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Seventy First Shade [R]

Quella sera, quando Agathe tornò a casa propria giusto un quarto d'ora prima di cena, trovò Penelope ad aspettarla nella sua stanza.

«Ciao Penny» la salutò la ragazza, depositando un bacio gentile sulla guancia solcata dalle rughe.

«Ciao nipote». L'irlandese inarcò le sopracciglia. «Com'è andata la chiacchierata col padre del tuo bello?»

«Bene, penso». Agathe si strinse nelle spalle. «Non sono certa di cosa volesse da me».

«Solo conoscerti, credo». Penelope sorrise furba. «Per un uomo come Edward Prescott, la curiosità riguardo l'unica donna in grado di sciogliere il cuore di suo figlio deve aver rasentato l'ossessione».

«Credo di poterne capire il motivo» mormorò la ragazza, sedendo sul letto a gambe incrociate.

Lo sguardo della sua bisnonna divenne calcolatore. «Ti ha raccontato di sua moglie?»

Agathe scosse la testa. «Lui no. L'ha fatto Richard».

Penelope annuì tra sé, profondamente colpita. «Curioso. Credo che quel ragazzo non abbia parlato con nessuno di sua madre, dal giorno del funerale».

«Be', dev'essere stata dura, per lui» lo difese all'istante la ragazza.

«Certo che è stata dura, ma...». Penelope esitò, cercando le parole adatte. «Ho come l'impressione che non abbia mai elaborato del tutto il lutto. Edward, a quanto ne so, dopo la morte di Larissa si è trasferito ad Hallstatt, nella casa di famiglia di lei, ci ha vissuto da recluso per quasi dieci anni, e quando ne è uscito era... normale. O almeno, normale nella misura in cui può esserlo un uomo che ha perso una moglie che amava profondamente e proprio nel fiore degli anni. Quando è morto mio marito, sono rimasta chiusa nella nostra stanza per quattro mesi: e quando è morto tuo nonno...» la gola della vecchia irlandese si chiuse per un momento al ricordo della morte improvvisa dell'unico figlio, avvenuta ormai quarant'anni prima, «...è stato allora che non sono più riuscita a vivere in Inghilterra: per anni ho fatto fatica a rimetterci piede, perché a Londra e qui a Hersham c'erano troppe cose che me lo ricordavano. Ho lasciato la casa a tua nonna perché lei, al contrario di me, aveva bisogno di essere circondata dai ricordi di Jonathan, e così Evan. Solo quando è nato Benedict sono riuscita a tornare senza soffrire troppo».

«Mi dispiace tanto, nonna» mormorò Agathe, gli occhi colmi di lacrime.

«Non dovrebbe» replicò Penelope. «È il ciclo della vita, Urania, e anche se è contro natura che una madre sopravviva al proprio figlio, dopo tanti decenni sono riuscita, se non ad accettarlo, a capirlo. Prima o poi si muore, è l'unica cosa certa, e per questo anche il dolore della perdita fa inevitabilmente parte della vita». Sbuffò piano. «Quello che voglio dire è che bisogna sfogare questo dolore in un qualche modo; ogni persona ha il proprio metodo per accettarlo e superarlo; ma reprimere non porta a nulla, ed è questo che ha fatto Richard Prescott quando, a ventun anni, si è improvvisamente ritrovato orfano di madre. Invece di piangere, urlare maledizioni al cielo e ridursi a una larva, ha bloccato tutto quello che provava: si è gettato ancora più in profondità nei propri studi, si è guadagnato la reputazione di enfant prodige in una manciata d'anni e non ha mai superato la paura di soffrire di nuovo per la perdita di una persona amata. Di fatto, da quel che si è visto – e sono al mondo da ben più tempo di lui, quindi ho avuto modo di osservarlo – non ha più amato nessuno, fatta eccezione per suo padre e pochissimi amici fidati, e anche in questi rari casi, mantenendo un contegno e una freddezza di fondo che lo tutelassero dall'amare troppo – e quindi dal soffrire troppo».

«E non potrebbe semplicemente essere il suo modo di superare il dolore per la perdita della madre?» chiese sarcastica Agathe.

Ma Penelope scosse la testa. «Evitare d'amare non è la soluzione; e l'unico motivo per cui qualcuno fa di tutto pur di non provare questo sentimento, è il mancato superamento di un grave trauma. Agathe, questa è una cosa che tu non puoi comprendere pienamente perché non l'hai mai vissuta e mi auguro che tu non debba farlo ancora per molti anni a venire; ma io, che ho visto morire mio marito e peggio ancora mio figlio, ti posso assicurare che questo tipo di perdita può distruggere una persona. Magari non in modo visibile; ma lo fa. E se non si riesce a rimettere insieme tutti i pezzi...» Penelope sospirò, «allora si rischia di non essere mai più del tutto umani».

