ᑕᗩᑭITOᒪO 6 |ᑎᑌOᐯI ᑭEᖇᑕOᖇᔕI IᑎEᔕᑭᒪOᖇᗩTI|
La settimana era passata come un arcobaleno sbiadito dopo la pioggia. Lentamente, senza nessuna fretta. Abbiamo fatto shopping, mangiato insieme, fatto passeggiate con Giulia e Mihai insieme alla bambina. Insomma, regnava la quiete, ma si sa che dopo la quiete arriva sempre la tempesta.
Settembre aveva bussato insistente alle nostre porte. Io mi ero concentrata su tutte le materie, anche se la matematica non mi entrava proprio in testa. Avevo voglia di apprendere il più possibile da ogni insegnante e così è stato. Inutile dire che Natalia, Diana e altri miei compagni di scuola si erano allontanati da me come fossi malata. Voci di corridoio dicevano che mi sentivo superiore a loro, comuni mortali. Sostenevano che tanto non valeva la pena perdere tempo con una che, sapevano bene, se ne sarebbe andata dal suo paese natale senza far ritorno.
Ovviamente avevano ragione, me ne sarei andata sì, ma mancava parecchio al countdown. Questa è un'altra cosa che era diversa dall'altra realtà che avevo vissuto. Nel mondo di prima avevo molti amici, ma ero ingenua, non avevo valori. Mi facevo manipolare spesso e volentieri da chiunque. Questa volta invece ero lucida e concentrata. Studio, casa, compiti e famiglia. Una settimana dopo l'inizio della quarta elementare i cambiamenti si notavano a vista d'occhio.
La scuola era a più di un chilometro di distanza, ma non mi pesava passeggiare da sola per le strade di Telenesti. I miei vicini di condominio facevano la mia stessa strada, ma si mantenevano a distanza di sicurezza. Solo Marcello aveva preso coraggio e si era avvicinato per parlarmi. Ero decisamente diversa dall'altra realtà, quella nella quale lui non mi considerava minimamente. Aveva occhi per altre ragazze, quelle che si curavano i capelli e si vestivano con stile.
Qui avevo iniziato anche io ad essere carina, portavo i capelli sciolti e non più una coda di cavallo spettinata. Avevo sempre un buon profumo di bucato fresco, non più odore di vestiti accumulati in fondo all'armadio. Avevo comprato qualche paio di jeans e delle magliette semplici, ma di colori diversi. Portavo sempre una giacca in pelle nera e un paio di scarpe da ginnastica, anch'esse in tinta con la giacca. Da quando avevo iniziato a far caso al mio aspetto, pensavo di essere una bella ragazza tutto sommato. Bastava apprezzarsi, del resto.
«Ciao Khat. Quanto tempo eh! Non esci più così spesso come una volta. Cos'è non ti piace più la compagnia dei tuoi vicini?» Marcello si era avvicinato e camminava di fianco a me, nonostante il mio passo fosse molto svelto. «Ha Ha divertente! No, dico davvero... Ci hai pensato tanto prima di spararla?!» Era la Khat adulta che parlava e dava retta ad un moccioso di dieci anni. Andiamo, pensai, era troppo facile. Marcello non si aspettava di certo una risposta così da una ragazza timida ed insicura come me. Ma lui non comprendeva, come avrebbe potuto del resto? I suoi occhi azzurri rimasero fermi, camminava di fianco a me, ma aveva iniziato a rallentare volontariamente. Non volevo essere scortese, ma non potevo lasciarmi stuzzicare come l'ultima volta. Non sarei stata il gattino indifeso che potevi accarezzare ogni tanto. Avrei preteso stavolta, avrei obiettato.
Arrivata al mio blocco, ho corso le rampe di scale fino al quarto piano, dove sulla sinistra si trovava il nostro grande appartamento. Nell'appartamento di fianco, quello in mezzo, si sentivano delle voci e un po' di confusione. Decido di entrare, considerando il fatto che anche questo ci apparteneva. Mia madre, quando era tornata dall'Italia la prima volta, aveva messo da parte mille euro. E dovete sapere che mille euro a quei tempi equivalevano a trenta mila ora. Con quel gruzzolo aveva acquistato il monolocale in cui ora stavo entrando per la curiosità. Entro nel lungo corridoio che porta alla cucina di circa due metri quadrati. La porta che dà sul balcone è aperta e sento delle risate. Decido di unirmi a loro.
