Thirty Seventh Shade [R]
Il regalo di Richard aveva messo a disagio Agathe tanto da farle evitare l'uomo; ormai erano passati alcuni giorni da quando aveva ricevuto quei gioielli e, da quel momento, Richard di Agathe non aveva visto neanche l'ombra.
Quello che non sapeva era che quello non era l'unico motivo della sparizione di Agathe.
Marco era finalmente tornato a Londra ma costretto, almeno per alcuni giorni, a stare insieme ai suoi compagni di tirocinio, non aveva la possibilità di andare a Hersham; e così Agathe decise di andare lei a Londra ogni giorno, dopo la scuola, per poterlo vedere.
«Sono felice di essere tornato» sorrise Marco una di quelle sere, mentre i due ragazzi erano seduti in un bel ristorante e attendevano l'arrivo del cameriere per ordinare la cena.
«E io sono felice che tu abbia trovato un po' di tempo per me» rispose Agathe, anche lei sorridente: la presenza di quel giovane allegro ed esuberante riusciva a farle dimenticare tutti i dubbi che ancora nutriva riguardo al proprio rapporto con Richard.
«Io avevo più dubbi sul fatto che tu avresti trovato del tempo per me» replicò Marco, rivolgendole uno sguardo significativo. «Ero quasi certo che il tuo ex avrebbe assorbito tutte le tue attenzioni, ora che vi siete riavvicinati».
«Non è il mio ex» lo corresse Agathe. «Non siamo mai stati davvero insieme. E non l'ho ancora perdonato, non del tutto, almeno».
«Speriamo che questo stato delle cose non cambi» disse Marco con ardore, guadagnando un'occhiataccia dalla ragazza. Allargò le braccia. «Che c'è? Sto cercando di convincerti a essere la mia fidanzata: di sicuro non tifo per un completo rappacificamento tra te e questo tizio!»
«Comprensibile» concesse Agathe. «Per quanto ti fermerai a Londra?»
«Un paio di settimane» rispose il ragazzo. «Poi me ne toccheranno altre due nel nord del Paese, dopodiché per un mesetto dovrò stare in Francia».
«Be', la Francia non è lontana» commentò la diciassettenne. «Potrei sempre sentire il bisogno irrefrenabile di trascorrere qualche weekend nella mia seconda patria: non sarebbe strano, no?»
«Per niente» ridacchiò Marco sotto i baffi. Le prese una mano e l'accarezzò. «Stavo pensando a una cosa, sai. Un po' folle, e non sono sicuro che saresti d'accordo, ma è un'idea che non riesco a soffocare».
Adesso Agathe era curiosa. «Di che si tratta?»
Marco le strinse la mano più forte. «Ti fidi di me?»
Lei storse il naso. «Non così tanto, ma per stavolta farò un'eccezione».
Agathe non fece in tempo a finire di parlare che Marco già la stava tirando verso la porta; riuscì a malapena ad afferrare borsa e cappotto che si ritrovò fuori dal ristorante e nel bel mezzo del freddo di Londra.
«Marco, ma sei ammattito?» ansimò, mentre il ragazzo la trascinava nella più vicina stazione della metropolitana. «Dove mi stai portando? Possiamo andarci con la mia macchina!»
«Così è più divertente» rispose lui senza voltarsi né rallentare.
Il tragitto non fu lungo; dopo appena un paio di fermate, Marco la trascinò di nuovo fuori, all'aperto.
«Continuerai a sballottarmi di qua e di là ancora a lungo?» chiese Agathe, un po' infastidita, mentre attraversavano a forza di gomitate un gruppo di turisti perplessi e incuriositi.
«Siamo quasi arrivati» disse lui sbrigativo. Poche centinaia di metri più avanti la trascinò nell'androne di un bel palazzo, ben tenuto e illuminato, e poi su per le scale fino alla stanza 41b; lì aprì la porta e la sospinse dentro, gentilmente ma con fermezza.
«Si può sapere dove diavolo siamo?» domandò la ragazza, ormai più che irritata.
«Nella mia stanza» rispose Marco.
«Nella tua...?» gli fece eco Agathe, incredula. Gettò giacca e borsa sulla sedia più vicina con un gesto stizzito. «Perché mi hai portata qui?» sbottò.
