesso, a come uscirne vivo.

Squarcialo.
Ucci di lo!

Lo scrutò guardarsi attorno, girare su se stesso più volte, quasi in trance, e decise che era il momento giusto. Raddrizzò la schiena e usando la Dematerializacija si teletrasportò vicino al pozzo. Richard si accorse di lui alla terza giravolta e si fermò, inciampando all'indietro. Victor si sforzò di modulare il proprio aspetto, allungando ulteriormente le corna e aumentando il ritmo del respiro per mostrarsi più mostro che uomo. Solo per il gusto di vederlo sobbalzare.

Il cuore dell'umano sembrava sul punto di scoppiare.

«Continuare a opporre resistenza è futile» esordì. «Io ti troverò in ogni caso, l'odore della tua paura pervade questo bosco come un tanfo di morte» sputò infine.

Richard strabuzzò gli occhi, respirando affannosamente, e si portò una mano al petto.

«Sai di latte rancido» riprese, portando la mano sinistra al viso e muovendola davanti al naso. «Non è affatto piacevole.»

L'altro strinse i palmi a pugno. «'Fanculo» sputò, cercando invano di non mostrare che stava tremando.

«Delicato» replicò lui. «Tutti i mortali hanno un odore. E davvero non mi capacito di come lei faccia a sopportare il tuo. Non mi capacito di come faccia a sopportare te.» Oh sì, era divertente. Con un sorriso a fior di labbra fece un passo avanti, lasciando che i canini crescessero e i suoi occhi si accendessero di bianco. «Lei ha un profumo così buono» inspirò, chiudendo le palpebre. «Sa di narcisi. Ma tu questo lo sai, no?»

Richard deglutì con fatica e mormorò: «Di cosa stai parlando?»

«Oh, andiamo, sai bene di chi sto parlando.» Fece un passo avanti, lento. «Zoë è difficile da scordare, no?» Arricciò il naso. «A volte è una palla al piede... Altre volte...» sorrise malizioso, non finendo la frase.

L'incredulità si accese sul viso di Richard, prima che da spaventato passasse a furente. «Cosa le hai fatto?!»

Puniscilo.
Lui
non
merita.
Lui ferisce! Pretende!

Le voci esplosero nello stesso momento in cui Victor sentì Richard pensare il nome di Zoë e distinse l'odio che gli rivolse, convinto di poterlo in qualche modo toccare, di poterlo uccidere e tornare a mettere le grinfie su di lei. Come se lei fosse stata di sua proprietà. Questo non sarebbe mai successo e Richard avrebbe imparato e pagato con il sangue il proprio errore: non era più una questione di chi o cosa Zoë fosse, era una questione di principi. Se ami qualcuno non penseresti mai di fargli del male. Altrimenti sono solo menzogne.

Menzogne.
Meeen-zogne.
Bugiardo.
Assassino.

A Richard sfuggì un ringhio. «È colpa tua, la scomparsa della mia ragazza?!»

«Non continuerà a esserlo ancora per molto, di questo sii certo.» L'altro disse qualcosa, ma lui lo ignorò. «Non mi capacito di come tu faccia ad avere il coraggio di avanzare pretese quando la tratti in quel modo» aggiunse sprezzante.

Ascoltò le onde di dolore diffondersi nelle tempie di Richard. L'istinto gli diceva di averlo già visto, gli diceva di scappare, ma l'umano non era abbastanza forte da combattere la Degeneracija, né abbastanza intelligente da seguire quei consigli.

È quasi una barzelletta.

«Cosa mi stai facendo, mostro...» mormorò, mordendosi le labbra e portandosi una mano alla testa.

«Assolutamente nulla. Ci ho già pensato oggi pomeriggio, anche se ripetere l'esperienza non mi spiacerebbe.»

«Cosa vuoi da me?!» urlò Richard, sollevando il capo. «E cosa vuoi da Zoë?! Se le hai fat...»

«Non le ho torto un capello. Cosa che non si può dire di te, non è vero?»

«Tu non sai niente!»

«So tutto, quindi non mentirmi. Mi ha raccontato ogni cosa» disse gelido, mentre dentro di lui infervorava l'inferno. La rabbia, sempre più caotica, si stava trasformando in un uragano.

