Sixty Third Shade [R]
Evan fermò l'auto con un forte stridio di gomme sotto casa Prescott neanche dieci minuti dopo aver chiamato Damon. Ancora vestito di tutto punto – eccezion fatta per il papillon, slacciato insieme ai primi due bottoni della camicia – l'avvocato andò al cancello a passo di marcia e incollò il dito al pulsante del campanello con una ferocia priva di qualsiasi traccia di urbanità. Cinque secondi più tardi andò a lunghe falcate verso la porta d'ingresso, dove un Richard Prescott vestito in modo impeccabile lo accolse con aria di vaga sorpresa.
«Quanta eleganza, Evan» disse in tono strascicato.
«Non fare lo spiritoso con me, Prescott» lo ammonì l'altro, ringhiante.
Il padrone di casa non batté ciglio. «A cosa devo il piacere?»
«Lo sai benissimo!» scattò Evan. «Dov'è mia figlia?»
Richard inarcò un sopracciglio. «Come hai appena detto, è tua figlia. Per quale motivo io dovrei essere a conoscenza degli spostamenti della tua secondogenita?»
«Mia figlia non è casa» sibilò Evan, «né dagli Zimmermann, e non può essere andata lontano, visto che il GPS della sua auto dice che si trova ancora nel garage di casa mia. Sappiamo entrambi che non può essere che qui, e voglio sapere che ci fa a casa tua a quest'ora!».
Richard arricciò le labbra e si massaggiò il mento con due dita, apparentemente colpito. «Le tue doti investigative sono davvero notevoli, Evan. Penso quasi che tu sia sprecato come avvocato: perché non cambi mestiere? In Polizia faresti una carriera sfolgorante e Scotland Yard tornerebbe ai suoi antichi fasti con un uomo come te tra le proprie fila...»
«Ora BASTA!» tuonò Evan, inferocito, sferrando un pugno al muro prima di agitarlo con fare minaccioso verso Richard. «Il prossimo ti arriverà sulla testa, se non ti sbrighi a dirmi dov'è mia figlia!»
Dando prova di un ammirabile sangue freddo, Richard gli voltò le spalle. «Prego, Evan, entra pure».
Evan, convinto che l'altro lo stesse portando da Agathe, lo seguì sbuffando e mugghiando come un toro davanti a un drappo rosso, trattenendosi a stento dal prenderlo davvero a pugni. E quando il padrone di casa lo guidò dentro la biblioteca per poi lasciarsi cadere con noncuranza in una delle poltrone davanti al camino acceso, il padre di Agathe rimase immobile per parecchi secondi, guardandosi intorno con espressione confusa.
«Accomodati e fa' come se fossi a casa tua» lo invitò Richard. «Fa ancora freddo e il resto della casa non è caldo come questa stanza». Indicò con un gesto vago la scrivania, dove alte pile di fogli e libri lo aspettavano. «Purtroppo posso concederti solo qualche minuto: come vedi, sono sommerso di lavoro».
L'altro uomo assottigliò lo sguardo. «Voglio vedere la camera da letto» sibilò.
«Devo ammettere che mai nessun uomo me l'ha chiesto» disse ironico Richard, alzandosi. «Ma visto che ci tieni tanto e che io sono molto impegnato, sarà meglio chiarire questo equivoco il prima possibile».
Con passi tranquilli, rilassati, Richard condusse Evan al secondo piano e dentro una stanza buia. L'interruttore scattò, rivelando la camera padronale in perfetto ordine, il letto rifatto e la trapunta senza una piega.
«Vuoi controllare dentro l'armadio e in tutte le stanze della casa, o questo è sufficiente?» chiese Richard in tono di scherno.
Evan sembrò afflosciarsi. «Io... non so proprio cosa mi sia preso» mormorò: ora che la rabbia e il sospetto erano svaniti come nebbia al sole, a riempirlo era soltanto la vergogna per aver agito come un pazzo, muovendo accuse infondate. «Ma se mia figlia non è qui» proseguì, di nuovo animato, «allora dove diavolo è?».
«Mi è parso di capire che sia amica di Miss Zimmermann: le ho viste andare a scuola insieme più d'una volta» replicò l'altro con studiata indifferenza.
«Non è lì» rispose irritato Evan. «Damon ha detto...»
«Non è con lui che dovresti parlare» lo interruppe Richard, col tono di chi dica un'ovvietà. «Le adolescenti si confidano tra di loro, certo non con gli adulti».
Gli occhi di Evan si spalancarono. «Giusto. Giusto! È con Lara che devo parlare!». Strinse frettolosamente la mano del padrone di casa. «Scusa tanto, Richard, davvero. Buona serata!»
E si scaraventò giù per le scale.
Richard si appostò dietro le tende, e quando vide l'avvocato uscire dal giardino di casa sua e chiudersi il cancello alle spalle, si afflosciò contro il muro, lasciando andare un lungo sospiro di sollievo mentre gli tornavano alla mente le parole di suo padre.
