Twenty Ninth Shade [R]
Nonostante la rabbia verso se stessa e verso Richard, Agathe il pomeriggio successivo era tornata a casa dell'uomo per studiare, determinata a fingere che non fosse successo nulla, e così aveva fatto anche nei giorni seguenti: Richard ne era stato così sorpreso – e anche un po' confuso – da non avere il coraggio di affrontarla, ed era tornato a essere un fantasma in casa propria.
Questo, almeno, fino al ventitré dicembre: il Natale incombeva e Agathe decise di sospendere i pomeriggi di studio in casa Prescott per quattro o cinque giorni. Così, quel giorno, rimase a casa propria per salutare i suoi genitori, in partenza per la Francia.
«Non sono certo che partire sia una buona idea» disse Evan mentre trascinava lungo il vialetto una delle sei valigie di sua moglie.
«Dillo a Gisèle: sono certa che la prenderà bene!» rispose ironica Agathe. Suo padre le scoccò un'occhiataccia ma non replicò, troppo occupato a riempire l'auto coi tanti, troppi bagagli di Gisèle. «Starò benissimo con Lara e lo zio Damon, e comunque passerò quasi tutto il mio tempo a studiare: non c'è bisogno che restiate» insisté lei.
«Mpfh» mugugnò infine l'uomo. Per un momento pensò di insistere, ma alla fine scelse di non farlo: certo, gli scocciava l'idea che la famiglia fosse spaccata a metà proprio a Natale, ma la sua parte razionale sapeva che decidere di annullare il viaggio dai suoceri avrebbe fatto inferocire Gisèle al punto da rendergli la vita impossibile. L'ottimo rapporto che aveva con suo suocero, poi, faceva desiderare a lui stesso di partire.
Agathe capì al volo che suo padre aveva rinunciato a dare battaglia sul punto ed esultò internamente: due settimane di libertà totale dai suoi genitori erano un sogno che si avverava e anche se questo la faceva sentire un pochino in colpa nei confronti di Evan, era ancora troppo arrabbiata con lui per cambiare i propri piani..
Ci volle un'altra ora perché Evan finisse di incastrate tutti i bagagli nell'auto e Gisèle si decidesse a scendere, tirata a lucido come se ad attenderla ci fosse una serata di gala e non un semplice viaggio in aereo: marito e moglie salutarono la loro secondogenita e l'auto, con Stevens alla guida, partì in direzione Heathrow.
Ormai sola nella villa, Agathe sprofondò nel divano con un sospiro di felicità: finalmente aveva un po' di pace e avrebbe sfruttato quei giorni al massimo per dimenticare tutte le cose brutte accadute nelle ultime settimane.
******
A casa Prescott c'era aria di festa: le stanze più vissute erano state addobbate con dovizia e un enorme abete magnificamente decorato svettava nel salone.
Il Natale era un rito quasi sacro nella famiglia di Richard: quando era bambino i suoi genitori avevano sempre dato il massimo per rendere speciali quei giorni e, sebbene fosse ormai un adulto e vivesse da solo, l'uomo aveva conservato il ricordo di quelle celebrazioni e il desiderio di perpetrare le tradizioni di famiglia.
Richard era stato felice quando, il giorno precedente, Agathe aveva lasciato un bigliettino sulla sua scrivania con cui gli comunicava che per alcuni giorni avrebbe studiato per conto proprio: le festività erano alle porte e lui aveva dei preparativi importanti da ultimare.
Era ormai sera, quel ventitré dicembre, quando il campanello suonò e Richard si precipitò ad aprire, felice ed emozionato.
Un uomo di quasi settant'anni varcò la soglia, infreddolito ma sorridente. Richard lo liberò subito dei bagagli mentre l'ospite lasciava giacca, sciarpa e guanti nell'ingresso prima di spostarsi nel salottino sul retro, dove un bel fuoco lo attendeva.
Dieci minuti dopo Richard lo raggiunse e i due sorseggiarono in silenzio un thè bollente.
«Sono felice che tu sia qui, papà» disse sincero Richard.