Colpevole!
È
un
bugiardo!
Puniscilo!

«Chi diavolo sei?»

«Victor Demonai» fece un lieve inchino. «Lieto» aggiunse, il braccio piegato davanti al petto. «E tu non uscirai vivo da questo bosco.»

«Va' all'inferno, io ti ammazzo» lo minacciò Richard, mostrando i denti.

Victor rise divertito. Lo faceva sempre sganasciare, quella battuta. «Su» spalancò le braccia, ancora ridendo, «fatti avanti!»

Richard inspirò a fondo dalle narici, incassò la testa nelle spalle e lo caricò, ma Victor non attese, dematerializzandosi e ricomparendo dietro di lui. L'umano rallentò e si fermò, confuso, e nell'istante in cui si raddrizzò lui gli batté il dito sulla spalla. Richard si girò di scatto e i suoi occhi si spalancarono quando lo vide a vari metri da sé, all'imboccatura del sentiero, con la testa inclinata e un sorrisetto in volto. Victor stava giocando, non aveva quasi ricordi dell'ultima volta in cui aveva cacciato così.

«Co-come...» Richard si stropicciò gli occhi ma lui non rispose. Esausto e arrabbiato, l'umano urlò: «Cosa accidenti vuoi da noi?! Qual è il tuo problema?!»

Victor lo sentiva pensare al modo migliore in cui recargli dolore, ignaro della situazione in cui stava sprofondando solo grazie alla propria stupidità. «Attualmente?» inarcò un sopracciglio. «Tu

«'Fanculo» sputò di nuovo Richard, lanciandosi in avanti con un grido.

Stavolta Victor non si scansò, avanzando invece verso di lui con passo deciso. Richard non si fece fermare, seppure la paura lo stesse divorando da dentro. Ancora urlando rabbioso alzò il pugno destro e lo diresse al suo zigomo, per colpirlo e tramortirlo, ma il demono gli afferrò la mano e la strinse con forza. Si udì lo scricchiolio delle ossa, seguito da un urlo di dolore. A Victor parve quasi di sentire la fitta che doveva aver attraversato il corpo di Richard, diramandosi dalle falangi lungo il braccio, spaccandolo in due all'altezza del gomito.

«Mi mancava il bis» bisbigliò al suo orecchio. «Zoë non avrebbe dovuto fermarmi, avrei potuto farti molto più male

Il dolore sul viso di Richard peggiorò quando Victor gli torse polso e spalla, costringendolo a cadere sulle ginocchia. Con le palpebre chiuse, il ragazzo alzò gli occhi al cielo, umidi per la fatica impiegata nel non piangere. Se il demono non fosse stato quello che era, avrebbe persino potuto provare pietà

Ma Richard era Richard.

Victor era Victor.

E le colpe non venivano cancellate da un po' di lacrime.

«Li senti i tendini tesi?» sussurrò, chinato sopra di lui. «Li senti, lì sul punto di spezzarsi? Sai che suono fanno, quando si rompono?» Si leccò le labbra, premurandosi che l'altro vedesse. «Sembra una melodia.» Una lacrima scese dall'angolo dell'occhio di Richard, scivolando lungo la guancia. «Oh, piangi dal dolore? Eppure non mi sto nemmeno sforzando.»

«Perché?» fu solo in grado di mormorare, mugolante e immobilizzato, quando Victor posò l'altra mano sulla sua spalla sinistra.

«Perché non meriti pietà» rispose, ancor più piano. «Perché hai fatto del male alla persona che dovresti amare.» Fece una pausa, sfiorando i suoi capelli con il viso. «Perché quando è stato il tuo turno di dimostrarti umano non l'hai fatto. E non vedo perché ora dovrei farlo io

Il sudore di Richard arrivò in zaffate al naso del demono.

«O quanto è malvagio chi attribuisce la propria colpa ad un altro» recitò Victor, tentando di non pensare al rovescio della medaglia, a quando lui stesso aveva riversato il suo peccato su un altro. «Il tuo lo chiami amore? Io questo lo chiamo inferno.» Poi lasciò il suo braccio e con entrambe le mani gli tese il collo. Lo sentì irrigidirsi, sul punto di ribellarsi, e fu allora che chinò la testa e affondò i canini.

