Thirtieth Shade [R]
Il ventisette dicembre arrivò in fretta.
Nonostante fossero nel bel mezzo delle feste natalizie, il Jean's Haven era aperto; anche semivuoto, le vivaci decorazioni e l'atmosfera tranquilla non ne diminuivano in alcun modo l'aria accogliente che lo caratterizzava.
«Non l'avevo notato, questo posto» disse Marco quando sedettero a un tavolino d'angolo. «Non sembra neanche di essere più a Hersham, la città dei ricconi che vogliono sfuggire al caos di Londra senza però allontanarsi troppo dalla City».
«È per questo che ci piace» rispose Agathe; sorrise a Jean, che si era avvicinata al tavolo. «E poi il loro fish and chips è fantastico».
«Meglio di quello di Londra?» chiese Marco, scettico.
Jean, che li aveva raggiunti al tavolo mentre si sedevano, si finse offesa. «Molto meglio» dichiarò decisa. «Volete un po' di tempo per guardare il menù o ve lo ricordate ancora a memoria?»
Agathe sbuffò. «Visto che probabilmente è l'unica cosa che Lara abbia mai imparato a memoria...»
«Ehi!» insorse la diretta interessata mentre Thomas ridacchiava.
L'altra la ignorò. «...ordineremo subito» concluse.
Jean sorrise dell'espressione offesa di Lara e accennò a Marco. «E lui?»
Agathe rivolse un'occhiata maliziosa a Marco. «Lui si fiderà».
Thomas si mise a battere le mani sul tavolo imitando un rullo di tamburi. «E il vincitore è...»
«Fish and chips!» tuonarono Agathe e Lara all'unisono.
«Fish and chips!» fece loro eco Thomas a gran voce.
Marco li guardò con tanto d'occhi.
«Non si potrebbero avere dei crostini di salmone affumicato, magari con un po' di caviale...?». Fissò le facce degli altri quattro, che lo guardavano sgomenti, e scoppiò a ridere. «Stavo scherzando!»
Thomas si mise a ridere, Lara gli fece la linguaccia e Agathe gli tirò un calcetto sotto il tavolo; i primi due risero ancora di più, subito imitati da Marco.
Jean trattenne a stento un altro sorriso. «Avrai fish and chips anche tu, straniero, e attento ai commenti che fai!» borbottò a mezza voce prima di tornare in cucina.
Mentre aspettavano da mangiare, i quattro ragazzi chiacchierarono un po' della scuola: i tre amici raccontarono della St. Margaret e di come facessero impazzire Miss King – Agathe e Lara: Thomas era troppo beneducato per creare scompiglio come facevano le due ragazze – e Marco raccontò loro dell'Accademia, delle grandi città d'arte che aveva visitato e dei tanti paesini italiani altrettanto pieni di storia e di bellezze artistiche, simili a piccoli gioielli nascosti.
«Quindi sarai qui da gennaio a giugno?» chiese Lara quando Marco disse loro del tirocinio che avrebbe iniziato di lì a poco.
«A fasi alterne e non sempre nella zona di Londra. Però penso che riuscirò a venire qui durante qualche fine settimana; mio zio vive a Hersham come voi e starò da lui».
«Quindi ti vedremo spesso nei prossimi tempi» disse Lara. Lanciò un'occhiata eloquente ad Agathe, che scelse di ignorarla.
«Spero di sì» replicò Marco; piegò appena la testa verso Agathe, che sedeva accanto a lui, e le sorrise malandrino. «Dipende dalla mezza francese».
Agathe arrossì e fu salvata da Jean, che arrivò giusto in quel momento per depositare sul tavolo quattro enormi porzioni di cibo. «Buon appetito!»
Lara fu la prima ad afferrare un piatto; lo trascinò a sé con aria bramosa e morse un trancio di pesce come se le avesse fatto un torto personale, seguita a ruota dalla sua migliore amica, che si ficcò un bocca una manciata di patatine fritte con aria estatica.
Thomas alzò gli occhi al cielo e scosse la testa mentre a sua volta iniziava a mangiare, anche se con molto più garbo delle due ragazze.
