04. Heart full of lies
Canzone nei media:
Where is the edge - Within Temptation
"Tutti abbiamo paura.
La differenza sta nella domanda:
paura di cosa?"
(Frank Thiess)
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Oltre il vetro, Victor osservava i movimenti di Zoë e ascoltava i battiti rapidi del suo cuore.
«Perché guarda la porta?» sussurrò Aušrius al suo fianco.
L'uomo ingoiò un grumo di saliva amara, la gola secca. Era così vicina... «Penso percepisca la nostra presenza» spiegò, chinandosi in avanti per continuare a seguirla con gli occhi mentre si alzava, una bottiglia di quella che sembrava birra stretta in mano.
«Ma noi siamo alle sue spalle» il ragazzo parve ancora più perplesso.
«Forse il suo grado dinastico non è abbastanza forte» ipotizzò. Una goccia di sudore gli scese lungo la spina dorsale. «Sa che siamo qui ma non riesce a individuarci.»
«Credi che potrebbe essere un problema?» Aušrius lo osservò e lui gettò di rimando una rapida occhiata nella sua direzione. «Potrebbe mettere a rischio la riuscita del rito?»
«Non credo, no. È il suo sangue che ci serve, non... non lei» mormorò sommessamente. Temeva che la ragazza – ora intenta a camminare su e giù per la cucina – lo udisse. Le sue iridi si soffermarono qualche secondo di troppo sulle sue labbra, quello inferiore stretto in una morsa dai canini superiori – non gli era sfuggito come fossero più lunghi della norma. Altro indizio sulla sua vera natura.
«Ne sei sicuro? Se gli portassimo la persona sbagliata Dimitar non ce lo perdonerebbe.»
«Non gli porteremo la persona sbagliata, piantala con queste paranoie» replicò lui, un po' spazientito dagli interventi di Aušrius – lo deconcentravano.
«Sono solo preoccupato.»
«Se è l'idea di far spazientire Mitrej che ti preoccupa, sta' tranquillo. Sappiamo quello che stiamo facendo.» Victor distolse a fatica lo sguardo dalla giovane per posarlo sul fratello e portò la mano sinistra sulla sua spalla, stringendola per rafforzare l'effetto delle proprie parole. «Fidati di me, fratellino.»
Aušrius si lasciò sfuggire un sospiro. «Va bene» disse, prima di passarsi il palmo destro sul volto, la pelle scura velata da una leggera patina di sudore. «Mi fido, so di poterlo fare.» Victor annuì e un angolo della sua bocca si sollevò impercettibilmente.
I due spostarono in contemporanea l'attenzione sulla finestra: il buio regnava ancora sulla stanza, ma di Zoë non c'era più traccia. Gli bastò acuire l'udito per sentire i suoi passi, incerti ma pesanti, procedere sugli scalini verso il piano superiore.
Victor non sapeva definire cosa stesse provando. Per tutto il giorno aveva cercato di non soffermarsi su di lei, svagandosi in chiacchiere con Aušrius o leggendo seduto in macchina, ma da quando Zoë era tornata a casa, quella strana elettricità statica aveva ripreso a scorrergli nelle vene. Era piacevole, a modo suo... il problema era che non avrebbe dovuto esserlo.
Non era stato facile impedire alle emozioni di prendere il sopravvento, aveva dovuto sforzarsi per non seguirla dentro casa. Voleva toccarla, avere la prova che fosse reale e che la sua pelle fosse liscia come appariva. E poi voleva affondarvi gli artigli e bearsi del suo sangue. Che visione splendida sarebbe stata.
Fallo.
No, non
puoi.
Strinse le palpebre, scuotendo la testa per liberarsi delle voci. Ci era cresciuto insieme, sapeva come gestirle, ma da quando aveva trovato quella Zoë si erano tramutate in sussurri quasi perpetui e ignorarle era diventato più difficile.
Aušrius corrugò la fronte, «Stai bene, Victor?» Nel sentire una nota di preoccupazione nella sua voce, l'uomo avvertì una fitta allo stomaco.
«Sì» grugnì, arricciando il naso e sfiorando il muro con la mano. «Andiamo.» Non attese che Aušrius lo seguisse, ma s'incamminò senza voltarsi, diretto alla vetrata che dal salotto dava sul giardino della proprietà.
«Sei strano ultimamente» commentò il più giovane, alle sue calcagna.
«È curioso che lo dica tu.»
«Io sono nato strano, tu invece hai assunto un comportamento davvero insolito negli ultimi tempi. È come se da quando abbiamo trovato Zoë tu...»
