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Seventh Shade [R]

La pioggia cadeva incessante ormai da tre giorni. Per questo Agathe era doppiamente felice che fosse venerdì: una volta arrivata a casa da scuola, per quanto la riguardava, avrebbe potuto riversarsi anche l'intero Atlantico su Hersham e lei non avrebbe battuto ciglio, chiusa al caldo tra le mura di villa Williams.

Restava però da affrontare il temporale per arrivarci, a casa.

Al suono della campanella d'uscita, parte degli studenti si era gettata nella tempesta prima di poterci ripensare; tutti gli altri erano rimasti pigiati nell'ampio ingresso della scuola, restii a tuffarsi in quel muro d'acqua che si riversava giù dal cielo.

«Muovetevi, che dobbiamo chiudere!» abbaiò il custode. «Fuori di qui!»

Agathe e Lara furono tra le ultime a uscire, insieme ai loro compagni di classe.

«Non credo che sia una buona idea, andare in giro con questo tempaccio» disse Agathe mentre cercavano di evitare le pozzanghere. «Magari potremmo organizzarci per una pizza e un film a casa di qualcuno, domani sera. I miei dovrebbero avere una cena a Londra, dubito che rinunceranno. Potremmo fare da me».

«Mi sembra una buona idea» rispose Lara.

«E tu, Tom, che ne dici? Sei dei nostri?». Quando non ottenne risposta, Agathe si fermò e si guardò intorno. «Thomas?»

Lei e Lara si voltarono verso l'ingresso della scuola: Thomas era ancora là, schiacciato contro la porta per ripararsi un po' dalla pioggia, con l'aria mesta e palesemente senza ombrello.

Le due ragazze tornarono indietro.

«Thomas, sei scemo o cosa?» sbottò Agathe, arrabbiata.

«Stamattina papà mi ha dato un passaggio fin qui e ho dimenticato l'ombrello in macchina» rispose il ragazzo in tono di scuse.

«E dirlo prima, no? Che credevi, che ti avremmo lasciato qui?» replicò Agathe, esasperata.

«Agathe ha ragione, Tom» disse Lara con dolcezza. «Vuoi che ti presti il mio ombrello?»

Thomas arrossì. «Non potrei restituirtelo fino a domani sera».

«Allora Lara ti accompagnerà a casa, tanto abiti solo un paio di vie più avanti di noi» rispose Agathe, dopo aver scambiato un'occhiata d'intesa con la sua migliore amica. Prese Thomas sottobraccio e lo spedì sotto l'ombrello di Lara senza tanti complimenti; dopodiché, i tre si incamminarono di nuovo verso casa. «A questo proposito, mentre tu facevi il palo contro il portone della scuola, io e Lara stavamo dicendo che è da pazzi uscire con questo tempaccio e che domani sera potremmo chiamare qualcuno per mangiare una pizza e vedere un film a casa mia» riprese Agathe. «Tu che ne dici?»

Il ragazzo arrossì di nuovo. Lara gli sorrise incoraggiante e persino Agathe si intenerì un po': a volte Thomas le ricordava un cucciolo sperduto. Era molto timido e portava tutte le proprie emozioni scritte in volto, ma Agathe non aveva dubbi sul fatto che in pochi anni il college gli avrebbe dato quella sicurezza in se stesso che l'avrebbe reso un uomo.

Un paio di isolati più avanti, i tre si separarono: Lara e Thomas presero la strada che passava dietro casa della ragazza, diretti alla villa della famiglia Medwall, mentre Agathe imboccò la strada che spezzava a metà l'otto giusto in tempo per essere affiancata da una lussuosa auto grigia.

Il conducente abbassò il finestrino e la guardò con aria perplessa.

«Zio Damon, ciao!» salutò la ragazza. Mise l'ombrello a coprire il finestrino in modo che Damon non si inzuppasse e gli rivolse un gran sorriso.

«Ciao, piccola» rispose lui, guardandosi intorno. «E Lara dov'è?»

«Sta accompagnando a casa un nostro compagno di classe che non aveva con sé l'ombrello» spiegò Agathe. Le venne da ridere di fronte al cipiglio che si era immediatamente formato sul volto dell'uomo. «Tranquillo, è Tom».

Damon tirò un sospiro di sollievo. «Thomas Medwall, lo stesso che ha preso a pugni quel coglione dell'ex fidanzato di mia figlia?»

Agathe sorrise soddisfatta. «Proprio lui».