«Richard è umano!» insorse la ragazza con rabbia.

«Certo che lo è» convenne la sua bisnonna, «ma per più di vent'anni è stato difettoso, temo. Almeno fino a quando non sei arrivata tu; perché adesso quell'uomo è molto più simile alla persona che era prima della morte di Larissa di quanto non lo sia stato negli ultimi due decenni. Rinchiudersi in se stessi non è mai la soluzione giusta, e penso che Edward sarebbe entusiasta di sapere che finalmente suo figlio ha parlato con qualcuno di Larissa».

«Be', io non glielo dirò di certo» sbuffò Agathe, incrociando le braccia al petto con espressione risoluta.

«Neanch'io se è per questo, nipote» replicò Penelope. «Dovrà dirglielo il tuo bello, quando avrà voglia di farlo».

«Non chiamarlo così» bofonchiò Agathe.

«Perché, non è forse vero?» la stuzzicò Penelope.

«Forse sì, ma non sono certa che sia pronto per sentirselo dire» mugugnò la ragazza, ripensando alle parole – verissime – di Edward: Richard aveva dei tempi molto lunghi. «Lascialo vivere tranquillo, Penny: vuoi?»

La vecchia irlandese masticò tra sé qualche parola in gaelico. «Non lo so: punzecchiarlo è tremendamente divertente» confessò.

Agathe alzò gli occhi al cielo. «Ma se ti astieni dal farlo, magari riuscirai ad avere qualche anticipazione in più sul libro che sta scrivendo» suggerì, alzandosi. «E adesso scendiamo, la cena sarà pronta a momenti».

«Ma di sotto c'è quella piaga di tua madre» si lagnò Penelope.

«Appunto» ribatté Agathe con aria saputa; la prese sottobraccio e la condusse in corridoio. «Se proprio devi punzecchiare qualcuno, maltratta lei: se lo merita molto più di Richard, non credi?»

«Non sai quanto hai ragione, nipote» brontolò Penelope.

******

Quella sera Agathe non era riuscita a tornare da Richard; il giorno seguente, però, nulla impedì a lui di fare il proprio trionfale ingresso alla St. Margaret e incastrare la ragazza in un angolo nascosto della biblioteca, dopo essersi accertato che fosse deserta e che Miss King si trovasse da tutt'altra parte.

«Qualcuno qui sta diventando audace» commentò Agathe quando si ritrovò intrappolata tra il muro, uno scaffale, il corpo di Richard e l'onnipresente bastone da passeggio di quest'ultimo.

«Mi sono assicurato che nessuno possa disturbarci» replicò lui, baciandole la gola.

«Hai fatto una donazione alla scuola perché chiudessero la biblioteca per mezz'ora?» chiese ironica la ragazza.

Richard si accigliò. «Spiritosa» rispose. «Comunque, no: ho solo appeso un cartello alla porta con su scritto che oggi, durante l'ora di pranzo, la biblioteca è chiusa per problemi tecnici».

Agathe inarcò le sopracciglia. «Non mi dire. Ed è tutta farina del tuo sacco?»

L'uomo le mordicchiò l'orecchio. «Lo faceva sempre Alan. Quando eravamo al college e voleva appartarsi con un ragazzo, metteva un cartello così sulla porta dell'aula di giornalismo».

Lei scoppiò a ridere. «Ma non si vergognava neanche un po'?»

«Per niente» replicò Richard. «Diceva sempre che per poter svelare gli scandali altrui doveva rafforzarsi lo spirito, una cosa tipo "Quello che non ti uccide ti fortifica", e che dunque liberarsi dalla vergogna era propedeutico al suo futuro mestiere...»

Agathe si staccò da Richard, trattenendo una nuova risata. «Non riesco a trovare un senso a questa teoria».

«Neanche io e Damon ci siamo mai riusciti, ma Alan ha sempre sostenuto che fossimo troppo ordinari per cogliere la sua genialità».

«E questo spiega come mai siete amici» sogghignò la ragazza.

«Parli troppo» decretò Richard. «Non ho interdetto la biblioteca agli studenti per parlare».

