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Tenth Shade [R]

Lara cominciava a pensare che non sarebbe sopravvissuta all'inverno.

Non per il maltempo, no: ormai ci era abituata, e la pioggerellina sottile che cadeva quasi incessantemente non la impensieriva granché. In fondo era quasi novembre, era normale che il meteo lasciasse parecchio a desiderare.

No, quello a cui credeva di non poter sopravvivere era il programma scolastico dell'ultimo anno.

«Non posso farcela» brontolò la ragazza, distesa sul letto di Agathe, lo sguardo fisso sul soffitto.

«Se studiassi regolarmente, ti accorgeresti che puoi farcela eccome» replicò distratta Agathe, intenta a scrivere un saggio.

«È troppa roba!» sbuffò disperata Lara.

«E allora come mai io riesco a stare al passo con il programma?» chiese l'altra.

«Perché sei una dannata secchiona!»

«Anche Thomas ci riesce» ribatté Agathe.

«Secchioni, siete due secchioni» borbottò Lara.

«E siamo anche le persone che preferisci in assoluto». Agathe le lanciò una finta occhiata ferita. «Non è che sei mia amica solo perché vuoi sfruttarmi per i compiti, vero?» domandò in tono drammatico.

Lara le tirò un cuscino sulla testa. «Idiota» sbuffò.

Agathe le tirò indietro il cuscino. «Alzati da quel letto e vieni a fare i compiti».

«Non mi va» piagnucolò la sua migliore amica.

«Preferisci dover passare tutto il fine settimana sui libri? Perché pensavo che potremmo organizzare di nuovo un'uscita con alcuni nostri compagni di classe: ne ho già parlato con Tom e mi ha detto che sarà sicuramente dei nostri. Ma se dovrai studiare non potrai venire con noi...» buttò lì Agathe.

«Perché continui a nominare Thomas?» disse stizzita Lara; si alzò e raggiunse controvoglia la sua amica alla scrivania.

«Perché ti piace ma non ti decidi ad ammetterlo. Magari, se ti infastidisco abbastanza, ti deciderai a farlo prima del nostro ottantesimo compleanno!»

«Non c'è niente da ammettere».

Agathe trattenne un sorriso al broncio di Lara.

«Come dici tu, Lara. Solo, non restare troppo sconvolta quando scoprirai che ho ragione!»

La sua amica incrociò le braccia con aria ostinata. «Sai cosa? Parliamo un po' anche di Noah Pearson!»

«Per carità» scattò Agathe, mentre una smorfia di profondo fastidio le si dipingeva sul volto: solo sentir nominare quel ragazzo le faceva saltare i nervi. «Lo sai che l'altro pomeriggio, mentre andavo alla biblioteca comunale, mi è sbucato davanti praticamente dal nulla?»

Gli occhi di Lara divennero grandi come due piattini e la ragazza tirò un pugno al braccio di Agathe.

«E tu non mi dici niente?» esclamò risentita, insensibile ai lamenti di dolore dell'altra.

«Me n'ero dimenticata!». Agathe le lanciò uno sguardo offeso. «E c'era davvero bisogno di picchiarmi?»

Per tutta risposta, Lara le tirò un secondo pugno.

«Va bene, va bene, ho capito» brontolò Agathe. «Comunque ha fatto come fa sempre: mi si è appiccicato come un cerotto e ha ripetuto senza sosta che tanto lo sa che gli sbavo dietro e che dovrei smetterla di fare la preziosa perché nella vita non mi capiterà mai un altro tombeur de femmes come lui!»

«Ha davvero detto così?» disse Lara, incredula.

«Ovviamente no» rispose Agathe, scuotendo la testa con aria rassegnata. «Lui è stato molto più esplicito, per non dire volgare. Io ho tradotto le sue parole in un'espressione un po' più elegante!»

«Ma come fa a essere ancora convinto di piacerti?» aggiunse Lara dopo un po'. «Voglio dire, dopo quello che è successo l'ultima volta, per quanto voglia illudersi, dovrebbe aver capito che non sopporti neanche di averlo di fronte!»

«Che vuoi che ti dica? Si vede che non è stato abbastanza» rispose fosca l'altra.

«Oh, be'. Magari la prossima volta gli spediamo contro Thomas... quando vuole sa davvero fare paura. Contro quello stronzo di Marcus è stato fantastico...» disse Lara con espressione sognante.

Agathe le lanciò un'occhiata di sbieco. «E meno male che Tom non ti piace!»

«Oh, sta' zitta!» rispose l'altra.

«E allora studia, una buona volta» concluse Agathe: afferrò la testa di Lara e la spinse sul libro, mettendo così fine alla conversazione.

******

Richard mise via l'ennesima cartellina, si sfilò gli occhiali dal naso e allungò le braccia verso l'alto, stiracchiandosi. Si massaggiò il collo, guardò con aria sconsolata la pila di carte che ancora aspettavano di essere esaminate e decise che era un'impresa disperata.