Victor si voltò e si fermò a pochi centimetri da Aušrius, che dal suo metro e settanta retrocesse di qualche passo. I suoi artigli erano sguainati, quando gli punto addosso un indice. «Cosa, Aušrius? Attento a quello che hai intenzione di dire.»
Il ragazzo spalancò gli occhi e il pomo d'Adamo scese e risalì velocemente. «Io... io volevo solo dire che sembri teso, come se ci fosse qualcosa che ti spaventa» si difese alzando le mani, «ma è impossibile, perché non ne hai motivo. E poi... insomma, sei tu» tentennò, «tu non hai mai paura.»
Victor si chinò a poco a poco in avanti e lo afferrò per il colletto della camicia. «Stammi bene a sentire» sibilò, «perché non lo ripeterò due volte: non provare mai più a insinuare che io tema quella ragazza.» Le sue iridi brillavano pallide nell'oscurità del giardino.
«N-non intendevo dire quello.» Victor non replicò, limitandosi a guardarlo dritto negli occhi, poi sciolse la presa e lo lasciò andare. Aušrius si schiarì la gola e si sistemò la camicia. «Scusami.»
«Non scusarti» lo rimbeccò lui.
Dandogli le spalle, Victor si accostò alla porta scorrevole. Il soggiorno era buio, ma i suoi occhi potevano distinguere i contorni degli oggetti da mobilio, mentre teneva il volto premuto contro le vetrate. «Hai portato le forcine?»
«Certo» il ragazzo lo scostò e si inginocchiò davanti alla maniglia. Trascorse qualche minuto di silenzio, prima che aggiungesse: «Dovresti imparare a farlo anche tu.»
Lui sbuffò, poggiato con il fianco sinistro al vetro, le braccia incrociate e i capelli spettinati per nascondere le corna. «Lo trovo inutile. Perché scassinare quando posso irrompere?»
«Perché alle volte – come in questo caso» gli lanciò un'occhiata, «è meglio non farsi scoprire. E scardinare una porta è un ottimo modo per farsi scoprire. Dovresti saperlo.»
Victor si lasciò scappare un verso di disaccordo ma non disse nulla. Pochi secondi dopo, si udì un click e la porta si schiuse.
Sorpassando Aušrius entrò a passo felpato nel soggiorno. Non seppe dire con certezza quale sensazione gli diede mettere finalmente piede nella casa di Zoë dopo averla monitorata per due settimane. Quando il suo anfibio toccò la stoffa del tappeto gli parve quasi di calpestare una nuvola. L'odore di lei era così forte che per un attimo gli girò la testa.
«Tu resta qui» sussurrò al fratello, «mi darai l'allarme nel caso accada qualcosa.»
«Tipo cosa, che Aliisa scenda in cucina in preda al sonnambulismo? Accidenti, sarebbe difficile affrontarla, è tosta. Potrebbe lanciarti qualche matita e ferirti a morte.»
Victor sospirò. «Vedi solo di coprirmi, d'accordo?»
«Come vuoi, capo.»
«Grazie» fu la secca risposta, accompagnata da un assottigliamento delle palpebre.
Senza aggiungere altro, Victor si mosse furtivo nella stanza. Alla sua sinistra, su un lungo e basso mobile di legno scuro, c'era una tv a schermo piatto, mentre sulla destra un divano invaso da cuscini delle più disparate dimensioni e una lampada per ambienti.
Avanzando di qualche passo raggiunse il corridoio, che fino ad allora aveva potuto osservare solo distorto dalle vetrate smerigliate. Quest'ultimo aveva un0aria triste, le pareti grigie e solo qualche foto ricordo appesa in cornici antiquate. In fondo, accanto all'entrata, c'era una cabina armadio lasciata aperta, ai cui piedi giaceva uno strabiliante ammasso di scarpe, e parallelamente un tavolino dall'aspetto antico. Nell'aria svolazzavano i peli del gatto di Zoë, un'enorme palla arancione che – quando Victor vi si era imbattuto qualche giorno prima – gli aveva soffiato in faccia.
Poggiò le dita affusolate sul corrimano delle scale e, cercando di fare meno rumore possibile, salì i gradini. L'idea di esserle di nuovo vicino gli faceva girare la testa.
Inalando il profumo che gli aleggiava attorno, Victor raggiunse il piano superiore. Davanti a lui si aprì un altro corridoio, molto più cupo del precedente: qui la luce non arrivava e le ombre parevano scivolare lungo le pareti come serpenti. Sul muro a destra c'erano due porte chiuse; una di esse sapeva essere il bagno, mentre dall'altra sentiva giungere il pulsare di due cuori. Volse lo sguardo a sinistra, sull'unica altra stanza del piano. Era lì che Zoë giaceva in un lieve dormiveglia.