«Sfacciato» sorrise Agathe. Schivò il bacio che lui cercava di imprimerle sulle labbra. «Stai meglio, oggi?» chiese seria. «Ieri sera sarei voluta tornare, ma Gisèle era sul piede di guerra e non mi lasciava in pace...»

Richard comprese che non sarebbe riuscito a evitare quella domanda e sospirò.

«Sto bene» rispose, poco convinto. E a giudicare dal suo sguardo, neanche Agathe lo era.

«A me non sembra» disse sincera. Esitò per un momento, facendosi coraggio. «Senti, io... io lo so che non posso forzarti a fare nulla, ma forse non dovresti reprimere tutto in questo modo». Tacque, a disagio. «Ieri mi è sembrato che... che tu fossi esploso, come se avessi accumulato quei pensieri dolorosi per tanto tempo. Non... non credo che ti faccia bene».

Richard sospirò di nuovo e si appoggiò alla parete, accanto a lei. «È vero, non sto bene. Sto... come ogni volta in cui ripenso al modo stupido, ingiusto e privo di senso in cui è morta mia madre. Sono arrabbiato. Sono arrabbiato come lo ero da ragazzo, vorrei... vorrei poter andare a prendere il bastardo che l'ha investita e farlo a pezzi a mani nude».

«Ucciderlo potrebbe procurarti qualche problema» considerò ironica Agathe, «ma niente ti impedisce di picchiarlo, no?».

«E cosa cambierebbe?» chiese amaro Richard. «Riavrei indietro mia madre?»

«No, ma almeno ti sentiresti meglio» rispose lei.

L'uomo scosse la testa. «Non credo che mi farebbe davvero sentire meglio. Così riuscirei solo a... non lo so, a scaricare un po' della rabbia che mi porto dietro da anni».

Agathe si strinse nelle spalle. «Sempre meglio che reprimere» considerò. «Quando ci siamo conosciuti, sembravi fatto di pietra...»

«E questo è cambiato senza che io picchiassi nessuno».

«Già, ma quella rabbia e quella tristezza sono ancora tutte là, sepolte sotto la superficie. Devi liberartene, non ignorarle».

I due si scambiarono uno sguardo intenso.

«E dire che ero venuto qui per dimenticare tutto tra le tue braccia» commentò Richard, un po' irritato e un po' divertito.

«In genere non mi dispiace lasciartelo fare, ma non è una vera soluzione, e lo sai meglio di me» ribatté impietosa Agathe.

«Lo so, lo so». Richard le scoccò un bacio a fior di labbra. «Lascia stare i libri, oggi, e vieni da me».

«Non posso» disse Agathe, scuotendo la testa. «Ho un impegno».

L'uomo assottigliò lo sguardo: la scintilla negli occhi di Agathe non prometteva niente di buono.

«Che hai in mente?» chiese, teso.

Il sorriso che la ragazza gli rivolse si poteva descrivere con un solo aggettivo: feroce.

«Nulla che ti riguardi: puoi dormire sonni tranquilli, mio caro» rispose lei; ridacchiò maligna e scivolò via attraverso gli scaffali.

******

Quel pomeriggio la camera di Agathe era affollatissima: Lara, Thomas e Moses sgomitavano sull'ampio letto cercando ognuno di guadagnare più spazio possibile a discapito degli altri, mentre Agathe stessa era appollaiata sulla massiccia scrivania di quercia – regalo di Evan per il suo sedicesimo compleanno – e scrutava irritata la porta.

Come mossa dalla forza del suo pensiero, il battente si aprì e Benedict sgusciò nella stanza.

«Alla buonora!» esplose stizzita Agathe.

«Piantala, Urania» rispose secco suo fratello. «Sono in ritardo solo di mezz'ora».

«Solo mezz'ora, Hélénos?» ripeté la ragazza in tono perfido.

Come Agathe aveva previsto, al sentirsi appellare col secondo nome di battesimo, Benedict impallidì vistosamente.

«Hélénos? Davvero?» sghignazzò Moses senza ritegno; l'interessato gli scoccò uno sguardo rabbioso che lui non notò, tanto era occupato a ridere. «Dio, Agathe, il secondo nome di tuo fratello è persino peggio del tuo!»

«Be', prima che il mio caro fratello esploda...» intervenne lei, «a proposito, Ben, siediti e sta' zitto – sarà meglio che vi spieghi perché vi ho chiesto di essere tutti qui oggi».

«Sarà meglio, visto che io dovrei essere al lavoro con papà» bofonchiò Benedict.

Sua sorella lo ignorò.