Alzò gli occhi e gettò un'occhiata distratta alla villa di fronte alla sua. Erano passate due settimane da quando aveva inseguito Agathe sotto la pioggia e l'aveva portata a casa propria, e da quel giorno non si erano più parlati. Per colpa sua, perlopiù: il lavoro si era accumulato e si era ritrovato sepolto tra mucchi di scartoffie pericolosamente alti, bloccato a quella scrivania che stava iniziando a odiare.

Anche se non lo avrebbe ammesso con nessuno, Richard era stato lieto di avere quell'enorme mole di lavoro da sbrigare: gli aveva fornito la scusa perfetta per non uscire, ma soprattutto per non cercare né pensare – almeno non troppo – ad Agathe. Una parte di lui, quel venerdì di due settimane prima, aveva pensato che sarebbe stato interessante portare la ragazza nel proprio territorio, in un ambiente sconosciuto, e metterla così in soggezione. Quando però Agathe non solo era stata in grado di rilassarsi come se fosse stata a casa propria, ma anche di analizzare Richard stesso con tanta perizia – nei limiti in cui le scarse informazioni che aveva glielo permettevano – l'uomo aveva avuto la netta sensazione che la sua idea sottilmente perfida gli si fosse rivoltata contro: si era sentito a disagio nella sua stessa casa, il luogo in cui era nato e cresciuto, e si era visto sbattere in faccia i propri pregi e difetti senza troppe cerimonie da una Agathe inaspettatamente acuta e tagliente. Adesso, quindi, era molto più cauto nel tentare un approccio con quella giovane donna che, oltre a incuriosirlo sempre più, lo intimoriva un po' con la sua capacità di osservazione.

La porta della biblioteca che si apriva lo fece sobbalzare.

«Non c'è bisogno di fare così, sono solo io» disse Damon.

Richard socchiuse gli occhi e riprese fiato dopo lo spavento.

«Che ci fai qui? E si può sapere come sei entrato?» chiese secco.

«Sono due settimane che non ti si vede in giro: volevo accertarmi che non fossi morto sommerso da una pila di libri» rispose leggero Damon.

«Molto divertente» brontolò il suo amico.

«Riguardo a come sono entrato, hai dimenticato che dodici anni fa, quando hai trascorso sei mesi in Italia, mi hai lasciato un mazzo di chiavi per controllare casa tua?» aggiunse Damon.

«Ma quando sono tornato me le hai restituite...». La voce confusa di Richard sfumò mentre assumeva un'aria sospettosa. «Ne hai fatto una copia?»

L'occhiata che Damon gli rivolse era compassionevole. «Non dirmi che non te l'aspettavi!»

Il padrone di casa brontolò il proprio disappunto per parecchi minuti, durante i quali Damon si accomodò su una poltrona e lo sbirciò sorridendo.

«Lo sai che non cambi mai?» disse dopo un po'.

«Neanche tu» rispose Richard. «Sei sempre il solito impiccione. Si può sapere a che ti serve, avere una copia delle chiavi di casa mia?». Damon aprì la bocca, ma lui sollevò una mano per bloccarlo. «Sì, lo so già, per... com'era? Ah sì, controllare che io non muoia sommerso da una pila di libri» sbuffò.

Damon divenne rosa per l'indignazione. «Io sarei l'impiccione? Devo ricordarti che sei stato tu quello che mi ha rapito di sabato mattina per chiedermi informazioni sulla figlia di Evan?»

«Dettagli trascurabili» borbottò Richard.

«Ti piacerebbe» ribatté Damon.

I due rimasero in silenzio per parecchi minuti, per nulla toccati dal piccolo battibecco appena concluso – per loro era un'abitudine, punzecchiarsi a vicenda – quando Richard non resistette più.

«Visto che hai aperto l'argomento...» esordì.

«Quale argomento?» domandò l'altro, confuso.

«Quello della figlia di Evan Williams» precisò Richard.

Damon alzò le braccia al cielo. «Non ho aperto nessun argomento, l'ho solo citata nel ricordarti una tua azione!» chiarì. «E poi, si può sapere che problema hai con quella ragazza?»

«Mi chiedevo da chi ha preso» rispose Richard, scrollando le spalle. «Lo sai che suo padre vuole accaparrarsi la mia casa editrice come cliente?»

«Prevedibile» rispose l'altro uomo. «Evan ha sempre avuto l'incredibile capacità di fiutare non solo i soldi già esistenti, ma anche quelli che ancora non ci sono. Ma che c'entra questo con Agathe?»

«C'entra che quella ragazza non ha niente dei genitori» disse Richard. Un pensiero lo fulminò. «Non sarà stata adottata!»