«Allora va bene» dichiarò Damon. «Però avrei voluto che Lara mi avvertisse. La stavo aspettando, oggi passiamo la giornata a Londra».

«Puoi andarle incontro: tanto i Medwall abitano solo un paio di vie più avanti».

«Mi pare una buona idea». Damon le rivolse un'occhiata triste. «Sicura di non voler venire con noi, Agathe?»

«Sicurissima, zio, non ti preoccupare» rispose lei tranquilla. I due si salutarono e lei andò dritta verso casa, bramando il pranzo e una doccia calda. Due minuti più tardi, varcò la porta d'ingresso. «Sono a casa!» gridò. Lanciò la borsa sul pavimento, infilò l'ombrello gocciolante nel portaombrelli e stava appendendo all'attaccapanni la giacca zuppa d'acqua quando sua madre emerse dallo studio: indossava un camice bianco ed era furiosa.

«Si può sapere cos'hai da gridare?» urlò stizzita. «Sto lavorando!»

«Come si supponeva che potessi saperlo?» replicò Agathe, del pari stizzita. «Quando stamattina sono uscita per andare a scuola, tu dormivi ancora della grossa e non avevi ricevuto nessun ordine!»

«Be', adesso ce l'ho» replicò brusca Gisèle, «e non posso lavorare con te che fai chiasso. Quindi fuori di qui!».

La donna se ne andò senza smettere di gridare contumelie – ora in francese – contro sua figlia, e Agathe si rinfilò la giacca bagnata.

Il maggiordomo e la governante, che era stata anche la tata sua e di suo fratello, si avvicinarono con aria preoccupata.

«Miss, non vada» la pregò Stevens, il maggiordomo che da trent'anni lavorava in casa loro.

La ragazza gli rivolse un sorrisino mesto. «Hai sentito la signora, Stevens. E poi non è la prima volta che succede, ormai ci siamo tutti abituati».

«Lo so, miss, ma fuori c'è un tempo da lupi» insisté l'uomo.

«Miss Agathe, la prego, resti in casa» la supplicò Mrs. Jules. «È già bagnata fradicia, rischia un malanno se esce di nuovo... e senza neanche essersi cambiata!»

«Sei ancora qui? Ti ho detto di andartene!». Seppur attutita, la voce di Gisèle arrivò comunque fino a loro e li mise tutti a tacere.

«State tranquilli, non resterò all'aperto» cercò di rassicurarli Agathe, prendendo borsa e ombrello: durante l'infanzia aveva passato la maggior parte del proprio tempo con Stevens e Mrs. Jules e i due erano diventati, per lei, quasi dei surrogati delle figure genitoriali.

Andò alla porta e l'aprì: una folata di acqua e vento gelidi la investì, ma Agathe strinse più forte l'ombrello e tornò sotto la pioggia.

******

Richard spiò con ansia il ritorno a casa di Agathe: la pioggia che si andava ingrossando sempre più lo stava mettendo in agitazione, e il fatto che la ragazza stesse impiegando molto più tempo del solito per arrivare alla villa per un minuto gli fece prendere in considerazione l'idea di armarsi d'ombrello e andare a dare un'occhiata in giro, tanto per essere certo che non le fosse accaduto nulla.

Quando Agathe varcò il portone di casa, Richard finalmente si rilassò: lasciò il binocolo e tornò a esaminare il bilancio trimestrale della casa editrice. Inforcati gli occhiali, si mise d'impegno nel leggere il plico, ma dopo neanche cinque minuti una bizzarra sensazione lo spinse a tornare alla finestra... appena in tempo per vedere Agathe uscire da Villa Williams e avviarsi verso la strada principale.

Preoccupato, Richard prese il binocolo: la ragazza, curva sotto il vento forte, arrivò al centro dell'otto e imboccò la strada verso nord, nella direzione opposta a quella della scuola.

Senza neanche pensarci l'uomo corse al piano terra, prese soprabito e ombrello e si tuffò a sua volta nel temporale. Seguì di corsa i passi di Agathe, a dir poco agitato: la pioggia diventava più fitta ogni minuto che passava e Richard si chiese che diamine avesse in testa, quella ragazza, per decidere di uscire con un tempaccio simile.

Percorse alcune centinaia di metri con l'acqua che gli martellava addosso e gettato, contemporaneamente, uno sguardo a tutti i negozi aperti che incontrava sulla sua strada, Richard alla fine scorse una massa di capelli neri dall'aspetto familiare.