Tutto in lui tremò quando mosse un passo nella sua direzione.
Allungò una mano nel vuoto, ma presto la riabbassò, incerto. Quel bisogno quasi fisico di averla vicina pareva vivo, si trasformava con il passare dei secondi, dei minuti: prima era brama di sangue e poi sete di qualcosa che nemmeno lui sapeva definire, mai ferma e sempre in movimento.
Grugnendo sommessamente strinse il pugno e si avvicinò alla porta. Quella situazione gli riportava alla mente ricordi lontani che avrebbe preferito dimenticare.
Con movimenti quasi impercettibili girò il pomello. Quando l'uscio si aprì, l'odore celatovi all'interno lo investì. Ogni cosa in quel posto urlava enkelin.
Dopo essere entrato nella camera richiuse la porta alle proprie spalle. La fialetta nella tasca della sua giacca sembrò avere il peso di un'incudine, quando i suoi occhi si posarono sulla figura rannicchiata di Zoë. Gli dava le spalle, i capelli rossi sparsi sul cuscino come fiamme vive, e la pelle splendeva sotto al bacio della luna.
Non
farlo.
Esegui
gli ordini.
Si premette i polsi contro le tempie e attese che le voci si placassero.
Facendo attenzione a non svegliarla si accostò al letto ed estrasse la fialetta e un fazzoletto bianco decorato da frange, al cui angolo era ricamata in celeste la lettera "M": era stata Móreen a darglielo, come segno di buon auspicio per la riuscita della missione. Dopo aver versato delle gocce sulla stoffa, l'avvicinò al viso di Zoë e, spingendo il ginocchio contro il materasso, usò la mano sinistra per fermarle la testa. Non appena la pezzuola le sfiorò la pelle, Zoë si svegliò di colpo. Victor tenne lo sguardo fisso sul muro, respirando a tratti, e solo quando la sostanza fece effetto e il dimenarsi si spense tornò a guardarla.
Accarezza.
S a n g u e.
Dovette rimanere imbambolato, perché – dopo quelli che gli erano parsi secondi – venne scosso da un sussurro. Quando si voltò, scorse Aušrius in piedi a poca distanza da lui, un'espressione confusa in volto. «Tutto okay? Ti ho aspettato per quasi dieci minuti» bisbigliò.
«Io... sì, scusa.»
«Ti serve una mano?»
«No, no, ce la faccio. Aprimi la finestra.» Senza replicare il ragazzo fece come chiesto e lo scrutò caricarsi Zoë in spalla. Fermatosi davanti al canapè, Victor gli rivolse un'occhiata fugace. «Occupati dell'Impala, io torno subito alla magione.»
Aušrius gli fece un cenno con il capo e gli mimò di sbrigarsi, quando dall'altra stanza udirono uno scricchiolio. Lui non se lo fece ripetere. Assicurandosi di tenerla stretta, Victor spiccò un balzo dalla finestra e svanì a un soffio da terra.
Durante la Bėgimas, la corsa che susseguiva alla Dematerializacija, il vento frusciò contro di lui, baciandogli gli zigomi con il tocco di una lama. Suo malgrado, Victor fece attenzione a tenere il volto di Zoë contro il proprio petto per proteggerlo. Le folate tiepide gli spettinarono i capelli, che spostandosi rivelarono le punte delle corna.
Distogliendo lo sguardo dalla noiosa vista del mondo che sfrecciava attorno a lui, distorto in un ammasso di linee confuse, lo abbassò sulla ragazza. Aušrius aveva ragione, non poteva negare che Zoë avesse un certo fascino, seppure i suoi lineamenti non fossero aggraziati: la mascella squadrata e le sopracciglia folte contrastavano in modo armonioso con le labbra sottili, le ciglia lunghe e le lentiggini che le ricoprivano il viso. I capelli ramati erano un'aggiunta interessante, se considerata la sua discendenza, poiché il rosso era un colore da Ríogacht.
Se non si fosse trattato di un'enkelin... Zoë sarebbe di certo stata il suo tipo.
Osservarla faceva quasi male.
Basta.
No, perché
smettere,
Victor?
Chiuse le palpebre ed emise un sospiro.
Pochi secondi dopo, la Bėgimas s'interruppe spontaneamente e Victor si materializzò davanti a un paio di alti cancelli neri. Ai lati s'innalzavano due torrette di pietra, sulle cui sommità giacevano due statue a forma di corvo, il becco aperto e le ali tese come pronte a spiccare il volo.
