Seventy Fifth Shade [R]
Il buonumore di Agathe per essere riuscita a terrorizzare Colin tanto da scappare in Groenlandia durò per giorni. Tutti quelli intorno a lei ne beneficiarono, ma nessuno quanto Richard: la soddisfazione per la riuscita di quell'elaborata malefatta sembrava aver entusiasmato la ragazza sotto ogni punto di vista, e l'uomo si era visto costretto a chiudere le porte d'ingresso a più mandate avendo cura di lasciare le chiavi infilate nelle serrature, cosicché nessuno potesse entrargli in casa senza preavviso e coglierli impegnati in attività compromettenti. Non che i suoi amici non avessero intuito in che modo Agathe stesse bruciando tutta quell'adrenalina e quell'autocompiacimento: le battute di Alan e le occhiatine di Damon erano eloquenti, e lui poteva solo sperare che Evan Williams fosse meno perspicace dei suoi due migliori amici.
Ma anche quella fase finì. Agathe tornò a concentrarsi sui libri, e soltanto le frequenti incursioni di suo fratello a Hersham potevano distrarla.
Dopo quella nottata passata nel Derbyshire, Benedict sembrava essere stato pervaso da un'ondata di affetto per sua sorella tanto forte da non permettergli di starle lontano per più di ventiquattro ore di seguito: ma Evan – che lo conosceva bene – e Agathe – che lo conosceva ancora meglio – non si erano fatti ingannare. Il capofamiglia aveva tentato più volte di estorcere a Benedict il vero motivo delle sue visite giornaliere; Agathe, al contrario, aveva evitato l'argomento in tutti i modi, pur sapendo che prima o poi suo fratello sarebbe riuscito a metterla alle strette.
La fuga cominciava a sembrarle l'unica opzione possibile.
Un intreccio di voci al piano di sotto catturò la sua attenzione: che Benedict fosse già arrivato? Alla sola idea Agathe iniziò a sudare freddo, ma un rapido sguardo all'orologio smentì i suoi timori: quel pomeriggio Evan era impegnato in tribunale e di conseguenza Benedict, in qualità di associato, era costretto a restare in ufficio per controllare i dipendenti e gli altri avvocati.
Scesi i gradini a tre a tre, la ragazza piombò sul parquet dell'ingresso e andò a passo di marcia verso il salotto; aprì la porta con un gesto secco e guardò Penelope, ancora intenta a posare la borsa.
«Penny, abbiamo un problema» annunciò.
******
Benedict era stato veloce a lasciare l'ufficio: non appena suo padre aveva fatto ritorno dal tribunale, lui aveva raccolto armi e bagagli e si era diretto senza indugi a Hersham, deciso ad affrontare Agathe. Quel mattino di pochi giorni prima, quando erano tutti riuniti a casa Zimmermann, qualcosa gli aveva punzecchiato il cervello con la forza di una staffilata. La disinvoltura con cui Richard Prescott si era rivolto ad Agathe, la naturalezza con cui lei aveva reagito alle parole dello storico, il modo in cui sembrava averlo punzecchiato quando aveva detto di non voler partecipare al progetto di David, gli sguardi... tutte queste cose l'avevano disturbato profondamente: gli era parso d'intravedere un'intimità molto più importante di quanto i due volessero dare a vedere e sebbene il suo non fosse altro che un vago sospetto, era tuttavia sufficiente a impensierirlo tanto da non dargli requie.
Dunque, anche in quel tardo pomeriggio di maggio, Benedict parcheggiò la propria auto di fronte alla casa dei suoi genitori ed entrò in punta di piedi grazie al mazzo di chiavi che non aveva mai restituito a Evan.
Silenzioso come un gatto, il trentenne sbirciò oltre ogni angolo, pronto a balzare sulla preda: Agathe si era dimostrata incredibilmente sfuggente nelle sue precedenti visite, e lui aveva deciso di prenderla di sorpresa per impedirle di sgusciargli ancora tra le dita.