«Per poter fare questo» disse Marco, tirandole giù la zip del vestito con un colpo secco. Afferrò l'orlo del vestito e lo tirò verso il basso: Agathe, presa alla sprovvista, non alzò neanche le braccia e si ritrovò l'abito ai piedi prima ancora di poter capire che cosa fosse successo. In circa tre secondi, però, il suo cervello si rimise in moto e registrò l'intera situazione; dopodiché la sua mano destra partì a tutta velocità in direzione della faccia di Marco, contemporaneamente al ginocchio sinistro, che mirava allo stomaco. Marco, che un po' se l'aspettava, riuscì a bloccarle il polso e schivare la ginocchiata che, se fosse arrivata a destinazione, come minimo gli avrebbe fatto molto male.
«Ehi, ehi, calma!» cercò di rabbonirla il ragazzo; le afferrò anche l'altro polso e glieli portò entrambi dietro la schiena. «Giuro che non ti toglierò nient'altro a meno che non sia tu a chiedermi di farlo. Non voglio forzarti a fare nulla».
Agathe sbuffò come un toro inferocito. «E allora perché continui a trattenermi?» ringhiò.
«Perché se ti lasciassi ora, mi picchieresti senza pietà» fu la risposta.
«Ma che perspicace!» sibilò sarcastica la ragazza.
«Non c'è bisogno di reagire in questo modo: in fondo, potrei aver fatto di peggio» notò Marco.
Lei emise un versetto sarcastico e sprezzante. «Peggio dell'avermi trascinata per mezza Londra fino alla tua stanza, spogliata a tradimento e bloccata? Dovrei ammazzarti – o darti in pasto a mio padre» ringhiò.
«Oh, sì» dichiarò Marco col tono di chi dice un'ovvietà. «Per esempio, avrei potuto fare questo...» mormorò, percorrendole la schiena con la mano libera fino ad arrivare alle natiche, «oppure questo...» proseguì, succhiandole con delicatezza la pelle del collo, «o questo» concluse baciandola.
Agathe era arrabbiata con Marco; niente poteva cancellare quella realtà. Però c'era in lei qualcosa che, almeno in quel momento, era più forte della rabbia: le mani del ventiquattrenne infatti, sebbene non esperte come quelle di Richard, sembravano sapere esattamente dove sfiorarla per infiammarle i sensi e farle dimenticare l'indignazione che provava per la sua sfacciataggine. Con la testa resa leggera dall'ondata di ormoni che la stava travolgendo e la mente ovattata, finì per abbandonarsi tra le braccia del ragazzo con un flebile gemito di piacere, e non oppose resistenza neanche quando lui la prese in braccio e la depositò sul letto.
Marco, che sapeva bene che quella specie di tregua era solo temporanea, faceva del suo meglio per distrarre Agathe il più possibile e procurarle abbastanza piacere da far sì che, una volta terminato quel momento, la ragazza non fuggisse né lo prendesse a schiaffi. Non smetteva di baciarla che quando erano entrambi senza fiato, per ricominciare dopo pochi istanti; continuava ad accarezzarla senza sosta, ma badando bene di non esagerare o di non fare nulla che potesse turbarla, sebbene, in alcuni momenti, gli sembrasse che Agathe fosse pronta perché potesse osare di più; insomma, si stava trattenendo pur non avendone voglia.
Le mani di Marco si mossero lungo la sua schiena e indugiarono sul gancio del reggiseno.
«Si può sapere che vuoi fare?» ansimò lei, senza fiato.
«Voglio sentire il tuo sapore» rispose Marco, mentre le sue dita giocherellavano col gancetto. «Ci sono così tante sfumature in te: sai essere dolce come il miele e poi aspra come un limone acerbo, delicata come la vaniglia e pungente come il pepe; voglio assaggiare tutto di te...»
«Metafora pittoresca, non c'è che dire» lo interruppe ironica Agathe, che non si era fatta abbindolare dalla vena poetica del ragazzo. Rimase ferma per qualche altro istante, indecisa; di colpo si rese pienamente conto della situazione in cui si trovava e si vergognò di essersi spinta tanto oltre. Prese Marco per le spalle. «Marco. Marco, adesso basta».
