Twenty Eighth Shade [R]
Il giorno successivo a quella cena, Agathe trovò di nuovo il cancello di casa Prescott aperto: stavolta, però, entrò senza esitazioni e andò dritta alla biblioteca. Lì trovò Richard ad aspettarla; si liberò della borsa e della giacca con gesti precisi e dopo aver preso un respiro profondo si voltò a guardarlo.
«Allora Prescott, mettiamo bene in chiaro le cose» esordì con piglio deciso. «Io verrò qui tutti i pomeriggi ma solo perché, se non lo facessi, poi mi toccherebbe stare a sentire Evan e Gisèle. Questo non significa che abbia intenzione di avere a che fare con te: mi aspetto, anzi, che tu sia così gentile da non rivolgermi la parola per nessun motivo. Meglio ancora sarebbe se evitassi di comparirmi davanti».
«Tuo padre si aspetta che io ti aiuti a studiare» rispose calmo il padrone di casa.
«Me ne infischio di quello che si aspetta o che vuole mio padre» ribatté secca Agathe. Fece due passi avanti e gli picchiò un dito al centro del petto. «Osa comparirmi davanti e io non metterò più piede qui dentro neanche sotto tortura, e non ci sarà Evan che tenga. Chiaro?»
«Cristallino, miss» disse ironico Richard. «Se permette, inizierò a esaudire i suoi desideri immediatamente» si congedò con un piccolo inchino.
«Ecco, bravo, vattene» scattò lei.
Richard fu di parola. Per tutto il pomeriggio, Agathe restò da sola: per quanto fosse sulle spine e tendesse le orecchie, non vide né sentì lo storico, neanche quando uscì dalla biblioteca per tornare a casa.
La scena si ripeté il giorno successivo, e quello dopo, e quello dopo ancora: per giorni Agathe si recò a Villa Prescott e vi trascorse almeno tre ore senza mai alzare la testa dalla scrivania, a studiare come se ne andasse della sua vita e a fare di tutto per non pensare che Richard era a pochi passi di distanza.
Non che lui glielo rendesse facile: quando era tornata lì per il secondo pomeriggio di seguito, Agathe aveva trovato ad attenderla sulla scrivania della biblioteca due alte pile di libri degli argomenti più disparati: storia, filosofia, letteratura di vari Paesi, chimica, matematica...
Alcuni libri le erano tornati utili per i saggi che doveva scrivere per la scuola, altri li aveva trovati interessanti, e così li aveva divisi in due pile a sua volta: al centro della scrivania quelli che aveva letto, nell'angolo più lontano quelli che non le erano serviti o semplicemente non le erano piaciuti. Il giorno successivo la scena si era ripetuta, e così ogni giorno.
Agathe non poteva fare a meno di trovare ammirevole, seppure un po' fastidioso, l'ingegno di Richard. Con quei libri, lasciati lì apparentemente per caso, era come se in qualche modo comunicassero pur senza parlarsi: Richard domandava – sui suoi gusti, su cosa trovava interessante, su cosa stesse studiando a scuola – proponendole dei libri e Agathe rispondeva facendo una selezione tra i volumi che trovava ad aspettarla sulla scrivania.
Nonostante lo assecondasse in quel piccolo trucco, però, Agathe non si sentiva ancora pronta a stare nella stessa stanza con lui o addirittura a parlargli: per questo quando durante l'ottavo pomeriggio Richard irruppe nella biblioteca senza neanche bussare, la ragazza scattò come una molla.
«Prescott!» urlò, per metà furiosa e per metà terrorizzata dalla sua brusca apparizione. Gli rivolse uno sguardo inceneritore. «Che diavolo ci fai qui? Avevamo un accordo!»
Richard alzò le mani in un gesto conciliante. «Lo so, lo so, ma ho appena ricevuto una chiamata urgente di lavoro: mi servono dei documenti che ho lasciato nel cassetto della scrivania e non posso proprio aspettare» spiegò tutto d'un fiato. Una parte di lui gridava che quella era casa sua e non doveva certo dare spiegazioni del motivo per cui aveva deciso di entrare in una stanza, ma Richard soffocò subito quella voce: aveva commesso un errore madornale che aveva allontanato Agathe e, dal momento che aveva deciso di fare tutto quello che era in proprio potere per rimediare, era pronto anche a lasciare che la ragazza spadroneggiasse in casa sua, pur di riavvicinarsi a lei.
