ᑕᗩᑭITOᒪO 48 |Iᒪ ᗷᗩᑕIO ᔕᑌᒪᒪᗩ ᖴᖇOᑎTE|
Quando il tassista ha parcheggiato la sua vettura davanti all'entrata, mamma si affretta a raggiungerlo e civettando gli dice grazie per essere stato puntuale. L'uomo, che solo ora la guarda negli occhi, inizia a balbettare al suo cospetto. Lei, consapevole dell'effetto che fa, non si tira indietro e decide di civettare ancora un po'.
«Sa, sono anni che non vado a Prepelita, quel buco sperduto nel nulla!» Potrei farle notare che è a pochi chilometri da dove siamo ora, ma non ne ho voglia.
«Capisco Signora Aparatu. Prego, si accomodi!» Le dice lui con aria servile. Lei si siede sul sedile del passeggero e si lascia chiudere la porta senza guardarci. È completamente assorta dalle attenzioni che le dà quell'uomo dall'aspetto trasandato. Sembrava quasi le piacesse uno che puzzava di sudore e non si rasava la barba da almeno una settimana. A differenza di molti, mia madre aveva un debole per gli occhi scuri, in particolare per quelli neri come la notte. Ogni uomo che ho visto in sua compagnia aveva lo stesso colore degli occhi, quasi le piacesse qualcosa che fosse il contrario suo.
Il tassista si siede al volante e mette in moto mentre io con la bambina fra le braccia sto ancora davanti all'entrata del blocco, con gli occhi che mi escono dalle orbite.
«Ma dovevamo andare con loro, vero?» Chiede dubbiosa Marina mentre il taxi si allontana a passo lento.
«Credevo di sì.» Le confesso con la fronte corrugata.
In quel momento il taxi frena di colpo e torna in retromarcia, era già arrivato quasi all'angolo dell'altro blocco. «Forza salite!» Ci incita mia madre con il finestrino abbassato, come se non si fosse appena scordata di noi.
Il taxi riparte, stavolta con noi quattro sui sedili posteriori, e si immerge nel lento traffico della sera. Non c'erano tante macchine in giro, ma per colpa delle buche, sempre più profonde, dovevano fare a zig zag per non sprofondare. La luce verde della farmacia in lontananza mi ricorda dello sfogo della bambina e mi sporgo dal sedile di dietro per chiedere al tassista di fermarsi due secondi davanti all'edificio illuminato.
Lui mi guarda dallo specchietto retrovisore e poi guarda mamma che sbuffa, facendo cenno di sì con la testa.
«Arrivo subito.» Dico mentre scendo dalla macchina sbattendo la porta. Ho lasciato la bambina in braccio a Marina che ora la culla canticchiando una canzone che non conosco. Entro salendo i cinque gradini scivolosi e mi metto in fila dietro a tre clienti davanti a me. La porta dell'entrata emette un altro suono e mi giro per la curiosità.
Quando vedo Sasha concentrato a leggere un foglio che aveva tra le mani, mi guardo attorno con la voglia di nascondermi dietro il cartellone dello sciroppo per la tosse. Lui alza lo sguardo e mi vede. Sono girata di spalle e faccio finta di niente quando lui mi tocca la spalla con un dito. «Khatrine? Che ci fai qui?» Chiede confuso.
«Ma niente sai, avevo voglia di farmi di sciroppo alla menta.» Rispondo sarcastica. Lui ride e mi mostra i suoi denti perfetti che mi fanno sciogliere le gambe.
«Io invece devo prendere delle medicine per mia madre, sai non sta bene ultimamente.» Sapevo a cosa si riferiva; sua madre, che aveva lavorato per la maggior parte della vita in Russia, ora era tornata definitivamente, essendosi ammalata.
« Mi dispiace!» Gli dico, ma non sono del tutto sincera, poiché in fondo non era solo colpa di mia madre se noi due non avremmo mai avuto il futuro che ci meritavamo. Anche sua madre ci avrebbe messo del suo. E ho l'impressione che sia stata lei a complottare con la famiglia della ragazza che lui sposerà al posto mio. Lei gli darà un figlio e lui partirà per la Francia, rimangiandosi i suoi ragionamenti da patriota negli anni.
La fila davanti a me diminuisce da tre a due persone ed io mi lascio travolgere da un ricordo indesiderato.