Felice di sfuggire alla pioggia, l'uomo entrò nella piccola trattoria e si avvicinò ad Agathe e alla cameriera che le stava parlando in tono materno.

«Tesoro, sei tutta bagnata. Vuoi qualcosa per asciugarti?»

«No Jean, grazie» rispose Agathe. «Preferisco mangiare qualcosa: sto morendo di fame».

«Cosa ti porto?» chiese Jean.

Agathe esitò, poi la sua voce suonò terribilmente speranzosa quando si decise a parlare. «Fish and chips?»

Jean le fece l'occhiolino. «A pranzo non si potrebbe, ma per stavolta faremo un'eccezione. Da bere?»

«Una birra».

«Acqua minerale» s'intromise Richard, e sedette di fronte ad Agathe. «Non ha ancora l'età per bere alcolici, miss».

Jean inarcò un sopracciglio ma non s'intromise. «E per lei?»

«Per me niente, signora, grazie» rispose l'uomo con un sorriso accattivante. Jean non si lasciò abbindolare e gli rivolse un'occhiata carica di sospetto, ma se ne andò comunque verso la cucina. «Allora, Miss Williams» esordì Richard, deciso ad andare dritto al sodo. «Si può sapere che ci fa fuori di casa con questo tempo terribile?»

Agathe prese una fetta di pane dal cestino sul tavolo e iniziò a sbriciolarlo. «Mia madre mi ha cacciata di casa» bofonchiò dopo un po'.

Richard sgranò gli occhi. «Che cosa?»

La ragazza alzò lo sguardo e capì di essere stata male interpretata. «Oh no, non per sempre! Solo fino all'ora di cena» si spiegò.

Di nuovo rilassato, l'uomo la fissò e la invitò a proseguire con un gesto della mano.

«Be', non so se lo sa, ma mia madre è una miniaturista» iniziò Agathe. «Lavora su commissione, realizza illustrazioni a mano su libri o carta pregiata, e a volte fa dei restauri. A quanto pare, mentre ero a scuola, le è stato commissionato un lavoro – urgente, credo, perché al mio rientro da scuola aveva già cominciato – ma quando è al lavoro pretende il silenzio assoluto in casa. Solo che io non lo sapevo, non immaginavo che nell'arco di una mattina fosse passata dal ronfare come un orso in letargo al lavorare in modo isterico, così quando sono tornata a casa ho fatto rumore e lei si è infuriata» raccontò, concludendo con una scrollata di spalle.

Richard represse una risata alla metafora di Agathe: a volte quella ragazza si esprimeva in un modo deprecabilmente privo di eleganza, ma nonostante questo, le sue frasi pungenti iniziavano a divertirlo. Divertimento che però svanì quando la osservò meglio: aveva buona parte dei capelli bagnati, dalla giacca – appoggiata allo schienale del divanetto – colava acqua e uno sguardo fugace alle gambe di lei gli rivelò come anche calze e scarpe fossero zuppe.

«Miss Williams, lei è bagnata fradicia» le fece notare. «Non può stare così fino a sera».

«Purtroppo non ho molte altre alternative» brontolò Agathe. «Mio padre è l'unico che riesca a far star buona Gisèle, ma è allo studio di Londra e ci resterà fino all'ora di cena. A casa non ci posso tornare e non ho altri abiti con me, quindi dovrò adattarmi. Grazie, Jean» aggiunse poi quando la cameriera le portò il pranzo. Attaccò le patatine fritte con un certo entusiasmo e Richard la lasciò mangiare in pace per qualche minuto.

«Sembra che lei sia conosciuta, qui» disse dopo un po'.

«Ci vengo spesso, quando mia madre ha i suoi attacchi di lavoro isterico o io e Lara non abbiamo voglia di stare in casa ma neanche di arrivare fino a Londra» rispose la ragazza. «Si sta bene: è un posto tranquillo, la cucina è ottima e sono simpatici e alla mano».

Lui la studiò in silenzio per alcuni istanti.

«Perché non è andata da Miss Zimmermann?» si decise a chiederle. «Casa sua è decisamente più vicina, rispetto a questo posto, e di sicuro la sua amica le avrebbe prestato dei vestiti asciutti».

«Un'osservazione sensata» concesse Agathe, «se Lara e suo padre non fossero andati a trascorrere la giornata a Londra. Casa loro è vuota e il mio mazzo di chiavi è rimasto a casa dei miei, quindi, come ho detto, non ho molte alternative».