«Ma che bel gruppetto!» affermo divertita. Nadia, la terza delle sorelle Tabarcea, si era accomodata su un piccolo sgabello e teneva Emmy tra le braccia. «Ciao Khat. Wow che cambiamenti. Stai crescendo eh?!» Reagivano tutti così ultimamente, ma stavo imparando a farci l'abitudine. Dovete sapere che Nadia era la più tranquilla fra le quattro sorelle. Di recente però le era successa una cosa che le avrebbe causato un sacco di problemi. Lei accudiva la bisnonna Emilia. Era lei che aveva dato il via alla moda del nome Emilia nel nostro albero genealogico. Ogni generazione aveva almeno una Emilia e così doveva essere, punto.
La prima Emilia era sulla novantina e abitava in un appartamento anch'esso al quarto piano, ma nella città natale della famiglia Tabarcea, a Singerei, non molto lontano da dove mi trovavo io ora. Nadia era quella più adatta ad accudire la bisnonna e in cambio, forse, avrebbe ricevuto quell'appartamento in eredità. Funzionava cosi.
Lei però aveva un ragazzo. Si conoscevano da poco, ma avevano ceduto alla passione. Questo comportò una gravidanza. Indesiderata o no, questa gravidanza l'aveva nascosta più che aveva potuto. I problemi erano tanti ovviamente, il primo era che non erano sposati, il secondo era che qualcuno doveva accudire la bisnonna e il terzo era che non sapeva se era pronta per una cosa del genere. Un giorno dopo l'altro però la pancia cresceva e le forze iniziavano a diminuire. Doveva portare di peso la nonna almeno tre volte al giorno al gabinetto. Farle il bagno almeno una volta a settimana e non dimenticare le medicine ad ogni pasto. Pulire la casa e fare compere erano gli ultimi dei problemi, almeno aveva un po' di tempo per respirare.
Nadia era ed è tutt'ora una persona di chiesa. Nessuno si spiega come abbia fatto a cedere alla tentazione di quel ragazzo. Andava spesso a messa e pregava prima di addormentarsi. Nonostante gli sforzi che aveva fatto, la gravidanza di cinque mesi si interruppe con un aborto spontaneo. Il raschiamento aveva danneggiato l'organo femminile e la sua pace interiore. Nadia era cambiata. La bisnonna era morta e aveva portato con sè anche il bambino, che forse non era destinato a questa vita. Inutile dire che Nadia non aveva ereditato l'appartamento che le spettava di diritto.
Inconsapevole però che, dieci anni dopo, avrebbe conosciuto l'amore della sua vita e lo avrebbe sposato. Lo avrebbe amato e insieme avrebbero lottato per avere una famiglia. I figli arriveranno, ma dopo anni e anni di trattamenti e cure mediche, dopo inseminazioni e aborti spontanei. Dopo ricoveri in ospedale e diabete, pressione alta e bassa. Insomma, una vita di sofferenze e sacrifici, ma alla fine arriveranno due bambini bellissimi. Un maschio ed una femmina. Nectarie ed Anastasia. I bambini più belli del mondo.
Lei ora però non lo sa. Ha tra le braccia Emmy e la guarda con rammarico, pensando forse a come sarebbe potuto essere avere il proprio neonato tra le braccia. Il figlio che aveva voluto vedere anche da morto. Aveva deciso di dargli un nome e degna sepoltura. Dopotutto era carne e sangue del suo sangue.
Si vedeva la forma degli occhi e aveva le labbra carnose, le manine minuscole. Raccontava una sera in lacrime tra le braccia di Giulia e lei, da brava ascoltatrice come si rivelerà anche per me nel futuro, l'aveva sostenuta e le aveva detto che passerà anche questo dolore. Col tempo sarebbe diventato sopportabile. Mi unisco al gruppo di persone sul balcone soleggiato e sorseggio un tè caldo preparatomi da Giulia. Nadia rimane con noi per un periodo necessario alla sua ripresa. Da pochi mesi le era caduto il mondo addosso e non aveva altro conforto se non quello delle sue sorelle.
Di mia madre non c'è traccia, ma non mi domando dove sia perché ho già la risposta. So bene che è questo il periodo in cui lei inizia a sentirsi libera e donna. So per certo che entro Natale succederanno molte cose. È solo questione di mesi. Giulia mi informa che da ora in poi abiteranno nel monolocale vicino a noi, ma io questo lo sapevo già. Come sapevo che lei aveva già fatto le valigie ed era pronta al suo nuovo inizio. Non aveva certo paura ad andare in Italia. Sentiva che era la cosa giusta da fare. Invece, era la cosa peggiore che potesse fare. Purtroppo ai loro occhi io sono solo una bambina che non capisce ancora i sacrifici degli adulti.