Edward Prescott rivolse un sorriso genuino a suo figlio.
«Anch'io sono felice di essere qui: non ci vediamo da quest'estate e mi sei mancato» rispose. Tastò la ventiquattrore che aveva portato con sé nel salotto e che riposava a terra, appoggiata alla sua poltrona. «Ho portato quello che mi hai chiesto» informò suo figlio prima di fargli l'occhiolino con espressione maliziosa. «Lei chi è?»
Richard, preso alla sprovvista, si strozzò e quasi si lasciò scappare di mano la tazza. «Lei... cosa... che?» gracchiò tra un colpo di tosse e l'altro.
«Non fare il finto tonto, Rick: se non ci fosse di mezzo una donna, non mi avresti mai chiesto di portarti una cosa del genere» disse tranquillo Edward. «Allora?»
Un po' teso, suo figlio si alzò; si avvicinò al camino e rimase a guardare le fiamme scoppiettanti. L'idea di rivelare a suo padre quello che era successo – no, quello che tuttora era in corso – con Agathe lo rendeva nervoso: temeva il suo giudizio, temeva di deluderlo.
Anche Edward si alzò e raggiunse suo figlio accanto al fuoco: aveva capito che Richard era nervoso e, pur non conoscendone il motivo, voleva fargli sentire la sua vicinanza.
«Non sarà quella donna abominevole, quella... Vanessa... no, Valerie...» tentò Edward, arricciando il naso nel tentativo di ricordare.
«Valentine» brontolò Richard. «No, non è lei».
Edward tirò un silenzioso sospiro di sollievo: quella Valentine non gli era mai piaciuta e aveva davvero temuto che Richard si fosse di nuovo infatuato di lei.
«E allora chi è?» chiese di nuovo il più anziano, insospettito dalla reticenza di suo figlio. «Non sarà la moglie di un tuo amico!» esclamò. «Mai mischiarsi con le donne dei propri amici!» gli rammentò.
«Ma NO!» ruggì Richard. «Non è niente del genere!»
«E allora si può sapere perché invece di rispondermi te ne resti lì, zitto e con un muso lungo fino ai piedi?» sbottò Edward. Era sempre stata sua moglie quella paziente e piena di tatto: lui preferiva arrivare subito al nocciolo della questione e affrontare di petto le cose.
Richard si torse nervosamente le mani, facendosi coraggio. «È più giovane di me» disse.
«La maggior parte delle donne che hai frequentato era più giovane di te» replicò Edward senza battere ciglio. «Che cos'è successo?»
«L'ho... baciata, è andata avanti per settimane, anche se sapevo che non avrei dovuto» rispose l'altro. Edward lo fissò, aspettando che si decidesse a parlare. «Lei è... è la migliore amica della figlia di Damon» rivelò Richard.
Lo schiaffo di Edward lo colpì prima che lui potesse vedere la mano partire.
«RICHARD HEINRICH PRESCOTT!» tuonò suo padre, indignato. «Non ti abbiamo cresciuto perché tu diventassi un pedofilo!»
«Che cosa?» ululò offeso Richard mentre si tastava cautamente la guancia colpita. «Io, un pedofilo?»
«Tu come lo chiami un uomo adulto che insidia una tredicenne?» urlò Edward, fuori di sé. «Dovresti vergognarti! È illegale e immorale!»
«Tredicenne?» ripeté suo figlio, sconcertato. «Agathe compirà diciotto anni in gennaio!» berciò.
«Oh» si limitò a dire Edward. Tacque per alcuni momenti, grattandosi la testa. «Era davvero convinto che la figlia di Damon avesse tredici anni... temo di essere rimasto un po' indietro...» disse, in imbarazzo. «Hai detto Agathe? Non parlerai mica...»
«Della figlia di Evan Williams, sì» confermò Richard.
«Di tutte le diciassettenni di cui potevi invaghirti, hai scelto proprio quella con il padre avvocato e grosso e feroce come un orso?» chiese Edward, accigliato. «Non sei stato molto furbo».
