Seventy Ninth Shade [R]
Pur avendo dissuaso Leah dall'intento di picchiare Richard, Damon non era pronto a fare altrettanto. Conscio del fatto che il suo migliore amico doveva essere all'erta contro di lui, decise di ricorrere alle tecniche di caccia che gli aveva insegnato un suo prozio tedesco e che s'era sempre rifiutato di usare, almeno contro gli animali: batti l'erba, aspetta che l'uccellino spicchi il volto e poi spara.
Era chiaro che non sarebbe mai riuscito a cogliere Richard di sorpresa, né a convincerlo a sostenere un confronto faccia a faccia. Quindi Damon optò per una strategia più simile a quelle dello storico che non alle proprie: raggirarlo con una piccola bugia ben studiata.
Damon afferrò il cellulare, prese un respiro profondo e avviò la chiamata.
Richard rispose al quinto squillo.
«Sono occupato» disse brusco lo storico, ben deciso a non lasciare all'altro il tempo di dire una parola.
Ma Damon era altrettanto deciso a non farsi sfuggire la preda.
«Rick! Per fortuna hai risposto!» esordì in tono concitato prima che l'altro potesse chiudere la chiamata.
Questo bastò a catturare, almeno in parte, l'attenzione di Richard.
«Che c'è? Cos'è successo?» chiese all'istante: Damon poteva percepire la tensione nella sua voce.
E cominciò a pregustare il brutto quarto d'ora che stava per fargli vivere con poche frasi scelte con cura.
«Rick, senti, si tratta di Agathe...». Il dottore fece una pausa, godendosi il momento. «È isterica, non riesco a calmarla e vista la situazione, credo che tu sia l'unico in grado di riuscirci...»
«Che situazione? Cos'ha?» replicò all'istante Richard, ormai palesemente preoccupato. Quando l'altro non rispose, sbottò: «Vuoi dirmi chiaramente che diavolo succede?»
Damon soffocò un sorriso. «Credo che sia incinta» disse in tono grave.
Dall'altra parte calò il silenzio. Dopo un minuto buono, Richard si schiarì la voce.
«Cosa... come... in che senso, incinta?» farfugliò.
«Incinta, Richard» rispose secco Damon. «Anche se non hai figli, sono certo che tu sappia come si fanno i bambini».
«Non è possibile! Ho preso precauzioni!» protestò l'altro, agitatissimo.
«Gli incidenti capitano» tagliò corto Damon: aveva una gran voglia di ridere e dovette fare uno sforzo per trattenersi ed evitare di mandare tutto all'aria. «Adesso calmati: non sei tu l'adolescente, ma Agathe. Devi essere tranquillo per entrambi».
«Io...» balbettò ancora Richard. «Passamela, voglio parlarle».
«PASSARTELA?» ruggì Damon, fingendosi scandalizzato. «Non ha bisogno di una chiacchierata per telefono! Ha bisogno che tu sia al suo fianco in questo momento così delicato e incerto! Muoviti e vieni qui!»
«Ma... ma... va bene, sì, arrivo!» cedette Richard, chiudendo la chiamata senza neanche dare il tempo all'amico di aggiungere altro.
Damon mollò il telefono e scoppiò a ridere, esilarato e molto fiero di sé: non solo Richard non aveva sospettato neanche per un istante che la sua fosse una menzogna, ma si era anche preso un gran bello spavento.
Venti minuti più tardi, lo storico bussò alla porta di casa Zimmermann.
«Dov'è?» ansimò trafelato, spingendo da parte il suo migliore amico ed entrando.
Il padrone di casa richiuse la porta e per buona misura diede due giri di chiave.
«A casa propria» annunciò soave.
«Non avevi detto che era sconvolta?» insisté l'altro, guardandosi intorno come se Agathe potesse essere nascosta sotto il tappeto.
Damon scrollò le spalle con noncuranza. «Una piccola bugia» ammise.
Richard s'irrigidì all'istante, colto da un sospetto improvviso, e si voltò lentamente verso di lui.
«E non è che magari anche tutto il resto è una piccola bugia?» chiese a denti stretti.
«Può darsi». Sul volto di Damon si dipinse un ghigno divertito. «Certo che ti sei proprio spaventato a morte. Eri uno spasso!»
Il volto dell'altro divenne rosso per l'indignazione. «Io... io... io...»
«Cosa? Vuoi farmi sentire in colpa balbettando per il resto dei tuoi giorni? Mi sa che non funzionerà, tonto». Damon represse il desiderio di ridere dritto in faccia al suo migliore amico e, anche se una parte di lui gli sussurrava che lo spavento che gli aveva procurato poteva essere considerato una punizione sufficiente, la voce della rabbia reclamava a gran voce ulteriori provvedimenti. Allungò con discrezione una mano in direzione del portaombrelli, sempre tenendo d'occhio l'altro.