Marco, che non aveva ancora toccato cibo, rimase a guardare con un misto di perplessità e spavento Lara e Agathe che si ingozzavano.
Thomas si allungò e gli diede una pacca sulla spalla. «Non ci fare caso, loro fanno sempre così: credo che le diverta» disse a mo' di spiegazione.
«Non credevo che le ragazze mangiassero così... be', così» esclamò debolmente Marco.
L'altro si strinse nelle spalle. «Fa quasi paura, vero? Sono così belle, arrossiscono e ti fanno credere di essere dei fiorellini delicati, e poi...», Thomas porse un paio di tovagliolini alla sua fidanzata, che lo ringraziò strusciando la testa contro la sua, «...be', poi lo vedi. Quando nessuno ci controlla ci lasciamo un po' andare» concluse.
Agathe deglutì un boccone immenso, bevve un po' d'acqua e si pulì la bocca con un tovagliolo prima di rivolgere una smorfia imbarazzata a Marco. «Scusa per questo spettacolo penoso ma sai, mia madre e quella di Lara pretendono da noi il contegno di due mummie ingessate e quando non ci sono ci piace mangiare senza preoccuparci dell'apparenza o di quello che pensano gli altri...»
Marco si mise a ridere. «In realtà, superato il primo momento di shock, è divertente. Anche a me piace mangiare e non sopporto le ragazze che smangiucchiano solo due foglie di insalata, magari pure scondita, perché devono stare attente alla linea!»
I quattro risero per un momento prima di tornare a mangiare.
Marco si rivelò essere una compagnia molto piacevole. Dopo cena rimasero ancora un po' al Jean's Haven ed ebbero modo di parlare più di quanto avessero fatto in precedenza. L'italiano fu l'anima del gruppo: fece ridere i tre ragazzi con battute salaci e raccontò loro alcune disavventure che aveva vissuto con i propri amici.
«...e tra le scolaresche in gita c'era questa ragazza di Roma, Elena Parri. Vi giuro che non me la potrò mai scordare: sgattaiolò fuori dall'albergo in piena notte insieme a tre suoi compagni di classe e ci raggiunse. Il padre di uno dei miei amici, Simone, possiede una pista di go kart e restammo lì fino alle sei del mattino a correre» raccontò Marco. «Il momento migliore fu quando Giovanni, un altro mio amico, la superò e la mandò fuori pista: Elena si arrabbiò talmente tanto che quando scese dal go kart, gli fece lo sgambetto e poi gli ficcò la testa in una delle balle di fieno che facevano da protezione!»
Thomas ululò dal ridere e si piegò in due fino a poggiare la testa sul tavolo; Lara si premette le mani sullo stomaco, senza fiato, mentre Agathe quasi scivolò sotto il tavolo, tanto era impegnata a sghignazzare. Marco la riacchiappò prima che sparisse del tutto.
«O Dio, Marco, sei uno spasso» singhiozzò Agathe, asciugandosi le lacrime mentre tentava di trattenere le risate.
«E tu sei sexy quando ridi e ti lasci completamente andare. Voglio vederti così più spesso» le disse Marco all'orecchio.
A quelle parole, il volto di Agathe si tinse di un rosso vivido e un lungo brivido le corse giù per la schiena; provò a scoccare uno sguardo severo al venticinquenne, ma lui le rivolse un mezzo sorriso che fece crollare ogni pretesa di serietà.