Il grande cortile della magione ricordava i giardini di un palazzo reale, tra spiazzi erbosi dotati di panchine, sentieri di ghiaia così bianca da luccicare al chiarore lunare e un elegante gazebo di fiori.
Victor provava un'ansia montante e il desiderio cocente di tornare da dov'era venuto.
A malincuore spostò la ragazza sulla spalla destra e spinse le inferriate per accedere alla proprietà. Avanzò adagio sul sentiero, ascoltando gli scricchiolii dei sassolini come potessero aiutarlo ad affrontare il cambiamento che stava per entrare nella sua vita. Era ancora intento a distrarre la mente quando il portone della residenza si spalancò e Dimitar scese di corsa gli scalini.
Torna
indietro.
Inspirando a fondo, Victor aumentò il passo, fino ad annullare la distanza. «Mitrej» salutò.
«È lei?» I lunghi capelli neri di Dimitar erano spettinati e sciolti sulle spalle e a cavallo del naso portava gli occhiali da lettura. Victor si limitò a fare un cenno del capo, un'espressione seriosa incollata al volto. «Dove l'hai trovata?»
«Cornovaglia.»
Dimitar rimase interdetto e lasciò vagare lo sguardo sul terreno; erano passati due mesi dall'ultima volta in cui si erano scambiati dei messaggi e il fratello era sempre tanto indaffarato da soffrire di vuoti di memoria. «Ottimo» disse infine, riportando lo sguardo su di lui. «È un giorno da festeggiare, allora» un sorriso soddisfatto gli si aprì in volto.
Victor non replicò, rispondendo con il migliore e il più finto dei propri sorrisi.
Fianco a fianco i due salirono i gradini fronteggianti l'entrata. Non appena furono in casa, Dimitar gli poggiò una mano sul braccio. «Portala al secondo piano, nella camera che affaccia il cortile. Dirò a una delle domestiche di rassettare la stanza stanotte mentre dorme.»
Lui annuì e si separarono senza accennare altro, uno in direzione del salone e l'altro sulla scalinata che portava al primo piano. E ora che era di nuovo a casa, Victor sentì tutta la stanchezza crollargli addosso. Non fu strano, ormai era abituato al fatto di doversi allontanare per mesi, e anzi, l'unica cosa che gli fece un certo effetto fu di incrociare Håvard, Áshildur e persino Britta durante il tragitto. I turni avrebbero dovuto essere finiti da ore.
Il maggiordomo, comunque, fu l'unico a guardarlo in faccia.
Fu mentre si accingeva a salire al secondo piano, che la figura di Móreen si palesò inaspettata a pochi passi da lui. La donna ci impiegò qualche istante a riconoscerlo, ma quando registrò il suo volto un'espressione incredula la illuminò, la quale si intensificò quando si accorse della ragazza che gli giaceva sulla spalla.
«... Victor?» sussurrò, trattenendo il respiro.
«Reen» un sorriso gli tirò le labbra senza che potesse fermarlo. Di colpo si sentì più leggero, come se ogni sua preoccupazione si fosse dissolta nell'aria.
Móreen, i capelli sciolti sulle spalle in onde dorate, fece un balzo in avanti e lo strinse a sé con forza. «Per Sokanon, sono passati quasi tre mesi! Dov'eri finito?»
Victor ridacchiò, quasi dimenticandosi di Zoë stesa sull'altra spalla. «Perdonami» disse scostandola, «ma io e Aušrius siamo stati assorbiti dalla ricerca.»
La donna lanciò un'occhiata al corridoio alle sue spalle, del tutto sgombro. «Lui dov'è?»
«Arriverà a breve, giusto il tempo di occuparsi dell'auto.»
Móreen strinse le labbra in una linea sottile. Poi, parendo ricordarsi della sconosciuta, le puntò addosso l'indice. «Dunque è... è lei?» Victor annuì. «Devi portarla nella sua stanza?»
Lui fece un altro cenno affermativo e spostò Zoë sulla spalla sinistra, muovendo un po' il braccio per far ripartire la circolazione.
«Ti accompagno, allora.»
Fianco a fianco, i due si avviarono verso il piano superiore, le spalle che si sfioravano di tanto in tanto. «Com'è andata, mentre non c'ero?»
«Oh, come al solito. Nessun evento degno di nota.» Móreen scostò i capelli dal volto. «Ti va di raccontarmi come avete passato l'estate? Sono curiosa, l'ultima volta che sono stata in Inghilterra era il 1710.»
Victor ridacchiò. «Con piacere, magari dietro aun buon bicchiere di bourbon.»
Betaggio a cura di Sayami98
Banner a cura di Saintjupiter
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