Richard, ignaro del pericolo che stava per abbattersi su di lui, fissò l'amico con un cipiglio fosco. Non ebbe però il tempo di dire nulla: con un gesto rapidissimo Damon tirò fuori dal portaombrelli Vivi, la sua fidata mazza da baseball, mirando alle sue gambe.
Lo storico balzò indietro con agilità insospettabile, mentre l'altro avanzava menando colpi all'aria intorno al suo corpo.
«Ma sei impazzito?» urlò Richard. Damon lo ignorò: il mulinare di Vivi costrinse il primo a saltellare per tutto l'ingresso nel disperato tentativo di evitare l'oggetto. «DAMON!» ruggì, furioso e terrorizzato.
Così come aveva cominciato, il padrone di casa si fermò. «Oh, direi che può bastare» commentò leggero. «Hai imparato la lezione, sì?»
«In un modo o nell'altro, devo far sparire Vivi: è quasi più spaventosa dell'originale» mugugnò contrariato Richard.
L'altro sghignazzò ricordando il giorno in cui, in preda alla rabbia, aveva rotto una credenza con quella stessa mazza da baseball e Richard aveva dato all'oggetto il nome Vivi in onore alla sua ex moglie, commentando che quella mazza riusciva a distruggere ogni cosa che toccava al pari di Vivienne.
Richard, ancora ansimante, lo guardò storto. «Davvero Agathe non è incinta?»
«Davvero davvero» sogghignò il suo migliore amico.
«Ti pare uno scherzo divertente?» ringhiò Richard. «Mi è quasi venuto un infarto!»
Damon non smise di sogghignare. «L'ho notato». Divenne serio. «E far credere a Leah che io mi fossi trovato una fidanzata, sapendo perfettamente che sarebbe venuta a chiedermene conto, ti pare uno scherzo divertente?»
L'altro sbuffò, cogliendo finalmente il nocciolo della questione.
«Mi sembra un po' sproporzionata, come controffensiva» commentò; di nuovo rilassato, sebbene irritatissimo con l'amico, lo storico andò in salotto e si buttò di peso in una poltrona. «Riesci a immaginare che diavolo mi avrebbe fatto Evan, se davvero Agathe fosse stata incinta di mio figlio?»
Il suo migliore amico inarcò le sopracciglia e gli rivolse un sorriso beffardo.
«E cos'avrebbe dovuto farti? In fondo Evan ha messo incinta Gisèle quando lei aveva l'età di Agathe: chi meglio di lui avrebbe potuto capirti?»
«Sai bene che non sarebbe andata affatto così» replicò Richard. «Con ogni probabilità, mio figlio sarebbe rimasto orfano ancor prima di nascere».
«Non temere, Rick: in quel caso, tutti gli avremmo parlato di te e delle tue altissime qualità» lo prese in giro Damon.
«Spiritoso» grugnì l'altro.
I due si scrutarono in silenzio per un po'.
«Perché l'hai fatto?» gli chiese infine Damon, senza più traccia di rancore nella voce.
Richard non ebbe bisogno di chiedergli a cosa si riferisse.
«Perché da soli non ammetterete mai quello che provate» rispose. «Da come hai reagito, ne deduco che Alan non ha avuto fortuna, con te».
«E non ce l'avrà mai» sbuffò Damon. «Dovreste smetterla con questa idea bislacca di far finire me e Leah insieme».
«A quanto pare, neanche l'età riesce a renderti meno testardo» osservò Richard. «Mi spieghi per quale motivo sei così contrario all'idea di stare con Leah?»
«Perché non funzionerebbe» bofonchiò l'altro.
Richard lo fissò con educata perplessità. «E perché mai non dovrebbe funzionare?»
«Lo sai il perché e non guardarmi con quella faccia» ribatté Damon. «Basta analizzare la situazione, per capire che sarebbe un disastro anche solo tentare!»
«Da quand'è che ti affidi tanto alla razionalità?» gli chiese lo storico.
«Da quand'è che tu la ignori così spudoratamente?» gli ritorse contro l'amico.
Richard alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «Non sei tu quello che mi ripete da anni – e ancora di più da quando ho conosciuto Agathe – che è tempo che io diventi meno razionale e lasci più spazio alle emozioni?»
«Certo che te lo dico» convenne Damon. «Tu hai tutto da guadagnarci, ad assumerti dei rischi pur di stare con Will; io, invece, ho tutto da perdere nel tentare un approccio con Leah».
«Ancora con questa storia che la vostra amicizia ne uscirebbe distrutta?» Richard sbuffò forte dal naso. «Ma fammi il favore. Nella peggiore delle ipotesi, Leah penserebbe soltanto a uno scherzo e non ti prenderebbe sul serio. Ma rinunciare a te, mai».