Un sorriso compiaciuto si disegnò sulle labbra di Benedict quando scorse la chioma corvina di sua sorella; si slanciò verso di lei con passo felpato, approfittando del fatto che era di schiena e non si era ancora accorta della sua presenza, ma prima che potesse capire cos'era accaduto, l'uomo si trovò la strada sbarrata e un bastone da passeggio che si abbatteva pericolosamente vicino al suo piede sinistro.
Benedict balzò indietro.
«No-no-nonna Penelope» balbettò sorpreso. «Che... che bello vederti!»
Quell'affermazione suonò falsa alle sue stesse orecchie: l'espressione della sua bisnonna era penetrante e inquisitoria, ed era sempre stata foriera di conversazioni estremamente sgradevoli.
«Benedict, mio splendido nipote» esordì l'irlandese in tono soave; alle sue spalle, Agathe sogghignava, a metà tra la perfidia e la soddisfazione, come se già sapesse cosa avrebbe detto di lì a qualche istante la matriarca di casa Williams. Penelope prese suo nipote sottobraccio e lo condusse con fare perentorio verso il divano. «Io e te dobbiamo parlare di una questione molto seria».
L'uomo deglutì, spaventato. «Io... io veramente... speravo di...» farfugliò.
Penelope lo ignorò. «È ora che tu mi dica» esordì con voce ferma, «che intenzioni hai nei confronti di Myra. State insieme da quasi cinque anni: non ti pare arrivato il momento di pensare al matrimonio?»
Benedict si strozzò con la sua stessa saliva mentre Penelope continuava a fissarlo senza mostrare segni di cedimento. Il sorriso di Agathe si allargò ancora di più e, non vista, sgattaiolò via: suo fratello ne avrebbe avuto per tutta la sera.
******
Nonostante sapesse che Penelope avrebbe dato il tormento a Benedict per un bel po' – era da parecchio che voleva fargli quel discorsetto, e aveva colto al volo l'occasione – Agathe non se la sentiva di sfidare la sorte restando nei paraggi: per questo, raccolte le proprie cose, si era diretta senza indugi a casa della sua migliore amica, sperando che lei potesse suggerirle nuovi modi di sfuggire all'interrogatorio a cui di certo Benedict voleva sottoporla.
«Ciao Will» salutò Lara, aprendo la porta d'ingresso e facendosi da parte per lasciar entrare l'altra. «Tutto a posto?»
«A parte Ben che mi bracca, sì» rispose Agathe. Sbuffò. «Lo so, io lo so che ha fiutato qualcosa su me e...»
«Shhht!» la zittì bruscamente Lara. Agathe aggrottò la fronte, confusa, e l'altra accennò con la testa in direzione della cucina. «Leah» aggiunse in un sussurro.
Agathe sbiancò: Leah non aveva la minima idea del fatto che tra lei e Richard ci fosse qualcosa e, conoscendola, era ragionevolmente certa che la biologa avrebbe messo l'otto a ferro e fuoco, se l'avesse scoperto.
«Andiamo di là, facciamo quattro chiacchiere con lei e papà, ceniamo e poi ci chiudiamo in camera mia per parlare» suggerì Lara sottovoce. «Così non sospetterà nulla e non cercherà di indagare».
L'altra ragazza annuì una sola volta e insieme si avviarono verso la cucina, dove Leah stava vomitando un fiume di parole su Damon, che l'ascoltava paziente mentre spadellava davanti ai fornelli.
«Will, tesoro!» salutò Damon, lieto di avere una scusa per interrompere le chiacchiere stordenti di Leah. «Ti fermi a cena?»
«Volentieri» rispose lei con un gran sorriso. Andò da Leah e l'abbracciò. «Che ti è successo stavolta, zia?» chiese. «Sembravi abbastanza presa dal tuo racconto...»