«Di tutte le diciassettenni di cui potevi invaghirti, hai scelto proprio quella con il padre avvocato e grosso e feroce come un orso? Non sei stato molto furbo».
No, decisamente non era stato furbo: se n'era reso conto poco prima, quando Evan era stato a un passo dallo staccargli la testa. Per fortuna era riuscito a sviare i suoi sospetti: se ci fosse stato anche solo un minimo indizio del fatto che Agathe era davvero stata lì fino a pochi minuti prima, l'avvocato sarebbe stato capace di farlo a pezzi a mani nude anche senza sapere cosa avessero fatto. O meglio, quasi fatto, pensò Richard con stizza: non riusciva a credere alla loro sfortuna. Perché Evan Williams doveva diventare così sospettoso proprio quella sera?
Sbuffando desolato, Richard tornò in biblioteca: tanto valeva lavorare, anche se sapeva già che non avrebbe combinato granché.
******
Evan risalì in macchina e, di nuovo come una furia, passò all'altra metà dell'otto: due minuti più tardi, Damon gli aprì la porta e lanciò un'esclamazione di stupore.
«Evan! Ti credevo a Londra!» mentì spudoratamente.
Senza neanche rispondere, Evan lo scostò dalla porta e imboccò le scale. Damon, irritato da tanta scortesia – va bene conoscersi da tutta la vita ed essere padri di due sorelle separate soltanto per volere divino, ma così era veramente troppo! – lo seguì con espressione furibonda.
Arrivato alla porta della camera di Lara – conosceva bene quella casa, come Damon conosceva fino all'ultima stanza la sua – Evan bussò, per poi entrare senza quasi aspettare di averne il permesso e restare inchiodato appena un passo oltre la soglia.
«Lara! Dannazione, mi fai male!» pianse Agathe, bagnata fino al midollo e avvolta nell'accappatoio, mentre Lara le spazzolava i capelli zuppi con vigore eccessivo. «Così mi strapperai i capelli, e sono troppo giovane per restare calva!»
«Non è colpa mia se hai in testa un groviglio inestricabile!» replicò l'altra.
«Ma è colpa tua non avere la pazienza e la delicatezza necessarie a manovrare un pettine!» ribatté la sua migliore amica.
Evan, senza parole, balbettò qualcosa d'incomprensibile, e le due ragazze si voltarono.
«Papà! Che ci fai qui?» chiese Agathe, alzandosi. «Non avevi la cena a Londra?»
«Io... io...» farfugliò suo padre. Si voltò verso Damon, che lo fissava con aria arcigna. «Lei... avevi detto...»
«Se quando mi hai telefonato mi avessi lasciato parlare» disse sarcastico Damon, «avrei potuto dirti che no, Agathe non è qui ma sotto la doccia, quindi non te la posso passare in questo momento. Ti faccio richiamare appena ne esce» sputò, fingendosi profondamente irritato.
«Oh» esalò Evan. «Io credevo... fa niente». Si guardò intorno, mortificato, e indicò la porta. «Devo... devo tornare a Londra. Damon, Lara... buona... buonanotte. Ura, noi... ci vediamo domani a casa. Arrivederci» balbettò con voce flebile.
Damon lo riaccompagnò alla porta e si assicurò che fosse diretto davvero verso la strada per Londra prima di tornare in camera di sua figlia: Agathe, vestita e con i capelli bagnati arrotolati in cima alla testa, lo aspettava seduta sul letto con espressione colpevole mentre Lara cercava di rincuorarla.
Il padrone di casa afferrò la sedia della scrivania e sedette di fronte al letto, rivolgendo uno sguardo severo a sua nipote. Il silenzio si protrasse tanto a lungo che alla fine la ragazza non lo sopportò più.
«Io... io... mi dispiace, zio» bisbigliò, sull'orlo delle lacrime. «Non volevo...»
«...creare problemi quando era così facile evitarlo?» abbaiò Damon. «Lo spero bene!». Agathe incassò la testa tra le spalle e lui sbuffò. «Spiegami quando sei diventata così stupida, per favore, perché temo d'aver perso quel passaggio» disse pungente.
«Non lo so» rispose lei; tirò su col naso e abbassò lo sguardo, mortificata quanto lo era stato Evan poco prima. Lara lanciò a suo padre un'occhiataccia, a cui lui rispose prontamente con la stessa aria arcigna che aveva rifilato a Evan.
«A proposito» intervenne Lara, dimenticando di essere irritata con suo padre, «come sapevi dov'era Will?».
Damon le rivolse un'espressione indignata. «Vi sembro davvero così stupido?»
Agathe rialzò lo sguardo, incredula, e lo spostò da Lara a Damon e viceversa. «Quindi non sei stata tu a dirgli...» balbettò.
«No» confermò Lara. «Ha fatto tutto lui, io non sapevo nemmeno che tuo padre stesse tornando a Hersham». Tornò a guardare il proprio padre. «Allora?»