Richard distolse lo sguardo. «Non l'ho scelto» borbottò. «È capitato e basta».
Edward rimase in silenzio per un po'. «Stavolta sembra una cosa seria» mormorò.
«Sì, temo che lo sia» replicò laconico suo figlio.
Suo padre gli diede qualche pacca sulla spalla con fare incoraggiante. «Su, potrebbe andare peggio. Avresti potuto infatuarti di nuovo di Valerie!»
«Valentine» lo corresse Richard, alzando gli occhi al cielo: ormai aveva aperto quel vaso di Pandora e sapeva che avrebbe finito per raccontare a suo padre cosa era successo qualche settimana prima, ma non ne aveva nessuna voglia.
«Sì, lei» rispose Edward sbrigativo. «Allora, quando mi presenterai Miss Williams?»
«Se continua così, credo mai» rispose Richard, le spalle basse e gli occhi fissi sul tappeto.
Suo padre si accigliò di nuovo.
«Che cos'hai combinato?» chiese in tono severo.
«Un bel casino» sospirò Richard. «È successo tutto qualche settimana fa, quando Valentine è ricomparsa all'improvviso...»
******
Dopo la partenza dei genitori, Agathe era rimasta a casa per preparare un po' delle cose che avrebbe portato con sé a casa di Lara: alcuni libri per studiare, qualche cambio d'abito e poco altro. In fondo casa sua restava a pochi metri di distanza e se avesse avuto bisogno di qualcos'altro le sarebbero bastati pochi minuti per andare e tornare.
Quello che la ragazza non aveva previsto era la visita della sua bisnonna: in partenza per la Spagna, Penelope decise di passare a salutare la sua bisnipote dopo che "il manico di scopa francese avesse levato le tende", per dirlo con parole sue.
«Allora, nipote, studia sodo e comportati bene» si raccomandò la vecchia signora mentre Agathe abbracciava calorosamente Gloria.
«Sì, Penny, sì» rispose la ragazza, alzando gli occhi al cielo.
«Tornerò nella seconda settimana di gennaio, per assicurarmi che tu abbia preso un vestito per la tua festa di compleanno» aggiunse Penelope, accigliata. Anche Agathe si accigliò, e a Gloria venne da ridere: tolte le rughe e i capelli bianchi di Penelope, le due erano praticamente identiche.
«Quante volte te lo devo dire, che non voglio un vestito?» sbottò Agathe.
«Quante volte te lo devo dire, che è la tua festa e ti serve un abito adatto?» replicò Penelope.
«Visto che è la mia festa, potermi vestire come voglio credo sia il minimo, non trovi?» sogghignò Agathe, conscia di aver appena messo alle strette la vecchia donna: Penelope infatti sbuffò forte e masticò un paio di imprecazioni in gaelico.
«Maledetta cocciutaggine Williams» brontolò.
«Dannata ostinazione O'Brien» rispose Agathe inarcando un sopracciglio.
«Sapevo che dovevo insistere e trascinarti a fare shopping» borbottò Penelope.
«Ma, nonna, non avrebbe avuto senso» disse Agathe con voce mielata. «Stavo male e avevo perso molto peso: se anche avessi comprato un abito, ora mi starebbe stretto e dovrei ricomprarne un altro... quindi ho pensato fosse meglio aspettare e vedere se e quando mi sarei ripresa!» concluse, fingendo un'espressione innocente che servì solo a far sbuffare più forte la sua bisnonna.
«Sì, certo, come no» sibilò infatti Penelope. «Ma non credere di poter scappare per sempre: se quando tornerò a Londra non avrai ancora un vestito, te ne comprerò uno io!» minacciò, puntandole contro un dito con fare ammonitore.
«Va bene, come ti pare» borbottò sua nipote, stremata: l'interesse di Penelope per l'acquisto di un vestito stava rasentando l'ossessione, e Agathe era del parere che fosse meglio assecondarla. «Ti prometto che comprerò un vestito e che sarà eccessivo, stravagante e vistoso».
