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ᑕᗩᑭITOᒪO 34 |TᑌTTO ᑎᑌOᐯO ᑭEᖇ ᗰE!|

«Ma non capisci? Sei stupida o cosa?» È la prima volta che Nadia alza la voce con me.  «Non è perché lui potrebbe abusare di voi, ma è lui che rischia di venire travolto dalla vostra femminilità! Non ci arrivi?» Mi rimprovera Nadia perché discuto sul futuro di Nelu, quasi  fosse compito mio fargli da madre.

«Ma smettila, credi davvero che se starà per qualche  settimana qui con noi, inizierà a mettersi il rossetto e lo smalto sulle unghie? Andiamo...»  Insisto con fare serio. «Senti Khat, non dipende da me, lo sai! Io sono solo la portavoce.» Si  arrende poi. Ho vinto! Mi batto una pacca sulla spalla immaginaria. 

Siamo a fine mese, novembre è volato via grazie anche alla compagnia di Marina che  insistente mi perseguitava quasi fino al gabinetto. Ha intravisto uno spiraglio e armata di  tutta la determinazione che aveva, ci si è intrufolata dentro.

Daria è tornata a far visita al  figlio una settimana fa. Non lo vedeva da quando erano partite mamma e Olga. Si è  materializzata a casa Condori e pretendeva di portare suo figlio con sé a Ciulucani, dove  regnava il caos e la prostituzione nella casa natale di mio padre. Ovviamente non lo avrei  mai lasciato andare perché in primis non ci voleva andare lui e poi non era quello il suo  destino. Forse. Così ora siamo qui nell'appartamento pieno di ragazze e stiamo votando se  accoglierlo con noi o no, nonostante qualcuno avrebbe dovuto dormire a terra.

Sono tentata  di chiamare mia madre, ma non voglio coinvolgerla sapendo il rapporto che ha con Daria.  Chissà perché sia lei che Giulia pensavano sempre che mia madre volesse portar via loro i  figli. Non è mai successo, ma forse sarebbe stato meglio visto che entrambe hanno  rinunciato a loro troppo facilmente. Per un istante un lampo mi attraversa la mente e capisco che sono stata fortunata dopotutto; potevo essere figlia di Giulia, o, peggio, di Daria.

«Per me non c'è problema!» Dice Mila, ma nessuno le dà retta. Siamo sul mio divano letto,  tranne Carolina che si è seduta per terra davanti a noi quattro. Vera e Mila stanno affiancate  con la schiena appoggiata al muro tappezzato, mentre io e Nadia siamo sul bordo sedute  educatamente, come ci è stato insegnato da mia madre. 

«La domanda non è chi vuole cosa. La vera domanda è che cosa vuole fare Nelu?» Chiedo severa zittendo il battibecco che si era creato dopo l'affermazione di Mila. "Ma non avrò la  mia privacy" Sento dire ad una di loro. "E poi dove dorme?" Accenna un'altra. "Ma è un  maschio!" Mormora quella che non dovrebbe proprio parlare. 

«Sentiamo, qual è il problema se è un maschio?» La incalzo. Carolina mi guarda a lungo in  silenzio e poi guarda Mila. «Potrebbe... sai...» Azzarda Carolina. A questo punto mi alzo in  piedi e la raggiungo, ma non mi abbasso. «Parli tu? Davvero?!» Dico con aria di sfida. Lei  si alza a sua volta e sembra quasi di essere su un ring. «Perché? Hai qualcosa da dirmi per  caso?» Solo la prima domanda è rivolta a me, a giudicare dallo sguardo di Carolina che ora  è attaccato al viso di sua sorella Mila. 

«Ragazze, non c'è bisogno di litigare. Decidiamo insieme a una tazza di tè caldo, che ne  dite?» È la Nadia autoritaria a parlare. Essendo la più grande in questa casa, porta lei il peso  della responsabilità per tutte noi. 

Quando il bollitore dell'acqua fischia, ci sistemiamo nuovamente tutte intorno al tavolino della cucina, dove Nadia ha già preparato del pane con marmellata e le tazze fumanti per ognuna di noi.  Ci sediamo in silenzio senza incrociare lo sguardo l'una dell'altra e rimaniamo così finché il tè si fredda abbastanza da diventare bevibile.

Vera si alza e scompare dietro al muro per poi  tornare con un foglio e una penna. Lo prende e strappa dei pezzetti difformi, lanciandoli  come carte da gioco sul tavolo davanti a noi. Poco dopo, con la penna scarabocchia qualcosa sul suo biglietto, tenendolo nel palmo ad arco per non farci vedere nulla. Poi passa la penna  a Nadia che fa la stessa cosa. Ora tocca a Carolina che esita a prendere la penna.

Quando  Vera la sfida, lei scrive veloce qualcosa e piega il foglietto in una piccolissima pallina;
imitando le precedenti. Io e Mila siamo le ultime, ma non c'è bisogno di scrivere la nostra  decisione; abbiamo già detto di sì prima. 

«Forza, scrivete sì o no.» Ci incita Vera determinata. Entrambe scriviamo la stessa risposta e lanciamo le palline sul tavolo che si vanno a confondere con le briciole del pane. Nadia li  mischia e poi racimola tutti e si affretta a porgermeli con un sorriso. Li prendo e li conto,  mica che ne manchi uno. Quando so per certo che sono cinque, ne passo uno alla volta a  Mila che, entusiasta, ne apre uno a uno per rivelare la scelta.

