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18. The reckoning

Canzone nei media:
The reckoning - Halestorm

"Le anime più forti
sono quelle temprate dalla sofferenza.
I caratteri più solidi
sono cosparsi di cicatrici."
(Kahlil Gibran)

Pietrificata guardavo la marea giungere, pronta ad abbattersi su di noi e travolgere tutto.

Vedere Richard aveva riacceso un campanellino nei miei timpani, riportandomi alla realtà. Avevo mentito a me stessa e lo sapevo: se avevo deciso di rimanere alla magione non era stato solo per un impulso da buona samaritana... io volevo scappare.

Con un boato nel cuore e delle fitte al costato vidi l'ombra di Victor muoversi. Il mio braccio si allungò in automatico e il mio gomito andò a scontrarsi con il suo stomaco. Ancorai le mani al suo fianco. Non so da dove venisse la facilità con cui riuscivo a toccarlo: le voci mi urlavano nella testa e non ascoltarle mi stava costando l'integrità delle tempie.

La mano di Richard, sollevata, ricadde giù, stretta attorno a un mazzo di fiori. Dalle labbra gli era scivolata una sigaretta fumata a metà, ora abbandonata davanti alla punta dello stivale. Il dolore nei suoi occhi avrebbe dovuto rattristarmi, o almeno farmi sentire in colpa, ma in realtà non sentivo niente. Non provavo nulla, se non panico per esser stata vista.

«Zoë...» ripeté, la voce roca pronta a spezzarsi. «Dov'eri finita?» scosse la testa, stringendo gli occhi. Boccheggiante osservai le sue labbra piene, il neo appena sopra l'angolo destro e la matassa di ricci castani. Aprii e richiusi la bocca circa quattro volte, cercando di trovare qualcosa da dire che potesse sventare il disastro. Poi, all'improvviso, sentii una pressione sul fianco sinistro; fui sul punto di abbassare lo sguardo per capire cosa fosse quando Victor tamburellò i polpastrelli. Era la sua mano. Io bloccavo lui dal compiere sciocchezze e lui bloccava me dal fare altrettanto. Dopotutto, era uno scambio equo.

Dovette accorgersene anche Richard, perché il suo viso si incrinò e lo stallo andò in pezzi. «Chi diavolo è quello?» esclamò, l'accento irlandese più marcato, come ogni volta che si arrabbiava. Ci puntò addosso un indice. Brutto segno.

Rabbia.
Tu non sei
degna!
Menzogna!
Traaadiiitriceee!

«S-senti...» riuscii a balbettare. «So cosa sembra, m-ma non è come pensi» parlai rapida, mangiandomi le sillabe. Capii subito di aver sbagliato e che sarei dovuta restare in silenzio, perché lo sguardo di Richard si fece ancor più tagliente, appena prima che lasciasse cadere i fiori.

«Non è come penso?» soffiò, avanzando verso di noi. Victor ebbe uno spasmo e dovetti spingere di più per non farmi sorpassare. «Ti rifaccio la domanda, chi cazzo è quello?» alzò la voce, furente, e venire investita dalla sua rabbia fu devastante: percepii una fitta nel petto, che andò a conficcarsi nelle scapole, e un deserto sotto la lingua; l'ultima volta che aveva usato quel tono con me mi aveva picchiata.

«Richard...»

«Che c'è, non vuoi rispondermi? Sparisci per una settimana e poi ti fai rivedere in compagnia di uno sconosciuto?!» allargò le narici, tirando le labbra in una smorfia di disgusto. «Non pensavo fossi una troia.»

Sconvolta spalancai tanto la mandibola che, se fosse caduta a terra, non me ne sarei stupita. Ciò nonostante e contro ogni mia più florida aspettativa, fu Victor a rispondere al posto mio. «Dalle ancora della troia e ti rovino la faccia sull'asfalto, kvaiša» sibilò, calcando così forte sulla s da pronunciare qualcosa di più simile a un "kvaizah". Rimasi spiazzata dalla rabbia che d'improvviso lo aveva animato. Non eravamo amici, non eravamo nulla, quindi perché difendermi?

