Thirty Sixth Shade [R]
La St. Margaret aveva riaperto i battenti e questo per Lara significava solo una cosa: era nei guai.
Nonostante le pressioni di Agathe e Thomas perché studiasse durante le vacanze invernali, la ragazza non aveva voluto saperne, di aprire i libri: si era limitata a osservare sbadigliando gli altri due mentre scrivevano saggi e ripetevano le lezioni, interrogandosi l'un l'altro. E così, adesso che era arrivato il momento di tornare sui banchi della prestigiosa scuola che frequentava, Lara sudava freddo.
«Come farò?» gemette disperata all'alba del sette gennaio.
«Se ci avessi dato retta, ora non saresti a questo punto» rispose Agathe con voce tagliente.
«Non ti distrarre» la redarguì invece Thomas, riaprendo il libro di storia. «Eravamo rimasti alla Prima Guerra Mondiale...»
«Non ce la farò mai!» piagnucolò Lara.
«Non dirlo nemmeno!» scattò la sua migliore amica. «Siamo chiusi in camera tua da due giorni e quasi non abbiamo dormito né mangiato per aiutarti a rimetterti in pari: fosse l'ultima cosa che faccio, tra tre ore e mezza, quando ricominceranno le lezioni, tu sarai preparata a dovere!» concluse, lanciandole il saggio di letteratura che aveva appena terminato di scrivere al suo posto.
«Ma è impossibile!» protestò Lara.
«Se continui a distrarti, sì» disse Thomas, spietato. «La Prima Guerra Mondiale, Lara. Ora!»
La ragazza sbuffò e iniziò a ripetere la lezione, fermamente convinta che non ce l'avrebbe mai fatta.
******
Le otto erano passate da poco quando il ripetuto trillare del campanello distolse Richard dalla propria colazione.
Incurante dello scampanellio sempre più insistente, l'uomo si avviò verso la porta d'ingresso con passo tranquillo, e con tranquillità ancora maggiore aprì la porta e pigiò il pulsante che apriva il cancello.
«Alla buon'ora!» sbuffò Agathe. «È da un secolo che aspetto!»
«Due minuti, al massimo tre» la corresse Richard. «A cosa devo il piacere di questa visita?»
La ragazza gli tese una borsa carica di libri. «Ti ho riportato questi».
«Quindi siete riusciti a far rimettere Miss Zimmermann in pari con le assegnazioni?» chiese lui mentre posava la borsa a terra.
«Incredibile ma vero». Agathe storse il naso. «Ma se Lara pensa di continuare così fino alla maturità, si sbaglia di grosso!»
«Posso immaginare i rischi cui andrebbe incontro in quel caso». Richard lanciò un'occhiata in tralice ad Agathe. «Quando avrò il piacere di godere un po' della tua compagnia?»
Agathe si accigliò. «Detto così suona ambiguo».
«Era quello l'intento» confermò candidamente l'uomo, prendendola per i fianchi e attirandola a sé. «Allora?»
«Non lo so. Sono sfinita, non credo che oggi riuscirò a fare granché, e domani pomeriggio devo andare a Londra a cercare un abito per la festa dei miei diciotto anni: preferisco togliermi il pensiero prima che torni Penelope». La ragazza si morse un labbro. «E poi, non so ancora se ti ho perdonato per la storia della tua ex».
Richard alzò gli occhi al cielo. «Inizio a domandarmi se arriverà mai, quel giorno benedetto».
«Arriverà quando troverò un modo adatto di vendicarmi» lo rimbeccò Agathe prima di stampargli un rapidissimo bacio sulle labbra. «Devo andare, si sta facendo tardi e sai com'è il dannato custode di quella scuola».
«Altroché se lo so» rispose Richard, ricambiando il bacio prima di spingerla verso la porta. «Buon primo giorno di scuola dell'anno. E buona fortuna per la ricerca del vestito!» ridacchiò, divertito dall'espressione esasperata di Agathe.
******
Agathe era sfinita.
Era chiusa da tre ore nella boutique di Armani, in compagnia di Lara, alla vana ricerca di un abito che accontentasse sia lei che Penelope: in parole povere, un'impresa disperata.
«Penelope non ti aveva tassativamente vietato di prendere un vestito nero?» indagò Lara quando vide la sua amica osservare con aria critica un abito di quel colore.