«No, sì, sì, no... Mi dispiace  Khat.» Dice Mila con l'ultima pallina in mano. «Non è ancora detta l'ultima parola.» La  incito ad aprire la pallina e vedo con entusiasmo una "I" spuntare prima ancora che lei abbia aperto il bigliettino del tutto. «Sì!» Afferma. Sono sicura che sia stata Nadia a dare quella  risposta, ma quando incrocio il suo sguardo noto la delusione. Carolina non poteva averlo  scritto perciò rimane solo Vera, che mi sta fissando con un sorriso appena accentuato sulle  labbra tirate. Le mimo un grazie silenzioso e lei fa un cenno con la testa per poi avviarsi al  lavandino con piatto e tazza. 

«Bene, è deciso a quanto pare. Chiama tuo cugino e digli di venire. Ma non ti prometto che  funzionerà la cosa. Per ora è una prova, ok?» Dice Nadia. Faccio il giro del tavolo, per  raggiungerla davanti a me e la abbraccio da dietro con mille grazie che escono dalla mia  bocca ad intermittenza. Lei ride e allora Mila arriva ad unirsi all'abbraccio, invadendo la  nostra intimità. Vera e Carolina escono dalla cucina con una smorfia che imita la voglia di  vomitare e noi ridiamo ancora di più attorno alla nostra mamma temporanea. 

Nel pomeriggio, abbiamo chiamato Nelu per avvisarlo che poteva stare con noi; poteva  finalmente sfuggire alla madre che, insistente, veniva a trovarlo nel cuore della notte. Voleva a tutti i costi che lui la chiamasse mamma e che la rispettasse. Lui però era indifferente. Il  suo viso era inespressivo davanti a Daria, quasi a volere dimostrare che realmente non gli  interessasse e non gli servisse una madre. 

«Sai una cosa, tu inizia a preparare le tue cose, io arrivo con Mila ad aiutarti per portare  tutto qui da noi.» Lo incoraggio e lui accetta entusiasta. Così poco dopo cammino mano  nella mano con Mila, verso casa Condori. 

Il sabato è luminoso, ma un gelo lacerante trapassa le nostre giacche e arriva fino alle ossa.  «Ecco perché i moldavi fanno colazione con uno shottino di distillato: per riscaldarsi le  ossa.» Dico divertita. «Andrebbe bene anche un tè caldo, per scaldarmi le ossa, in questo  momento.» Afferma Mila tutta tremante. Siamo in cima alla salita e manca pochissimo per  arrivare.

Una voce da lontano vuole attirare la nostra attenzione così, per quel che ci è  possibile, ci giriamo nella sua direzione per capire se si rivolgesse a noi. Siamo quasi  all'incrocio dove sulla destra, poche case più in giù, c'è la casa che mi aveva ospitato tante  volte. «Aspettate!» Urla ancora la voce, anche se molto più vicina. Ci fermiamo dopo che  avevamo deciso che non ce l'aveva con noi, sbagliandoci. 

«Khat, aspettami.» Era niente di meno che Marina, con una baguette che teneva sottobraccio e un sacchetto di plastica nero nell'altra. Aveva il calendario dell'anno scorso stampato  sopra; erano la moda del momento quei sacchetti tanto resistenti. «Dove andate di bello?»  Chiede lei ingenua. «Secondo te?» chiedo corrugando la fronte. «So dove andate Khat, era  solo per iniziare una conversazione mentre camminiamo; mi aggrappo a voi per non cadere,  va bene?» Mi avvisa prima di prendermi a braccetto.

Saluta Mila che conosce già per motivi a me sconosciuti, visto che non frequenta la nostra scuola. Lei e Carolina vanno nella scuola russa, ma non saprei dire per quale motivo. La loro mamma l'ho vista una sola volta  nell'altra vita e anche lì solo per qualche minuto; ricordo perfettamente il suo viso, uguale a  quello di mia nonna e alle altre sorelle Tabarcea. Decido di non voler sapere da dove  nascesse il loro rapporto e mi godo la passeggiata nella neve alta.

Sono nel mezzo e le due mi tengono a braccetto. Arriviamo al cancello giallo dove Nelu è già all'entrata con uno  zaino sulle spalle e due sacchetti; uguali a quello di Marina. 

«Ah eccovi!» Afferma mentre ci vede avvicinarsi. Si affretta ad uscire e chiude il cancello.  Mi porge uno dei sacchetti e l'altro lo passa a Mila che è l'unica con le mani ancora libere.  Si guarda indietro preoccupato e si attacca al braccio di Marina che ricomincia a camminare  in discesa. Mi lascio cullare dal momento e non realizzo nemmeno dove stiamo andando.  Nessuno parla, ma Marina ha un grande sorriso stampato in faccia. 

«Dove stiamo andando?» Chiede Mila confusa. Siamo a un incrocio: se si svolta a destra si  va verso il centro tramite una via secondaria, mentre se si sale a sinistra si arriva  direttamente a casa di Marina. 

«State tremando e io ho fatto delle compere. Voglio offrirvi un tè e sapere anche io che  succede.» Marina parla fluida, senza esitare, quasi fosse normale tutto ciò che stava succedendo. «Ho proprio bisogno di un tè caldo!» Afferma Mila convinta. «Ma se lo  abbiamo bevuto prima a casa nostra.» La incalzo. «E allora? È solo acqua!» Avrei voluto  dirle che non era così, ma non me la sentivo di spiegarle la gravità dell'abuso di teina.

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