Agathe finì di mangiare scossa dai brividi: dentro il locale faceva abbastanza caldo, ma tutta l'acqua che le era piovuta addosso iniziava a entrarle nelle ossa.

«Miss Williams, forse sua madre sarà insensibile alla possibilità che lei possa prendere una polmonite, ma io non lo sono» disse Richard risoluto. Si alzò e mise una banconota da venti sterline sul tavolo, sordo alle proteste della ragazza, prima di invitarla ad alzarsi con un gesto elegante della mano. «Andiamo».

Agathe, seppure perplessa, si alzò e recuperò le proprie cose. «Dove?»

Per la prima volta da quando si erano incontrati, il sorriso che Richard le rivolse era rassicurante. «A casa mia».

******

Affrontare la pioggia per tornare fino a casa Prescott fu una bella impresa: sembrava che, invece di calmarsi, il temporale stesse per trasformarsi in un vero e proprio nubifragio, e il vento che spirava loro contro non li aiutò affatto. Per questo, non appena arrivarono a destinazione, Richard si affrettò a sospingere la diciassettenne verso la porta d'ingresso e all'interno: lui stesso era bagnato, ma mai quanto la ragazza, che era ancor più zuppa e tremante di prima.

Sebbene Richard non potesse saperlo, non erano solo la pioggia e il vento freddo a far tremare Agathe: per quanto fosse coraggiosa e pronta ad affrontare persone e situazioni nuove, andare nella casa di un uomo che conosceva appena la intimoriva un po'. Tuttavia, si era risolta presto a seguirlo: anche se non l'avrebbe ammesso con nessuno – nemmeno a se stessa, se solo ci fosse riuscita – la preoccupazione che quell'uomo praticamente sconosciuto aveva manifestato nei suoi confronti l'aveva toccata.

Riposti il soprabito e gli ombrelli, il padrone di casa fece strada lungo il corridoio, fino a una porta di legno scuro a battente singolo.

«Qui, Miss Williams».

Un po' incerta, Agathe entrò nella stanza semibuia, subito seguita da Richard. La ragazza fissò il bel lampadario appeso al centro del soffitto, ma ad accendersi furono le lampade a muro, rischiarando con la loro luce soffusa l'ambiente.

Ora che era illuminata – anche se solo parzialmente – Agathe notò che la stanza in cui Richard l'aveva condotta era un salottino: una stanza piccola e raccolta, arredata con pochi pezzi di mobilio, di cui alcuni chiaramente antichi. La stanza era elegante in modo discreto e molto accogliente: era una stanza fatta per essere vissuta, si notava dalla stoffa appena scolorita del divano e dalle foto sparpagliate in giro, appese alle pareti e posate su mobili e mensole.

Richard avvicinò il divano al caminetto spento e accese il fuoco.

«Mi dia la giacca e venga a sedersi» le disse.

Agathe gli porse riluttante l'indumento fradicio; sedette dove le era stato indicato, ma quando vide Richard prendere una sedia e metterla vicino al fuoco per appoggiarvi la giacca e far sì che si asciugasse, parlò prima di potersi trattenere.

«No, Mr. Prescott, la prego» esclamò. Allungò una mano, quasi volesse riprendersi la giacca. «La mia giacca è bagnata e quella sedia è antica. Si rovinerà» disse mortificata.

Lo sguardo che Richard le rivolse e il piccolo sbuffo che emise col naso la dicevano lunga sulla sua preoccupazione per la sedia.

«Miss Williams, come ha detto prima, lei non ha abiti asciutti con sé e dubito che qualcuno dei miei indumenti le stia» replicò con decisione. «La sua giacca deve asciugarsi, e se devo scegliere tra la sua salute e una sedia, scelgo la prima senza esitare» concluse secco. Poi le indicò i piedi. «Si tolga le calze e le scarpe, o domani si sveglierà come minimo con un bel raffreddore» le consigliò prima di uscire dalla stanza.

Sapendo che l'uomo aveva ragione, Agathe fece come le era stato detto e protese le gambe nude verso il camino: sebbene sul momento avesse avuto ancora più freddo, ora poteva sentire il calore del fuoco riscaldarle i piedi intirizziti.

«Gambe sul divano, miss» ordinò Richard, tornato con una pesante coperta sul braccio.

Agathe arrossì, a disagio: le sembrava quantomeno scortese mettere i piedi sul divano altrui.