«Sì, ma non so che fare. Mia nonna vorrebbe un abito vistoso, lo so bene, mentre io preferirei qualcosa di discreto». Agathe gemette di frustrazione. «Non ce la farò mai. Perché non posso presentarmi in jeans?»
«Perché tutta la tua famiglia ti ammazzerebbe» le rammentò Lara.
«Non è giusto» piagnucolò l'altra. «È la mia festa, dovrei essere libera di vestirmi come voglio!». Sbuffò. «I gusti miei e quelli di Penelope sono troppo diversi: non troverò mai qualcosa che accontenti entrambe».
«Dai, sono sicura che troveremo qualcosa» tentò di rincuorarla Lara. «Perché non provi quel vestito?» aggiunse, indicando all'amica un abito bianco.
Agathe storse il naso. «Non sto mica per sposarmi!»
«Ce n'è uno color champagne che ha all'incirca la stessa linea» intervenne Caroline; era con loro da tutto il pomeriggio e non sapeva più che inventarsi.
«Proviamolo» concesse Agathe.
Neanche quell'abito la convinse, e così per i quattro successivi: un'ora più tardi, la ragazza era frustrata oltre ogni limite.
«Basta, non ce la faccio più!» esplose. «Al diavolo la stupida festa e al diavolo lo shopping!»
Caroline si schiarì la voce. «Ci sarebbe un altro abito, Miss Williams» annunciò. «Se lei è d'accordo, vado a prenderlo».
Agathe ci pensò su per qualche istante, poi scrollò le spalle. «Ormai un vestito in più o in meno non fa differenza».
La commessa si allontanò con passo veloce e tornò poco dopo, tenendo tra le braccia con reverenza una sacca nera per abiti. Lara, curiosa com'era, le andò incontro e tirò giù un pezzetto della cerniera lampo della sacca per sbirciare il vestito.
«Oh, Will, questo devi proprio provarlo!» disse eccitata.
La sua amica si strinse nelle spalle e seguì Caroline nel camerino. Ne riemerse parecchi minuti più tardi, con un sorriso felice e incredulo stampato in volto.
«È... meraviglioso» sussurrò mentre si rimirava allo specchio e lisciava la gonna dell'abito. Nel momento in cui Caroline l'aveva tirato fuori dalla sacca, Agathe non era stata per niente convinta della scelta della commessa e aveva bocciato il vestito senza pensarci due volte. Caroline, però, aveva insistito affinché lo provasse e alla fine Agathe aveva ceduto. Quando se l'era visto addosso, aveva dovuto ricredersi: quell'abito le stava a pennello ed era perfetto, come se qualcuno l'avesse disegnato e cucito apposta per lei. Sentendo che non avrebbe voluto indossare nessun altro abito, Agathe si era decisa a uscire dal camerino e a mostrarsi a Lara.
La sua amica batté le mani.
«È perfetto!» dichiarò entusiasta.
Agathe le sorrise prima di rivolgersi a Caroline. «Come mai questo vestito non era esposto con gli altri?»
La donna tentennò e questo accese la curiosità delle diciassettenni.
«Non potrei dirlo» mormorò lentamente.
«Oh, Caroline, andiamo» la esortò Agathe. «Parla!»
«Se promette di non dirlo a nessuno, Miss Williams...». Ottenuto un cenno d'assenso da parte di Agathe, si decise a parlare. «Circa un mese fa abbiamo ricevuto una telefonata da un cliente che ci chiedeva di metterlo in contatto con Mr. Armani in persona perché aveva un abito da commissionare: non è stato facile convincere Mr. Armani, ma la persona che ci aveva chiamati a quanto pare è stata molto convincente, perché alla fine lo stilista si è detto disposto a realizzare un abito seguendo le indicazioni del nostro cliente».
Agathe era confusa. «E poi cos'è successo? La persona a cui era destinato quest'abito non l'ha voluto?»
«Immagino che lo scopriremo presto». Caroline sorrise. «L'abito è stato commissionato per lei, Miss Williams».
La ragazza fu folgorata dalle ultime parole della commessa. Guardò Lara a bocca aperta e vide sul volto dell'amica la sua stessa espressione, prima di balbettare a Caroline: «Ma come... chi... chi è stato?».
Caroline incrociò le braccia con aria determinata. «Questo non posso proprio dirlo. Il cliente ci ha vietato di rivelarlo».
Agathe si guardò di nuovo alla specchio, esaminando con ancora più attenzione l'abito, prima di inarcare un sopracciglio. «Un abito del genere può averlo pensato soltanto una persona di mia conoscenza che sia anche un vostro cliente» sbuffò. «Uno che va sempre in giro con un completo a tre pezzi e un bastone da passeggio».