*
Ero a casa nostra in Italia e, come al solito, mi era arrivata la chiamata su Skype da Sasha. Era atterrito e sembrava abbastanza di malumore.
«Che succede?» Gli chiedo con il PC davanti.
«Ma niente, è mia madre che rompe. Dice che tu non sei abbastanza seria per me!» Confessa sbuffando.
«Tua madre non mi conosce. Se una ragazza che lavora dall'età di quattordici anni non è seria, chi lo è?» Chiedo divertita.
«Lei dice che quelle partite per l'estero sono tutte delle poco di buono. Ne sa qualcosa visto che ha vissuto in Russia per anni.» Rimango a bocca aperta senza parlare. «Dice che forse è meglio se metto la testa a posto e mi trovo qualcuno disposto a starmi accanto in carne ed ossa.» Dice con la faccia appiccicata allo schermo. «Ma Sasha, ne avevamo parlato. Non sarà così per sempre!» Insisto.
«Lo so, ma ne sei sicura? Insomma, potresti cambiare idea e se succederà, avremmo perso i migliori anni della nostra vita.» Ripete le parole della madre.
«Sai una cosa, fai come ti pare, non voglio nemmeno provare a convincerti. Avrai le tue ragioni di voler rinunciare a noi due. Ma se lo fai, fallo perché sei convinto tu, non perché te lo dice tua madre.» Gli dico con le lacrime agli occhi. Piango sempre quando mi arrabbio e questo mi toglie dei punti, rendendomi debole agli occhi degli altri e così lui ne approfitta.
«Sai bene che io non verrei mai a vivere in Italia, in nessun altro paese a parte casa mia. Diventerò un poliziotto come mio padre e lavorerò alla dogana come faceva lui. Sono un patriota Khatrine, lo capisci vero?» Recita le sue bugie.
«Non puoi dirlo. Come fai a parlare così? Non sai dove ti porterà il destino.» Lo supplico. «Non ti sto lasciando Khatrine, ma devi metterti nei miei panni e capire la mia situazione.» Io non capivo invece, non capivo come potesse amarmi così tanto e dire che non avrebbe nemmeno provato a lottare per noi. Come faceva a dire che avrebbe fatto la stessa vita di suo padre, convinto che le cose sarebbero andate come si aspettava? Il destino invece lo ha preso a schiaffi, come fa con tutti noi. Quel destino perfido che gioca a carte con le nostre vite.
«Ora devo scappare al lavoro, ma ne riparleremo. Ok?» Gli dico prima di attaccare senza attendere risposta.
*
«Tocca a te!» Torno alla realtà con l'amaro in gola, ma non mi giro. Arrivo alla cassa e chiedo una crema antinfiammatoria per neonati e un ciuccio nuovo. La donna in camice bianco mi prepara il sacchetto e mi chiede venti lei. Le do il cinquanta e attendo il resto con lo sguardo di Sasha che mi brucia sulla nuca.
«Beh, buona fortuna!» Dico senza guardarlo negli occhi.
«Quando parti?» Mi chiede urlando dietro. Ero già sulle scale e la porta stava per sbattere alle mie spalle. Lo guardo, sorrido e poi, senza dargli la soddisfazione di una risposta, mi affretto a raggiungere il taxi.
«Ma quanto ci vuole?» Chiede mia madre spazientita. La ignoro mentre apro il piccolo tubetto e con mani esperte prendo della crema bianca con due dita. Marina tira via i pantaloni alla bambina e apre un lembo del pannolino. Infilo la mano delicata e la cospargo con la crema densa dove la pelle è arrossata.
Il viaggio dura una ventina di minuti in totale silenzio e nel buio assoluto, tranne per i due fanalini del taxi che illuminano i due metri della strada davanti a noi. Il percorso è angusto, ma stavolta senza buche.
Attraversiamo Banesti sulla sinistra e continuiamo fino a Prepelita. La luna è sottile come un'unghia e il cielo a tratti coperto da nuvole grigie. L'odore del profumo troppo dolce di mia madre invade tutto l'ambiente.