Non che quella fosse la prima velata provocazione che il ragazzo le lanciava; per tutta la sera Marco aveva alternato chiacchiere leggere rivolte a tutti a battute maliziose, pronunciate a bassa voce in modo che soltanto Agathe potesse sentirlo. Ogni volta l'aveva colta di sorpresa e ogni volta Agathe era arrossita, imbarazzata ma anche lusingata. In un certo senso, Marco giocava con lei come aveva fatto Richard nei primissimi tempi della loro conoscenza; con la differenza – non proprio sottile – che il giovane italiano le faceva la corte in modo molto più sfacciato e scanzonato. Ad Agathe questo piaceva: era bello, era piacevole, ma soprattutto era semplice. Non c'era il timore costante che qualcuno potesse vederla e diffondere malignità e pettegolezzi in giro; non doveva preoccuparsi di sgattaiolare fuori di casa di notte, né stare sulle spine quando incrociava qualcuno: Marco era un bel ragazzo – certo, aveva sette anni più di lei, ma tutto sommato era una differenza d'età accettabile – divertente, alla mano e sembrava anche intelligente, e Agathe sapeva che difficilmente avrebbe trovato qualcuno migliore di lui. Insomma, fino a quel momento i ragazzi – gli uomini – che aveva incontrato non avevano fatto che prenderla in giro, importunarla e ferirla: Marco sembrava diverso, quindi perché farselo scappare?
Lara parve avere lo stesso pensiero, perché le tirò un calcetto sotto il tavolo e si sporse verso di lei per sussurrarle compiaciuta: «Stavolta hai fatto bingo, sorella. Sbrigati a incassare!».
Per un attimo Agathe fu divisa tra la voglia di ridere e quella di prendere a schiaffi la sua migliore amica; poi decise per la prima opzione e ricominciò a ridere più di prima, fino a restare senza fiato sotto gli occhi sconcertati di Thomas e Marco, accorgendosi a malapena di come fossero calde le mani di quest'ultimo sui suoi fianchi.
******
Se fino a una settimana prima avessero chiesto a Edward Prescott quale fosse il lavoro di suo figlio, l'uomo sarebbe stato incerto sulla risposta da dare: storico, imprenditore, scrittore, editore, accademico... Adesso, invece, sapeva qual era la risposta giusta: guardone. Spia. Impiccione.
Sì, perché negli ultimi tre giorni, Richard non si era quasi mai staccato dal binocolo con cui spiava Agathe: era arrivato a portarselo dietro appeso al collo e a usarlo per controllare fuori dalle finestre a intervalli regolari.
Quando, quella sera, Edward vide suo figlio mollare il binocolo dopo un lungo appostamento dietro la finestra e correre fuori di casa col soprabito infilato solo per metà, non provò neanche a fermarlo o a fargli notare che quello che stava facendo era sbagliato: a quanto pareva Richard aveva deciso di affrontare a modo suo la questione con Agathe Williams e, sebbene lui fosse convinto che quella strada fosse la peggiore in assoluto e che non avrebbe portato altro che guai, suo figlio era perfettamente in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni e di sopportarle qualora si fossero avverate.
Richard, ignaro dei pensieri di suo padre, avanzò con passo veloce attraverso la neve, il fidato bastone da passeggio in pugno, nascondendosi negli angoli bui per spiare il percorso dei quattro ragazzi. Quando li vide entrare al Jean's Haven, fece dietrofront e s'infilò nel dedalo di stradine che circondava la via principale.
In poco meno di dieci minuti Richard raggiunse il retro del piccolo locale, dove si apriva l'ingresso che dava alla cucina, e sarebbe anche entrato se una signora sulla quarantina, con i capelli castani raccolti in una crocchia disordinata e gli occhi scuri non gli si fosse parata davanti con le mani sui fianchi e un cipiglio fosco in volto: Jean in persona. E arrabbiata, come se non bastasse.
«Che cosa crede di fare?» abbaiò, furiosa. Gli piazzò le mani sul petto e lo spinse indietro senza troppi riguardi. «L'ingresso principale è da tutt'altra parte!»
«Signora, mi piacerebbe...» esordì Richard, ma la donna non lo lasciò neanche finire.
«Non me ne può fregare di meno di quello che le piacerebbe o non le piacerebbe!» replicò.
Richard decise di tagliare corto e tirò fuori il libretto degli assegni. «Le do mille sterline, se mi lascia stare nella sua cucina per un po'».
Jean lo guardò, incredula. «No!»
«Duemila?» la tentò Richard.
«NO!» ululò di nuovo Jean, mentre dalla cucina un'altra voce urlava entusiasta: «Sì!».