La bocca di Lara si spalancò ancora di più. «No!» sussurrò, incredula.
La sua amica scoccò uno sguardo a Caroline, che sorrideva furba.
«E invece sì» rispose Agathe.
«Allora, Miss Williams?» la interrogò la commessa. «Prenderà quest'abito?»
Agathe tentennò. L'abito era perfetto, ne era consapevole, ma sapere chi era l'autore di tutta quella piccola macchinazione diabolica aveva fatto sorgere in lei dei dubbi. Fino a due minuti prima non avrebbe esitato un attimo nel prendere quell'abito, mentre ora non sapeva che fare...
******
Era quasi ora di cena quando il campanello di casa Prescott ricominciò a trillare impazzito.
Ben sapendo che c'era soltanto una persona che poteva maltrattare in quel modo il suo campanello, Richard se la prese comoda per andare ad aprire.
«Agathe» salutò quando, aperto l'uscio, si ritrovò di fronte il volto impassibile della ragazza. «A cosa devo questo tardo piacere?»
Lei lo spinse da parte senza troppi complimenti e marciò fino alla cucina senza dire una parola. Percorse la stanza per un minuto buono, pensosa, prima di voltarsi verso Richard e puntargli contro un dito.
«Non comprerai il mio perdono con quell'abito» dichiarò.
«Quale abito?» domandò Richard, confuso.
«Quello che mi hai fatto trovare alla boutique di Armani» sbuffò Agathe.
L'uomo la osservò perplesso per qualche secondo. «Agathe, non so di cosa tu stia...»
«Oh, Prescott, andiamo» lo interruppe lei, spazientita. «Solo a te poteva venire in mente un abito del genere, pensando a me. Credevi davvero che non l'avrei capito?»
Richard si arrese. «E va bene, sono stato io» ammise, incrociando le braccia sul petto. «Ma non era un modo per comprarti».
L'espressione di Agathe era scettica. «Ah no?»
«No» ripeté lui, imperturbabile. «Ho visto come tutti ti stessero dando il tormento perché tu comprassi un abito e volevo... darti una mano, diciamo così, a uscire da questa impasse». Le rivolse una lunga occhiata. «Allora, lo indosserai?»
Lei si raccolse i capelli con aria pensierosa e li spostò su un lato del collo. «Non lo so ancora» ammise. «Quell'abito è... è splendido, oserei dire che è perfetto, ma quando ho capito che in un certo senso proveniva da te...». Agathe s'interruppe e si strinse nelle spalle. «Non lo so».
«Be', spero che deciderai di indossarlo» disse Richard, «e in quel caso...». Si guardò intorno con aria assorta prima di alzare l'indice. «Un momento, torno subito» esclamò. Uscì a passo rapido dalla cucina, lasciando lì una Agathe più perplessa che mai; tornò solo due minuti dopo, con una grossa custodia di velluto tra le mani.
«Prima che tu inizi con un centinaio di obiezioni» disse all'istante, bloccando sul nascere le proteste che stavano già per lasciare la bocca della ragazza, «fammi almeno parlare. Se dovessi scegliere di indossare l'abito che ho pensato per te, vorrei... mi piacerebbe che tu gli abbinassi questi» mormorò, aprendo il cofanetto.
Agathe ebbe quasi un infarto.
«Ma sei pazzo?» gracchiò: nella custodia c'era una spessa collana d'oro bianco, larga cinque centimetri nel punto centrale e che si assottigliava fino ad arrivare a due centimetri lì dove c'era la chiusura, interamente coperta di diamanti. «Io dovrei indossare questa?»
Richard si accigliò. «Non è così male» disse.
«"Non è così male"?» gli fece eco Agathe con un filo di voce mentre osservava gli orecchini abbinati, due semplici cerchietti lisci e larghi, anch'essi ricoperti di diamanti. «Prescott, quanti diavolo di carati in diamanti ci sono, incastonati in quella collana?»
L'uomo si grattò la testa, a disagio. «Tanti?»
«Si può sapere come ti è venuta in mente una cosa del genere?» singhiozzò lei, sconvolta. «Questa collana, e gli orecchini... ti saranno costati una fortuna!»
Richard si mise a ridere. «Non mi sono costati neanche un penny, Agathe: erano di mia nonna» spiegò tra una risata e l'altra.