«Non mi pare proprio il caso» disse, nel tentativo di fargli cambiare idea. L'uomo la fissò con espressione ostinata e lei ricambiò lo sguardo, il naso arricciato. «Immagino che discutere con lei sarebbe solo una perdita di tempo, vero?» si arrese Agathe; prese un paio di cuscini e li sistemò contro il bracciolo prima di accomodarcisi con la schiena e distendere le gambe sul divano.

«Esatto» rispose Richard. Spiegò la coperta e gliela distese addosso, dopodiché la rimboccò perché non fosse ben coperta. «Così va bene» decretò soddisfatto.

Agathe rimase in silenzio e lo osservò togliersi la giacca, avvicinare una poltrona al fuoco e sedersi con una matita e dei fogli stretti in mano.

«Non ha nulla da studiare, Miss Williams?» le domandò Richard senza guardarla, gli occhiali rettangolari da lettura in bilico sul naso.

«Ho già fatto tutto» rispose lei.

Richard resistette cinque minuti sotto quello sguardo fisso che lo analizzava, poi alzò gli occhi sulla ragazza che stava seduta quietamente sul suo divano.

«Desidera qualcosa da leggere? Da mangiare, da guardare...»

«In altre parole, qualsiasi cosa possa distogliere la mia attenzione da lei?» concluse Agathe con un sorriso.

«Sì, l'idea è quella» ammise Richard, nascondendo il proprio sorriso dietro i fogli che stava leggendo.

«Non è abituato a essere osservato, vero?» proseguì Agathe. «Immagino che di solito sia lei quello che analizza gli altri».

«Mi dica, miss, perché sembra essere tanto insensibile all'indifferenza con cui sua madre l'ha spedita fuori di casa nonostante il maltempo?» ribatté Richard per distogliere da sé l'attenzione della ragazza.

Lei scrollò le spalle. «Perché è quello che fa sempre. Per lei la cosa più importante è il lavoro: non le importa dove io sia o cosa faccia, e lo stesso vale per mio padre e per mio fratello, finché viveva con noi. Tutto ciò che le importa è che nessuno le stia tra i piedi mentre lavora».

«E questo non dovrebbe ferire i suoi sentimenti?» insisté Richard.

Agathe valutò l'uomo e le parole che le aveva rivolto per qualche minuto.

«Lei è cresciuto in quella che rispettava perfettamente il canone della famiglia felice, scommetto» disse infine. «Dove i genitori si conoscono fin dall'infanzia e si sono sposati perché il loro era vero amore, hanno desiderato tanto un bambino e quando è arrivato l'hanno considerato una benedizione; dove i figli vengono cresciuti insegnando loro i valori più importanti, spronandoli a non considerare una classe sociale superiore o inferiore a un'altra e ad avere uno spirito liberale, a essere generosi, a coltivare la ricchezza morale che scaturisce dalla cultura, a trovare la propria strada seguendo le inclinazioni dell'animo e non il profitto o il prestigio. Una bella famiglia, senza dubbio, ma non tutte le famiglie sono così» concluse in tono piatto.

Richard si agitò appena sulla sedia. Se qualcuno gli avesse detto che quella ragazza sarebbe stata in grado di delineare la sua storia familiare – seppure a grandi linee – senza conoscere che il suo nome e poco più, non ci avrebbe mai creduto, e quell'inaspettato acume lo metteva a disagio.

«Anche lei è un'osservatrice, non è così?» disse, più che altro per spezzare il silenzio.

«Faccio del mio meglio» rispose Agathe, scrollando le spalle.

«Eppure ho l'impressione che non abbia ancora finito, con me» replicò l'uomo dopo qualche altro istante di penoso silenzio.

«Finito? Non ho neanche cominciato» gli fece notare la ragazza. «Non potrebbe essere altrimenti, dato che non so quasi niente di lei».

«Sento che c'è un "ma" in arrivo» disse Richard.

«Ma qualcosa posso intuirlo lo stesso» offrì Agathe. «Magari sbagliando, visto che non sempre l'immagine che offriamo di noi stessi al mondo rispecchia la nostra essenza più profonda, però quel che lei decide di mostrare, io posso vederlo».

«Non tutti ci riescono» sorrise Richard.

«Perché non vogliono farlo» fu la replica.

«Allora, Miss Williams» la spronò l'uomo in tono provocatorio, «mi dica cos'ha visto in me».

Agathe raddrizzò la schiena e lo fissò negli occhi, l'espressione seria e le mani giunte in grembo.