Marco, a malincuore, si staccò da lei e la guardò coprirsi dalle caviglie al mento col copriletto. «Preferisci l'altro» disse con un pizzico di rancore.
«Sì... no...». Agathe si coprì il volto con le mani e prese un bel respiro. «Lui non c'entra» dichiarò, recuperando le calze che Marco le aveva sfilato chissà quando.
«Certo che c'entra» replicò reciso il ragazzo.
«Io... non sono pronta per tutto questo» ammise Agathe. Sempre avvolta nel copriletto, recuperò il vestito e con una complicata manovra se lo rinfilò, in modo da non farsi vedere di nuovo seminuda. «Neanche con lui mi sono spinta così avanti. Ho... ho bisogno di un po' di tempo».
Il ragazzo sembrò calmarsi e la fissò meditabondo. «Capisco» disse solo, tirandole su la cerniera del vestito. Agathe gli gettò un'occhiata scettica da sopra la propria spalla, per nulla convinta, e lui si strinse nelle spalle. «Ho detto che capisco, non che mi piace» precisò.
«Sì, così ha decisamente più senso» concesse Agathe. Entrambi si infilarono giacconi e sciarpe prima di uscire dalla stanza. Marco la prese sottobraccio.
«Ti riaccompagno» mormorò.
Il tragitto verso la metropolitana e poi al parcheggio in cui Agathe aveva lasciato la propria auto trascorse perlopiù in silenzio; fu lei a spezzarlo quando fu in procinto di salire in auto per tornare a casa.
«Mi dispiace per prima, sai» disse imbarazzata, lo sguardo fisso sulla punta delle proprie scarpe.
«Non c'è bisogno di essere dispiaciuti» rispose Marco con una scrollata di spalle. «Preferisco che tu mi abbia fermato; andare oltre anche se non ne eri convinta sarebbe stato stupido».
«Eppure continui a essere scontento» gli fece notare Agathe.
«Sono un uomo e tu mi piaci parecchio: è ovvio che sia contrariato per non essere riuscito ad arrivare fino in fondo» minimizzò lui.
Agathe si strinse nelle spalle. «Forse faremmo meglio a non vederci per un po'» disse piano. «Per... per capire cosa vogliamo. O almeno, cosa voglio io».
Il ragazzo la fissò per qualche istante. «Sì, forse è meglio» convenne freddamente. Un minuto più tardi i due si salutarono e si separarono, allontanandosi in direzioni opposte nel buio di Londra.
******
«Oh no, no, no... ti prego, no!» gemette Agathe, disperata. «Non puoi farmi questo!»
La sveglia rimase impassibile di fronte allo sfogo della ragazza. Non un ticchettio in risposta, nemmeno uno. Piuttosto ovvio, in effetti, visto che le pile si erano scaricate.
Ma perché si fossero dovute scaricare proprio nel bel mezzo di una notte tra due giorni feriali, però, questo Agathe non riuscì a capirlo.
«Dannate batterie!» berciò furibonda, trattenendosi a stento dallo scagliare la sveglia contro il muro. Un'occhiata all'orologio da polso – perlomeno quello funzionava ancora – le comunicò che era in ritardo. In un drammatico ritardo.
Quando finalmente uscì di casa, ben più tardi del solito, incontrò lo sguardo stralunato di Lara.
«Tu, in ritardo?» disse sgomenta. «Agathe, com'è possibile?»
«Batterie scariche. La sveglia s'è fermata» brontolò l'altra in risposta, consapevole del proprio aspetto tutt'altro che ordinato; consapevolezza rafforzata dallo sguardo di Lara e dal confronto con quest'ultima. I capelli di Agathe somigliavano a un cespuglio incolto – non aveva fatto in tempo a pettinarsi – la sua guancia era decorata da uno sbaffo di dentifricio ormai secco e s'era infilata solo metà della divisa: non era riuscita a indossare né la giacca né il giaccone pesante, aveva la gonna storta e la cravatta e la sciarpa erano arrotolate intorno alla cinghia della borsa.
«Dio, Will, sei in condizioni pessime» esalò Lara.
«Non ho tempo di preoccuparmene» tagliò corto Agathe. «Corriamo a scuola, mi ficco nel bagno e mi do una sistemata. Però sbrighiamoci, o quel dannato custode ci chiuderà fuori!»