«Dì al tuo amico che posso chiamarti come cazzo mi pare» replicò Richard, ancor più iroso, le sopracciglia folte inarcate e un'aria incupita. Alzò il piede sinistro e schiacciò con violenza eccessiva la sigaretta, non distogliendo gli occhi da me un istante. Victor era sempre più collerico ogni secondo che passava. Quanto a me, ero terrorizzata. Vedevo di fronte ai miei occhi il rewind delle ultime settimane a Grimlanes, dal mio corpo accasciato contro un muro ai lividi sulle braccia nelle ore seguenti e le lacrime. Il tutto moltiplicato per mille.

Victor si allungò accanto a me, scivolando dalla mia presa, e premuto contro il mio fianco puntò il dito su Richard. «Parla con me, non con lei.»

Il mio ragazzo non fece una piega, eppure ebbi l'impressione si fosse fatto più imponente e vicino rispetto a pochi istanti prima. «E digli anche di stare zitto» lo provocò, con una luce negli occhi che m'inquietò da morire. «Non vuoi che quel martedì si ripeta, non è vero, tesoro?» aggiunse un secondo dopo. No, quello non era Richard, non più, non il Richard che avevo conosciuto in quel pub un anno prima, non quello di cui mi ero innamorata. Quel Richard O'Sullivan non si sarebbe mai azzardato a minacciarmi, non mi avrebbe mai insultata, non avrebbe mai alzato le mani su di me. Oppure ero stata cieca tutto il tempo?

«Di cosa diavolo sta parlando?» esclamò Victor, perplesso. Io non risposi, riuscendo solo a deglutire a fatica rimanendo immobile, quasi sperando che fingendomi paralizzata lui mi lasciasse in pace. Quanto ero sciocca.

Richard strinse di più il pugno, facendo scrocchiare le dita, con quel sorriso incollato al viso. Mi appesi al lembo della camicia di Victor, sul punto di vacillare e perdere coscienza. Ai miei occhi tutto sfarfallava, vedevo puntini luminosi volteggiare nell'aria frizzantina come fate e sentivo un forte odore chimico, che mi toglieva il respiro. Ricordavo fin troppo bene l'ultima volta in cui ero svenuta e la sensazione che stavo provando le era pericolosamente simile.

«Oh» mormorò Richard, «lei sa bene di cosa parlo.»

Spinto contro la mia spalla fui in grado di avvertire il petto di Victor venire scosso dalla sorpresa e fui tentata di ridere: lui, che non si stupiva quasi di nulla, era rimasto sconvolto. Aveva afferrato il senso di quelle minacce, lo compresi da come drizzò la schiena. «Tieniti» lo udii mormorare, tanto piano da faticare a sentirlo, ma prima che potessi chiedergli cosa intendesse fece un salto in avanti e agguantò Richard per il collo della maglia. Lui non se lo aspettava e intravidi il mio terrore riflesso nel suo.

Dopodiché ci dematerializzammo.

Fu un istante, una frazione di secondo capace di risvegliare la mia mente appena in tempo da riuscire ad afferrare l'avambraccio di Victor: purtroppo non riuscii a fermare il suo pugno, il quale si schiantò contro la faccia del mio fidanzato, ora premuto contro un muro di mattoni. «No!» urlai, tentando di trattenerlo, ma invano: Richard non fu in grado di scostarsi in tempo e le nocche del demono lo colpirono all'altezza dello zigomo sinistro. Con orrore osservai la sua testa rimbalzare contro la parete con un suono terrificante. Quando Victor ritirò il braccio – con me ancora appesa al suo gomito – Richard si addossò al muro, cosciente ma stordito.

«Figlio di puttana» sputò, letteralmente. «Niente, niente, ti dà il permesso di picchiare una ragazza, rozzo scarto umano» ringhiò. La sua voce si era fatta più profonda di almeno due ottave e io, dal mio scarso metro e sessanta, lo guardavo dal basso con le palpebre spalancate e un grumo di saliva incastrato nella trachea. È difficile spiegare quanto fosse arrabbiato: non era semplice ira, era furioso, e tutte le volte in cui mi aveva risposto male o guardata con stizza si tramutarono in fumo. Avevo pensato di averlo visto alterato? Bazzecole.