«E come fai a esserne così sicuro?» lo provocò Damon, tutto sarcasmo.
«Perché so che, a ruoli invertiti, neanche tu allontaneresti Leah». Richard fissò l'amico, sfidandolo con gli occhi a smentire le sue parole. «Anche se non volete ammetterlo neanche a voi stessi, siete troppo innamorati l'uno dell'altra per rinunciare al vostro legame».
Il padrone di casa alzò le braccia al cielo e prese un gran respiro, pronto a replicare; dopo qualche momento, però, cambiò idea e si limitò a lasciar andare una via di mezzo tra un lungo sospiro e uno sbuffo d'esasperazione.
«Basta, Rick, ti prego» esalò, sinceramente esausto. «Non ne posso più di sentirvi battere e ribattere sullo stesso punto, ormai non fate altro e davvero, sono stanco. Non potreste... lasciarmi in pace e limitarvi a sperare in silenzio che le cose prendano la piega che volete voi, senza darmi il tormento? Perché comincio a desiderare di non vedere più né te né Alan, il che è tutto dire».
Richard strinse le labbra, per nulla soddisfatto: la parte di lui che voleva vedere Damon felice lo esortava a ignorare le sue parole e insistere, ma con la razionalità che gli era tanto cara, lo storico dovette riconoscere che non solo sarebbe stato ingiusto infischiarsene della richiesta dell'amico, ma soprattutto che Damon aveva avuto fin troppa pazienza, con lui e con Alan.
«D'accordo» cedette. «Non tirerò più fuori l'argomento, e mi impegno anche per conto di Alan».
Damon, che non si aspettava davvero che l'altro lo assecondasse, ne fu talmente sollevato che per un attimo si sentì le ginocchia deboli.
«Grazie, Rick, grazie» sospirò, ancora incredulo. «E mi perdoni anche per averti attirato qui con l'inganno?»
L'altro finse di pensarci su. «Solo se tu mi perdoni per aver mentito a Leah sulla tua vita sentimentale».
«Sì, credo di poterlo fare». Sul volto del padrone di casa si dipinse un sorriso diabolico. «Ma tu azzardati a rifarlo, e io convincerò Elizabeth King che hai comprato un anello di fidanzamento per lei».
Richard inorridì al solo pensiero.
******
In attesa di discutere con Richard del nuovo piano con cui convincere Damon e Leah a stare insieme, e ignaro che l'amico s'era impegnato a non intraprendere più azioni in tal senso, Alan aveva scelto di consultarsi con un paio di persone fidate.
Moses e Agathe arrivarono a casa del giornalista insieme, dopo essersi praticamente scontrati davanti al cancello: non avevano idea del motivo che aveva spinto Alan a chiamarli con tanta urgenza ed erano anche un po' preoccupati.
Preoccupazione che svanì non appena videro l'espressione cospiratrice dell'uomo.
«Alan, che hai in mente?» chiese cauto Moses. Agathe non provò neanche a investigare: aveva la sensazione che avrebbero comunque scoperto presto la risposta a quella domanda, e soprattutto che non gli sarebbe piaciuta affatto. La ragazza si limitò dunque a sprofondare nella poltrona più vicina, preparandosi al peggio.
Alan fissò entrambi con lo sguardo maniacale di un generale in guerra.
«Dobbiamo trovare un modo per far sì che Damon e Leah ammettano di essere innamorati l'uno dell'altra» annunciò.
Moses sbuffò contrariato; Agathe invece, che si era coperta gli occhi con la mano paventando quelle parole, scattò in piedi.
«Eh no, Alan, ora basta» esordì irritata. «Io sono la prima a voler vedere felice lo zio Damon, e riconosco che tu e Richard avevate ragione a sostenere che la zia Leah fosse adatta a lui, ma credo che stiate esagerando. È ora che li lasciate in pace, tutti e due!»
«Come facciamo a lasciarli in pace proprio adesso?» obiettò il giornalista. «Se insistiamo un altro po', riusciremo ad avere ragione della loro ostinazione...»
«Se insistete un altro po', loro non vorranno più vedervi» ribatté Agathe. I suoi occhi lampeggiarono pericolosamente. «E io picchierò te e il tuo compare».
Alan incrociò le braccia la petto, infastidito, in parte perché si aspettava di trovare in Agathe un'alleata e in parte perché temeva davvero le ritorsioni fisiche di cui l'aveva appena minacciato: nessuno meglio di lui sapeva di cosa quella ragazza fosse capace.
«E tu?» chiese risentito a Moses. «Tu con chi stai?»