La donna si voltò e lanciò un'occhiata incendiaria al proprietario della voce, un suo coetaneo, poco più alto di Richard e col cranio rasato. «Sei sempre il solito imbecille, Josh!»
«Sono pragmatico: quei soldi ci farebbero comodo e io ho un cassetto pieno di coltelli a portata di mano, se ci fosse bisogno di tenere a bada questo tizio» replicò Josh.
«No che non ci servono!» sibilò Jean. «Gli affari vanno bene!»
«Ma potrei portarti in vacanza in un bel posto, quest'estate» disse insinuante Josh. Jean tentennò per un po', poi cedette.
«E va bene! Entri pure, Signor Stranezza» disse scontrosa. Si fece da parte in modo che Richard potesse entrare e quando l'uomo le passò accanto, lo scrutò un paio di volte da capo a piedi. «Si può almeno sapere perché vuole stare nella nostra cucina?»
Richard mise su un'espressione impassibile. «Sono un antropologo e sociologo: sto conducendo uno studio su come i giovani inglesi compresi tra i diciassette e i venticinque anni trascorrono il tempo libero» inventò su due piedi.
Jean gli rivolse uno sguardo sospettoso. «E non dovrebbe avere il permesso delle persone che spia?»
«Io non spio» mentì Richard con grande dignità. «Mi limito a raccogliere dati e creare una statistica: non ho bisogno delle generalità dei soggetti che osservo e in ogni caso, se sapessero di essere oggetto di uno studio, questo potrebbe portarli a comportarsi in modo non naturale, falsando i risultati».
La donna inarcò le sopracciglia, apparentemente colpita. «Ha proprio una bella parlantina, non c'è che dire. Si ricordi però che Josh non è l'unico ad avere un cassetto pieno di coltelli a portata di mano» minacciò prima di andare dai ragazzi per prendere l'ordinazione.
«Non le dia ascolto: a Jean piace fingersi una dura, ma non farebbe male a una mosca» disse placido Josh non appena restarono soli.
«Meglio così» brontolò Richard, mentre lanciava occhiate fugaci attraverso la finestrella che dava sulla sala.
Josh controllò la temperatura dell'olio. «Se si mette dietro gli scaffali di metallo a sinistra della finestra riesce a vedere il loro tavolo» disse in tono distratto.
Richard arrossì ed esitò, poi si spostò nel punto indicato e scoprì che l'uomo aveva ragione: da lì vedeva perfettamente il tavolo a cui erano seduti i quattro ragazzi e, soprattutto, vedeva Agathe.
Jean rientrò in cucina. «Quel ragazzo è divertente: ci ha presi in giro chiedendo salmone affumicato e caviale, e ci siamo cascati come babbei».
«Devo essere geloso?» chiese tranquillo Josh.
«Altroché. È un bel ragazzo, giovane e simpatico: se ci sta, ti lascio subito!» lo punzecchiò lei.
«Ma io ho l'esperienza dalla mia: che te ne fai di uno sbarbatello, quando puoi avere questo bel pezzo vintage?» ridacchiò Josh.
Anche Jean si mise a ridere e gli scoccò un bacio sulla bocca. «Parla di meno e cucina di più, pezzo vintage, altrimenti scappo con lo sbarbatello!»
«Donne» sospirò Josh quando Jean si allontanò per accogliere dei nuovi clienti. «Ti fanno girare la testa e ballare sui carboni ardenti, ma che sarebbe la vita, senza il loro pepe?»
Dentro di sé, Richard si dichiarò d'accordo: se avesse avuto un'opinione diversa, non si sarebbe ritrovato a pagare duemila sterline per nascondersi in una cucina a spiare una ragazza!
******
Più passava il tempo, più Richard s'innervosiva. Ormai era nella cucina del Jean's Haven da quasi due ore e quei quattro sembravano non volerne sapere di separarsi e tornarsene ognuno a casa propria!