Rabbia.
Difende.
Buono!
Cattivo.
Sei-un-mostro!

Ero scossa da brividi, l'elettricità mi percorreva le membra, più forte del solito di almeno dieci decibel: ero preda di un panico intrinseco, eppure provavo una sorta di eccitazione per quello che era appena accaduto, per il modo in cui uno sconosciuto mi aveva difeso dalle mani di Richard. Non avevo bisogno di essere protetta, non mi serviva un altro principe azzurro... però nutrivo un piacere malsano nel vedere che il karma era tornato al mittente. Le voci erano d'accordo.

Dolore dolore dolore!
Meritato.
È meritato!

E come sempre gracchiavano risate stridule, occupando il posto del mio buonsenso.

«Perché?» chiesi soltanto, scoprendo di avere il fiatone seppure fossi rimasta inerte.

Victor non si voltò, ma vidi la sua testa girarsi di alcuni gradi. Mi osservò di sbieco e la mia apparente calma venne meno: le iridi erano tanto bianche da brillare e la punta affilata di un canino appariva appena sotto il bordo del labbro superiore. Avrei dovuto essere spaventata dalla sua espressione, dalla rabbia che leggevo nel suo sguardo e dal sorriso malvagio che gli distorceva la faccia... ma, e allora mi costava non poco ammetterlo, ne ero assuefatta. Dal bassoventre di espandeva un calore innaturale, il quale si diramava in tutto l'addome, mandando impulsi al mio sistema nervoso: mi diceva di muovermi, di gettarmi su di lui, per qualcosa che distava anni luce dal fargli del male e che non pensavo sarei mai stata in grado di provare. Mi aveva difesa, aveva picchiato chi aveva picchiato me e quella soddisfazione aveva definitivamente liberato i miei demoni, che non erano affatto turbati da ciò che avevano visto, e anzi ne chiedevano di più.

Lo scambio parve durare secoli, ma non riuscivo nemmeno a muovermi, se non per allargare e restringere la cassa toracica alla ricerca di aria, seguendo la cadenza del suo respiro. Non so cosa lui stesse pensando, eppure dal modo in cui mi fissava sembrava che tutta la follia racchiusa nella mia testa fosse rispecchiata in lui. La sua espressione di certo non faceva intendere nient'altro, quella fame disperata che divorava i suoi occhi luminosi, e il modo in cui mi scrutava amplificava le grida e la forza di quell'ordine: scatta, diceva, segui l'istinto, Marie.

Ma non potevo seguirlo, io non ero Marie. Ero Zoë.

«Non ti toccherà più» intervenne, stupendomi. Non mi aspettavo fosse in grado di parlare, così come non lo ero io. Si rivolse a Richard, la testa inclinata come quella di un serpente, «Oppure dovrà dire addio alle braccia.»

Volevo avvicinarmi, allungare un dito e toccarlo per essere sicura che fosse vero e non un parto della mia fantasia. Era ironico come lontano da casa, quasi in un altro mondo, avessi trovato una persona più adatta a me di quanto lo fosse il mio attuale ragazzo, e che ci mal sopportassimo sembrava ora solo una questione secondaria. Tuttavia non volevo che il mio rapporto con lui sfociasse in qualcos'altro, che diventasse una qualche sorta d'interesse. Non era il mio tipo, e non lo sarebbe mai stato.

Sì,
continua a
mentire.

Richard, nel frattempo, si era ripreso. Si guardava attorno con aria ostile, passandosi il dorso della mano sulle labbra. Mi lanciò un'occhiata tagliente. Nel momento in cui io indietreggiai, Victor mi si parò davanti, allungando il braccio.

«Non so come abbiamo fatto a finire qui» iniziò Richard, «ma la pagherai» mostrò i denti, come un animale in trappola. «E quando avrò finito con te la pagherà anche...» non riuscì a finire la frase perché Victor lo afferrò per il colletto, spingendolo ancora contro il muro.