Moses aggrottò le sopracciglia. «Con Agathe» chiarì con voce limpida e dura. «Alan, io sono pazzo di te e lo sai, ma tu hai il vizio di insistere un po' troppo in ogni situazione, e forse è ora che impari a riconoscere il momento in cui devi fermarti; quantomeno quando si tratta dei tuoi amici».
«Lei però ha insistito» osservò stizzito Alan, indicando Agathe. «Quando tu non volevi dirmi di essere innamorato di me, e anche quando ha rivelato a tuo padre che sei omosessuale e hai una relazione con me. Perché per lei va bene e per me no?»
L'altro sospirò paziente, come chi si accinge a spiegare qualcosa di ovvio.
«Agathe non mi ha martellato il cervello ripetendomi quello che dovevo o non dovevo fare; si è limitata a darmi la sua opinione due o tre volte, e quando mi ha trascinato qui, non l'ha fatto con l'inganno» disse. «Quanto al rivelare a mio padre che stiamo insieme, anche se col senno di poi mi rendo conto che ha fatto bene, ci sono ancora momenti in cui vorrei ammazzarla per essersi intromessa in modo così sfacciato in quella che doveva essere una mia decisione».
«E allora dov'è la differenza?» insisté Alan, deciso a non alzare bandiera bianca.
«La differenza, Alan, è che Moses non mi aveva mai chiesto esplicitamente di non farlo!» abbaiò Agathe. «Tu, invece, hai la fastidiosa abitudine di agire anche quando le persone interessate ti hanno chiesto a chiare lettere di non farlo! Credi che abbia dimenticato lo scherzetto tuo e di mio nonno? Be', non è così! Me lo ricordo bene che anche se ti avevo chiesto, anzi, supplicato di lasciar stare me e Richard perché lui potesse decidere di tornare seguendo i suoi tempi, tu hai fatto in modo che c'incontrassimo di continuo. Lo sai quanto è stato male, Richard, per questo? Te l'ha detto, che credeva di essere diventato pazzo e ha rischiato un esaurimento nervoso?» sibilò tra i denti.
Alan serrò ancora di più le braccia. «Adesso però state insieme» commentò.
La ragazza gemette di disappunto e si coprì gli occhi con la mano.
«No, basta, non è possibile. Io ci rinuncio, Moses» dichiarò, esasperata. «Prova tu a farlo ragionare, magari a te darà retta».
Richard entrò proprio in quel momento.
«A chi è che dovrebbe dar retta?» chiese. Cinse Agathe con un braccio e la baciò a fior di labbra.
Alan puntò loro contro un dito.
«Visto?» esclamò trionfante. «Hai ancora il coraggio di lamentarti delle mie ingerenze, Agathe?»
«Sì, ce l'ho» mugugnò lei prima di guardare Richard. «Come sei entrato?»
Lui inarcò le sopracciglia. «Ho scavalcato il muro di cinta». Colse l'espressione sbalordita di Agathe e scoppiò a ridere. «Sto scherzando: ho una copia delle chiavi».
«Mi sembrava strano» commentò Agathe. «Tu non riusciresti a scavalcare neanche un sasso: al massimo lo punzecchieresti col tuo bastone da passeggio, intimandogli di lasciare libero il passo e istruendolo su come un tempo affronti simili venissero lavati col sangue...» sghignazzò.
«Molto spiritosa, mia cara».
«Lo so, lo so: modestamente, ho un gran senso dell'umorismo».
«In un universo parallelo, forse...»
Alan sbuffò, interrompendo il siparietto tra i due.
«Rick, dille qualcosa: vuole che smettiamo di mettere pressione a Leah e Damon!» lo implorò.
«E ha ragione» lo sorprese Richard.
«Le stai dando ragione soltanto perché non vuoi che si arrabbi con te!» lo accusò il giornalista.
«No: le sto dando ragione perché Damon mi ha chiesto di smetterla» lo corresse l'altro. «È esausto, Alan: stavolta abbiamo esagerato».
«Ma da soli non si decideranno mai a guardare in faccia la realtà» protestò Alan.
Agathe e Richard si guardarono per un momento; alla fine fu la ragazza a prendere la parola.
«Non lo so, Alan» disse lentamente. «Devi tenere conto anche del fatto che la zia Leah è stata via per tanto tempo, forse troppo: magari sono cambiati e un'eventuale relazione tra loro non funzionerebbe. Perché non lasci a quei due almeno il tempo di riabituarsi a vivere stabilmente nella stessa città? Magari si sbloccheranno da soli...»
«Non si sbloccheranno mai» decretò Alan, irremovibile. «E io non lascerò che si rovinino la vita un'altra volta!»
Gli occhi di Agathe divennero due fessure.
«Ah sì, Alan?» sibilò tra sé, così piano che nessuno la sentì. «Allora, tanto peggio per te».
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