«Non mi serve che sia eccessivo, stravagante e vistoso» replicò Penelope. «Mi basta che ti faccia sembrare ancora più bella di quanto tu non sia già, anche se è difficile».
«Oh, nonna!» rise Agathe, abbracciandola forte.
«Via, via, in fondo ho solo detto la verità: sei la mia copia sputata, come potresti non essere bella?» minimizzò la signora con un'abbondante dose di arroganza.
Agathe rise più forte, felice... almeno fino a quando la sua bisnonna non aggiunse in tono perentorio: «E che non sia nero!».
Comprare quel vestito si sarebbe rivelata un'impresa molto, molto complicata.
******
La mattina di Natale era arrivata insieme a un manto di neve fresca; in casa Zimmermann, dopo aver aperto i regali e lasciato il salotto invaso dalla carta da regalo, Damon, Lara e Agathe si erano riuniti nello studio del primo.
«È il momento della verità, Will» disse serio Damon. «Sali sulla bilancia».
Agathe eseguì e le due ragazze attesero che Damon trafficasse con quell'aggeggio infernale di cui loro non capivano nulla: pochi istanti più tardi, l'uomo si aprì in un gran sorriso.
«Tre chili e settecento grammi!» esultò, strizzando Agathe in un abbraccio prima di darla in pasto a Lara. «Brava!»
Anche Agathe sorrise: a mano a mano che riacquistava peso e tornava a sentirsi meglio, si era resa conto pienamente di quanto fosse stata male in quelle settimane passate a disperarsi per Richard.
Non accadrà più, si ripromise mentre andavano a liberare il salotto dal caos che avevano creato.
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Subito dopo pranzo, Lara e Thomas erano usciti per scambiarsi i regali di Natale e passare un po' di tempo insieme, Damon si era preparato per delle visite che doveva ricevere e Agathe, bene infagottata in abiti pesanti e con un bel libro nella borsa, si era avventurata verso l'altra metà dell'otto sfidando venti centimetri di neve fresca. Dopo essere passata da casa e aver controllato che tutto fosse in ordine, si era fatta strada nel prato circolare e si era accoccolata su una panchina dopo averla liberata dalla coltre bianca, per poi immergersi nel tomo che si era portata dietro: amava Jane Eyre e in quel periodo i sentimenti travagliati della protagonista la facevano sentire meno sola, quindi scegliere proprio quel libro era stato quasi naturale.
Aveva divorato un buon terzo delle pagine quando sentì la neve scricchiolare vicino a lei e una voce chiedere: «Posso sedermi?».
Agathe alzò lo sguardo: di fronte a lei c'era un ragazzo molto carino sui venticinque anni, che parlava inglese con uno strano accento.
«È una panchina libera» rispose, stringendosi nelle spalle.
Il ragazzo sedette e si sistemò meglio il cappello sulle orecchie. «Non metterci troppo entusiasmo, eh!» scherzò. Vide le sopracciglia inarcate di Agathe e alzò le mani. «Scusa, sai, ma non sono di qui e non conosco nessuno della mia età, quindi mi sto annoiando a morte!»
La ragazza lo guardò per qualche istante, poi la curiosità ebbe la meglio. «L'avevo immaginato: hai un accento buffo» disse. «Non sei inglese, vero?»
«Per metà sì» rispose sorridente il ragazzo. Si spostò un po' più vicino ad Agathe e si strofinò le mani inguantate per scaldarsele un po'. «Mia madre è inglese; siamo venuti a trovare mio zio. Mio padre invece è italiano e io sono nato e cresciuto lì: ci vivo tuttora insieme a loro».
«Che bello! Io sono stata in Italia una sola volta, qualche anno fa» disse Agathe, nostalgica, al ricordo della vacanza con Damon e Lara.
«Sì, è un bel posto in cui vivere» confermò il ragazzo. «Il clima è fantastico e la cucina... anche!» aggiunse ridendo. «Niente a che vedere con quella inglese» aggiunse con una smorfia.