«Eccoci.» Dice il tassista quando siamo all'entrata della vecchia casa di mio nonno. Era una casa in pietra, con delle piccole finestre su ogni lato. Il tetto fatto di tegole grigie era malridotto e le scale sgretolate. Mamma paga il tassista e gli lascia una mancia abbondante poi apre il cancello verde scuro entrando per prima. Nelu si affretta a tenere aperto per me con la bambina in braccio e Marina si intrufola dietro di noi. La luce è accesa in tutta la casa e sento delle voci provenire dall'interno. Quando varchiamo la soglia, una donna che somiglia a mia madre ci viene incontro. Ha i capelli grigi sui lati e li tiene legati in uno chignon alto.
«Emilia, mia cara. Sei venuta a salutare il tuo papà. Mio fratello ci ha lasciati così giovane.» In effetti il nonno Johan aveva superato da poco la cinquantina, ma da tempo lottava con il tumore allo stomaco. Una volta accomodati in casa, notiamo la bara aperta con un uomo inerme che riposerà per sempre.
Mamma si affretta a salutare tutti con i tre bacini, come in Italia, e noi altri facciamo solo cenno con la testa. Le mie cugine Georgina e Inna sono più o meno della mia età e quando mi vedono si affrettano a raggiungermi e ad abbracciarmi, soffocando la bambina tra le mie braccia. Sorrido e mi allontano facendo segno di stare in silenzio. Loro si scusano e mi chiedono se possono tenerla un po'. Acconsento, ma senza toglierle gli occhi di dosso per un po' .
La vista di mio nonno freddo nella bara mi fa rizzare i capelli dietro la testa. Era lui, il primo morto che avrei visto nell'altra vita, e mi sarei persa la possibilità di conoscerlo. Mia madre era andata davanti a lui e ha fatto il segno della croce per poi baciargli la fronte, borbottando una preghiera incomprensibile. Le persone attorno piangevano con le candele fra le dita. La luce soffusa e l'odore di cera sciolta, le assocerò sempre alla morte.
La serata passa senza troppi giri di parole. Chi resta in silenzio, chi racconta qualche particolare su mio nonno e chi si allontana per fumare.
«Nostro padre ti voleva bene Emilia, anche se non ha mai avuto l'occasione di dimostrartelo.» Ero nel corridoio con le mie cugine, Marina, Nelu e la bambina. Mamma era sulle scale e parlava con il suo fratellastro.
«Tu dici? Non mi ha mai cercata.» Confessa lei delusa. Nicolai la circonda in un abbraccio che lei accetta senza il minimo sdegno. Come se il legame di sangue bastasse a risolvere ogni cosa tra di loro. Come se si fossero visti ieri.
In realtà io ero stata mollata persino qui da piccola, ma non me lo ricordo. Ho solo le memorie di qualche fotografia insieme a tutti gli Aparatu di Prepelita. Nicholai è letteralmente la fotocopia di mia madre, anche se è di due anni più grande, ha i lineamenti duri e gli occhi penetranti. È molto alto e muscoloso. Si è vestito elegante e ha persino la cravatta. So bene che lui si è sposato e ora vive in Russia con la moglie e i figli. Iohan, l'altro fratello, invece non si è ancora fatto vedere e forse non lo farà.
Passiamo la serata a sonnecchiare su una panchina improvvisata nel corridoio. Io mi sveglio ogni tanto per controllare la bambina tra le mie braccia. Sento la mamma parlare e piangere, anche se non ne capisco il perché. Mi sembrava una messa in scena la sua, per dimostrare qualcosa a se stessa e agli altri.
Georgina e Inna sono l'una l'opposto dell'altra. Se Inna ha i capelli neri, l'altra li ha biondi, se la prima ha le labbra sottili, l'altra le ha talmente carnose che sembrano gommoni sul suo viso tondo. Sono alte uguali, nonostante Inna fosse più grande e odorano di formaggio di capra. Tutto qui odora di latte addensato misto all'odore della cera e della morte.
La notte passa lenta e senza fretta. Il mattino arriva con il canto del gallo e mi alzo dalla panchina prima ancora che finisca il suo rituale.
Marina e Nelu dormono appoggiati l'un l'altro e le mie cugine sono sparite. Mamma è ancora in casa a parlare con gli altri presenti alla veglia. La sento dire che penserà lei alle spese del funerale e la zia le dice che la casa le spetta di diritto, ma lei rifiuta.