La biologa ridacchiò. «Stavo raccontando a Damon della riunione che ho avuto oggi pomeriggio con il redattore...»
«Poveraccio» commentò Agathe con convinzione.
Leah le scoccò un'occhiataccia.
«Rick ha detto la stessa cosa» intervenne Damon, mescolando il contenuto di un tegame. «Forse dovresti farti qualche domanda, Leah».
«Voi siete prevenuti nei miei confronti» bofonchiò la donna.
«Sicura?» la stuzzicò la sua figlioccia.
Gli occhi di Leah si sgranarono. «Ma se neanche sapete cos'ho fatto!» protestò.
«Illuminaci» la esortò Damon con rassegnazione.
Leah non se lo fece ripetere due volte e si lanciò di nuovo nel proprio racconto: parlava senza quasi riprendere fiato e gesticolava come se avesse avuto il fuoco addosso, e Agathe si distrasse per osservare suo zio. Damon continuava a cucinare e non distoglieva gli occhi dalle padelle neanche per un secondo: nonostante questo, era chiaro che non stesse perdendo neanche una delle parole pronunciate da Leah, e il sorriso che gli curvava inconsapevolmente le labbra ogni volta che la donna scoppiava a ridere era piuttosto eloquente. Vedendolo, Agathe si stupì di non essersi accorta prima dei sentimenti di suo zio; ancora meno capiva come nessuno l'avesse notato, fatta eccezione per Richard e Alan. Persino Lara rideva osservando suo padre, palesemente ignara dei sentimenti che aveva scritti in volto.
La ragazza scrollò le spalle, accantonando quei pensieri, e si mosse per aiutare l'amica ad apparecchiare la tavola.
******
Il giorno seguente Benedict non s'era neanche avvicinato a Hersham e Agathe, lieta di aver sventato quella minaccia alla propria privacy, decise di cogliere subito l'occasione di fare visita al suo vicino preferito.
Quando entrò in casa Prescott – rigorosamente dal cancello sul retro – la prima cosa che la colpì fu la voce rabbiosa di Richard, che gridava a pieni polmoni. Allarmata, la ragazza posò la borsa carica di libri vicino alla porta e andò quasi di corsa verso le scale, per poi attaccarsi al corrimano e salire i gradini a tre a tre; quando finalmente giunse alla fonte del rumore, dalla porta socchiusa della biblioteca vide lo storico camminare avanti e indietro tra la scrivania e la poltrona, gli occhi che saettavano a intervalli regolari verso lo schermo del portatile mentre sbraitava nel microfono dell'auricolare wireless che aveva agganciato all'orecchio.
«Avevo trattato personalmente con quel politologo per pubblicare i suoi saggi! Spiegami come diavolo avete fatto a farlo imbestialire al punto da voler recedere dal contratto, perché l'email che mi ha mandato dice soltanto che non ha nessuna intenzione di lavorare con dei censori bigotti infiltrati nell'editoria inglese!» gridò Richard. Era furibondo: aveva i capelli scompigliati, il volto chiazzato di rosso e sul collo una vena tanto gonfia da far pensare che stesse per scoppiare.
Agathe lo fissò accigliata, ma lui non la vide neanche, tanto era preso dalla propria rabbia. Poi, un gesto discreto la fece voltare: Alan stava appollaiato sull'ampio davanzale di una delle finestre e assisteva in silenzio alla furia dell'amico.
«Ehi» bisbigliò Agathe, raggiungendo il giornalista e inerpicandosi accanto a lui. Accennò a Richard con la testa. «È tanto arrabbiato, eh?»
«Raramente l'ho visto così furioso» rispose pianissimo Alan, gli occhi sempre fissi sul padrone di casa. «Credo che uno dei suoi editor gli abbia fatto perdere un autore importante, ma dalle sue urla non ho capito molto di più».
Agathe scrollò le spalle e ripiegò una gamba sotto l'altra: davanti a loro, Richard continuava a marciare e gridare come se avesse avuto il diavolo in corpo.