«Ah, avendo provato tante cucine tipiche diverse, sono d'accordo con te: quella inglese è una delle peggiori» convenne Agathe. «In casa mia ci salviamo solo perché puntiamo più sulla cucina continentale: la francese soprattutto, ma anche qualcosa della Spagna o dell'Italia, ogni tanto».
«Quindi neanche tu sei inglese per intero?» chiese l'altro. «Viste le abitudini alimentari, mi sembra di capire di no...»
Agathe sorrise. «No, infatti: mia madre è francese. E la mia migliore amica è mezza tedesca».
«Fantastico! Almeno non sono l'unico mezzo inglese, da queste parti!» rise, salvo poi darsi una manata sulla fronte. «Che scemo, non mi sono ancora presentato: Marco Tardini, tanto piacere!» disse, porgendole come se nulla fosse la stessa mano con cui si era appena preso a schiaffi.
«Agathe, piacere mio» rispose lei mentre gli stringeva la mano. Omise volutamente il proprio cognome: in quel momento, l'ultima cosa che desiderava era sentirsi parlare della propria famiglia.
«Solo Agathe? Mi piace. Mio zio mi ha riempito la testa con la storia di tutte le famiglie della zona, ma io preferisco farmi da solo un'idea sulle persone» disse Marco.
«Mi sembra un'ottima idea» asserì Agathe. «Qui sembra che la gente non abbia altro da fare che impicciarsi degli affari altrui e riferirli, inventando di sana pianta i tre quarti della storia, ovviamente!»
Marco si accigliò. «Mio zio è più una specie di gazzettino... no, neanche. Somiglia a... diciamo a un diario di bordo: osserva tutto quello che fa la gente e ne prende nota, senza metterci in mezzo quello che pensa o quello che crede di aver visto. Osserva e riporta fedelmente». Si mise a ridere. «Mamma lo chiama sempre "vecchia comare impicciona"!»
Anche Agathe scoppiò a ridere: rise tanto da lasciarsi sfuggire di mano il libro e da trovarsi con gli occhi pieni di lacrime. «Ma tu fai parte di una famiglia di pazzi!»
Marco allargò le braccia come a dire che non poteva farci nulla e imbastì un'espressione di scuse.
«Non fraintendermi, credo che sia fantastico» precisò la ragazza quando ebbe recuperato fiato a sufficienza. «La mia famiglia è noiosa e compassata, uno strazio!»
«Tu non mi sembri noiosa e compassata» replicò Marco. «Un po' introversa e all'inizio sei più chiusa di un riccio spaventato, ma quando ti rilassi sei divertente».
«Grazie» disse Agathe con un sorriso. Inclinò la testa da un lato, quasi a voler studiare Marco con maggiore attenzione. «Allora, in che zona dell'Italia vivi?»
«In Versilia. È una parte della costa della Toscana; è davvero molto bella, infatti d'estate i turisti arrivano a frotte» rispose il ragazzo. «Tu hai detto di essere stata in Italia una volta, giusto?»
«Sì, ma il posto in cui sono stata aveva un nome diverso» disse lentamente Agathe, tentando di ricordare. «Si chiama le... le quattro terre, mi pare...»
La risata squillante di Marco la interruppe e lei lo guardò con le braccia incrociate sul petto, un po' offesa.
«Scusa» disse Marco, mentre cercava in tutti i modi di smettere di ridere, «ma è stato divertente da morire... comunque c'eri quasi, si chiamano Cinque Terre e si trovano in Liguria».
«Ecco com'era il nome! Liguria!» sbottò Agathe, facendo di nuovo scoppiare a ridere il ragazzo. Suo malgrado, anche lei sorrise. In quei minuti si stava divertendo come non le capitava da settimane: iniziava a sentire i muscoli addominali e quelli facciali dolere per lo sforzo, eppure più rideva e più le veniva voglia di continuare.
«Anche quello è un posto splendido» aggiunse Marco quando ebbe ripreso fiato. «In realtà l'Italia è tutta bella. Se vuoi sapere come la penso, quest'estate dovresti venirci in vacanza».
Agathe lo guardò di sottecchi. «Suona come un invito. Stai forse flirtando con me?» ridacchiò.