Decido di lasciarli a continuare il loro pomeriggio e vado nell'appartamento di fianco, a casa mia. Apro la porta con la mia chiave e sento subito la campana a vento posizionata meticolosamente da mia madre all'entrata. So bene lo scopo di quel suono. Appena si varca la soglia, la campana avverte che qualcuno è entrato, dando il tempo necessario a chiunque di smettere di fare qualsiasi cosa stesse facendo per non essere beccato in flagrante. La porta della camera da letto dei miei è socchiusa.
È una porta di vetro trasparente ed è impossibile non vedere cosa succede dall'altra parte. Infatti, quello che vedo mi sconvolge, nonostante lo avessi già visto nell'altra realtà. Mia madre nuda, tra le lenzuola di lino color lilla. Un uomo giovane e beato giace soddisfatto accanto a lei. La vedo sorridergli e riempirlo di baci. Lui mi nota e si irrigidisce. Io, sul momento, decido di reagire. A differenza dell'altra volta. Questa volta le cose devono andare diversamente. Entro nella stanza spingendo la porta che va a sbattere contro il muro. Per un istante mi invade la paura, ma ricordo a me stessa che non ho nove anni in realtà. Agisco d'impulso e con rabbia.
«Ma che cavolo succede qui?!» Chiedo con finta confusione. Mia madre si gira di scatto e guarda per terra, anziché i miei occhi. Questa cosa mi dà la nausea.
«Pensavo fossi da Giulia!» Dice Emilia. Tutto qui?! È cosi che la mettiamo? Speravo che non avresti detto niente. Dopotutto sono tua madre. La fisso negli occhi, che ormai non mi spaventano più. «Ti do tre minuti per prendere le tue cose e non mettere più piede in questa casa!» Dico a quell'uomo troppo giovane di fianco a mia madre. Lei lo ferma tenendogli il braccio. Il mio sangue ribolle nelle vene dalla rabbia. Vuole sfidarmi. Povera sciocca. «Mamma, tu non ti rendi conto di quanto sia grave la cosa. Credi davvero che ti lascerò fare queste cose, un'altra volta?» Chiedo tremante. Ho il suo stesso sguardo e lei se ne accorge.
«Un'altra volta? Tu non capisci Khat, sei troppo piccola!» Dice lei quasi sottovoce. Sta per mettersi a piangere. Lo so perché usa sempre la carta delle lacrime per ammorbidirmi, ma stavolta non ci casco. «Mamma, se lui non esce da questa casa entro tre minuti chiamo papà e gli dico tutto.» Affermo decisa ed esco da quella stanza ormai contaminata dalla miscela di quei due. Mi rifugio nella mia cameretta in fondo al corridoio e cerco di trattenere le lacrime con respiri profondi e regolari. Una cosa che avevo imparato da grande, nell'altra vita.
Dopo qualche minuto sento la porta di casa sbattere e mia madre dirigersi verso il bagno accanto alla mia stanza. Sento l'acqua scorrere e capisco che sta lavando via l'odore di lui. Vado in cucina. Sono tentata di chiuderle l'acqua calda da sotto il lavandino, ma non lo faccio. Accendo la radio per distrarmi e preparo due uova strapazzate. Taglio una fetta di pane insieme a del formaggio e mi siedo a consumare il mio pasto. Devo nutrirmi, dopotutto.
Lei arriva quando ho quasi finito di mangiare. Tasta il terreno come un gatto in una zona inesplorata. Una Khatrine così non l'aveva ancora conosciuta. «Com'è andata a scuola?» Decide di deviare il discorso con cose banali e futili. Nemmeno le interessa la risposta. Si siede davanti a me e inizia a massacrarsi le unghie.
«Nervosa?» Chiedo severa, indicando con lo sguardo le sue mani tremanti.
«Quello che hai appena visto, non è come sembra.» La lascio parlare, d'altronde ho ancora qualche boccone nel piatto. «Io e tuo padre abbiamo un accordo. Vedi, quando lui è rimasto con te da solo per due anni, la prima volta che sono partita, aveva avuto altre relazioni e me lo aveva confessato. Io l'ho perdonato e l'ho capito. Noi adulti abbiamo delle necessità che vanno prese molto sul serio. Sei troppo piccola per capire.» Continua lei sempre più convinta. «Mamma, a me non interessa se avete accordi e vi comportate come la bella famiglia felice davanti agli altri e invece dietro, dietro beh, ci sono queste cose. A me importa solo che io non debba vedere queste situazioni. Vorrei che tu prendessi sul serio il tuo compito di madre e che per una volta ti comportassi con responsabilità» La bomba è stata innescata. Non si torna più indietro.
