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ᑕᗩᑭITOᒪO 35 |ᒪ'EᐯOᒪᑌᘔIOᑎE|

Siamo in casa, al caldo del calore della stufa a legna che scalda tutta la parete, quella che  divide la casa in due parti. Stiamo ancora tremando e Marina ci porge un asciugamano e ci  indica la bacinella in metallo piena d'acqua fredda, con una saponetta sul bordo.

Ci laviamo  a turno mani e faccia e poi ci accomodiamo al piccolo tavolino improvvisato da due sedie  che Marina ha preparato nel frattempo. Ci ha poggiato sopra un piatto con delle fette di  pane, della carne in scatola sopra e, per mia fortuna, due fette con solo del formaggio.

Ne azzanno una senza esitare mentre lei mi porge una tazza di tè che prendo subito dopo un altro boccone. Non sapevo di aver fame! Consumiamo tutti la seconda merenda della  giornata in silenzio seduti per terra e quando abbiamo finito ci ammorbidiamo un po' sul  pavimento.

Marina aveva acceso la TV sul solito canale che trasmette solo videoclip con  musica russa e straniera. Ogni tanto capita di sentire anche qualche canzone rumena, ma  molto raramente. Solo anni dopo la musica rumena avrebbe preso potere e sarebbe stata  apprezzata dal popolo moldavo che condivideva con il paese confinante niente di più che la  lingua ufficiale. 

«Vado a dare da mangiare alle colombe, se no quando arriva mio fratello mi mette in  punizione.» Noi ridiamo e aiutiamo a sparecchiare, mentre Marina porta fuori con sé le  stoviglie da lavare nel rubinetto che solitamente si usa per irrigare la coltivazione in giardino. Tornando in casa, Mila e Nelu si siedono sul letto stavolta e ammirano in silenzio  immagini di donne bellissime dalla voce soave e maschi alfa dalla pettinatura laccata.

Io,  invece, mi siedo sulla sedia davanti al piccolo specchio che tanto ci avrebbe riflesse nei  migliori anni della nostra vita, quelli nei quali una ragazza si sente forte e potente grazie alla bellezza passeggera di ogni teenager. Il telefono fisso è lo stesso di sempre e sulla mensola  sotto ci sono solo un pettine e un elastico. Mi faccio coraggio e prendo la spazzola iniziando a pettinare la frangia che si era spostata sulla fronte dandomi l'impressione di essere Sailor  Moon in versione mora.

Osservo i capelli, le labbra screpolate per il freddo e gli zigomi che  iniziavano a evidenziarsi a poco crescendo sul mio viso. Mi fermo prima di arrivare agli  occhi, quasi avessi timore di vedere riflessa l'altra me e non la bambina di ora.  «Ah, sei qui!» Entrando, Marina aveva visto i due seduti, ma, solo dopo essersi girata verso  di me, ha notato che stavo facendo.

In quel momento, si avvicina a me e dubitante mi prende la spazzola dalle mani per poi con cautela iniziare a pettinarmi i capelli dietro. Una  spazzolata alla volta, i corti capelli tornavano lisci senza bisogno della piastra; non che ne  avessi una!

La osservo riflessa nello specchio e mi chiedo perché insiste tanto a volermi  essere accanto, anche ora che non sa ancora tutto di me. Certo lei è amica di Alina e Nelu da alcuni anni prima di me e forse avrebbero potuto parlare di me in passato; se lei avesse  chiesto. Ho la sensazione che sia così. Probabilmente vuole solo essermi amica, ma non  posso rivivere tutto con lei come l'ultima volta. Non credo di averne la forza. Certo, mancano ancora un po' di anni prima che la nostra amicizia prenda un'altra piega, ma è ora  che si inizia a mettere la legna sul fuoco. A proposito di questo...

«Ah, il fuoco. Aspettami qui, arrivo subito.» Marina si allontana dopo aver appoggiato la  spazzola e si affretta a raggiungere la bocca della stufa, quando l'apre fuoriesce un po' di  fumo e lei tossisce. La raggiungo di scatto e Mila e Nelu si guardano complici. Sembravo innamorata ai loro occhi, ma era un'amicizia più forte di quell'altro banale sentimento.  «Stai bene?» Chiedo quando le sono vicina. «Sì sì, è solo questa maledetta stufa che ormai  va ricostruita da capo. Prima o poi ci cadrà in testa, ma mio fratello non ha mai tempo.»  Dice richiudendo lo sportello in ferro.

«Capisco. Forse è meglio che andiamo ora!»  Suggerisco con voce delusa e lei si alza di scatto. «No, perché vuoi già andartene?» Insiste: «Siete appena arrivati.» Afferma scontenta, i suoi occhi per un momento appaiono lucidi, ma poi il suo sguardo torna divertente. «È che dobbiamo risolvere una cosa prima. Sai, Nelu ha dei problemi e vogliamo aiutarlo.» Confesso.