«La casa spetta al più piccolo, è sempre stato cosi!» Insiste lei ricordandole le tradizioni moldave.
«Non se c'è un'unica femmina.» Insiste la sorella di mio nonno.
« Ne hanno più bisogno loro di me, zia Aurika.» Conclude mamma.
Il prete arriva poco dopo con la sua tunica tutta arricchita da collane vistose color oro e croci esageratamente grandi che arrivano a toccare la sua pancia a forma di pallone. Si avvicina alla bara e cosparge l'interno con un fumo nauseante. Poi chiede ai quattro becchini che finora erano invisibili dietro di lui di prendere la bara. I giovani si affrettano esperti a trasportarla fuori dalla casa. La mamma piange e cammina dietro al prete con a seguito tutti gli altri, mentre io penso solo alla bambina che dovrebbe mangiare.
Mi affretto a raggiungere la cucina dove trovo un barattolo di vetro pieno di latte di capra. Lo assaggio constatando che non è acido e ne verso un po' nel biberon dalla borsa a tracolla. La bambina beve avida creando un cerchio con la lingua attorno al ciuccio in silicone. La osservo mentre deglutisce a grandi sorsi e mi lascio invadere da quella sensazione così piacevole che solo un neonato fra le braccia può darti.
Marina e Nelu sono dietro alla fila, con le mie due cugine Aparatu. Hanno rallentato il passo e attendono che mi avvicini a loro. Una volta arrivata in fondo alla fila, Marina mi chiede di tenere la bambina ed io accetto, con le braccia indolenzite dalla notte passata. Il prete canta lagnante preghiere già sentite e trascina il suo mantello nero con i bordi in argento per la ghiaia e il terriccio. Mia madre è l'unica che dà spettacolo, ma nessuno sembra sdegnato dalla cosa.
Arriviamo al cimitero, poco lontano e noto la buca scavata con una croce in pietra di fronte. Riporta il nome di mio nonno e la data di nascita e di morte. Il prete dice ai famigliari di dire addio e si allontana per lasciare lo spazio necessario. Si apparta e lo vedo tirare fuori da sotto la veste un pacchetto di sigarette e uno di fiammiferi. Con noncuranza, si mette una sigaretta tra i denti e la accende con un fiammifero scoppiettante. Rimango scioccata dalla scena e vorrei avvicinarmi a lui per fargli un discorsetto riguardo alle dipendenze, alle tentazioni ed al peccato, ma dubito che gli interessi.
Quando ritorno a guardare la bara, vedo mia madre in ginocchio davanti alla testa di mio nonno che dopo avergli sussurrato qualcosa, poi aver fatto il segno della croce guardando il cielo, si lascia invadere da quelle lacrime che le rigano il viso senza rovinarle minimamente il trucco. Tira su con il naso e si ricompone una volta in piedi.
«Khat, vieni a dire addio a tuo nonno.» Vorrei farle notare che non lo conoscevo e nemmeno lei in realtà, ma decido di non fare scenate. D'altronde c'è già lei per questo. La raggiungo guardando solo le sue ginocchia sporche di terra e faccio il segno della croce imitando le sue mosse. Mi sento ridicola perché mi osservano tutti in silenzio.
«Devi dargli un bacio sulla fronte.» Mi dice lei dandomi uno spintone. Sgrano gli occhi contrariata, ma lei mi sfida con lo sguardo e poi rivolge un sorriso alle persone presenti. Sbuffo, ma obbedisco, sperando che finisca la messa in scena ed è così. Il prete torna e si affretta a dare ordini ai becchini, dicendo di sigillare la bara e farla scendere nella buca. Recita cantando la medesima preghiera e, come da copione uno alla volta, tutti i presenti buttano una manciata di terra sopra la bara color ciliegio.
La mamma tiene sotto braccio il fratello più piccolo Iohan, che si è presentato poco fa all'entrata del cimitero. Ha i capelli biondo cenere ed è più basso del fratello, ma hanno lo stesso identico viso di mio nonno. La giornata passa lenta tra vino rosso e piatti di involtini alla verza, che non mi faccio scappare.
La mamma porge una busta straripante al prete che le fa il segno della croce e la bacia sulla fronte come si fa con i morti.
Lei guarda il cielo fiera e poi si affretta a raggiungermi e mi dice che dobbiamo andare.
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