«Allora sei pazzo più di quanto credessi!» strillò lei. «Vorresti prestarmi dei gioielli della tua famiglia, di un valore incalcolabile... ma che ti passa per la testa? E se li perdessi? E se qualcuno li rubasse?»
«I gioielli sono fatti per essere indossati» rispose Richard, noncurante.
«Ciò non toglie che se accadesse una cosa del genere...». Agathe annaspò e lui le mise davanti un bicchiere d'acqua, che lei ignorò. «Come diavolo potrei mai ripagarti?»
«Non dovresti ripagarmi» replicò Richard, stranito. «Non te li sto prestando, Agathe. Te li sto regalando».
Agathe, che si era decisa a bere un sorso d'acqua nella speranza che questo la calmasse, si strozzò. Richard corse al suo fianco e le batté più volte una mano sulla schiena, preoccupato. Non appena riuscì a riprendere fiato, la ragazza lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite.
«Tu non puoi regalarmeli!» disse.
Richard la guardò con un sopracciglio inarcato. «Buffo. Sono di mia proprietà, credevo di poterci fare quello che voglio» notò.
«Non fare l'idiota» lo rimbrottò Agathe. «Sai bene cosa intendevo dire!»
«Stai dicendo che non posso farti un regalo» disse Richard.
«Sto dicendo che non puoi regalarmi una fortuna in diamanti!» urlò la ragazza, sconvolta dal fatto che Richard non capisse.
«Nella mia famiglia non c'è nessuno che possa indossarli» replicò Richard. «Meritano di essere sfoggiati e voglio che sia tu a farlo».
«Ma io... io...» balbettò Agathe.
L'uomo la zittì posandole un dito sulle labbra. «Per favore?»
Agathe gli rivolse un'occhiataccia. «Non mi comprerai neanche con tutti questi diamanti, è bene che tu lo sappia, Prescott» disse.
«Non ci crederai, Agathe, ma neanche questo è un tentativo di comprarti» sospirò Richard esasperato, alzando gli occhi al cielo. «Consideralo più un mio peccato di vanità».
La ragazza lo guardò, di nuovo sospettosa. «Questo, un peccato di vanità?» chiese, scettica.
«Sì, questo» confermò Richard, slacciandole la cravatta della divisa e i primi bottoni della camicia. «L'idea di vederti in pubblico, coperta da una montagna di diamanti che ti sono arrivati dalle mie mani senza che nessuno tranne me lo sappia, e di essere io a toglierteli... magari subito dopo averti sfilato tutti i vestiti...» proseguì in un sussurro mentre le allacciava l'ingombrante gioiello al collo, «sì, è un'idea in cui mi piace indulgere e che mi renderebbe estremamente soddisfatto, se venisse realizzata» concluse, facendola voltare verso una vetrinetta perché potesse vedersi.
Agathe guardò il proprio riflesso scuro nel vetro. «Sei strano» dichiarò. Fece una smorfia e sfiorò la collana con le dita. «E quest'affare pesa una tonnellata».
«Il peso della vanità e del possesso» disse Richard. Le depose un bacio sul collo, appena al di sopra della collana. «Mio nonno era estremamente fiero ed estremamente geloso di sua moglie. La nonna soleva definire questa collana "un collare di lusso"».
«Sembra che tu abbia ereditato lo spirito di tuo nonno» notò la ragazza in tono incolore.
«Solo in parte» rispose l'uomo, continuando a baciarle il collo. «La mia vanità è quella di poter guardare questo gioiello allacciato al tuo collo sapendo che prima di lui sulla tua pelle sono passate le mie mani e le mie labbra».
«E sapere di avermi legata a te con questa catena mascherata da regalo appaga il tuo desiderio di possesso» disse Agathe con voce quasi inudibile.
«Non sono abbastanza folle, per ingannarmi a tal punto: so che non basterebbe mai così poco per legarti a me» replicò Richard, stringendola a sé e affondando il volto nei suoi capelli mentre faceva scivolare le mani sotto la sua gonna. «Anche se vederti questi gioielli addosso me ne dà la fuggevole illusione».
«Se ti assecondassi, finiresti per credere che sia la realtà» mormorò lei.
«No, mia piccola Agathe, mai» sospirò Richard contro la sua pelle. «Quest'illusione è amara e non mi appaga. Quello che voglio è che sia tu a legarmi a te. Sii pure la mia carceriera».
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