«Se c'è una cosa al mondo che odio più della stupidità» sibilò a pochi centimetri dal suo viso, «sono quelli come te. Pensi di avere il diritto di farle del male solo perché è la tua donna?» l'odio che traboccava dalle sue parole, il disprezzo che credevo non sarei mai riuscita a scrollarmi di dosso, era così intenso da lasciarmi senza fiato.

«Chi diavolo sei tu?» disse Richard con altrettanto disprezzo. Io li osservavo, distante una decina di passi, incapace di muovere un dito; non sapevo cosa fare, non sapevo chi fermare, per quale dei due intervenire. Da una parte c'era il mio ragazzo, qualcuno che non meritava perdono, e dall'altra Victor, un uomo che conoscevo a malapena, che non era umano, con cui non condividevo nulla se non una maschera. La scelta avrebbe dovuto essere palese. Anzi, non avrebbe dovuto porsi di principio.

«Sono la resa dei conti, stronzo» replicò Victor, prima di sbatterlo un'altra volta alla parete. Poi fece qualcosa che non compresi subito: si scostò, come per permettergli di passare. Richard sembrò capire la medesima cosa, perché si stacco dal muro e lo vidi scagliarsi contro Victor, con un pugno diretto al suo viso. Non riuscì nell'intento, poiché il demono lo aveva previsto: con un movimento sfocato accusò il pugno nel palmo, stringendo la presa e torcendogli il polso. Il ragazzo lanciò un urlo di dolore, piegandosi sulla schiena, ma Victor non si fermò, afferrandolo per un gomito e tirando un destro al suo stomaco.

Sobbalzai, al gemito di Richard.

«Victor!» intervenni, nell'esatto momento in cui un sinistro si abbatteva sul naso del mio ragazzo. Il sangue sprizzò e l'intorpidimento scivolò via come un guanto; corsi verso di loro e mi appesi al braccio di Victor, opponendomi per bloccarlo. Puntando gli anfibi a terra con forza fui in grado di impedirgli di colpire di nuovo, attirando di conseguenza la sua ira su di me.

«Va' via!» sbraitò, scansandomi.

«No! Basta!» mi buttai in mezzo, spingendo la spalla contro il suo petto per fermarlo, le suole che per la fatica scivolavano sull'asfalto.

«Per Ankamon...» sibilò stizzito. Mi afferrò per le braccia. «Mi spieghi perché lo difendi?!»

«Perché se continui a colpirlo quello finisce all'ospedale!» gridai. «E vorrei evitarlo! È il mio ragazzo, fino a prova contraria, dannazione!» A ogni parola alzavo di più il tono, dimenandomi per liberarmi dalla sua presa. Il desiderio che pochi minuti prima mi aveva animato era sparito ed ebbi il dubbio che non fosse mai esistito davvero, che me lo fossi immaginato, che lui non mi avesse mai guardata con bramosia.

Bestia, Bestia.
Eraaa laaa Bestia!
Ti
piace
la Bestia!

Nell'udire le voci sbiancai. Bestia. E se fosse stata lei a guardarmi in quel modo, se fosse stata la Bestia nascosta in lui ad avermi sorriso in quel modo malvagio e bellissimo? Dopotutto Victor ne aveva sempre parlato come un'entità a sé stante, una sorta di Jekyll e Hyde. Possibile? E se era così, allora voleva dire che io ero attratta dalla sua parte cattiva, dall'oscurità in lui. Era una sensazione nuova, per me.

«Non si merita la compassione!» replicò Victor furibondo, tendendo il collo verso Richard, piegato carponi. «Non è solo uno stronzo, è pure recidivo!»

«Per favore» risposi, modulando la voce per mostrarmi calma. Gli posai i palmi aperti appena sotto le clavicole. «Lascia stare. Almeno tu.» L'ultima parte la sussurrai, fissandolo dal basso in attesa che portasse gli occhi nei miei; quando lo fece, una calma calò sul vicolo, un silenzio tombale che nulla aveva a che fare con la rissa di poco prima. Vidi le sue iridi tornare gradualmente alla loro tonalità bicolore e con lo sguardo pregai si fermasse, che non si spingesse oltre. Le cose erano già sfuggite abbastanza di mano.