«Ebbene sì» sospirò Marco con fare teatrale. «Corro troppo, vero?»
«Solo un po'» ammise Agathe. «Quindi dopo Natale tornerai in Italia?»
«In teoria. In pratica sono laureato all'Accademia di Belle Arti e adesso sono iscritto a un master sull'arte gotica» spiegò. «Mi aspettano sei mesi tra Gran Bretagna e Francia».
La ragazza non poté trattenere un sorriso luminoso e sincero, così contagioso da far sorridere anche Marco. «Sono contenta. Significa che ci rivedremo!»
Marco si illuminò. «Davvero sei felice all'idea di rivedermi?»
Il sorriso di Agathe si allargò un altro po' e lei annuì.
«Adesso chi è che corre troppo?» la prese in giro Marco. «A proposito, non è che hai un fidanzato geloso, nascosto da qualche parte?»
Per un attimo la faccia di Richard lampeggiò davanti agli occhi di Agathe. «No» rispose risoluta.
«Meglio così» commentò soddisfatto Marco. «Prima che tu cambi idea, perché non mi lasci... che ne so, il tuo numero di cellulare, o magari il contatto Skype? Io torno in Italia tra qualche giorno, ma prima potremmo uscire a bere qualcosa...». Colse lo sguardo non proprio convinto di Agathe e si affrettò ad aggiungere: «Insieme ai tuoi amici, se non ti senti sicura. Lo capisco, ci siamo incontrati per la prima volta oggi!».
«Okay» acconsentì la ragazza. Dopo che si furono scambiati i contatti, Marco si alzò.
«Mi sa che mi tocca tornare a casa: mia madre mi farà a pezzi se non passo un po' di tempo in famiglia» annunciò. «Ci sentiamo stasera. Ciao, bella francesina» la salutò; le schioccò un bacio sulla guancia e si allontanò prima che lei potesse fare o dire alcunché.
Rimasta sola, anche Agathe decise di tornare a casa: la temperatura si stava abbassando e iniziava a fare troppo freddo persino per lei. Avanzò attraverso il prato e poi verso casa Zimmermann a passo lento, il sorriso nascosto dalla sciarpa che aveva arrotolato intorno alla bocca per proteggersi dal vento invernale. Senza che se ne fosse resa conto, lei e Marco avevano passato più di un'ora a chiacchierare e, cosa ancor più incredibile, a ridere. Tolti Lara e Thomas, era da tanto che Agathe non incontrava qualcuno in grado di farla ridere in quel modo irrefrenabile che aveva sperimentato poco prima. Si fermò a riflettere su quel ragazzo che aveva appena conosciuto: era carino, gentile, divertente e dell'età giusta. Agathe si rese conto di non aver mai incontrato nessun ragazzo che fosse così... normale: di solito lei incontrava i Colin, i Noah, i Richard, non i Marco... e se anche li incontrava, i Marco non erano mai attratti da lei!
Chissà, forse le cose stavano cambiando, forse lei era cambiata: magari quelle settimane passate accanto a Richard e poi quelle in cui era stata male e si era dovuta risollevare, be', forse quelle settimane l'avevano resa diversa quel tanto che bastava per far sì che anche i ragazzi normali e piacevoli fossero attratti da lei. Per la prima volta da quando era comparsa Valentine, Agathe vide i mesi appena trascorsi sotto una luce diversa; e riflettendoci si rese conto che, per quanto avesse sofferto, anche quella somma di piccole esperienze – belle e brutte – aveva contribuito a farla crescere e cambiare.
Sì, era cambiata. Non in modo immediatamente evidente: erano cambiate alcune sfumature, alcuni particolari che a prima vista passavano inosservati ma che, nel quadro generale di ciò che era, la rendevano qualcosa di diverso da ciò che era stata solo quel settembre.