Marina mi guarda per un istante e poi si  sposta lì dove i due sono ancora assorti nelle immagini trasmesse in TV.  «Posso darti una mano in qualche modo, Nelu?» Marina gli s'inginocchia davanti e Nelu  deve distogliere lo sguardo per rispettare lei e la vista del suo seno prosperoso. Vorrei tanto  che lo vedesse Nadia, così ora capirebbe che è un etero a tutti gli effetti. Marina si accorge  di avere il pullover con lo scollo a V troppo abbassato e il bordo del reggiseno rosso  sporgente. Si affretta a coprirsi, ma non si sposta ne ride.

«Non saprei Marina, è una situazione disastrosa. Quella arriva nel cuore della notte, già  quattro notti di seguito, e pretende che io vada con lei a vivere a Ciulucani. Ma ti rendi conto? Ho vissuto tutta la vita qui e ora mi vuole far cambiare scuola o forse addirittura non  mi ci farà nemmeno andare. Magari mi metterà a lavorare la terra insieme a suo fratello  mentre lei starà a gambe per aria.» Nelu si sfoga e noi ascoltiamo in silenzio.

Abbiamo tutti  e quattro una cosa che ci accomuna e unisce: le famiglie disastrose. «Perché non potevo  nascere figlio del vicino o degli zii che mi stanno crescendo? Perché mi hanno messo al  mondo e poi scaricato come uno scarto dell'umanità? E chi ha deciso che lo sono?» Marina  gli prende le mani, come fa spesso con me, e con lo sguardo fisso nei suoi occhi si esprime  con saggezza: «Tu non sei uno scarto! Non lo devi mai pensare, mi hai capita? Nessuno di  noi lo è!» Ci guarda e Mila annuisce.

«Noi siamo solo delle persone che sono nate come  tutti gli altri. Forse il vicino sarebbe stato un padre presente per te e la zia una madre  perfetta, ma Nelu, non puoi sempre piangerti addosso e basta. Una volta finite le lacrime, devi darti da fare. Non pensare solo alle domande che ti martellano la mente.» Dice  toccandogli la testa.

«Devi lasciare andare per poter far spazio a nuove cose, più belle o  forse più brutte, ma non abbiamo alternativa!» Aggiunge e fa una pausa, per poi proseguire: «Io sono cresciuta da sola. Nessuno ci crede, ma è cosi. Mio padre è andato via quando ero  piccolissima e mio fratello a mala pena camminava. Mamma è rimasta sola con due bambini e senza terreni di proprietà. La casa è l'unica cosa che abbiamo, per fortuna ereditata dai  nonni materni. Mia madre lavora da quando ho memoria. Fa turni lunghissimi e quando  arriva a casa ha solo la forza di trascinarsi a letto per poi ricominciare daccapo. Sono  fortunata ad avere almeno lei che mi ha sempre amata, anche se a distanza ravvicinata.» Mi guarda nell'esprimere le ultime parole.

Mi siedo a mia volta a terra, sul morbido tappeto  color noce, e aspetto che continui a parlare. «Mio fratello è una testa calda, come ogni  bambino che cresce senza una figura paterna. Per fortuna mamma ci ha insegnato il rispetto  e l'educazione, però ha dimenticato di insegnarci la cosa più importante.» Fa un'altra pausa  di effetto: «L' assertività.» Dice, ma nessuno capisce. «O asserzione, sarebbe stato bello  saper esprimere le proprie emozioni senza sentirsi offeso o aggredito dai diversi punti di  vista. Meno male che l'ho imparato da sola, forse ispirata dalle serie indiane che mandano in TV la sera.» Esclama e poi ride. Ridiamo anche noi, ma veniamo interrotti dallo squillo del  telefono.

«Staranno cercando sicuramente voi!» Sussurra Marina. Sappiamo tutti e quattro che è  probabile, anche se nessuno sa che siamo qui, le voci girano alla velocità del vento.  «Pronto, chi parla?» Marina parla a se stessa allo specchio con la cornetta attaccata  all'orecchio. «Sì, sono qui. Ora arrivano!» Riattacca divertita. 

«Ve l'ho detto. Era Nadia. Ha chiesto il mio numero a Vasea perché aveva intuito che  fossimo qui, visto che siamo amiche.» Dice Marina, sbagliandosi comunque sull'ultima  parte. Noi non eravamo amiche, anche se ogni tanto mi aspettava all'angolo del blocco per  proseguire insieme verso scuola, anche se ridevamo a crepapelle parlando del fatto che le  vecchiette erano alla moda con il loro velo colorato in testa. Ogni mese usciva un modello  nuovo al mercato che era quasi identico al precedente, ma con colori e fioriture diverse.  Così le nonne di tutta Singerei accorrevano presto al mercato e compravano quella stoffa  scivolosa per rendere le loro teste visibilmente fiorite da lontano. 