La stanchezza che pervase il corpo dell'umano spense la sua mente di colpo, portando con sé la scia di un pensiero interrotto. Victor si aspettò che un urlo gli sfuggisse di gola, ma si stupì quando, mentre beveva dalla ferita, nel silenzio della testa di Richard si formò un solo pensiero: Pace.

Scostò le labbra dalla pelle insanguinata e attese, sondando più in profondità nella sua testa. Tutto ciò che vide fu un fermo immagine di Zoë, seguito da un buio assoluto. Tra le sue braccia, Richard si accasciò e svenne, e Victor dovette trattenerlo perché non battesse il volto a terra.

Rimase lì, ammutolito, persino le voci ora del tutto silenziose. Serrò le labbra e tentennò ancora per qualche secondo, indeciso su cosa fare. Non aveva previsto che le cose potessero finire così: la pace non era di certo ciò che voleva dargli.

Un gorgoglio gli si levò dalla gola e lui grugnì arricciando il naso, prima di soffiare dalle narici e sussurrare un «Velnias!*» in tono rabbioso. Il piano si era completamente capovolto. Non sapeva come fosse la vita di Richard, ma l'idea di dargli quello che inconsciamente desiderava gli torceva lo stomaco.

Guardò in basso, mentre ancora lo teneva su solo per un braccio, e imprecò. Di malumore se lo caricò in spalla e cercò la strada per tornare alla macchina.

* * *

Immerso nel buio, il suo corpo accaldato era steso supino fra lenzuola color cobalto, che gli coprivano solo il ventre e una gamba, lasciando scoperto il torace. La sveglia posta sul comodino segnava quasi le quattro del mattino e da oltre la finestra aperta non giungeva che il sibilo del vento. Le tende erano sospinte verso l'interno come veli fantasma, gli stessi che – dietro le palpebre chiuse – vedeva muoversi incessanti.

Stava sognando di nuovo, e il sogno era lo stesso da una settimana.

Camminava, in bilico fra la coscienza e il sonno profondo, su un terreno gelido e sparso di massi appuntiti. Sotto i piedi nudi, a ogni passo, le pietre che calpestava diffondevano fitte nel suo corpo, mentre una fine sabbia nera si incollava alla sua pelle, graffiandola e facendogli sembrare di avere delle ferite aperte sulla carne. Ma era solo una sensazione, e quindi andava avanti, avvolto da una nebbia così densa da impedirgli di vedere a un palmo di naso.

La voce della donna era ovunque, lo chiamava e rideva sibillina, recitando parole come in una poesia. Parlava in modo strano, di questo si era reso conto dall'inizio, e a volte usava termini che lui non riusciva a capire. L'aveva intravista, una volta, tra gli effluvi profumati, un viso dai lineamenti dolci e un sorriso carnoso, che accompagnato da un paio di occhi tristi aveva espresso pietà per lui. Eppure non nutriva rabbia per questo, non gli dava fastidio la sua compassione, non verso una creatura così bella.

«Vieni» lo chiamava, ridendo. E ogni volta la nebbia pulsava di luce.

Più avanzava sul sentiero, più spuntavano pareti di robbia nera, alte e acuminate. In vita sua non aveva mai visto un luogo simile e dubitava che sulla Terra potesse esistere; sembrava magico e, al contrario che nella veglia, lì la confusione lo faceva sentire leggero, privo dei pesi che ogni giorno pendevano sul suo collo.

«Lei ti sta cercando!» sussurrò qualcuno vicino al suo orecchio, all'improvviso, ma come era apparsa la voce si spense.

Non sapeva di chi o cosa si trattasse, percepiva solo una sensazione di calma spandersi nel suo petto ogni volta che chiudeva gli occhi e – come per incanto – si trovava lì, sperduto. Lì non doveva indossare alcuna maschera, perché mentre arrancava nella nebbia rosata, il sorriso non lo abbandonava mai. Nessun ghigno, solo la pace.

Pace...

L'aveva sentita giusto poco prima, quella parola.

Ma quando?