«Perché?» bisbigliò, muovendo solo le labbra.

«Perché cosa?»

«Perché pensi che io sia migliore di lui» replicò, stavolta stringendole l'una contro l'altra. Poi mi spostò gentilmente e con decisioni si diresse da Richard, lo afferrò e lo tirò su in piedi. Mi mossi per intervenire, ma Victor mi mostrò l'indice, come in un implicito "aspetta". Poi piantò un'ennesima volta il mio ragazzo al muro.

«Ascoltami bene» proferì, «perché non lo ripeterò due volte.» Gli si avvicinò lentamente. «Adesso tu dimenticherai tutto quello che è appena successo, ma voglio che una cosa ti si fissi bene in testa» gli puntellò un dito sulla fronte. «La prossima volta che alzerai le mani contro una donna, io lo verrò a sapere. Non rammenterai chi io sia, saprai solo di non dovermi far incazzare se ci tieni ad avere la gola integra e il sangue dentro le vene e non fuori. Ci siamo intesi, šiknius?» cominciava quasi a piacermi, il suo accento.

Richard, rattrappito e allarmato, con un rivolo rosso che colava dal naso, lo guardò allucinato. «Tu sei pazzo.»

«Probabile» sorrise, «ma almeno non sono come te.» Aprii bocca per chiedergli cosa stesse facendo, ma lui mi precedette, afferrandolo per le tempie e premendovi indice e medio di entrambe le mani. Si immobilizzarono: occhi negli occhi non sbattevano le palpebre, ma potevo vedere le labbra del demone muoversi in sussurri che non riuscivo a capire e i cui pochi sprazzi che giungevano alle mie orecchie erano a me impossibili da tradurre. Sembrava lituano, ma distorto, come stesse dicendo le parole al contrario.

«Ehm...» mormorai, sperando di attrare l'attenzione di uno dei due – possibilmente quello che non mi aveva minacciata – e quando si scansarono uno dall'altro come scottati feci un salto indietro. Victor indietreggiò, mentre Richard si sedeva in modo composto. Non appena fu a terra, la testa gli ricadde in avanti.

«Finito.»

«Che diavolo gli hai fatto?!» sbottai, ma rifiutandomi di avvicinarmi.

Victor mi lanciò un'occhiata. «Gli ho tolto la memoria dell'ultima ora e l'ho rimpiazzata con immagini fittizie. Crederà di aver fatto a botte con un conoscente e non ricorderà di averci visto. In questo modo ci proteggeremo dall'essere scoperti.»

Rimasi in silenzio per qualche secondo, scrutandolo prima di esclamare: «E non avresti potuto farlo pure con mia madre?!»

Lui si girò di nuovo, le sopracciglia inarcate. «Wow, pensavo mi avresti chiesto se lo avessi ferito gravemente o altre stronzate simili... ma a quanto pare ho una considerazione troppo alta delle tue capacità empatiche.» Fece una pausa, in cui mi guardò annuendo. «Non male, ti facevo più crocerossina.»

«... Cosa?»

«Niente. Andiamocene, forza.» Si avviò senza degnarmi d'attenzione e io lo afferrai per una manica. «Si sveglierà fra qualche minuto» spiegò, «e se ci vedrà dovrò di nuovo togliergli i ricordi. Due Degeneracija a così poca distanza l'una dall'altra gli ridurrebbero il cervello in poltiglia.» Mi fissò negli occhi. «Vuoi che diventi un vegetale? Perché se lo vuoi per me non è un problema» chiese, mortalmente serio.

«No!» gridai. «Non sono un mostro! Sarà uno stronzo ma è sempre il mio ragazzo.»

«Te li scegli bene, vedo.»

«Non sei nessuno per giudicarmi.»

«No, ma quando ti serviva che lo picchiassi ti faceva comodo. Siamo un po' ipocriti, eh, ragazzina?»

«Piantala, non te l'ho chiesto io di picchiarlo. Piuttosto spiegami dove accidenti siamo.»