«Ti ascoltiamo» risposero in coro gli altri tre.

La ragazza prese un bel respiro. «Colin Scott è tornato a Hersham».

Lara e Thomas trattennero il fiato; Benedict imprecò.

Moses era soltanto confuso. «Colin Scott? Il figlio di Charlus Scott e Olivia Warrington?»

«Proprio lui» confermò Agathe.

«Ma non si era trasferito in Norvegia?» chiese ancora Moses.

«Sì» sputò Lara tra i denti, «e sarà il caso di farcelo tornare».

Thomas e Benedict annuirono con aria cupa, dimostrando il loro assenso alle parole di Lara.

«Possibilmente spaventandolo più dell'ultima volta» aggiunse Benedict con ferocia.

«Oh... oh» balbettò Moses, ricordando cos'era successo un anno e mezzo prima. «È vero, Colin era andato in giro a...». Esitò, temendo di poter offendere l'amica rievocando quei ricordi.

«A dire che mi aveva convinta a concedergli la mia verginità e che ero una troietta come tutte le altre» ringhiò Agathe. «Per fortuna, l'ho scoperto prima di commettere quell'errore madornale... e mi sono vendicata».

Gli occhi di Moses si sgranarono increduli. «Oh, Dio. Quindi è per causa tua se è scappato in Norvegia! Si può sapere che gli hai fatto?»

Agathe sorrise feroce al ricordo.

Hersham, due anni prima

Agathe era raggomitolata sul proprio letto, singhiozzante. Non aveva più lacrime: nell'ultima settimana le aveva versate tutte, fino all'ultima goccia, e non gliene erano rimaste più.

Un pesante scalpiccio risuonò nel corridoio e la porta della sua stanza spalancò, rivelando un Benedict sconvolto e senza fiato.

«Agathe!» esclamò, preoccupato. Raggiunse il letto con due falcate e abbracciò la ragazzina. «Sorellina, che hai? Mi hai spaventato da morire prima, al telefono...»

«Io... io... sono... una stupida» balbettò lei, avvinghiandosi a Benedict.

«Perché? Cos'è successo?». Un sospetto improvviso si fece strada nella mente del ventottenne. «Quel ragazzo con cui stai uscendo, quel... Colin, si è comportato male con te?»

Agathe singhiozzò più forte. Benedict lo interpretò come un "sì".

«Lui ha... ha...» farfugliò Agathe. «È andato in giro a dire che mi aveva convinta a... a fare...»

Benedict sentì il sangue ribollirgli nelle vene: l'idea della sua sorellina che faceva sesso proprio non riusciva a digerirla. «Avete...»

«No!» guaì Agathe. «Avremmo dovuto... gli avevo detto di sì... ma poi ero in giro, l'altro giorno, stavo tornando a casa e ho tagliato attraverso il parco a tre isolati da qui... e ho sentito Colin che... si... si vantava che mi avrebbe...». Arrossì al ricordo delle parole volgari usate dal ragazzo. «E poi ha detto che sono... che sono una...»

La ragazzina ululò disperata e scoppiò di nuovo in lacrime.

«Shhht. Shhht, buona, Agathe, buona, adesso ci sono io qui. Gliela faremo pagare a quel verme, vedrai, lo faremo vergognare tanto che non avrà più il coraggio di mostrare in giro la sua brutta faccia» mormorò rabbioso Benedict, stringendo più forte sua sorella e cullandola.

Agathe si asciugò gli occhi. «Dici sul serio?» chiese speranzosa.

Benedict annuì. «Ho già una mezza idea. Ascolta...»

L'uomo spiegò rapidamente il piano appena abbozzato che aveva in mente; entusiasta nel suo desiderio di vendetta, Agathe sentì risvegliarsi la fantasia e contribuì a elaborare i dettagli.

Mezz'ora dopo, il piano era perfettamente delineato.

«Propongo di farlo stasera stessa» concluse Benedict. «Devo solo chiamare un mio amico che fa l'attore di teatro, David: al momento è libero, e non dovrebbe avere problemi a raggiungerci subito».

Nello sguardo di Agathe si accese una luce maniacale. «Posso chiamare Lara e Thomas?»

Suo fratello ci pensò su. «Sì» concesse infine. «Di' loro di venire subito qui e poi chiama Colin: voglio agire stasera stessa».

Un paio d'ore dopo, era tutto pronto: favoriti dall'assenza dei padroni di casa i due fratelli Williams, Lara, Thomas e David, grande amico di Benedict, aspettavano soltanto l'arrivo della loro vittima.