«Ah, io non sarei responsabile? Dimmi, chi ti ha dato tutto questo» Dice lei aprendo le braccia ad arco. «Chi ti ha dato un futuro migliore? Chi si prende cura di te?» Chiede ormai in lacrime, disperata. Pure io lo sono, ma per altro. Perché non capisce. «Tu mamma, ti sei presa la responsabilità di mettermi al mondo. Abbi almeno la decenza di essere d'esempio e rispetta la mia memoria. O preferisci che ti odi in futuro? Vuoi una figlia che ti disprezzi? Vuoi che ti guardi sempre come ti guardo ora? Con disgusto? Perché è ciò che provo per te ora mentre ti guardo. Disgusto. Ma non per quello che hai fatto. Lo so che voi adulti avete bisogno di certe cose. Ho capito che avrai anche degli accordi con papà, ma rispetta il luogo che io chiamo casa e le mie memorie. Non voglio più vederti nuda con un uomo che non sia mio padre e questo è tutto.» Detto questo, esco di scena con la furia di un toro al rodeo.
Nella mia camera, la musica va ancora, alzo il volume per attutire i miei pensieri. Sento la porta del balcone che sbatte. Quel balcone dove lei si rifugia a fumare almeno un pacchetto di sigarette al giorno. Ho l'impressione che oggi ne fumerà due. Questo fatto, accaduto prematuramente rispetto all'altra realtà, era successo anche allora, ma non prima di novembre. Quella volta avevo deciso di non vedere né parlare. Avevo convinto me e la mia mente che era normale. Mio papà non lo verrà mai a sapere da me, non sarò io a dargli un dispiacere così grande. Questo mi dicevo per accettare tutto.
Nell'altra realtà, dopo questo accaduto, se ne sono aggiunti moltissimi altri, ma non con lo stesso individuo. Gli uomini cambiavano spesso e ogni volta diventava peggio. Ogni tanto si fermavano addirittura a cenare con noi. Ma che razza di oscenità ho dovuto sopportare? Penso. Come ho fatto a resistere per anni? Stavolta sarebbe stato diverso. Proverò almeno a cambiare qualcosa.
*
A fine ottobre ho preso mia madre finalmente sotto braccio e siamo andate a vedere i corsi che la scuola offriva ai giovani studenti. Lei era cambiata dall'altra realtà. Era più presente e preparava tutti i pasti, compresa la merenda per la scuola. Una cosa che nell'altra vita non succedeva spesso. Andavamo sempre a fare compere insieme e una volta al mese mi comprava un paio di jeans o una felpa. Ero serena, ma avevo dei brutti presentimenti. In fondo, non poteva essere così facile.
Ciò non significa che le cose andranno meglio. Potrei aver scatenato altre reazioni a catena che mi sconvolgeranno, essendomi sconosciute.«Buongiorno, siamo qui per avere delle informazioni riguardo ai corsi che offrite per gli studenti di nove anni.» Mia madre parlava con la segretaria nel piccolo ufficio della scuola. Era pieno di cartelloni incoraggianti lì dentro. Come ad incitarti a dare, fare e realizzare. "Impara che ti sarà utile. Non sai mai di cosa avrai bisogno in futuro." Frasi del genere con immagini di strumenti musicali, atleti muscolosi e fotografie di ragazze con i pompon.
«Buongiorno Signora Aparatu. Che piacere averla qui. E Khatrine, la bellissima Khatrine.» Che lecchina, pensai. D'altronde sapevo da dove arrivava la sua gentilezza. Dal portafoglio generoso di mia madre, che ogni anni donava alla scuola abbastanza soldi per "Mantenere un ambiente soddisfacente per sua figlia". Tutte sciocchezze. Quei soldi se li intascavano i segretari e altri insegnanti affamati. «Cosa ti piacerebbe fare Khatrine?» Chiese la segretaria minuta dai capelli biondo canarino. Andava di moda in quel periodo schiarirsi i capelli. A me sembrava che metà Telenesti si fosse lavata i capelli con la candeggina. Persino mia madre è stata contagiata da quella moda, nonostante avesse i capelli chiari.