«Ho visto un uomo riservato» iniziò la ragazza. «Molto riservato, evidentemente di grande cultura, sempre disposto a rendere nota la propria opinione ma mai a offrire qualcosa di sé». Agathe gli rivolse un'occhiata penetrante. «Un uomo ben consapevole di possedere un'intelligenza acuta, svelta e pungente, tanto consapevole da lasciarsi governare, nei suoi giudizi, da un'arroganza a volte malamente celata, nonostante l'educazione perfetta che gli è stata impartita in gioventù. Un'educazione che lei ha trasformato in un algido codice di gentiluomo, splendido da vedere ma che la rende impossibile da avvicinare, lontano com'è su quel piedistallo che si è costruito da solo... tranne quando qualche impulso incontrollabile non la convince a scenderne».

Agathe tacque, divertita dallo sguardo del suo ospite: sembrava fosse stato folgorato. E sebbene lei non potesse saperlo, era proprio così che l'uomo si sentiva.

Richard era stato colpito dalle parole di Agathe: non da tutte – alcune cose erano talmente ovvie che chiunque avrebbe potuto notarle – quanto piuttosto dalla sua ultima frase. Proprio quel lunedì Alan, suo amico da vent'anni, non l'aveva definito nello stesso modo? Un algido gentiluomo, isolato e indifferente ai problemi altrui... tanto da rendere stupefacente un atto di aperta cavalleria?

Il fatto che Agathe avesse notato la sua arroganza non era strano: Richard ricordava ancora come, in preda all'irritazione, l'avesse definita maleducata e distratta durante il loro primo incontro pur senza conoscerla, basandosi solo sulla sua presenza in quel locale frivolo e glissando del tutto sulle proprie responsabilità, anche se lo mortificava ripensarci. Era stato, come aveva detto la ragazza, uno di quei casi in cui la sua arroganza l'aveva reso incauto nell'esprimersi, una cosa che detestava profondamente e che cercava di evitare con tutte le sue forze.

«Permette una domanda, Mr. Prescott, ora che ho soddisfatto la sua curiosità?» chiese allegramente Agathe, interrompendo le riflessioni dell'uomo. Lui annuì, ancora distratto. «Mi ha rimproverata tanto di essere uscita nonostante il temporale... ma che ci faceva lei in giro con questo tempaccio?»

Richard focalizzò di nuovo tutta la propria attenzione sulla ragazza che lo fissava maliziosa. Non si era aspettato quella domanda, per quanto fosse lecita; così esitò nel rispondere.

«Io sono un adulto» rispose scioccamente, e le sue parole suscitarono all'istante l'ilarità della ragazza. La risata di Agathe trillò argentina nella stanza e Richard ne fu affascinato. Era la prima volta che la vedeva ridere, e stava ridendo di gusto: aveva gli occhi chiusi, la testa gettata all'indietro, le gambe rannicchiate e le mani premute sullo stomaco.

«E da quando in qua c'è bisogno di essere maggiorenni, per uscire sotto la pioggia?» domandò Agathe non appena riuscì a controllarsi.

«Si suppone che l'età porti con sé una maggiore saggezza» replicò Richard, sorridendo.

«Si suppone!» ripeté Agathe, anche lei sorridente. «Ma avventurarsi fuori di casa durante un nubifragio, a meno di un motivo grave e inderogabile, non è segno di sconsideratezza... qualunque sia l'età della persona in questione?» aggiunse; subito dopo tentò di soffocare uno sbadiglio, ma la cosa non sfuggì al suo ospite.

«Miss Williams, sono certo che lei sia molto stanca» disse Richard con voce ferma.

La ragazza ammiccò e cercò con scarso successo di trattenere una risata. «Davvero molto stanca» assentì. «D'altra parte, mettere nell'angolo un uomo come lei non è un risultato che si possa ottenere senza un gran dispendio di energie...» aggiunse; ridacchiò ancora e scivolò sui cuscini fino a ritrovarsi sdraiata su un fianco. Poco dopo si addormentò e Richard si alzò dalla poltrona; aggiunse un po' di legna al fuoco e le rimboccò le coperte fino al mento, sorridendo suo malgrado.

Gettato uno sguardo oltre le tende, dove il cielo diventava sempre più scuro e la tempesta infuriava peggio che mai, l'uomo tornò a sedersi e a vegliare il sonno della ragazza, con la mente invasa da mille pensieri.

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