«Mi piace, quest'idea» disse David, annuendo tra sé. «Potrebbe essere un ottimo punto di partenza per scrivere una bella commedia. Perché non ci fate un pensierino?»

«Un'altra volta, Dave» rispose sbrigativo Benedict. «Sorellina, sei pronta?»

Agathe raddrizzò le spalle e gli rivolse un sorriso smagliante. «Ci puoi giurare, fratello».

Lui gettò un rapido sguardo fuori dalla finestra. «Bene, perché il verme sta arrivando».

La ragazza schizzò giù per le scale e raggiunse l'ingresso proprio mentre il campanello suonava: aprì il cancello, poi uscì in giardino e andò dritta verso Colin mentre nascondeva il disgusto sotto un sorriso falso quanto il suo entusiasmo di averlo lì, in casa propria.

«Ciao piccola» la salutò Colin, passandole un braccio intorno alle spalle: le rivolse un sorriso, ma adesso lei poteva scorgere la strafottenza con cui la guardava, certo che tutto fosse stato dimenticato. «Era ora che la smettessi di fare tante storie per quella sciocchezza».

Agathe sentì il sangue andarle al cervello; avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, ma il pensiero di quello che aveva in serbo per lui le permise di trattenersi.

«Già» rispose solamente, con un sorriso forzato.

«Andiamo dentro? Fa freddo qui fuori» propose Colin.

«Sì, vieni».

Agathe prese Colin per mano e lo trascinò in casa, poi su per le scale e nella propria camera. Una volta lì, il ragazzo si sfilò subito cappotto, maglione e camicia; con un gesto rapido cercò di agguantare Agathe alla vita, ma lei fu più lesta e riuscì a schivare l'attacco.

«Aspetta». La ragazza deglutì vistosamente: quella era senza dubbio la parte più difficile. «Voglio che tu faccia una cosa per me» continuò in tono suadente – o almeno sperava. Ripescò una benda nera dal comodino e si avvicinò a Colin. «Te la lasci mettere?»

Lui sorrise, esaltato. «Tutto quello che vuoi, piccola».

Stavolta Agathe sorrise in modo genuino. «Spogliati» ordinò; Colin fu lieto di eseguire e non appena rimase in boxer, seduto sul letto, lei s'inginocchiò sul materasso e lo bendò con cura. «Adesso sdraiati e aspettami: vado a mettermi qualcosa di più... stuzzicante» gli sussurrò prima di correre a chiudersi nel suo bagno privato.

David, che l'aspettava lì, le lanciò uno sguardo divertito. «Sei un'attrice niente male» le bisbigliò.

«Ufff» mormorò lei in risposta. «Non credevo fosse così difficile».

L'uomo le batté una mano sulla spalla. «Non ti preoccupare, tesorino bello: da qui in poi ci penso io» disse serio.

David uscì dal bagno con passo regale, sotto lo sguardo inebetito di Agathe: poteva avere sedici anni ed essere ancora vergine, ma questo non le impediva di apprezzare Madre Natura quando il caso le metteva di fronte un uomo dal fisico statuario, biondo e bello come un dio greco, coperto soltanto da un paio di slip azzurro fluo. Per un momento pensò che sarebbe stato un crimine non scattargli qualche foto prima che si rivestisse, ma poi la scena che stava per consumarsi nella sua camera attirò di nuovo tutta la sua attenzione.

David si era avvicinato al letto con passo felpato; appoggiò un ginocchio sul materasso e si sporse ad accarezzare una gamba nuda di Colin, che fremette.

«Finalmente sei tornata, piccola» disse, esaltato e completamente ignaro del fatto che non erano le mani di Agathe, a toccarlo.

L'attore proseguì nel suo ruolo: si sporse ad accarezzare il ragazzo disteso, dapprima sul ventre, sul petto, su fino alla gola, per poi ridiscendere. Sorrise tra sé nel notare l'eccitazione sempre crescente della loro vittima e il suo respiro farsi affannoso.

Con un gesto fluido, David salì a cavalcioni su Colin e, pur senza sfiorarlo affatto, si chinò fino a essere a un soffio dal suo volto.

«Sei proprio appetitoso, tesorino» sussurrò languido.

Colin si irrigidì; con un gesto fulmineo si strappò la benda dagli occhi e nel vedere l'uomo che lo sovrastava, cacciò un urlo tanto acuto da spaccare i vetri.