In quel momento Thomas arrivò correndo. «Si può sapere dove eravate finite? È tardi!». Guardò Agathe per un paio di secondi. «Ti è esplosa una bomba addosso o cosa?»
«Non mi sono alzata, la sveglia non ha suonato» riassunse Agathe. «Avanti, andiamo!»
I tre ragazzi corsero attraverso il prato, tagliando l'otto, mentre Agathe si puliva il dentifricio dalla faccia col dorso della mano e Lara le rimetteva dritta la gonna. Insieme, sbucarono incespicando dall'altro lato; si rimisero dritti e stavano accelerando di nuovo la loro andatura quando Richard Prescott sbucò fuori dal nulla e agguantò Agathe col manico del bastone da passeggio.
«Prescott, si può sapere che vuoi?» soffiò la ragazza mentre tentava di liberarsi. «Siamo in ritardo!»
Richard non l'ascoltò nemmeno. Guardò Lara e Thomas, ancora immobilizzati per la sorpresa. «Miss Zimmermann, Mr. Medwall: via. Adesso» ordinò perentorio.
Lara pareva decisa a restare dov'era ma Thomas, più sensibile di lei all'umore altrui, intuì che la loro presenza non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione e, dopo un cenno affermativo di Agathe, afferrò la propria fidanzata e la portò via.
«Dentro» sibilò Richard. Sospinse Agathe all'interno del giardino; quando furono in casa, lontani da orecchie indiscrete, la ragazza si voltò ad affrontarlo.
«Che accidenti hai in testa, Prescott?» domandò aspra. «Grazie a questa tua fantastica trovata, non arriverò mai in tempo a scuola!»
«Al diavolo quella stupida scuola» replicò brusco lui, andando verso il salotto. Agathe, che non si capacitava di essere stata presa e trascinata lì solo per vedersi voltare le spalle, lo inseguì.
«Hai intenzione di spiegarmi qual è il tuo problema, o mi hai rinchiusa in casa tua soltanto per avere il privilegio di guardarmi male?» insisté, arrabbiata e infastidita.
«Sono giorni che non ti fai vedere» replicò lui. «Dov'eri finita?»
Agathe non credeva alle proprie orecchie. «Mi hai trascinata qui solo per questo? Avresti potuto chiedermelo in qualsiasi altro momento!»
«Dove sei stata?» ripeté Richard, cupo.
«Non sono affari tuoi!» insorse Agathe.
Aveva a malapena richiuso la bocca che Richard le afferrò la camicia abbottonata alla meno peggio e la scostò, rivelando un segno rosso scuro alla base del collo.
«Sei stata con quello squinternato, vero?» l'accusò. «Lo stesso che ti ha abbordata qui, di fronte casa mia!»
«Come l'hai chiamato?» soffiò Agathe.
«È per questo che da giorni sparisci chissà dove, non è così? Per vederti con quello?». Agathe esitò e Richard s'infuriò. «Sei stata con lui!»
«Smettila, Prescott, sei ridicolo» rispose gelida la ragazza, scostandosi. Richard la prese per un polso e la scrollò.
«Ti sei fatta toccare da lui?» ringhiò rabbioso. «Gli hai dato il tuo corpo, gli hai permesso di fare con te quello che io a stento ho osato pensare, per non mancarti di rispetto? Hai lasciato che facesse quello che voleva, ti è piaciuto essere usata da quel verme?»
«Sì!» urlò Agathe. «Ho lasciato che mi toccasse, ho lasciato che mi baciasse, e mi è piaciuto!»
Richard la spinse nella poltrona più vicina e si chinò su di lei; le afferrò il mento e portò il volto a un centimetro da quello di lei.
«Avevi così tanta fretta di buttarti via da andare col primo disponibile?» soffiò irato.
«Non ci sono andata a letto» sibilò la ragazza in risposta. Tentò di spostare la testa, ma Richard strinse di più la presa e la fissò con occhi gelidi.
«Non ti credo» dichiarò.
«Non è un problema mio» sbottò Agathe, spingendolo via e alzandosi. «Va' all'inferno, Prescott! Io non sono una tua proprietà, non sono tua moglie né la tua fidanzata: non puoi permetterti di farmi scenate di gelosia! Ti avevo avvertito, ti avevo detto che con quella collana non mi avresti comprata!»