«Dieci sterline che chiunque sia stato, entro fine giornata lo licenzia» buttò lì la ragazza.
«Così è troppo facile» replicò il giornalista. «No, non ci sto».
Richard si mise le mani nei capelli, lo sguardo puntato sullo schermo. «Sei andato a dirgli che è un vecchio, retrogrado guerrafondaio?» esclamò, gli occhi fuori dalle orbite. «Io non ti pago per contestare le opinioni dei nostri autori, ma per curare l'editing dei testi!». Tacque per un momento, ascoltando la replica del suo interlocutore. «Non me ne frega niente se sei pacifista! Se fossi stato un po' più attento, alle ultime riunioni, sapresti che lo scopo della nuova collana è proprio quello di mettere a confronto idee contrapposte. L'abbiamo chiamata "Guerra e Pace" apposta, e non "Apologia della Guerra"!» tuonò. «Devi lasciare fuori dall'ufficio le tue convinzioni personali, Isaac, te l'avevo già detto, e sono stanco di ripetertelo! Sei licenziato!»
Ansimando, Richard si strappò l'auricolare e chiuse la videochiamata.
Alan e Agathe si scambiarono uno sguardo.
«L'avevo detto che era troppo facile» rimarcò il primo, ricevendo in risposta soltanto un sorrisetto compiaciuto.
La ragazza si girò a guardare Richard, che si era lasciato cadere nella poltrona con un gesto sfinito e si strofinava gli occhi con una mano. «Va così male?» indagò cautamente.
«Sì!» rispose brusco lui, rimettendosi diritto con uno scatto improvviso. «Tre mesi di lavoro buttati al vento! Tre mesi!» sibilò rabbioso.
«A quanto pare stai passando un momento burrascoso, alla casa editrice» commentò Agathe. «Ieri Leah ha raccontato a me, Lara e Damon di aver quasi fatto piangere uno dei tuoi redattori».
Richard ringhiò tra sé.
«Quello più buono, le ho affiancato, quello più tranquillo e paziente, e lei è riuscita comunque a procurargli una mezza crisi di nervi!» abbaiò. Si afflosciò di colpo. «Ma che devo fare perché tutti facciano il loro lavoro senza creare problemi dove non ce ne sono, eh? Che devo fare?»
«Rassegnarti al fatto che fa parte della natura umana, creare problemi quando non ci pensa l'universo, a farlo?» chiese retoricamente Alan. «Non può andare sempre tutto liscio, Rick, è inutile anche solo sperarci».
«Se togli a un uomo la speranza, allora cosa gli resta?» bofonchiò Richard.
«La voglia di lottare?» replicò il giornalista. «Su con la vita, amico! Ci sono cose peggiori, nella vita, di un editor imbecille. Recupererai quello scrittore, sei troppo abile a trattare con la gente; quanto a Leah, invece di qualcuno pacato e accomodante, perché non le affianchi una persona un po' più combattiva? Magari alla fine sarà lei a cedere, ci hai pensato?»
A sorpresa, Richard sorrise. «Se non fossi un impiccione rompiscatole, ti assumerei come motivatore» ridacchiò.
Alan eliminò delle inesistenti pieghe dalla giacca. «Non so se ti puoi permettere i miei servigi».
L'altro lo studiò per alcuni istanti, le sopracciglia inarcate. «Spocchioso».
Il giornalista ammiccò. «Ho imparato dal migliore».
Agathe scoppiò a ridere. «Siete peggio di una coppietta di vecchi sposi. Non è che io e Moses dobbiamo preoccuparci?»
L'espressione di Alan divenne pensosa. «Be', devo ammettere che ho avuto una cotta per Richard, quando ci siamo conosciuti all'università...». Lo storico emise uno strano verso e Alan sorrise furbo. «Sto scherzando, non ho mai avuto una cotta per te: preferisco i biondi» chiarì flemmatico.