David rise di gusto. Cadde di schiena sul materasso quando Colin lo spintonò per liberarsi, e quest'ultimo saltò giù dal letto come se fosse stato disteso sulle braci ardenti; cercò freneticamente i propri vestiti ma quelli erano al sicuro dentro il bagno, insieme ad Agathe, che li aveva rubati in silenzio.

Con un movimento elegante e perfettamente misurato, David si alzò dal letto e gli si avvicinò. «Ma come, tesorino, vuoi andartene proprio adesso che iniziavamo a divertirci?» disse, accarezzandogli una spalla con aria dispiaciuta.

Con un secondo grido di terrore, Colin provò a sferrargli un pugno in pieno volto, ma David lo schivò senza problemi, ridendo forte; altre risate si unirono alla sua, e voltandosi il ragazzo vide Benedict, Lara e Thomas fermi sulla porta, quest'ultimo con una macchina fotografica tra le mani e l'espressione soddisfatta sul volto.

Per un attimo Colin rimase immobile, incredulo; poi sentì David avvicinarsi di nuovo e, con un ultimo strillo di paura, si scaraventò in corridoio e giù per le scale fino a fuggire fuori da casa Williams.

Agathe corse a uno dei balconi che si affacciavano sull'otto e lanciò il fagotto dei suoi vestiti in mezzo alla strada.

«E non tornare più!» urlò alla figura seminuda che raccattava le proprie cose e fuggiva a tutta velocità.

Tornata in casa, la ragazza chiuse la finestra, ci si appoggiò con la schiena e scoppiò a ridere di gusto.

«Mio Dio, che spasso!» trillò tra una risata e l'altra.

Gli altri quattro, che l'avevano raggiunta, risero con lei.

«Sul serio uscivi con quel cosetto rachitico, tesorino?» le chiese David, storcendo il naso. «Sei così carina! Puoi avere di meglio!»

«Sono d'accordo» rispose Agathe, asciugandosi le lacrime di divertimento. Guardò Thomas. «Tom, ti prego, dimmi che hai scattato un bel po' di foto».

Il ragazzo alzò la fotocamera digitale con espressione trionfante. «Una montagna, Will: una montagna!»

«Ottimo» replicò lei, scoccando uno sguardo eloquente prima a David e poi a Lara. «Cose del genere vanno immortalate... e riguardate con regolarità».

La sua migliore amica scoppiò a ridere e gettò a sua volta uno sguardo fugace a David che, privo di qualsiasi vergogna, era ancora in mutande e per di più perfettamente a suo agio.

«Hai ragione, sorella, quanto hai ragione!» convenne, e ammiccò.

Benedict guardò entrambe con sospetto. «Andiamo, Dave: sarà meglio che ti rivesta».

«Signorsì signore!» assentì euforico l'altro. Mandò un bacio a entrambe le ragazze. «Ci rivediamo presto, bellezze!» aggiunse, facendole scoppiare in risatine imbarazzate.

Benedict grugnì contrariato e lo spintonò lungo il corridoio.

«Una settimana dopo, Colin si è trasferito in Norvegia» concluse Agathe.

«Mio Dio, Will, sei... sei... terribile!» commentò Moses.

«Ehi!» protestò indignato Benedict. «L'idea era partita da me: non ha mica fatto tutto da sola!»

«Oh scusa, scusami tanto, Ben» rispose sarcastico Moses prima di rivolgersi di nuovo alla ragazza. «Però, Agathe, Colin potrebbe essere tornato soltanto per fare visita alla famiglia... non puoi pretendere che non lo faccia» disse in tono ragionevole.

«Se fosse così non me ne sarei preoccupata» replicò Agathe. «Ma da quello che ho sentito, Colin sta cercando lavoro qui: dunque è tornato per restare, e Hersham è troppo piccola per tutti e due».

Moses si strofinò la fronte. «Inizia a parlare come una pistolera del vecchio West» disse. «Che vuoi fare? Sfidarlo a duello a mezzogiorno al centro dell'otto, per vedere chi dei due resterà in piedi?»

Agathe si accarezzò il collo con aria pensosa. «Non è male come idea, ma non credo che mio padre approverebbe un omicidio premeditato» sbuffò. «No, qui ci vuole qualcosa di più sottile e... crudele».

«Più di quello che gli avete già fatto?». Stavolta fu Moses a sbuffare, e di incredulità. «Credo sia impossibile».

Agathe scoccò uno sguardo furbo a Benedict, che ricambiò con un sorriso perfido.

«Mai dire mai, Moses» lo ammonì la ragazza. «Mai dire mai».

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