Agathe tacque e sbuffò un paio di volte, ma non disse nulla. I suoi pensieri – anche se non poteva saperlo – erano speculari a quelli di Richard: in fondo quella non era casa sua, e lei che diritto aveva di bandirlo dalla sua biblioteca personale? La vocina cattiva dentro di lei, però, le faceva notare con una certa insistenza che era stato lui a incastrarla in modo che fosse costretta a passare lì parte delle proprie giornate, quindi tanto valeva fargliela pagare per aver osato tanto quando sapeva benissimo che lei non voleva altro che evitarlo!
«Va bene, Prescott, prendi i tuoi documenti e levati di mezzo» sibilò. «Se invece ti serve la tua biblioteca dimmelo subito, così raccolgo le mie cose e me ne vado a casa».
«Non ce n'è bisogno» rispose Richard; passò alle sue spalle, aprì il cassetto in alto a destra e ne trasse una cartella piuttosto voluminosa, mentre Agathe restava immobile e in silenzio come una statua, lo sguardo puntato sulla finestra di fronte a sé.
Dal giorno di quel loro ultimo, burrascoso incontro, era la prima volta che si trovavano così vicini da sfiorarsi: Richard poteva vedere come le lunghe ciocche scure le accarezzassero il volto mentre Agathe riusciva di nuovo a sentire il suo odore, quello che aveva imparato a conoscere quando, dopo ogni bacio, strofinava per un attimo la punta del naso lungo la mandibola di lui.
Richard serrò le dita intorno alla cartella, si raddrizzò e prese un paio di profondi respiri dal naso prima di girare di nuovo intorno alla poltrona e allontanarsi di qualche passo da Agathe.
«Allora io... io vado» disse. Provò a uscire dalla stanza, ma non ci riuscì: per quanto ci provasse, non riusciva a staccare gli occhi dalla figura impettita sulla sua poltrona. «Ti lascio studiare in pace».
Agathe fece un rigido cenno d'assenso, senza neanche guardarlo, e Richard si trovò a fissare la linea del suo collo, liscio e roseo, lasciato scoperto dal vestito; deglutì e strinse tanto forte i fogli che aveva in mano da stropicciarli.
Da parte sua, con la coda dell'occhio la ragazza poteva vedere che Richard era ancora lì, imbambolato a guardarla, e si impose di ignorarlo: ma quando con un unico balzo lui le fu addosso, le risultò impossibile riuscirci.
Richard non era stato in grado di trattenersi: per giorni era stato dolorosamente consapevole della vicinanza di Agathe e se non vederla l'aveva aiutato a dominarsi, ritrovarsela di nuovo davanti, poterla guardare e sfiorare, anche se solo per caso, aveva mandato in fumo il suo autocontrollo. Prima di poterci ripensare, prima di potersene pentire, tornò verso la scrivania, afferrò i braccioli della poltrona in cui era seduta la ragazza e la girò bruscamente verso di sé: dopodiché per afferrarle il mento e baciarla bastò un attimo.
L'uomo gettò a terra la cartella e infilò la mano libera nei capelli di Agathe mentre le stuzzicava le labbra con la lingua per chiederle di lasciarlo entrare, di concedersi come aveva fatto tante altre volte; e fu con stupore e un pizzico di soddisfazione che si accorse che, invece di schiaffeggiarlo e urlargli contro, lei lo stava assecondando, schiudendo le labbra per lui.
Agathe fu così sorpresa dall'assalto di Richard da non trovare la forza di respingerlo e gli permise di baciarla, momentaneamente vittima dell'eccitazione che l'aveva invasa nel poterlo di nuovo toccare. La carezza delle mani dell'uomo sul suo collo e tra i suoi capelli era più dolce di quanto ricordasse; sopraffatta, Agathe s'inarcò verso di lui e gli afferrò il volto tra le mani per attirarlo più vicino a sé.
Sbilanciato, Richard fu costretto a puntellarsi con un ginocchio sulla poltrona per non franare sulla ragazza; si piegò ancora di più in avanti e lasciò che la diciassettenne gli affondasse le unghie appena sotto le orecchie mentre continuava a baciarla con foga, cercando di prendere il più possibile di Agathe prima che la ragazza tornasse in sé e lo respingesse: perché, Richard lo sapeva bene, avrebbe pagato caro quell'azzardo, ma era stato incapace di trattenersi quanto ora era incapace di fermarsi.
Come l'uomo aveva previsto, in capo a un paio di minuti Agathe si staccò: era a corto di fiato, ma allontanarsi dalle sue labbra doveva averla fatta tornare in sé, perché allo sguardo perso ed eccitato se ne sostituì subito uno fosco e arrabbiato.
«Prescott!» urlò furiosa, ma non riuscì neanche a cominciare la propria invettiva: il suo cellulare, infatti, scelse proprio quel momento per suonare, impedendole di avventarsi su Richard – con intenzioni tutt'altro che piacevoli, stavolta – per rispondere.