«Meglio così» bofonchiò Richard. «È già difficile esserti amico... averti come fidanzato deve essere un incubo!»
Agathe lo guardò, arricciando il naso. «Da che pulpito, mio caro» disse. «Posso dichiarare, con cognizione di causa, che tu hai le potenzialità per essere un fidanzato da incubo: altro che Alan!»
A sorpresa, Richard allungò le gambe sotto la scrivania in un gesto rilassato e le rivolse un sorriso scaltro. «Per tua fortuna, Miss Williams, sei soltanto la mia amante».
Tre secondi più tardi, una scarpa volò attraverso la stanza e colpì Richard in piena fronte.
«Però, che mira» commentò Alan, guardando la ragazza con ammirazione mentre l'altro uomo si raddrizzava, grugnendo il proprio disappunto e massaggiandosi la testa. «Mai pensato di diventare un cecchino delle Forze Speciali?»
«No, questa mia abilità la conservo tutta per il tuo amico» rispose Agathe, ancora un po' risentita. «Certo però ci sono dei vantaggi, nel non essere la fidanzata dell'eclettico Richard Prescott» aggiunse perfida. «Per esempio, la libertà di fare quello che voglio, quando voglio, con chi voglio... e il passare con lui soltanto il tempo che decido di dedicargli. In pratica prendo solo il meglio!»
Richard assottigliò lo sguardo. «Quanto spirito, Miss Williams» mugugnò.
«Perché, non sei forse d'accordo?» lo stuzzicò lei, stiracchiandosi.
«Comincio a essere d'accordo con gli uomini dei tempi antichi, che tenevano le proprie donne chiuse in casa» sbuffò sarcastico.
«Davvero?» chiese Agathe, fingendosi colpita. «Dovresti parlarne con Evan: potrebbe cambiare idea sul lasciarti farmi da tutor e raccogliere felicemente questa tua intuizione. Magari deciderebbe di chiudermi in casa insieme a Gisèle, per proteggere la mia virtù...» continuò ironica.
«Sarebbe più un proteggere gli altri da te» replicò Richard, tenendola d'occhio: non ci teneva a vedersi arrivare in testa qualcos'altro. «Diavolessa» sbottò quando, dopo aver distolto lo sguardo da Agathe solo per un secondo, era stato appunto colpito dall'altra scarpa: i riflessi della ragazza erano troppo, troppo buoni.
«Lo faccio solo per te» fu la risposta fintamente melensa di lei. «Qualcuno dovrà pur aiutarti a tenere il cervello in allenamento e farti evitare scivoloni come quello di poco fa, no?»
«Colpito e affondato» commentò giulivo Alan. «Rassegnati, Rick: la signorina, qui, ha un buon cervello, e molto più fresco del tuo. Ti terrà sempre testa».
«Questo è tutto da vedere» bofonchiò lo storico. Recuperò le scarpe di Agathe e, dopo averle soppesate per un momento, le chiuse a chiave in un cassetto della propria scrivania.
«Che... che diamine fai?» disse Agathe, incredula.
«Visto che tieni così poco alle tue scarpe da lanciarle via senza alcun riguardo, me le sono prese» rispose placido Richard.
«Ma io devo andare da Lara!» protestò la ragazza. «Come si suppone che faccia, se non mi restituisci le scarpe?»
«Problema tuo» decretò imperturbabile l'uomo, intascando la chiave.
L'espressione di Agathe divenne feroce e Alan decise che avrebbe fatto meglio ad allontanarsi finché era ancora in tempo.
«Be', io me ne vado» disse frettolosamente il giornalista, andando velocissimo verso la porta. «Divertitevi, piccioncini!»
Nessuno dei due rispose: Agathe era troppo impegnata a saltare la scrivania per arrivare allo storico, e Richard a darsi alla fuga tra gli scaffali della biblioteca.
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