«Nel vicolo di Sanctuary Lane.» Mi lanciai un'occhiata attorno e allentai la stretta, così da permettergli di liberarsi. Si allontanò, facendomi cenno con la mano di seguirlo: «Avanti, Watson, vieni» gridò, e udendo il gemito dietro di me mi affrettai a seguirlo, marciando veloce fino all'entrata del vicolo- quando lo raggiunsi, Victor si lasciò sfuggire un sorriso, la cui natura non riuscii a comprendere del tutto. «Non possiamo usufruire della Dematerializacija» disse, «non subito, almeno. Devo ricaricare le energie, quindi dovremo camminare un po'.»

«Non sono io che ho fatto a botte.»

«Sì, perché c'ero io» ribatté. «Mi spieghi perché cavolo stavi con quel cretino?»

Non lo corressi, non mi pareva il caso. «Perché un tempo non era così.»

«Ah no? E com'era, il tipico principino tutte coccole e bacini?» mi derise. Incassai il colpo, conscia che se avessi risposto mi sarei solo scavata la fossa. Purtroppo, Victor non si diede per vinto. «Davvero, la mia era una domanda seria.»

Strinsi i pugni. Adesso ero davvero arrabbiata. «Sì! Contento? Era il tipico bravo ragazzo! Per questo lo amavo!»

«E perché siete ancora fidanzati? Se ho intuito bene, ha già alzato le mani su di te altre volte.»

«Sì, lo ha fatto.»

«E tu non hai reagito?»

«No, non ho reagito! Ero talmente sconvolta quando è successo da essermene resa conto solo quando era finita.»

«Non lo hai denunciato?»

«No.»

Alzò le mani. «Aspetta, vuoi dirmi che tu gliela hai fatta passare liscia? Tu?»

«Non è così facile come può sembrare.»

«Avresti almeno dovuto allontanarlo. Quale pensavi sarebbe stato il prossimo passo? Te lo dico io: l'abuso.»

«... Non... non credo sia quel tipo di persona...» tentennai.

«Non era nemmeno il tipo di persona che picchia il proprio partner?»

Mi fermai in mezzo al marciapiede, voltandomi verso di lui. Victor fece lo stesso, indifferente e calmo come sempre. Mi dava ai nervi. «Senti, ho sbagliato a fidarmi di lui, ho capito. Adesso puoi smetterla?»

«Non la smetterò finché non capirai davvero che quelli come lui non meritano nulla.»

«Perché ti scalda così tanto, questo argomento, eh?» spalancai le braccia. «Cosa te ne frega?»

Lui serrò la bocca e inspirò a fondo, allargando le narici. Credetti fosse sul punto di rifilarmi la solita risposta-non-risposta, quando mi stupì per la quarta volta in una giornata. «Perché una persona a cui tenevo molto ha dovuto subire qualcosa di simile» le sue palpebre tremolavano, la voce mono-tono. «E io non ho fatto niente per difenderlo, sono rimasto a guardare.»

Lo studiai in silenzio, ignorando la fitta che ebbi allo stomaco,

«Quindi ora, ogni volta che sono testimone di un qualsiasi tipo di sopruso del genere, intervengo. E non sono clemente, non lo sono mai stato.» Fece una pausa, «Il tuo ragazzo è stato fortunato.» Quando lo guardai senza capire, lui sollevò il mento con fare imperioso. «Se non ci fossi stata tu a chiedermi di fermarmi, a quest'ora avrebbe qualcos'altro di rotto più del naso.»

Mi schiarii la gola, arsa da lingue bollenti, per riprendere il controllo.

«Ho anch'io una domanda per te, enkelin

«Dimmi, demono

L'angolo delle sue labbra si sollevò. «Perché mi hai guardato in quel modo?»

«Q-quale modo?» Bugiarda, ero una bugiarda.

Lui strinse e riaprì le palpebre. «Quello di qualcuno che ha fame.» Ci guardammo senza che fossi in grado di rispondere. Se ne era accorto. Era stato reale. Quando non risposi ridacchiò sottovoce fra sé e sé, prima di voltarsi e decretare: «Avanti, andiamo a casa.»

Betaggio a cura di: Sayami98

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