«Penelope, cosa c'è?» sbottò irritata quando rispose; ascoltò per cinque o sei secondi e poi esplose: «Non voglio comprare un maledetto vestito per la mia festa di compleanno!».
Mentre Agathe era impegnata a discutere con Penelope e ad affermare a più riprese che per nessun motivo avrebbe fatto shopping per la festa dei suoi diciotto anni, Richard approfittò del momento propizio per battere in ritirata: non era un codardo, ma sapeva riconoscere un dono del cielo quando gliene veniva inviato uno ed era conscio del fatto che, se fosse rimasto nei paraggi, Agathe l'avrebbe fatto a pezzi per aver osato baciarla.
Nascosto nella propria camera da letto, Richard rifletté su quanto era successo mentre persino da lì riusciva a sentire i brontolii di Agathe contro Penelope e lui stesso. Baciare Agathe era stato come... come respirare di nuovo a pieni polmoni: la differenza tra vivere e sopravvivere.
Quel pensiero lo terrorizzò. Andiamo, non ti sembra di esagerare un po'? Va bene essere infatuati, ma qui stiamo sconfinando nel ridicolo! protestò una voce dentro di lui.
Certo però, anche se l'avrebbe rifatto ancora, e ancora, e ancora, di sicuro adesso Agathe era arrabbiata con lui anche più di prima: sì, aveva risposto al bacio, ma lo sguardo furibondo che gli aveva rivolto non appena il suo cervello era tornato al comando e quell'unico, singolo grido che aveva lanciato erano stati più che eloquenti.
Devo trovare un modo per farmi perdonare una volta per tutte, si disse Richard, pensoso... e l'idea arrivò in un glorioso lampo di genio.
Sorridendo tra sé, l'uomo prese il cellulare dalla tasca: aveva qualche telefonata da fare.
******
Terminata la telefonata con Penelope, Agathe era più arrabbiata ed esasperata che mai: consapevole che per quel giorno non sarebbe più riuscita a combinare qualcosa di utile, rinfilò le proprie cose nella borsa e marciò fuori da casa Prescott con un diavolo per capello.
Mentre camminava avanti e indietro lungo l'otto nel vano tentativo di sbollire la rabbia fu raggiunta da Lara e Thomas, che passavano di lì per caso.
«Agathe, tutto a posto?» domandò cauta Lara: già in condizioni normali le era facile captare i malumori della sua migliore amica, ma in quel momento Agathe era talmente furiosa che chiunque sarebbe riuscito a fiutarne la rabbia rampante a un miglio di distanza.
«No, che non è tutto a posto» rispose Thomas, lo sguardo insolitamente serio e penetrante. «Guardala, poco ci manca che le esca il fumo dalle orecchie! È successo qualcosa con lui, vero?»
Agathe brontolò qualcosa d'incomprensibile senza smettere di fare avanti e indietro, le braccia incrociate strette sotto il seno e le sopracciglia tanto corrucciate da sembrare quasi unite al centro.
«Che hai detto?». Lara si voltò verso Thomas, confusa. «Che ha detto? Quando bofonchia così faccio fatica a capirla!»
«Io ho capito benissimo» ringhiò Thomas. «Non l'ha fatto davvero, non ci credo!»
«E invece sì!» rispose Agathe, alzando le braccia al cielo.
«Vado a picchiarlo» decise Thomas; girò sui tacchi e virò subito verso la villa di Richard.
«Perché? Cos'è successo?» chiese Lara, che non ci stava capendo nulla. «Non tagliatemi fuori dalla conversazione!» piagnucolò. «E di sicuro tu non picchierai nessuno!» aggiunse truce, il dito puntato contro Thomas con fare minaccioso.
«Brava, ben detto» disse Agathe; acchiappò Thomas e lo trattenne a viva forza. «Fermo un po'!» sbuffò; puntò i piedi a terra per bloccare l'amico, ma fu uno sforzo inutile.
«Col cavolo» rispose lui, trascinandosela dietro. «Siamo amici, ed è mio compito pestare quel deficiente».
«Qualcuno mi spiega perché dovresti picchiare Prescott?» sbottò esasperata Lara.
«Shhht!» la rimproverarono in coro gli altri due.
«E allora ditemi che succede!» replicò lei.
«Prescott mi ha baciata!» esplose Agathe, nello stesso istante in cui Thomas le puntava contro un dito ringhiando: «Prescott l'ha baciata!».
Gli occhi di Lara si sgranarono in maniera allarmante, dopodiché si rivolse al suo fidanzato. «Va' a picchiarlo!» disse feroce.
«Ehi, ehi, ehi, un attimo!» disse Agathe, oltraggiata. «Non hai appena detto a Thomas che non deve picchiare nessuno?»