Più di tutto, Richard lo sapeva, era l'atteggiamento dello sconosciuto a irritarlo: il modo in cui guardava Agathe non gli piaceva affatto, e quando le si avvicinava tanto da farla arrossire, gli veniva voglia di andare lì, prendere Agathe e nasconderla in una scatola, in modo che nessuno a parte lui potesse vederla. Non sapere, poi, cosa quell'impertinente stesse dicendo, lo mandava davvero fuori di testa.
Dopo mezz'ora di sbuffi quasi incessanti, Josh gli lanciò un'occhiataccia. «Il locale ha una buona acustica: se si sposta di un passo verso il muro e uno indietro, riuscirà a sentire quello che dicono... sempre se riesce a smettere di sbuffare per più di cinque secondi!»
Richard sbuffò un'ultima volta ed eseguì, scoprendo che Josh aveva di nuovo ragione: ora sentiva la voce dello sconosciuto forte e chiara. Stava raccontando di una corsa di go kart o roba simile; l'uomo vide gli altri tre ragazzi scoppiare a ridere e finire in pose più o meno improbabili, e Agathe arrossire per l'ennesima volta dopo che quel tipo le aveva detto qualcosa all'orecchio.
«Stupido squinternato» borbottò feroce. Josh finse di non sentirlo.
Dopo un'intera altra ora, finalmente i ragazzi pagarono il conto e se ne andarono; anche Richard se ne andò, ma non prima di aver firmato l'assegno promesso, come gli aveva scherzosamente (ma neanche tanto) ricordato Josh, e una volta appurato che lo squinternato aveva lasciato Agathe sana e salva a casa Zimmermann, tornò a sua volta tra le mura amiche: aveva bisogno di tranquillità per riflettere.
******
Nel tornare a casa, le due coppie si separarono: Thomas e Lara se ne andarono con la scusa di passare a casa di lui a prendere un libro, per lasciare che Agathe avesse qualche minuto da sola con Marco. Rimasti soli, il venticinquenne percorse la strada verso villa Zimmermann ascoltando Agathe raccontare di come, insieme a suo fratello, Lara, Thomas e un amico di Ben avesse dato una lezione a un ragazzo che l'aveva crudelmente presa in giro e diffamata l'anno precedente.
Marco rise senza ritegno.
«Questo Colin deve essere rimasto traumatizzato!» sghignazzò.
«Due settimane dopo si è trasferito in Norvegia» rispose Agathe con una smorfia di sadico divertimento.
«Prometti che a me non farai niente del genere?» la pregò il ragazzo: era un po' spaventato dalla vena di perfidia di Agathe.
«Tu non trattarmi male e io non ordirò cervellotiche vendette ai tuoi danni» ridacchiò lei.
«Allora siamo d'accordo» disse Marco mentre si fermavano: erano arrivati di fronte a casa di Lara. «Be'...»
«Sono stata bene stasera» mormorò Agathe, fissandosi i piedi.
«Anch'io» rispose dolcemente il ragazzo: un po' si divertiva a stuzzicarla, ma in quel momento il suo imbarazzo lo inteneriva. «Ci rivediamo prima della mia partenza? Domani mi tocca andare a trovare i miei nonni e dopodomani dovrò per forza restare a cena a casa di mio zio, ma magari dopo mangiato ci possiamo vedere...»
«Certo» acconsentì Agathe, premiandolo con un bel sorriso; Marco le si avvicinò e lei abbassò di nuovo lo sguardo.
«Questo significa che non posso baciarti?» chiese mentre le risistemava la sciarpa per proteggerla dal vento gelido che soffiava.
«No... cioè sì...». Agathe si coprì il volto con le mani e prese fiato. «So che ti sembrerò paranoica, ma ho l'impressione che qualcuno ci osservi» confessò. L'aveva avuta per tutta la sera, quella sensazione, e anche se era evidente che nessuno la stesse seguendo, non era riuscita a soffocare quel fastidioso istinto.
«Non mi sembri paranoica» replicò tranquillo Marco, le mani affondate nelle tasche alla ricerca di un po' di tepore. «Immaginavo che avresti detto di no in ogni caso: visto che ti sei lasciata da poco con il tuo ragazzo, è normale che tu voglia andarci piano».