«Ma che sciocchezze dici!» esclamò Damon. «Quanto al carattere non ti so dire, ma fisicamente credo somigli alla nonna paterna di Evan, Penelope: una volta ho visto una sua foto di quando era molto giovane e sono quasi identiche. Tra l'altro credo che sia ancora viva. Penelope, intendo. Dovrebbe avere novant'anni, ma l'ho vista un paio di anni fa ed è una vecchietta decisamente arzilla».

«E dov'è ora, questa arzilla novantenne?»

«Si è trasferita in Spagna con la sua colf: dice che in Inghilterra ormai c'è troppa brezza francese, per i suoi gusti».

Richard nascose un sorriso. «Devo dedurne che Gisèle non le è simpatica?»

«Non può neanche vederla» confermò Damon. «Al matrimonio di Evan si vestì di nero!»

L'altro non riuscì a trattenersi: scoppiò in una risata assordante, subito seguito dall'amico.

«Di sicuro lo spirito caustico la signorina l'ha preso dalla sua bisnonna. Almeno quello!»

Damon sorrise ancora, stavolta con aria scaltra. «Stai sviluppando una predilezione per le donne della famiglia Williams?»

«Solo una curiosità, e unicamente per le donne interessanti della famiglia Williams» rispose Richard con dignità.

Il suo migliore amico sbuffò. «Solo una curiosità?» ripeté, scettico. «Ne abbiamo già parlato, Richard: quando si tratta di te non è mai solo una curiosità. Più un disastro annunciato, semmai».

«Fingerò di non aver sentito la tua valutazione del tutto arbitraria e assolutamente errata della mia propensione a voler conoscere ogni cosa nel dettaglio» replicò l'altro. «Piuttosto, Agathe Williams...»

«Agathe, Agathe, Agathe! Sta veramente diventando un'ossessione, la tua, e io inizio ad avere paura!» sbottò Damon. Il padrone di casa gli scoccò uno sguardo affilato che non lo toccò affatto. «Richard, Agathe è una comune diciassettenne: non ha niente di strano, quindi puoi smettere di analizzarla come se fosse una cavia di laboratorio».

Richard alzò le braccia al cielo. «Senti, Damon, io non ci riesco» ammise, frustrato. «Una volta è sarcastica in modo feroce, una volta remissiva e rassegnata; un'altra volta esplode come una bomba e poi, in un secondo o quasi, si rabbonisce e diventa docile e tenera come un gattino. Non ho mai visto nessuno così... così... diviso in due!»

L'altro uomo sbuffò. «È un'adolescente, Rick: è normale che abbia sbalzi d'umore. E comunque, è fatta com'è fatta: c'è poco da rimuginarci sopra». Gli rivolse un'occhiata eloquente. «Non tutti riescono a tenersi stretti una maschera di ghiaccio come fai tu».

Richard gli puntò contro un dito. «Vorresti dirmi che tutti gli adolescenti sono come lei?»

«Be'... no» ammise Damon. «Ma tu mi sembri comunque sulla buona strada verso la monomania da Agathe Williams: di questo passo, finirai addirittura per farla entrare in casa tua, quella ragazza» aggiunse, ridacchiando tra sé come se avesse detto qualcosa di esilarante: magari perché Richard era sempre stato ferocemente geloso dei suoi spazi privati, ed erano pochissime le persone che potevano vantare il privilegio di poter entrare – o di essere stati – in quella casa.

«L'ho già fatto» rispose l'altro, distratto, intento a sbirciare fuori dalla finestra.

Damon rimase senza fiato. «Che cosa?»

Richard si riscosse al tono sconvolto dell'amico. «È stato due settimane fa, durante quella specie di uragano...»

«Fammi capire» lo interruppe Damon. «Tu hai fatto entrare in casa tua una persona che conosci appena?». L'uomo era giustamente sbigottito. «Hai fatto aspettare Valentine otto mesi prima di permetterle di varcare il cancello di casa tua. Otto mesi. Ed eri pazzo di quella donna!»

Richard allargò le braccia. «Valentine non era una diciassettenne con una madre assolutamente folle e pronta a cacciarla di casa durante un nubifragio!» si discolpò. «Era zuppa come un pulcino e non sapeva dove andare. Che avrei dovuto fare? Lasciare che prendesse una polmonite?»

«E tu come lo sapevi che Agathe era sotto la pioggia?» lo pressò Damon.

«L'ho vista uscire di casa durante il temporale» rispose l'amico con una scrollata di spalle.

«Per puro caso, vero?» disse sarcastico Damon. Quando Richard non rispose, il suo migliore amico scosse la testa. «Quindi l'hai vista, seguita, e te la sei portata a casa neanche fosse stata un randagio...». Scosse di nuovo la testa, come se questo potesse dare un senso a quello che il suo migliore amico gli aveva detto negli ultimi dieci minuti. «Perché ho l'impressione che tu stia per cacciarti in un guaio enorme, Rick?»

«Perché sei sempre stato dannatamente pessimista, Damon».

«Sarà. Però ho avuto ragione ogni volta!»

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