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ᑕᗩᑭITOᒪO 22 |ᖇEᗩᘔIOᑎE ᗩ ᑕᗩTEᑎᗩ|

Ho sempre avuto un problema con i sentimenti. Non mi piaceva come mi facevano sentire. Un abbraccio era bello solo se te lo dava tua madre che non lo faceva mai. Ma un abbraccio era altrettanto bello dato da una persona estranea ed insistente?

Non ho mai saputo esprimere la mia rabbia. Nessuno mi prendeva sul serio quando mi arrabbiavo. Iniziavo a tremare e a balbettare. Mi sudavano mani e piedi. Arrossivo come un peperone e tutti scambiavano la mia rabbia per sentimento, ma era solo una fottuta rabbia che mi lacerava.

Cercava di sfogarsi inutilmente, ma periodicamente veniva repressa e dimenticata negli angoli più remoti della mia mente. La giustificavo chiudendo bene a chiave con frasi come Non possono capirmi, io sono diversa oppure Non vale la pena sprecare fiato, sono ignoranti, ma dentro faceva male, bruciava e ogni volta mangiava un boccone della mia essenza.

Ogni volta che volevo dire una cosa, che volevo reagire ad una determinata cosa e non lo facevo, sentivo che un pezzetto di me spariva irrevocabilmente. Così reagivo ai sentimenti e questa cosa doveva cambiare. Avrei speso gli anni che mi rimanevano a oppormi, a ribattere e discutere per ogni cicatrice che altrimenti mi sarebbe stata inflitta con regolarità.

Mi ripetevo queste frasi nella mente, mentre percorrevo il tratto di strada che mi portava a casa dei Condori ogni fine settimana.

Erano passati mesi da quando mamma non aveva più mandato un pacco dall'Italia e, considerando ciò, ora a casa dei miei cugini mi aspettava un bel malloppo. Arrivata, mi sono precipitata dentro come un uragano chiamando Alina e Nelu.

Alina era a fare ripetizioni di matematica, mi aveva riferito Nelu mentre spacchettavamo le quattro pesanti scatole appena arrivate. Sapevo bene quanto pagassero al kg per spedirci tutto quel ben di Dio e apprezzavo ogni centesimo speso per me a differenza di altri.

Lo zio era andato a caccia visto che la neve si era sciolta e la primavera stava sbocciando sotto forma di piccoli fiorellini profumati. Allora io e Nelu eravamo rimasti soli a scartare quegli scatoloni che arrivavano ogni tre mesi dall'Italia. Mamma insieme ad Olga, Giulia e mio padre, preparavano meticolosamente una scatola a testa.

La riempivano di cereali da mangiare con il latte, pandoro e panettone, sacchetti di biscotti assortiti, vestiti e accessori da bagno per l'igiene personale. Le cose che non dovevano assolutamente mai mancare erano la Nutella in grande quantità e il balsamo per capelli al profumo di cocco.

Erano le uniche due cose che chiedevo io e che con regolarità mi portavano via Alina e Nelu. Alina si prendeva la briga di aprire le scatole per prima, quando lo zio le portava a casa. Prendeva quello che pensava fosse suo e lasciava il resto.

Lei aveva i capelli lunghissimi, sempre intrecciati in una lunga coda. Erano abbastanza ricci da non riuscire mai a pettinarli senza farsi male, almeno che non ci fosse il famoso balsamo per capelli al cocco che aveva scoperto da quando mia madre era partita per l'Italia la prima volta.

Nelu invece cercava personalmente, dopo aver spiato i nascondigli di Alina, tutti i barattoli di Nutella. Se era fortunato ne trovava persino più di uno in ogni scatola. Allo zio invece non interessavano le cianfrusaglie. Lui cercava nella scatola dei cereali attaccato all'interno del cartone, ancor prima di arrivare a casa, la busta.

Quella famosa busta che se i miei genitori, insieme ai miei parenti, si fossero risparmiati per anni, ci avrebbe reso tutti ricchi. Mi dava la nausea veder trattare i soldi come un ringraziamento e mi chiedevo per cosa ringraziavano esattamente.

«Sai se Alina ha già portato via le cose più buone?» La domanda lasciò Nelu di stucco, ma non mi guardò mentre rispondeva. «Sai che vivo con lei tutti i giorni e mi ammazza se lo sa che te l'ho detto io.»

«Tu dimmelo e basta!» Lo avevo incitato sorridendogli. Nelu aveva fatto un sorriso complice, il suo viso quadrato aveva messo in mostra la dentatura perfetta nonostante non sapesse cos'era uno spazzolino. Non gli piaceva l'igiene personale, ma ormai mi ero abituata al suo odore.

Un attimo dopo avevamo lasciato le scatole per metà perlustrate e per l'altra ancora intatte, che erano state riempite in modo da non lasciare nessuno vuoto che potesse far ballare le cose all'interno. Eravamo al terzo nascondiglio, quando la porta di casa aveva sbattuto forte. Era sicuramente Alina, ma era tornata prima del previsto.