Agathe annaspò, gli occhi sbarrati. «Io... che... che cosa?» balbettò. «Come lo sai?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «L'altro ieri ti ho chiesto se avevi un fidanzato; tu hai esitato per un attimo, poi hai risposto di no con un po' troppa ferocia perché potesse suonare naturale. Non è stato difficile capire che sei single da poco».
Lei lo fissò con gli occhi sgranati ancora per qualche secondo, poi assottigliò lo sguardo e sbuffò. «Molto, molto perspicace» concesse di malavoglia.
Marco ammiccò. «Me lo dicono tutti. Mia madre sostiene che abbia preso dallo zio!»
Agathe alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, ma non riuscì a trattenere un sorriso. «Questo tuo famoso zio prima o poi dovrai presentarmelo... comincio a essere curiosa!»
Lui le scoccò un bacio sulla guancia. «Continua a uscire con me e un giorno ti accontenterò» disse, con un sorriso birbante che gli danzava sul volto.
Agathe scosse di nuovo la testa e rise mentre Marco, dopo averle rivolto un ultimo cenno di saluto, si incamminava lungo le strade vuote; e rise mentre varcava il cancello ed entrava in casa, allegra, senza quasi rendersi conto che per la prima volta da mesi aveva trascorso un'intera serata senza mai pensare a Richard Prescott.
******
Quando rientrò in casa propria, Richard trovò le luci spente e le stanze immerse nel silenzio: Edward doveva essere uscito, o magari aveva deciso di riposare un po'. L'uomo accolse con sollievo quell'idea: suo padre non era tipo da immischiarsi negli affari altrui, ma lui restava pur sempre suo figlio e Richard sapeva quando nell'aria c'era odore di ramanzina... ma soprattutto sapeva che neanche avere quarant'anni compiuti da un pezzo gli avrebbe permesso di sfuggirvi.
L'uomo si liberò di giacca e bastone da passeggio e salì cauto le scale; procedette con passo felpato lungo il corridoio del primo piano, ma quando passò davanti alla porta della biblioteca una luce si accese all'improvviso, spaventandolo a morte.
«Finalmente sei tornato» disse Edward in tono piatto, affacciato alla porta. «Entra».
Per un attimo Richard si sentì come un adolescente colto con le mani nel sacco. Quante volte, quando era ragazzo e viveva ancora con i suoi genitori, era rientrato di soppiatto nel bel mezzo della notte, convinto di averla fatta franca... solo per vedersi comparire suo padre davanti, con l'espressione severa e un rimprovero già sulla punta della lingua?
Richard entrò nella biblioteca; Edward era tornato a sedere in una delle poltrone vicino al caminetto e guardava le braci morenti.
«Siediti» disse il più vecchio.
Suo figlio incrociò le braccia sul petto. «No».
Edward assottigliò lo sguardo. «Ho detto: siediti» ripeté duro.
Richard si lasciò cadere di malavoglia nella poltrona più vicina alla porta, le braccia sempre incrociate e l'aria scocciata. Anche suo padre incrociò le braccia, e lo guardò con severità.
«Io e te dobbiamo fare un bel discorsetto» esordì.
«Forse te lo sei dimenticato, ma non ho più diciassette anni» replicò secco Richard.
«Io e te dobbiamo fare un bel discorsetto» insisté Edward, esasperato, «perché il modo in cui ti comporti mi preoccupa molto».
«Non ho più diciassette anni» ribadì Richard, tagliente. «Non ho bisogno che tu mi dica come devo o non devo comportarmi».
Edward batté il pugno sul bracciolo della poltrona. «Lo credi davvero?» tuonò. «Sei sempre stato molto intelligente, Richard, tanto da considerarti una spanna sopra gli altri, ma la stupidità non è appannaggio esclusivo degli adolescenti. Ci si può comportare in modo sconsiderato a qualsiasi età, ed è esattamente quello che stai facendo tu ora: ti stai comportando in modo stupido, stupido e sconsiderato!»
«Non voglio i tuoi consigli!» disse suo figlio, irritato.