Agathe accolse quel pensiero con gioia. Dopo Colin aveva pensato che non sarebbe mai più riuscita a fidarsi abbastanza di un ragazzo per poterci costruire insieme qualcosa di bello; poi era arrivato Richard e aveva distrutto quel po' di fiducia negli uomini che ancora custodiva dentro di sé, facendole davvero credere che niente e nessuno sarebbe riuscito a curarla da quella ferita; e adesso che era comparso dal nulla Marco, lei non poteva fare a meno di fremere d'anticipazione, di guardarsi intorno mentre tornava verso casa Zimmermann con la speranza di vederselo ricomparire davanti, di avere già voglia di rivederlo e parlare ancora con lui.
Sì, forse Marco Tardini era quello giusto.
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Con l'aiuto del suo fedele binocolo Richard osservò Agathe attraversare l'otto e quando la ragazza si allontanò, girò la testa e schiacciò una guancia contro il vetro per seguirla con lo sguardo il più a lungo possibile. Stava giusto decidendo se aprire o no la finestra per avere più spazio di manovra quando una voce lo fece sobbalzare.
«Non sei ancora stanco di spiarla?» disse Edward, puntellato con una spalla sulla cornice della porta e le braccia incrociate sul petto. «È da almeno venti minuti che stai con quel binocolo incollato alla faccia».
Richard gli scoccò un'occhiata indignata. «E tu che ne sai?»
Suo padre sospirò. «Perché è da venti minuti che ti guardo mentre spii quella ragazza, ed eri talmente preso dalla tua occupazione da non accorgerti della mia presenza».
«C'era un tizio mai visto a Hersham e volevo assicurarmi che non la importunasse» replicò suo figlio con grande dignità, lasciando il binocolo. «E poi, tu non eri andato da Damon?»
«Sono tornato prima» tagliò corto Edward. «In ogni caso, sai benissimo che quel ragazzo non la stava importunando, visto quanto e come rideva Miss Williams. Piuttosto, ammetti di essere geloso!»
Richard incrociò le braccia e sbuffò forte dal naso. «Non sono geloso; di sicuro non di una ragazzina ancora minorenne» dichiarò.
Edward gli rivolse uno sguardo pieno di compassione. «Quand'è che sei diventato uno struzzo?» chiese. «Perché è questo che mi sembri: uno stupido struzzo che si ostina a tenere la testa sotto la sabbia pur di non ammettere la verità».
«Io non sono...» esordì Richard.
«...abbastanza coraggioso da guardare in faccia la verità. Sì, l'ho notato» concluse suo padre.
«Quando la smetterai con questa storia?» brontolò Richard.
«Quando ti deciderai a fare l'uomo. Ti piace quella ragazza, ne sei geloso marcio, hai combinato un casino e stai cercando di rimediare, a modo tuo, ovviamente, ma è già qualcosa» rispose Edward.
«Non sono geloso» ripeté suo figlio, ostinato.
«Oh sì, che lo sei. Ho visto le smorfie che facevi mentre spiavi la sua chiacchierata con quel ragazzo: era la stessa faccia che facevo io quando un uomo faceva apprezzamenti su tua madre» disse nostalgico il più vecchio, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.
Richard rimase in silenzio per un po'. «Lei non mi vuole» mormorò infine.
«Ora come ora? Probabilmente no e non credo le si possa dare torto» convenne Edward. «Sei adulto e vaccinato, Richard, ma ho comunque un paio di consigli per te: se quella giovane donna ti piace davvero, non desistere fino a quando non le avrai provate tutte per riconquistarla e, cosa più importante, non fare errori stupidi. Noi uomini, quando combiniamo qualche guaio con la nostra metà, andiamo subito in confusione e ci buttiamo sui regali per compensare, cerchiamo di rimediare con fiori, cioccolatini, viaggi, gioielli... ma se vuoi riconquistare davvero Miss Williams, non dimenticare mai che la prima volta che l'hai conquistata non l'hai fatto usando i soldi. Non commettere questo errore proprio adesso» lo ammonì.
«Quindi... approvi?» gli domandò suo figlio, incerto.
Edward gli rivolse una lunga occhiata consapevole, come solo un padre sa fare. «Sì, approvo. E se potessi vedere ciò che vedo io ora, non avresti neanche bisogno di chiedermelo».
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