Richard le rivolse uno sguardo cattivo. «Puoi anche fare a pezzi quella maledetta collana e gettarla nella spazzatura, Agathe, ma questo non cambierà le cose: da mesi vieni qui, lasci che io ti baci e ti tocchi, e non puoi comportarti come se non significasse nulla! Qualsiasi cosa tu dica sei già mia, e io non divido la mia donna con altri!»
«Però non ero tua quando quella schifosa della tua ex è piombata qui e mi ha messa alla porta senza che tu alzassi un dito, vero?» gli rinfacciò la ragazza. «Troppo comodo rivendicarmi adesso che non ci sono altre donne in casa tua! Avresti dovuto farlo prima!»
«Sei una bambina! Cosa mai avrei potuto rivendicare?» urlò lui.
«Se sono una bambina, per quale motivo ti ostini a volermi?» gridò Agathe in risposta. «Lasciami ai bambini come me, no?»
«NO!» tuonò Richard, ormai fuori di sé. «Non dopo tutta la fatica che mi è costata averti...»
«Tu non mi hai! Io non sono tua! Ficcatelo bene in quella testaccia presuntuosa, Prescott!» lo interruppe Agathe, urlando con tutto il fiato che aveva in gola.
«Lo sei invece, lo sei e hai lasciato che un altro godesse di ciò che è mio!» esplose l'uomo. «Hai permesso che ti insudiciasse con il suo tocco! Lo senti?» sussurrò mortifero dopo averle annusato i capelli: un profumo chiaramente maschile resisteva ancora sulla chioma corvina. «Hai il suo odore addosso! Ti ha marchiata, perché vuole averti solo per sé!»
«Marchiata?» ripeté Agathe. «Cosa credi che sia, una mucca? Ma ti senti?» disse, furiosa. «Io non appartengo a nessuno! Potete imprimermi addosso tutti i marchi che volete, ma questo non cambierà!» strillò.
Richard la prese per le spalle e la spinse contro il muro con un gesto rude, facendole sbattere la testa contro la parete. Mentre Agathe si massaggiava il punto dolente, l'uomo si inginocchiò, le aprì la camicia e le afferrò i seni con le mani; li sollevò e iniziò a succhiare la pelle bianca al di sotto di essi, incurante delle deboli espressioni di protesta della ragazza.
Ora Agathe era furiosa con se stessa più che con Richard: gli stava lasciando fare il proprio comodo ma, sebbene sapesse di doverlo fermare e magari anche tirargli un pugno, non riusciva a farlo. Il piacere che provava ogni volta che le mani o la bocca di Richard si posavano sul suo corpo stava avendo la meglio sulla dignità e sul buonsenso: era invasa da un delizioso torpore e tutto quello che riusciva a pensare era che non voleva finisse mai.
La bocca di Richard calò; scese in basso, sempre più in basso, facendo diventare più affannoso il respiro di Agathe. Con una mano le afferrò una gamba, tenendola aperta, e prese a leccarle la pelle vicino al ginocchio. Risalì lentamente, lasciandosi dietro una scia di baci mentre si avvicinava alla sua meta, e Agathe trattenne il fiato quando lui iniziò a succhiarle la pelle all'interno della coscia, pericolosamente in alto. Quando si fermò, parecchi minuti più tardi, la sostenne per un attimo perché non cadesse, poi si staccò e contemplò la propria opera. Anche Agathe si guardò: due grossi segni di un rosso vivido, simili a quello sul collo, spiccavano lì dove la bocca di Richard si era accanita.
«Visto che ti piace tanto farti marchiare, eccoti accontentata» mormorò l'uomo. «Bastava chiedere».
Agathe, ancora appoggiata al muro, si lasciò scivolare a terra e si abbracciò le ginocchia. «Dio, Prescott, sono stanca di tutto questo» disse affranta. «Perché devi fare così? Eri diverso, quando ti ho conosciuto. Eri arrogante e spocchioso, ma non mi facevi paura».
Richard annaspò di fronte a quell'accusa mossa con stanchezza. Aveva agito senza fermarsi a riflettere, lasciandosi guidare dalla gelosia e dalla rabbia. Sedé a terra, di fronte alla ragazza, e rimase in silenzio per un po'.