«Puoi non volerli, ma di sicuro ne hai bisogno!» ribatté Edward. «Andiamo, Richard, pensi davvero che seguire e spiare quella povera ragazza ti aiuterà a rimediare al pasticcio che hai combinato? E no, non dire che non l'hai seguita, stasera: il modo in cui sei corso via come un pazzo non lasciava adito a dubbi» disse secco quando suo figlio aprì la bocca per replicare. «Cosa pensi che farebbe, se scoprisse che passi le tue giornate a spiarla e arrivi addirittura a seguirla quando esce?»
«Non se n'è accorta: sono stato attento» rispose l'altro, accigliato.
«E se invece se ne fosse accorta?» insisté Edward. «Richard, il problema non è che se ne sia accorta o meno: il fatto è che è una cosa sbagliata e soprattutto non è da te!»
«Sto solo cercando di capire come rimediare» disse Richard.
«Sciocchezze» tagliò corto l'altro. «Sei diventato un codardo, e non capisco come e quando questo sia accaduto! Orgoglioso come sei hai sempre avuto difficoltà ad ammettere di aver sbagliato, ma non credevo che saresti arrivato a un livello simile».
Richard era stanco di sentirsi definire vigliacco e codardo. «Sembra che siate tutti bravi a sputare sentenze» disse rabbioso, alzandosi in piedi, «e vorrei sapere a che titolo vi arrogate questo diritto! Alan, che è uno scapolo incallito e non ci prova nemmeno a cercare una persona con cui trascorrere la vita, e tu, che hai avuto tutto servito su un piatto d'argento e non hai dovuto lottare per avere la mamma!».
Edward si afflosciò contro lo schienale della poltrona. «È questo che credi? Che con tua madre sia stato tutto facile, che non abbia dovuto faticare e lottare per averla?». Rise amaro. «Mi arrabbio tanto nel vedere come ti comporti perché anch'io ero come te: avevo paura, paura di essere rifiutato, paura del giudizio della gente, paura che un giorno si sarebbe stancata di me. E per non scegliere l'ho quasi persa». Alzò lo sguardo su suo figlio, che si era di nuovo seduto. «Ricordi la tua fiaba preferita? Quella che ti facevi raccontare tutte le sere, quando eri piccolo?»
Richard annuì. «"La principessa e il cavaliere cieco"».
Anche Edward annuì. «"C'era una volta, in un regno non molto lontano, una principessa: era bellissima e gentile, e tutti l'amavano.
«"Alla corte di questa principessa c'era un cavaliere cieco: aveva perso la vista durante il suo lavoro al servizio della principessa, ma nonostante tutto restava il cavaliere più fidato, quello che le era sempre accanto per consigliarla e proteggerla. Tra la principessa e il cavaliere c'era un affetto sincero, nato durante gli anni in cui erano cresciuti insieme nel palazzo reale.
«"Ma la cecità del cavaliere lo allontanò dalla principessa: pur riuscendo a combattere i nemici, non era più in grado di vedere le cose davvero importanti, e questo lo rese freddo e distante. La principessa ne soffriva immensamente e tentò in tutti i modi di restituire la vista al cavaliere: lui però si ostinava a isolarsi, impedendo a chiunque di aiutarlo.
«"Passarono gli anni: pur restando accanto alla principessa, il cavaliere era più lontano che mai, e così la giovane erede al trono decise che non poteva più tenere legato a sé qualcuno che non voleva starle vicino. Diede un gran ballo, a cui invitò tutti i nobili dei regni confinanti, e scelse il suo futuro sposo.
«"Il cavaliere odiò da subito il principe straniero: i suoi occhi, così rovinati da impedirgli di vedere ciò che aveva di fronte, riuscirono però a scorgere il cuore nero del futuro sposo della principessa. Ne parlò alla principessa ma, per la prima volta, lei non ascoltò il suo consiglio e si dichiarò irremovibile nella sua decisione: avrebbe sposato il principe.