«Dobbiamo andare, prima che faccia buio.» Nelu mi ha riportata indietro dai miei pensieri e  mi sono alzata da terra con il sedere appiattito. «Posso venire con voi?» Implora lei.  Rimangono tutti zitti, aspettando che io dia loro una risposta, ma non ce l'ho e allora Mila  mi aiuta. Così crede! 

«Ma certo, sei la benvenuta! Dopo quello che ci hai raccontato di te.» Mila s'illude,  avrebbero potuto essere menzogne e del resto era la più brava a dirle, anche se questa volta  era stata sincera. «Prima vado in bagno!» Dico quando ormai si sono alzati tutti. «Intanto  spengo il fuoco e scrivo un biglietto a mia madre. Le lascio il numero che mi ha chiamata  poco prima.» Ci spiega, ma io ero già in corridoio. Nelu mi raggiunge e dice che deve  andare anche lui. Così ci avviamo nel giardino verso l'angolo laterale della casa, dove un  marciapiedi improvvisato di mattoni frantumati mi porta al gabinetto all'aperto, che tanto mi spaventa ogni volta che devo entrarci. 

Un ricordo mi risale dalle viscere mentre attraverso la porta e la chiudo con la serratura.  L'interno è un piccolo quadrato e sul pavimento c'è un buco nel mezzo. Sono piccola,  talmente piccola che non ci arrivo alla maniglia per tenermi. Mi metto in posizione da squat  e faccio veloce la pipì. Quando ho finito, esco di lì nauseata come ogni volta. La struttura di  legno con il buco nel pavimento avrà almeno due metri di profondità e altrettanti di altezza;  è piena quasi fino a toccare il buco con escrementi nauseanti. Quando sono lontana,  ricomincio a respirare.

Uno scricchiolio attira la mia attenzione e mi volto di scatto visto che è quasi sera. Appena in tempo ad osservare; una scena disgustosa si presenta dinanzi a me.  La struttura non più stabile ora è inclinata di lato e ha le tegole sul tetto spostate. Da un  momento all'altro, sprofonda tutto in quella melma marrone e verde e solo quando  scompare tutto i miei occhi tornano a guardare il marciapiede. Se avessi dovuto fare altro a  parte la pipì, sarei caduta nel cesso come quel vecchietto che avevano trovato dopo anni.  Che orrore! penso. Decido che è definitivamente quello il peggior modo di morire e mi  allontano in fretta dall'edificio come ogni volta che sono costretta ad usarlo.

«Hai fatto?» La voce di Nelu mi riporta alla realtà e noto una pianta di agrifoglio bagnata dietro a lui. Disgustata, mi affretto ad andare via, constatando che non siamo meglio degli  animali anche se abbiamo più privilegi di loro. E a proposito di animali, mi fermo di fianco  alla baracca delle colombe, dove un ricordo recente mi avvisa della scritta che una volta  avevo visto e che tanto famigliare mi era parsa.

«Nelu, ti va di vedere le colombe prima di andare?» Improvviso notando che le altre due  non sono ancora uscite di casa. «Ma certo, andiamo.» Mi segue dentro. Arrivo nel mezzo,  dove la paglia ora copre tutto il pavimento, e noto dei tronchi. Prendo il cellulare dalla tasca  del giubbotto e con la luce dello schermo trovo ciò che stavo cercando. La scritta è ancora lì, un po' meno visibile di prima, come se qualcuno avesse provato a toglierla.  «Mads&Mank!» Recito. «Tu capisci la mia lingua inventata?» Chiede stupito. «È la tua  lingua inventata questa?» Chiedo divertita, so che mente. «Sì, io e Alina insieme a Marina  l'abbiamo inventata per gioco.»

«E sentiamo, se l'hai inventata tu, come mai io la capisco?» Quella calligrafia e quei geroglifici erano davvero affascinanti. La prima parola era  circondata da un rettangolo e aveva delle linee sconnesse con delle curve negli spazi vuoti.  «Nelu, dimmi la verità!» Lo imploro avvicinandomi nel buio. Lui mi prende la mano libera, ma non dice nulla. Ha paura? Se sì, non capisco di cosa. 

«Voi due, dove siete?» La voce di Marina è insistente e si avvicina, così Nelu mi trascina  per il braccio al di fuori, quasi volesse nascondere la cosa. Mi lascia la mano quando gli  occhi si abituano di nuovo alla luce debole del tramonto e io decido che non lascerò stare  questa storia.

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