«Ti faccio paura?» chiese alla fine.
«Sì, Prescott. Mi fa paura il bastardo che puoi diventare» confermò Agathe. «Non è questo l'uomo che mi ha... affascinata. Noah fa queste cose, non tu... o almeno, così credevo. Mi sembravi un principe azzurro; adesso, invece, ti guardo e non vedo più l'uomo che mi ha salvata, quel giorno, alla boutique di Armani, né quello che mi ha medicato la gamba quando mi sono graffiata o che mi inseguiva a scuola per baciarmi con una delicatezza che non credevo esistesse. Vedo solo un uomo che mi fa venire voglia di scappare il più lontano possibile da lui».
Richard si passò una mano sul volto. «Non volevo questo, ma l'idea che un altro possa toccarti... mi fa impazzire».
«L'ho notato» rispose la ragazza in tono incolore.
Lui s'inginocchiò sul pavimento e si avvicinò di qualche centimetro alla ragazza. «Agathe, dico sul serio. Non è una giustificazione, ma non so cosa mi sia preso. Da quando ti ho conosciuta, io...»
Lo squillare di un telefono lo interruppe; Agathe tirò fuori dalla borsa il cellulare e ne fissò lo schermo con espressione sfinita prima di rispondere. «Sì, Evan?» mormorò. Le urla dell'avvocato Williams riempirono l'aria e fu con difficoltà che la figlia riuscì a far sentire la propria voce. «Sì, Evan, non ci crederai ma lo so, che non sono a scuola» disse pungente. «Hai altre ovvietà da sottolineare?». Le urla di Evan fuoriuscirono di nuovo dall'altoparlante dell'apparecchio, assordando Agathe. «Come pretendi che te lo spieghi, se non la smetti di strillare come un'arpia?» sbottò la ragazza.
Le dita agili di Richard le sfilarono il cellulare dalle mani. «Evan? Sono Richard» disse lo storico. Le strida di Evan cessarono. «Ieri sera mi sono reso conto che manca poco al momento di mandare le lettere di ammissioni ai vari college e che per tua figlia è indispensabile preparare questo passo con estrema attenzione; ho pensato, dunque, di sfruttare la mattinata per iniziare ad analizzare il modo migliore di presentare queste domande di ammissione. Visto che in questi giorni alla St. Margaret i professori sprecano il loro tempo a cercare di capire se e quanto abbiano studiato i ragazzi durante le vacanze invernali invece di spiegare argomenti nuovi, e considerato che sappiamo tutti quanto tua figlia si sia impegnata durante queste settimane di pausa, ho ritenuto che si potesse tranquillamente sfruttare questo tempo per qualcosa di costruttivo». Una breve replica di Evan. «Ma è naturale, Evan: prepareremo con cura le domande da mandare a tutte le più prestigiose facoltà di Legge» disse morbido. «Buona giornata» concluse, chiudendo la chiamata. Restituì il telefono ad Agathe, che lo prese senza dire una parola.
«Dovremo parlare anche di questo, sai; prima o poi dovrai spedire le domande di ammissione e dire a tuo padre che non vuoi frequentare Legge» le fece notare Richard.
«E tu come...» balbettò Agathe.
«Lo so e basta» tagliò corto lui. «Dovremo parlarne... ma non oggi» disse piano. Le porse la mano; Agathe l'accettò con riluttanza e lasciò che l'uomo la conducesse su per le scale e lungo i corridoi fino a una porta, che si rivelò essere quella della sua camera da letto.
Agathe indietreggiò.
«Non ho intenzione di entrare con te» la rassicurò Richard, posandole una mano sulla schiena per impedirle di arretrare ancora. «Fai un bagno caldo, dormi un po'... insomma, riposati e cerca di rilassarti. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami» concluse; la spinse con delicatezza nella stanza e le chiuse la porta alle spalle. Agathe ci pensò su per qualche istante, poi decise di dargli ascolto. Un'ora più tardi, dopo avergli rubato dall'armadio una camicia bianca – la sua ricerca di qualcosa di normale come una t-shirt era stata infruttuosa – Agathe si infilò sotto il pesante piumone e si addormentò, avvolta dal profumo di Richard come da un abbraccio.
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