«"Il cavaliere si disperò. Cercò un modo per far cambiare idea alla principessa, ma lei si rifiutava di ascoltarlo: gli ripeteva che soltanto una cosa avrebbe potuto farle cambiare idea, la cosa più potente del mondo, ma che la chiave per spezzare il suo fidanzamento doveva essere lui a trovarla, altrimenti non avrebbe funzionato.
«"Rinfrancato da questa minuscola speranza, il cavaliere partì. Girò per tutti i regni, interrogò fattucchiere e stregoni cercando una chiave, un'arma o un incantesimo che permettesse alla principessa di liberarsi dal fidanzamento con il principe straniero; ma senza risultato.
«"Trascorsero i mesi. Il cavaliere era abbattuto e deluso: non aveva trovato la chiave di cui gli aveva parlato la principessa. Tornò nel proprio regno per ammettere di aver fallito e giunse proprio nel giorno del matrimonio tra la principessa e il principe straniero. Il cavaliere udì i sospiri della folla mentre il cocchio che trasportava la principessa passava, diretto alla chiesa in cui si sarebbero celebrate le nozze; volse intorno gli occhi ciechi, bramando di poterla vedere di nuovo una volta, una sola volta, per serbarne il ricordo nel cuore: perché, il cavaliere l'aveva capito troppo tardi, si era innamorato della principessa.
«"E quando il cavaliere ammise a se stesso quello che provava, delle brutte lacrime nere colarono via dai suoi occhi: riacquistò la vista e la prima cosa che vide furono gli occhi della sua principessa, felici e commossi. Fermato il corteo nuziale, il cavaliere si inginocchiò e dichiarò di fronte all'intero popolo del regno il suo amore per la principessa; e lei, che ormai aveva perso la speranza che il cavaliere ricambiasse il suo amore, si strappò dal capo il suo velo di sposa, si gettò tra le braccia del cavaliere e decise che il suo solo e unico sposo sarebbe stato lui. E vissero per sempre felici e contenti"».
Richard guardò suo padre, incredulo nel comprendere per la prima volta quella che fino a quel momento aveva considerato una fiaba per bambini. «Per tutta l'infanzia non hai fatto che raccontarmi la storia tua e della mamma?»
Edward si strinse nelle spalle e gli rivolse un sorrisetto malinconico. «Be', non è andata proprio così – io ho ammesso di amare tua madre ben prima che arrivasse a sposare l'altro – però sì, la sostanza è questa. Ho negato fino allo sfinimento di essere innamorato di lei e lei un giorno si è stancata di aspettare: ha conosciuto un altro uomo e si sono fidanzati. Quei mesi...», l'uomo si bloccò, un groppo in gola che gli impediva di parlare, «Dio, credevo che non sarei sopravvissuto, che la mia vita si sarebbe fermata se tua madre l'avesse sposato davvero. E anche così, mi ci sono volute settimane e settimane prima di capire che non potevo più temporeggiare, che dovevo mettere da parte la paura e comportarmi da uomo. Quando le ho detto che l'amavo mi sono sentito più leggero; e quando lei mi ha preso a schiaffi, chiamandomi "dannato testone" e chiedendomi perché mi ci fossero voluti tutti quegli anni per confessarglielo, per poi baciarmi... in quel momento ho capito cos'era davvero la felicità».
Edward sorrise sereno, perso in ricordi troppo intimi e troppo belli per condividerli interamente con suo figlio.
«Per questo ti sto dando il tormento» proseguì poco dopo. «Perché il tuo atteggiamento finirà solo per allontanare quella ragazza, e se provi qualcosa per lei, allora non importa che sia tanto più giovane di te: niente ha importanza, se ci tieni davvero. Devi affrontarla: non farti spaventare dalla sua rabbia, dalla sua freddezza. In fondo, peggio di così non può andare, no? Al punto in cui sei ora, l'hai già persa. E se ti fai di nuovo avanti, come quando l'hai conquistata la prima volta, hai tutto da guadagnarci».
L'uomo tacque, di nuovo perso nella contemplazione delle fiammelle superstiti nel focolare, e Richard non osò dire nulla: per lunghi minuti, l'unica cosa che riuscì a pensare era che avrebbe dovuto parlare con suo padre molto prima.
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