«Vado a vedere chi è.» Mi aveva riferito Nelu mentre si era già allontanato di poco. Fu allora che in quel nascondiglio, sotto le tegole traballanti e da sola sul pavimento instabile, ho frugato sotto gli slip nuovi impacchettati e gli elastici ammucchiati in diversi colori e ho trovato un mucchio di lettere mai aperte.

Erano tenute insieme da un vecchio elastico che mi ricordava quello di mia madre. Era decisamente quello di mia madre, ma non lo aveva ancora indossato in questa vita, almeno non davanti a me. La calligrafia riportava la scritta "X Khat – Personale".

Ho preso il mucchio di lettere e sono scappata fuori di casa, lasciando a loro il tesoro dei pacchi. Avevo il cuore a mille, ma non era perché stavo correndo. Mia madre non mi aveva mai scritto una lettera. Mai. Né in questa vita e nemmeno nell'altra. Nemmeno le cartoline di compleanno firmava talmente era fredda e distaccata.

Raggiunsi la collina in fondo alla discesa, lontana dal mucchio di case affollate. Seduta sul prato ancora umido e freddo, avevo tirato fuori quelle quattro lettere tenute insieme dall'elastico di seta lilla. Mi ricordava le lenzuola proibite dell'appartamento a Telenesti, ma scacciai subito il pensiero.

Ero intenta a leggere l'ultima riga della terza
lettera, quando una mano calda mi si era poggiata sulla spalla. Marina era arrivata silenziosamente dietro di me e si era abbassata alla mia altezza.

Aveva guardato me, poi le lettere ed infine l'orizzonte. Si era seduta di fianco e aveva tirato fuori dalla tasca della giacca un pacchetto di sigarette. Ne aveva messa una tra i denti con noncuranza e l'aveva accesa con un fiammifero.

La cosa non mi aveva sbalordita, persino io avrei voluto inalare quella nicotina per sentire qualcosa di diverso da ciò che le lettere mi facevano provare. Era amore? Odio? Pena? Disprezzo? Sinceramente non potevo dare una risposta nemmeno a me stessa, talmente abituata a reprimere i sentimenti che appena si affacciavano, spaventati ritornavano dov'erano prima se non più in profondità.

Finii di leggere l'ultima lettera e poi la buttai via lontano prima di sdraiarmi completamente per terra. Volevo sentire il contatto con madre natura, almeno con lei che era una vera madre.

«Stai bene?» Mi aveva chiesto Marina tra una boccata di fumo e l'altra. Osservavo i suoi lineamenti e capivo solo ora quanto fossimo veramente bambine cresciute troppo in fretta. «È tanto che fumi?» Chiesi deviando la sua domanda.

«In realtà è la prima volta. Le ho rubate ad un amico di Alex.» Sapevo bene che mentiva. Non sul fatto dell'amico, ma sul fatto che fosse la prima volta. Lo avremmo fatto insieme la prima volta nell'altra vita, ma non in questa. In questa avevo deciso che, se proprio avessi dovuto essere dipendente di qualcosa, allora lo avrei fatto di vita e non di morte.

«Perché menti?» La mia domanda aveva lasciato Marina con la sigaretta immobile nell'aria. Ci ha pensato un po' prima di rispondere. «Come sai che mento?» Eravamo proprio uguali: rispondere ad una domanda con un'altra domanda affinché la prima domanda venisse dimenticata. Era una regola basilare, dai tempi dei tempi, eppure ci divertiva spesso e funzionava la maggior parte delle volte.

«Prima di tutto se fosse stata veramente la tua prima sigaretta, avresti tossito. E poi non sembravi tanto eccitata all'idea di provare qualcosa di nuovo perché in verità non lo è.» I suoi occhi puntarono i miei e ci rimasero per un bel po'. Marina è stata la prima a distogliere lo sguardo e almeno per una volta ho sentito di aver vinto io contro di lei.

«Chi è così romantico da scriverti delle lettere?» Ci sapeva fare con le parole già da piccola, ma non mi avrebbe mai battuta in questo. «Qualcuno che non conosci.» Risposi alzandomi da terra e rimettendo le lettere nelle buste sparse in mezzo all'erba.

«Comunque, il fumo fa veramente male.» Le urlai mentre mi stavo già allontanando parecchio dalla collina dove l'avevo lasciata. Ero indecisa se tornare dai miei cugini e prendere qualcosa di quello che mi avevano mandato i miei genitori oppure deviare direttamente verso la strada che portava da mia nonna.

In quel momento avrei preferito essere adulta, andare al mio appartamento e dimenticare tutto. Scordare le lettere scritte da quella donna a me sconosciuta. Scordare il tradimento di Alina nel nasconderle e il fatto che Marina fosse una bugiarda già da piccola. Sarei voluta tornare sulla collina per urlare al vento e all'aria che il mondo era crudele con me.

Sentivo dentro un crollo emotivo, ma sapevo che era troppo presto. Nell'altra realtà lo avrei avuto a quattordici anni e invece ora ne avevo solo dieci. Era il prezzo da pagare per aver cambiato altre cose rispetto alla vita precedente o per aver ricordato tutto troppo in fretta?

Le parole mi martellavano il cervello e di conseguenza io picchiavo i sassi che trovavo sul mio cammino.

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