«Si può cambiare idea» rispose Lara. «Ti ha baciata!» aggiunse: considerava la cosa quasi un affronto personale. «Dopo tutto quello che ha fatto! Quindi va picchiato» concluse come se fosse ovvio.
«Ho risposto» bofonchiò Agathe, mentre restava ostinatamente aggrappata al braccio di Thomas per impedirgli di avanzare.
«Che cosa?» esalarono i due fidanzati in coro, sconvolti; Thomas, addirittura, smise di camminare pur di guardarla bene in viso.
«Non me lo fate ripetere» scattò la ragazza. «Ho risposto, ho lasciato che mi baciasse, quindi la colpa è anche mia e non potete picchiarlo» decise. Lasciò la presa sull'amico, incrociò di nuovo le braccia e li guardò fisso con espressione decisa, quasi sfidandoli a contraddirla.
«Chi ha cominciato?» indagò Lara.
Agathe si accigliò. «Be', lui – mi è più o meno saltato addosso, come faceva sempre – ma questo che...»
Lara e Thomas si scambiarono uno sguardo d'intesa.
«Ha cominciato lui, anche se gli avevi detto che doveva stare alla larga da te» disse Lara.
«Quindi possiamo picchiarlo» concluse Thomas, soddisfatto. «Andiamo?»
«Dove?» chiese Agathe, perplessa.
«A picchiare Prescott!» risposero Thomas e Lara in coro.
Agathe si nascose la faccia tra le mani. «Mi fate paura. Ho creato un mostro... anzi, due...» esalò. I suoi amici la ignorarono e si diressero con decisione verso l'altra metà dell'otto.
«Ohi, volete fermarvi?» ruggì Agathe, afferrando l'uno per la giacca e l'altra per la sciarpa. «Niente pestaggi! Se c'è qualcuno cui spetta quest'onore, quella sono io!»
«E allora perché non l'hai preso a pugni?» la incalzò Lara, imbronciata.
«Perché... perché...» balbettò Agathe prima di passare al contrattacco. «Oh, Marcus ti ha umiliata pubblicamente in un modo che ha costretto Tom a picchiarlo e me a fare... be', tu sai cosa, e comunque hai continuato a essere persa di lui per altri due mesi» brontolò. «Non ho diritto anch'io a un po' di tempo per farmi passare questa stupida... infatuazione?»
Lara la valutò in silenzio per un po'. «Mi pare ragionevole» decretò infine.
Thomas parve sgonfiarsi. «Questo significa che non posso picchiarlo?» chiese con espressione affranta.
Agathe si trattenne dal ridere. «No, non per oggi. Se però dovesse farmi arrabbiare di nuovo, hai il mio permesso di pestarlo come e quanto ti pare!» promise, dandogli una pacca sulla spalla.
Il volto del ragazzo si illuminò. «Ci conto!»
Agathe alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «A volte il tuo ragazzo mi fa paura, lo sai?» disse a Lara.
«Anche a me, però è così dolce quando picchia qualcuno per difenderci...» rispose l'altra. Prese l'amica sottobraccio e insieme si avviarono nella direzione opposta a quella della scuola; Thomas si affrettò a raggiungerle e cinse con un braccio la vita della propria fidanzata.
«Adesso che facciamo?» chiese.
«Non lo so. Andiamo al Jean's Haven?» propose Agathe.
«Buona idea» assentì Lara. «Arrabbiarmi con Prescott mi ha messo appetito».
«Prenderlo a schiaffi ce ne avrebbe messa molta di più» disse Thomas. «Sarà per la prossima volta».
Agathe alzò gli occhi al cielo. «Perché dai per scontato che ci sarà una prossima volta?»
Il ragazzo scrollò le spalle. «Perché sta dimostrando di essere intelligente in ogni cosa, tranne una». Le lanciò un'occhiata di sbieco. «La gestione di Agathe Williams».
«Come se io andassi gestita!» insorse l'interessata.
Lara sbuffò. «Dio, Will... ci potrebbero tenere dei corsi al college, su come gestirti. Soprattutto quando sei arrabbiata!»
Thomas sghignazzò di cuore insieme alla sua fidanzata; Agathe, per tutta risposta, li afferrò per le braccia e allungò il passo.
«Sbrighiamoci ad arrivare al Jean's Haven» brontolò. «Almeno, con la bocca piena non potrete fare i simpaticoni!»
«È una sfida?» chiese allegro Thomas.
Agathe gli diede uno spintone che lo fece incespicare in avanti; il ragazzo imprecò e lei scoppiò a ridere di gusto, sentendosi un po' più leggera a ogni passo.
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