E le voci, lì, restavano zitte. Niente grida, solo silenzio. Solo quella donna.

«Dionizas» lo chiamava, «seguimi. Ti porterò da lei!» La rabbia restava lontana, quando lei lo chiamava in quel modo, perché quel luogo era solo per loro due.

Non ti vedo, tentò di dire, ma non una sillaba lasciò le sue labbra. Ciononostante, lei lo udì.

«Presto, presto! Il tempo scadrà!»

Aspetta, rispose, mettendo un piede avanti.

Ogni notte era lo stesso repertorio, le stesse parole, lo stesso discorso, ancora e ancora, eppure quando si addormentava dimenticava tutte le volte precedenti. Aveva cercato di informarsi su qualche libro della biblioteca, ma non aveva trovato nessuna informazione utile, nulla che potesse fargli capire chi fosse quella donna misteriosa o dove si trovasse quella montagna magica.

Cosa intendi? Allungò un braccio nell'aria, come per cercare di afferrarla, invano.

«La tempesta. Arriva la tempesta, arriva! E il mondo cadrà giù, forti sono le catene con cui a sé il mondo stringerà!»

Non so cosa devo fare!

«Proteggila!» sussurrava ancora la donna, ridacchiando allegra. «Proteggila! Proteggila!» ripeteva sempre e comunque. «Proteggila proteggila proteggila!»

Di chi parli?

«Ma Dionizas, tu lo sai!» Non poteva vederla, ma sapeva che stava sorridendo. La sentiva vicina a sé, attorno a sé, ovunque, persino dentro il petto. Lei era dappertutto, lei era ogni cosa, lo guardava e lo cullava come una madre, e quando le sue dita impalpabili apparivano dalla coltre rosa per carezzare il suo viso, lui non poteva far altro che unirsi a lei e ridere, quasi sull'orlo delle lacrime. Come resisterle?

Non sapeva chi era, ma lo faceva stare bene e questo bastava.

Dimmi cosa devo fare.

«Stalle vicino. Il fratello blasfemo non deve toccarla. Dionizas. Salvarla... solo tu potrai!»

Chi è?

«Lo sai! Lo sai lo sai lo sai!» I vortici di nebbia si aprirono, mostrando una piccola radura nel mezzo della vetta. Lì in piedi c'era lei, l'unica di cui la donna avrebbe mai potuto star parlando, e lui lo sapeva. Lo sapevano entrambi.

Zoë lo guardava dal centro dello spiazzo, circondata da pietre incise di rune, la schiena curva e scossa dai singhiozzi, il viso distorto dal dolore e dalle lacrime che – mentre le scendevano sulle guance – erano accompagnate dai fulmini. La tempesta sovrastava le loro teste, nera e violenta.

Allungò la mano verso di lui, disperata, e il pianto diventò isterismo, insieme ai tuoni e alle correnti d'aria calda.

«Marie!» disse la donna. «È ovvio! È sempre stata Marie!»

Allora Zoë singhiozzò per l'ultima volta, prima che un pugnale fendesse l'aria accanto a lui, fischiando contro il suo orecchio, e si piantasse dritto nel petto di lei, centrando il cuore. E tutto si fece nero, con un'ultima sguaiata risata, troppo malvagia per appartenere a quel luogo divino o alla sua sovrana.

Victor scattò a sedere di colpo, tirando un profondo respiro e muovendo le braccia davanti a sé alla ricerca di aria, come succedeva a ogni risveglio. Con gli occhi strabuzzati tremò, trattenendo un conato, e li sollevò, portandoli allo specchio. Incrociando il proprio sguardo cerchiato di nero, ricordò per l'ennesima volta.

Ricordò cosa evitava di dirle quando si incontravano in biblioteca e il segreto che celava dietro al proprio sarcasmo quando parlava con lei.

Ricordò il motivo per cui passarci del tempo insieme era diventato doloroso e fin troppo interessante.

E ricordò perché le voci avevano smesso di dirgli di farle del male.

Ricordò la morte di Zoë, quella che da una settimana vedeva ogni volta che andava a dormire.

*Velnias: "dannazione" in lituano.

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Betaggio a cura di Sayami98

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