«Può elencarmi per piacere i corsi che offrite così da poter scegliere?» Chiedo molto seria. Mi affretto a mostrarle un sorriso per ammorbidire i miei lineamenti. Lei ci casca e sorride a sua volta. «Ma certo, mi scusi. Ecco, signora Aparatu, questa è la lista dei corsi e gli orari accanto ai prezzi annuali.» Naturalmente non poteva dare la lista a me. Non pagavo io. Prima che mia madre muovesse il braccio però, strappo il foglio dalle mani della ragazza e mi accomodo su una delle tre sedie vicino alla porta. Mia madre si siede accanto a me e attende che io abbia letto. «Pianoforte, dalle tre alle quattro, lunedì e venerdì.» Dico a mia madre senza guardarla. «In futuro mi sarà utile saper suonare uno strumento.» Scorro la lista e scarto atletica, violino e chitarra, mi basta il pianoforte. Adoro la musica classica.
Vorrei fare danza e autodifesa. Guardo anche l'altro lato del foglio stampato in bianco e nero. Scelgo di nuovo Taekwondo a mio rischio e pericolo, decido però di seguire il corso del mercoledì, una volta a settimana per due ore, dalle tre alle cinque di pomeriggio. Nell'altra vita avevo seguito il corso della sera e avevo incontrato metà dei miei vicini, avrei preferito evitarli. «Quale danza mi consigli?» Cerco di coinvolgere mia madre che guarda attenta il foglio insieme a me. Vedo che è fiera delle mie scelte. Ho il dubbio che stia studiando gli orari in cui avrà casa libera e questo mi sconvolge. Non avevo calcolato questo fattore.
Nell'altra realtà avevo seguito poche lezioni di pianoforte e una sola di autodifesa, poi avevo visto quello che non doveva essere visto e mi era crollato il mondo addosso, smettendo di esistere. «Vediamo... c'è danza classica, moderna e folklore» Legge mia madre. «Sei un po' stretta con gli orari per cui scarterei la danza classica e folklore visto che hai già corsi lunedì, mercoledì e venerdì.» dice «Ti conviene fare quella moderna del martedì e del giovedì. Ma è decisamente tutto molto impegnativo.» Afferma lei dubbiosa.
«Allora è deciso. Ho solo il sabato e la domenica per riposare. Tutti gli altri giorni sarò molto impegnata.» Confermo convinta delle mie scelte. «Bene! Se sei sicura di farcela non posso che appoggiarti. Ora dobbiamo fare il calcolo e vedere quanto ci costerà all'anno tutto questo.» Mia madre prende il foglio, si avvicina alla scrivania della segretaria e prende una matita color rosso dal porta matite.
Sottolinea i tre corsi scelti e gli orari e dice alla segretaria di fare il calcolo che verrà saldato subito per l'intero anno. La segretaria sgrana gli occhi, ma non si meraviglia più di tanto. Il suo sguardo cade sulle scarpe lucide di mia madre. Un modello così non si trovava né in Moldavia né in Ucraina o Russia. Erano scarpe europee, nere con un tacco confortevole che le permetteva di camminare per ore senza un minimo accenno alla sofferenza.
Mamma batte le dita spazientita sul tavolo per riportare lo sguardo della povera fanciulla ai suoi gelidi occhi. Funziona. La ragazza tira fuori una calcolatrice dalla scrivania e inizia a battere numeri. Il telefono dell'ufficio la interrompe e lei si scusa con noi prima di rispondere. Un minuto dopo attacca e mi guarda sorridente. Mi infastidisco pensando che si prende gioco di me. Invece mi stupisce, dicendomi che si sono appena aggiunti due corsi nuovi alla lista.
Non me li aveva proposti perché non erano ancora stati confermati. Ora può dirmi con certezza che il sabato mattina si terrà un corso avanzato di letteratura e poesie in rima e un altro corso d'inglese la sera. Le mie pupille si sono dilatate all'istante come avessi ricevuto una dose di eroina. No, non l'ho mai provata, ma ho visto gente farlo e sono certa che i miei occhi ora siano simili a quelli di un drogato. Era un segno.
Decisamente, era il destino che mi ricordava perché facevo tutto questo di nuovo. «Perfetto. In realtà è questo che cercavo più di tutto. Mamma, mi dispiace ma anche al sabato sarò completamente presa se per te va bene.» Lei ci pensa qualche secondo e poi si gira verso la segretaria. «L'hai sentita! Cerca di fare quel calcolo in fretta perché abbiamo anche altro da fare.» Mi sorride la donna che non sorride mai.
∞ NOTA AUTORE ∞
Salve Watty's
Generalmente poche bambine di nove anni al mondo , si comproverebbero come Khat, nell'altra realtà era molto più timida, una ragazza insicura, mentre qui, anche se ancora non ha chiaro che cosa le sta accadendo veramente, si vuole redimere dal passato. Sfruttare al meglio la sua opportunità.
Fatemelo sapere nei commenti cosa ne pensate di Emilia.
B.K🤍
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