L'uomo incrociò le braccia. «Ho iniziato a sospettare qualcosa dopo la cena a Londra, quella a cui siete andate con Vivienne» esordì. «Il giorno seguente, Rick mi ha praticamente preso in ostaggio per chiedermi di te, Will, e poco tempo più tardi, quando ha continuato a farmi domande, a chiedermi a chi assomigliassi, da chi avessi preso, ma soprattutto quando mi ha detto di averti portata in casa sua, ho capito che era attratto da te molto più di quanto fosse disposto ad ammettere: sai, è geloso in modo quasi maniacale dei suoi spazi, e sono poche le persone che possono vantarsi di essere entrati a villa Prescott, da quando ci abita da solo». Si mise a ridere. «Credo anche di doverti ringraziare, Will: è stato solo grazie a te se dopo vent'anni Richard ha ricominciato a partecipare alle mie feste in maschera!»
«E io che c'entro?» chiese lei, perplessa.
«Oh, la sera di Halloween ti ha cercata per tutto il tempo. Ha capito chi eri soltanto dopo un paio di imbeccate di Penelope!» sghignazzò Damon prima di tornare serio. «Io, invece, ho avuto la certezza che non potesse più fare a meno di te la sera in cui abbiamo buttato quella vacca di Valentine fuori da casa sua». Notò il volto di Agathe, che si era fatto paonazzo alla sola menzione dell'altra donna, e sorrise. «Credevo che avrei dovuto fare tutto io: Rick era terrorizzato da lei, gli si era infilata nel letto completamente nuda, la sera in cui sei corsa sconvolta a casa mia dopo aver litigato con tua madre, e lui ha cercato rifugio nello stesso posto. L'ho portato indietro: lui e Valentine hanno discusso, e quando lei ha fatto un commento casuale su di te...». L'uomo aggrottò la fronte. «Se ricordo bene, ti ha definita "insulsa ragazzina"... be', in ogni caso è stata a dir poco sprezzante, e Richard è scattato come una molla: l'ha presa per un braccio e ha minacciato di buttarla fuori di casa nuda com'era, se non se ne fosse andata da sola entro cinque minuti». Damon rise di nuovo, forte. «Credo di non averlo mai visto comportarsi in modo tanto rude con una donna come quella sera!»
«Quindi voi siete amici» disse sorpresa Agathe.
«Migliori amici, da quando eravamo bambini». Damon sorrise dell'espressione sconcertata delle due ragazze. «Io e Rick siamo un po' come voi due: praticamente fratelli, e quando ci siamo iscritti al college, Alan si è unito a noi. Sapeste quante ne abbiamo combinate!»
Tutti e tre risero, poi Agathe abbozzò un sorrisetto. «Adesso capisco tante cose che prima non mi spiegavo. Lo sapevi. Quella sera, al ristorante, quando siamo arrivati e abbiamo scoperto che ti eri portato dietro anche Richard... lo sapevi già. L'hai fatto apposta».
Damon annuì e Lara lo guardò, sbalordita. «Quello zuccone non stava facendo niente per rimediare: gli serviva una spintarella...»
La ragazza rise. «Se non fossero passati mesi, ti ammazzerei» confessò. «Ero così furiosa quella sera, quando l'ho visto... e poi quando mi ha incastrata costringendomi ad andare a casa sua tutti i giorni... anche se credo di dover ringraziare Penny, per quello scherzetto» aggiunse contrariata.
L'uomo annuì. «La tua bisnonna è implacabile, e a tratti pericolosa... a volte penso che starebbe bene con Alan. Magari è un suo nipote illegittimo e nessuno lo sa...» disse meditabondo.
Agathe si abbracciò le ginocchia. «E adesso che succede?» chiese, un po' in ansia.
«Niente, spero» rispose Damon. «Finalmente tu e quell'altro testone vi siete riappacificati, una volta per tutte, mi auguro: e se tutto va bene, non ci saranno più crisi come quelle degli scorsi mesi».
«No, spero proprio di no» gli fece eco lei. «Ne ho avute abbastanza per una vita intera!»
«Ho soltanto una richiesta, Will» aggiunse serio Damon. «La prossima volta che decidi di andare da Richard in piena notte, per favore, faccelo sapere, così non dovremo rischiare di nuovo il linciaggio a opera di tuo padre. È così grosso che quando s'arrabbia fa paura!»
Lei assunse un'aria preoccupata. «Credi che Richard sia ancora vivo?»
«Per niente» rispose all'istante suo zio. «Sarà meglio andare a controllare. Vuoi che gli dica qualcosa?»
Agathe esitò e Lara alzò gli occhi al cielo prima di rispondere al posto suo. «Meglio di no, papà. Credimi, è meglio di no!»
Damon uscì dalla stanza scuotendo la testa mentre le due ragazze si punzecchiavano e ridevano: sperava vivamente che il suo migliore amico non fosse stato fatto a pezzi dal temibile Evan Williams.
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